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Autore: Lady Mnemosyne    10/02/2020    1 recensioni
– E va bene – si arrese – Monica mi ha lasciata […] Dice di aver trovato il suo vero amore e che io non la faccio sentire come la fa sentire lui. –
Così tu cerchi di raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma forse non è il caso di riprovarci di nuovo, forse è meglio lasciar perdere, è più sicuro. Ma mentre tu cerchi di chiudere tutto in un forziere ventimila leghe sotto i mari, una dolce sirena, che ti incanta con quella stessa musica che tu ti vanti di saper cantare così bene, ti si fa vicina e ti distrae, è sul punto di farti cambiare idea…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let Me Kill the Pain

– Mi stai seriamente dicendo che le hai chiesto dove ha comprato quella gonna?! –
– Tanto dovevo andare comunque a ricevimento per parlarle del progetto… – rispose Anita con una vocetta fina fina e venata di imbarazzo, quanto a Lei, la fissava con gli occhi sgranati, tanto era allibita.
– E magari ti ha pure risposto! – continuò incredula e curiosa di sapere, a quel punto, i dettagli di quell’assurdo scambio.
– Veramente abbiamo passato almeno un quarto d’ora a parlare solo di vestiti… Per fortuna le avevo già chiesto del progetto, altrimenti penso che mi sarei dimenticata il motivo serio per cui ero lì – concluse Anita ridendo, ancora di più per l’espressione, a metà tra il disgusto e lo sgomento, dell’amica.
– Non so se meravigliarmi più di te che fai ‘ste cose o di lei che ti asseconda – commentò scuotendo la testa.
– Non è che perché tu sei moda-repellente, si sentono tutti così, sai? E comunque non è affatto semplice trovare quel genere di vestiti un po’ vintage fatti bene e senza prendersi delle fregature o spenderci uno stipendio sopra – ribatté Anita con fare esperto, – Dovresti venire a far spese con me una volta… – concluse con aria ammiccante.
– Ma non ci penso neanche: preferirei morire piuttosto che passare un pomeriggio intero a fare dentro e fuori da tutti i negozi di vestiti esistenti, compresi quelli che palesemente non puoi permetterti! –
– Oh come sei noiosa – le ridacchiò dietro Anita, conscia fin da subito di toccare un punto debole.
Questa piacevole schermaglia si stava svolgendo lungo una delle vie del centro a tardo pomeriggio, poco distante dall’Accademia, dove avevano avuto lezione fino a poco prima. Il cielo già scuro lasciava intravvedere qualche pallida stella tra una gonfia nuvola e l’altra, ma nessuno pareva accorgersene, impegnati com’erano tutti a scivolare veloci tra la folla che entrava e usciva dai negozi con fare abbastanza frenetico, già in subbuglio per il Natale.
– Ma quindi cosa ti ha detto del progetto, tornando a noi? – chiese Lei, cercando di distrarre Anita dall’idea di un pomeriggio di spese insieme.
– Ma nulla di che, in realtà, che va bene così e posso andare avanti su questa linea e che le sembra che il lavoro stia venendo bene. Ha detto anche che potrebbe esserci la possibilità di mandare alcune tavole ad una mostra, ma è ancora tutto molto in forse. –
Lei si accese: – Ma è fantastico! Potrebbe essere una grande opportunità! –
– Eh sì, figurati se sceglierebbero proprio le mie tavole – minimizzò Anita.
– Ma se la Gigli ti ha detto così, perché no? Perché dirtelo altrimenti? Non mi pare una che spreca parole per niente, dai – cercò di incoraggiarla.
Anita aveva un talento indubitabile, tuttavia convincerla che l’unica a non riconoscerlo era lei stessa, si era rivelata finora un’impresa impossibile per chiunque.
– Staremo a vedere. Tu come stai piuttosto? Ti vedo molto meglio rispetto agli ultimi giorni – cambiò argomento Anita, rivolgendole uno sguardo indagatore ma accompagnato da un premuroso sorriso.
– Sto meglio in effetti, finalmente – ammise Lei con serenità, – Sono quasi stupita anch’io. Ma il merito è dei ragazzi, non mio: mi hanno portata di peso a ballare ed è stata una gran bella serata, sono stata benissimo e, a quanto pare, gli effetti durano ancora. –
– Cos’è: hai rimorchiato, per caso? – la punzecchiò Anita.
– Sì, se proprio lo vuoi sapere – ribatté Lei con fare offeso, – Ma non è questo il punto. –
– No dai, racconta: voglio sapere! – la interruppe Anita, impaziente.
– Ma guarda che non c’è proprio nulla da raccontare, ho solo ballato un po’ con una ragazza, niente di più. –
– Ah. Sono un po’ delusa in effetti. –
– Ma smettila! – esclamò Lei dandole una gomitata.
In tutto questo le due amiche erano ormai giunte al termine della loro passeggiata, al punto in cui le strade per raggiungere le rispettive case si dividevano.
– Allora vieni stasera? – chiese Lei.
– Non lo so, non so se ho voglia di uscire di nuovo, poi si fa tardi, devo tornare a casa da sola… – cantilenò Anita.
– E dai, ti prego. Non sei mai venuta a sentirci una volta ancora. Ti riaccompagno a casa subito dopo il concerto se vuoi, possiamo anche chiedere a Enrico o Fede un passaggio in macchina – implorò Lei, ma Anita non sembrava affatto convinta, così cercò di assumere un’aria ancora più implorante:
– Ti prego – e si concentrò per apparire il più adorabile possibile.
– Va bene, va bene, ci sarò – si arrese Anita, – Ma smetti di fare quella faccia che non sei credibile. –
– Però ha funzionato! – rise Lei facendole l’occhiolino.
Si salutarono con un abbraccio bello stretto, di quelli che lasciano un po’ indolenziti.

