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Autore: Vago    10/02/2020    1 recensioni
Una piccola halfling con un vuoto di memoria, allevata da un cantastorie elfico giunto alle ultime battute della sua vita, questa è la povera creatura che si è beccata me come suo giocatore in una campagna GDR.
Povera, piccola, creatura.
Queste righe sono la sua storia, sono i suoi sogni ad occhi aperti durante un viaggio ancora ben lontano dall'inizio della sua avventura, sono la sua storia fino al punto in cui io l'ho raccolta e l'ho adagiata su una scheda personaggio, dandole la possibilità di vivere un grande viaggio assieme ad una compagnia male assortita della quale, chissà, forse un giorno avrò modo di raccontar le gesta.
Genere: Fantasy, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le foglie della volta verde della foresta fremevano al passaggio del vento caldo, estivo.
No, non era estate.
Faceva fresco, forse era autunno.
E non erano le foglie a far rumore, era lo sciabordio delle onde del mare che si infrangevano sui moli vicini.
L'odore di salsedine misto a quello delle frattaglie di pesce abbandonate dai gabbiani lungo le strade di terra battuta.
No, l'odore di sale non proveniva dal mare, saliva come un aroma sacro dalle casse di provviste, dopotutto le frattaglie di pesce lasciate a marcire sugli argini argillosi appartenevano a creature di fiume.
No, non era possibile che ci fossero delle casse di provviste.
Aveva una casa, la base in pietra e la parte alta in legno, tutta a misura di Halfling. Era sicura di ricordare il rumore della pioggia battente sul tetto e la brezza umida che le accarezzava il viso.
E si ricordava quella bestia enorme, coperta di pelo, che li aveva attaccati.
Erano andati nel bosco.
No, avevano preso una strada che serpeggiava tra i campi coltivati.
In ogni caso erano stati attaccati da un rapace mastodontico, con un becco aguzzo e una chiostra di denti color avorio.
Li aveva persi.
Aveva perso di vista i suoi genitori e i suoi fratelli.
Una piccola halfling persa, senza punti di riferimento o modi per tornare a casa.
Doveva essere successo qualcosa in quel momento.
Perché la sua memoria continuava a sovrapporre immagini diverse?
Perchè non riusciva a ricordare il viso dei suoi genitori o la strada di casa?
Perchè non ricordava nemmeno il suo nome?
 
La mano dell'halfling si liberò per un momento dal nodo formato dalle sue braccia conserte per portarsi all'altezza della tempia destra dove, sotto la chioma castana, una piccola cicatrice triangolare era appena accennata.
Il carro sussultò appena sul terreno sassoso.
 
Una piccola halfling persa e incapace di ricordare i suoi primi anni di vita.
Aveva vagato parecchio, nascondendosi nella penombra ogni volta che un gufo si schiariva la gola, aveva camminato fino a quando i suoi piedi non avevano ceduto.
Solo al calare delle tenebre il baluginio di un fuoco da campo le aveva dato speranza.
Una carovana che si apprestava a passare la notte, una carovana che sapeva di fumo di falò e selvaggina bollita.
Umani.
O elfi.
Erano sicuramente alti, molto più alti di lei. E facevano paura.
Ridevano sguaiatamente, quasi urlando le loro battute come se avessero voluto riempire di quelle voci il silenzio della notte.
La piccola halfling ne aveva paura, ma era stanca.
Si era mossa piano, in silenzio nell'oscurità di quel luogo, fino a raggiungere l'ultimo dei carri coperti sul quale si era arrampicata.
Pesce sotto sale, il suo odore forte l'aveva investita.
Si era nascosta sotto un telo, frugando tra le casse per trovare l'origine di quel puzzo, e là, dopo essersi riempita lo stomaco, si era addormentata quasi senza accorgersene.
L'avevano svegliata i raggi del sole che le avevano investito il viso, in parte coperti dalla sagoma nera di una grossa testa.
C'erano state delle urla, degli sbraiti, ma non riusciva a ricordare le parole che erano state usate.
Delle mani forti l'avevano sollevata di peso a scaricata a lato della strada, quasi gettandola nel canale in cui un rivolo d'acqua smuoveva la fanghiglia che si era sedimentata sul fondo, e da quel punto non aveva potuto far altro che guardare la carovana ripartire sotto la luce di un sole che aveva quasi raggiunto lo zenit.
Non era rimasto nulla intorno a lei, solo una pianura sconfinata e polverosa sulla quale rimase per troppo tempo alla mercé degli elementi.
Aveva le labbra spaccate e la testa pesante quando un cavallo le si accostò.
Dal dorso baio scese lentamente, rigidamente, una figura altissima, un palazzo in mezzo a quella distesa. L'essere le si avvicinò piano, chinandosi su di lei e strizzando gli occhi languidi per mettere a fuoco il corpo in posizione fetale che non aveva avuto nemmeno