Il vento le inaridiva la pelle del viso con le sue mani gelide, mentre fissava pigramente il panorama sotto di lei dal balcone: le persone sembravano nient’altro che piccole formiche da quell’altezza e le alte palazzine tutte uguali nascondevano alla vista il centro della città, con le loro masse grigie e monotone. L’unica nota di colore era costituita dai pochi alberi buttati qui e là, che apparivano quasi disorientati in mezzo a tutto quello sterile cemento. Sbuffò, espirando una bianca nuvoletta di fumo e fiato: aveva sempre detestato quella città, ma l’Accademia lì era di ottima qualità, perciò si era trasferita, senza mai, tuttavia, abituarsi. Le mancava il parco di fronte a casa sua, le mancava spalancare la finestra la mattina e respirare il profumo di erba appena tagliata.
Spense la sigaretta e rientrò, chiudendosi alle spalle l’ennesimo clacson isterico di qualche autista spazientito. Dopo aver lanciato la giacca sul divano, si fermò ad osservare il ritratto per l’ennesima volta.
“Dovrei davvero continuarlo” pensò, “È un peccato lasciarlo così a metà, dopo che ci ho anche speso soldi, tempo e fatica. Stava anche venendo bene…” Un certo fastidio rabbioso le fece aggrottare le sopracciglia all’idea che, oltre a tutto il resto, Monica avesse rovinato anche uno dei suoi lavori.
Fece qualche passo verso il bagno per recuperare i pennelli, che aveva lavato. E se poi fosse di nuovo sprofondata nello sconforto dei ricordi? Era davvero in grado di concentrarsi su di lei, su quel viso e su quei dannatissimi occhi senza precipitare indietro nella spirale buia da cui stava finalmente risalendo?
Chinò lo sguardo sui pennelli, che stringeva in mano.
“No, non mi va di rischiare” decise. Così appoggiò i pennelli nella loro cassetta e tornò in soggiorno: la luce giallo ocra dei lampioni disegnava dei bizzarri disegni sul lucido legno nero del pianoforte.
— Che c’è? Ti senti trascurato? — chiese guardando lo strumento, mentre si avvicinava. Sollevò il coperchio e accarezzò i tasti.
— Povero piccolo. Adesso penso io a te. —
Si sedette e, tempo di scegliere un brano, le sue mani cominciarono a volare leggere sulla tastiera.

Aveva dodici anni e fremeva sulla sedia nella sua elegante gonnellina di velluto viola. Al suo fianco sedeva suo padre, calmo e sorridente come sempre, e di fronte, un po’ distante, separato da qualche fila di sedie, campeggiava un magnifico pianoforte, su cui scivolava la luce azzurra dei fari di scena.

Era nato tutto da una pubblicità, da una delicata melodia che faceva semplicemente da sfondo, ma che risvegliò qualcosa in lei fin dal primo ascolto, una parte di sé di cui ancora non conosceva l’esistenza. Così era arrivata la prima, piccola tastiera come regalo di compleanno e quel concerto, che non avrebbe dimenticato mai.
Aveva poi affrontato il conservatorio, determinata ad imparare, perché ormai quella porta, che il dolce pianista aveva aperto nella sua anima, non poteva più essere chiusa: ormai la Musica in persona la reclamava per sé. Scoprì ben presto che quel mondo, estremamente chiuso e rigido, non faceva affatto per lei, ma voleva suonare, così, a denti stretti, cominciò l’arrampicata attraverso i duri esami e gli estenuanti esercizi. Per contrasto, o forse per sopravvivenza, prese ad esternare sempre più la sua estraneità a quel mondo, in cui era entrata e restava solo per pura necessità, senza condividerne affatto la spocchiosa aura di elitarietà, ed ogni scusa si fece buona per schierarsi contro, tanto che più di una volta rischiò di essere espulsa. Passò così gli anni del conservatorio a camminare su quella fune, sullo spigolo affilatissimo tra ciò che era tollerabile e ciò che non lo era, fino all’ultimo esame – sorrise a ricordarlo: era salita sul palco indossando un magnifico frac.
Ripensandoci, ancora si stupiva che poi il diploma glielo avessero conferito sul serio. E tutto questo solo per arrivare a suonare questo pezzo, quello che, come un’antica sirena, l’aveva stregata a tal punto, che non poteva più distoglierne il pensiero.

Le sue mani si fermarono con dolcezza sull’ultimo accordo.
Che pace, che in quantificabile serenità.
A causa di tutto il veleno con cui Monica l’aveva lentamente assuefatta durante quei mesi, erano veramente secoli che non suonava più quella leggerissima corsa di note e si rese conto solo in quel momento di quanto le mancasse.
Alzò gli occhi, che per un secondo si fecero bui, quando si posarono sul ritratto.
— Ho fatto davvero bene a ignorarti — disse, poi riappoggiò lo sguardo sui tasti e un’altra melodia tornò a riempire la stanza, questa volta più lenta e ancora più dolce.

Più tardi quella sera, quando arrivò a Il re di coppe, si sentiva leggera come una piuma, quasi che la musica che aveva suonato le fosse entrata dentro e le scorresse nelle vene.
— Ma buonasera! — tuonò la voce di Riccardo al suo ingresso, — Come siamo raggianti stasera! —
— E sto conservando il meglio per dopo — rispose Lei, facendo l’occhiolino con un gran sorriso.
Come di consueto, gli altri erano già tutti arrivati e stavano sistemando gli strumenti e il resto.
— Hey fai progressi! Oggi sei quasi in orario — esclamò Davide quando la vide.
— In effetti sono stupito — rincarò Federico, che aveva appena finito di montare la batteria.
— Tutti cavalieri stasera, eh? — rispose Lei mentre si toglieva la giacca, che lanciò sopra le custodie vuote.
— Come vi aiuto? — chiese poi.
Sistemarono gli amplificatori e collegarono gli ultimi cavi, mentre Riccardo fece arrivare loro qualche bottiglia d’acqua. Il locale era abbastanza pieno e l’aria vibrava del vociare delle persone.
— Ci siamo? — chiese Lei, voltandosi verso i compagni, le mani le sudavano leggermente. Di Anita, come temeva, nessuna traccia.
La sua voce si distese sopra il brusio, che scemò velocemente e, ancora una volta, si spogliò di se stessa e lasciò che la musica la attraversasse in ogni sua fibra.
Ad un certo punto, qualche brano più avanti, mentre guardava distrattamente il pubblico davanti a sé, un volto familiare attirò la sua attenzione e dovette davvero concentrarsi per non andare fuori tempo né sbagliare il testo: era Ambra, la ragazza che l’aveva fermata sulle scale. Per fortuna la canzone terminò poco dopo, così ebbe un attimo di tempo per rifiatare e recuperare la concentrazione.
“Oh no, perché?” gridò con tono esasperato una acuta vocina nella sua testa. Aveva completamente rimosso la conversazione sulle scale e chissà che fine aveva fatto quel dannato biglietto nel frattempo. In ogni caso, non aveva assolutamente voglia di averci a che fare più di quanta già non ne avesse ed ora se la ritrovava lì di fronte, e sicuramente non per via dell’esibizione.
Prese un profondo respiro, relegando l’intera scocciatura ad un momento successivo e si rialzò dopo aver bevuto un sorso d’acqua. Tuttavia, per quanto cercasse di concentrarsi sulla musica, sentiva quel paio di occhi insistenti su di sé, anche senza voltarsi nella direzione della ragazza, e quella tacita insistenza la infastidiva terribilmente, le prudeva la faccia per l’irritazione di quello sguardo. Raggiunse davvero a malincuore la fine dello spettacolo, perché non poteva più nascondersi, ora: il momento di affrontare il problema si avvicinava inevitabilmente.
Mentre stava prendendo seriamente in considerazione l’idea di nascondersi in una delle custodie degli strumenti, sentì qualcuno appoggiarle le mani sulle spalle: era così tesa che sobbalzò.
— Hey calma, sono solo io — esclamò Anita, —Ti riduci così dopo ogni concerto? —
Lei si voltò con un grande sorriso: — Ciao! Sei venuta! — esclamò abbracciandola.
— Te lo avevo promesso, non potevo rimangiarmelo. —
— Ma non ti ho vista, dov’eri? — chiese Lei, pentendosi un po’ per aver pensato che non si sarebbe fatta viva, come le altre volte.
— In realtà sono arrivata tardi, ma non troppo, dai, ho visto più di metà concerto — rispose Anita, un po’ in imbarazzo. Lei rise: — Ecco perché non ti vedevo. — Siete bravi, comunque, mi è piaciuto molto. —
Stavolta fu Lei ad imbarazzarsi leggermente: — Grazie, sono contenta che ti sia piaciuto. —
L’occhio le cadde sulla folla, che, alle spalle di Anita, si stava gradualmente scomponendo, e si ricordò immediatamente della biondina.
— Senti, vuoi già tornare a casa? Chiedo un passaggio a Enrico? — chiese, nella speranza di svignarsela il prima possibile.
— No dai, non voglio levarvi tutto il divertimento. Tanto immagino vi fermiate a bere qualcosa, no? —
“Maledizione”
— Beh sì, ma se non vuoi fare tardi, andiamo, tanto fra qualche settimana ne facciamo un altro di concerto, quindi per me non c’è problema — rintentò.
— Hey ciao — si intromise una terza voce.
“Ma porca…”
Cercò di controllare la propria mimica facciale per non far trapelare quanto fosse seccata e si voltò.
— Ciao! Che combinazione, anche tu qui? —
“Okay, forse bastava anche meno.”
— Già, un mio amico mi ha invitata, così… — rispose Ambra con le mani in tasca a mascherare un certo imbarazzo. Anita si stava visibilmente sforzando di non ridere.
— Allora ci vediamo a lezione — disse sorridendo. Lei la fulminò con uno sguardo che tuonava “NON OSARE”, ma Anita si dileguò in un attimo, così Lei non poté fare altro che sputare un rabbioso: — Ciao. —
All’improvviso si sentì chiaramente addosso gli occhi di tutti i suoi compagni, mentre Ambra se ne stava ancora impalata al suo fianco. Raggiunse l’asta del microfono e prese a smontarla, Ambra la seguì con un passo di distanza:
— Siete molto bravi, il concerto mi è piaciuto molto — disse timidamente.
— Grazie — rispose Lei in modo meccanico. Non sapeva cosa dire, non aveva nessun argomento di cui parlare.
— Non sapevo che canti anche, sei brava — non demordeva. Ancora una volta Lei ringraziò senza sapere cos’altro aggiungere, poi caricò l’asta e si avvicinò a Enrico, per appoggiarla insieme al resto.
— Ti prego salvami — gli sussurrò. Lui sbirciò appena Ambra da sopra la spalla.
— A me non sembra male — commentò.
— Te la cedo più che volentieri — rincarò Lei.
Enrico si voltò, ma ovviamente Davide si era già fatto avanti, chissà da quanto stavano già parlando.
— Ci ha pensato Davide — disse e stavolta fu Lei a sbirciare da sopra la spalla. Tirò allora un sospiro di sollievo ed Enrico ridacchiò, poi passò oltre dandole una leggera pacca sulla schiena e si mise ad arrotolare i cavi.
Non appena tutta l’attrezzatura fu sistemata nel portabagagli dell’auto di Federico, Lei afferrò la giacca e fece per andarsene. Davide aveva parlato con Ambra per tutto il tempo e ci stava ancora parlando; in effetti sì, aveva lasciato agli altri tutto il lavoro, ma aveva anche risolto efficacemente il problema per Lei, che ora cercava di svignarsela per la seconda volta.
— Allora ci sentiamo, ragazzi — disse alzando una mano e cercando gli occhi dei suoi amici, già diretta verso la porta.
— Ma come? — saltò su Federico, che si era appena appollaiato su uno sgabello di fronte al bancone — Già te ne vai? Non ti prendi neanche una birretta? —
Enrico gli diede una gomitata, alla quale Federico rispose con un’occhiataccia, ma afferrò immediatamente il senso dell’eloquente espressione dell’amico. Così disse: — Buonanotte! — e salutò a sua volta.
Lei rivolse un gran sorriso al suo complice e proseguì verso l’uscita il più velocemente possibile.
Uscì fuori: l’aria fredda era particolarmente piacevole sulle sue guance. Imprecò mentalmente quando non udì la porta sbattere dietro di sé e accelerò il passo in un ultimo, disperato tentativo, finché il rumore di alcuni passi che le trotterellavano dietro non la raggiunse.
— Scusami —
Fu costretta a fermarsi. Si voltò e Ambra le fece quasi pena per quanto era in imbarazzo.
— Non voglio scocciarti, ma volevo chiederti se per caso hai pensato alla mia proposta. Il fatto è che, se tu rifiuti, devo cercare un’altra persona e non ho molto tempo. —
Ancora una volta aveva cominciato a parlare a macchinetta e il suo timbro si era fatto più acuto.
— Capisco. Mi dispiace, ma mi è proprio passato di mente, ho avuto molto da fare — mentì spudoratamente. Il volto di Ambra si adombrò di evidente delusione.
— Oh, quindi immagino che non ti interessi, visto che sei così impegnata — disse piano. Un leggero senso di colpa le fece prudere le mani.
— Beh, non è che non mi interessi — cercò qualcosa con cui tirarle su il morale, — L’idea è molto originale, ma non me la sento di prendere l’impegno — concluse, spingendo le mani in fondo alle tasche. Ambra mise insieme un sorriso poco convinto:
— Okay. Beh, effettivamente sarebbe un lavoro abbastanza impegnativo, quindi ci sta che non ti vada — incassò il colpo, poi alzò gli occhi in quelli di Lei:
— Grazie lo stesso — disse, tendendo la mano. Lei la strinse, ricambiando lo sguardo per un attimo.
— Ci si vede — aggiunse poi, allontanandosi. Ambra rispose con un sorriso spento e un — Ciao. —

D’accordo, si sentiva un po’ in colpa, soprattutto per essersi completamente dimenticata di ogni cosa, compreso il nome della ragazza, ma non aveva davvero nessuna voglia di impelagarsi in un lavoro simile con una completa sconosciuta. In più non aveva voglia neanche di avere a che fare con ragazze di qualsivoglia tipo, non adesso.
“No, non ce la posso fare” concluse.
Aveva bisogno di tempo per disintossicarsi, per stare da sola nei suoi spazi, senza inutili scocciature aggiuntive. In fondo dirle di sì per poi non impegnarsi sarebbe stato più scorretto, no? Quindi tanto valeva rifiutare da subito e chiudere la questione. Vuoi che non ci sia un altro pittore disposto a fare questa cosa con lei? Non è neanche brutta, troverà sicuramente qualcun altro.
Era così concentrata a zittire il proprio senso di colpa, che, una volta di fronte al cancello di casa, si stupì di essere già arrivata.

Si lanciò sul letto e fissò le luci fuori dalla finestra. Non aveva sonno: non era mai tornata a casa così presto dopo un’esibizione e l’adrenalina le correva ancora su e giù per le vene. Recuperò il telefono: era solo l’una e mezza.
Mentre pensava a quanto si stavano divertendo i suoi amici, le tornò in mente il tentativo di salvataggio di Enrico, così decise di ringraziarlo:
Grazie per prima, ti ho visto.
Il telefono squillò poco dopo:
Prego! Ho cercato di fare il cavaliere, visto che ti sei lamentata ;)



 

Love, let me kill the pain
till none of this remains
and we both say the things we’ve always known

   
 
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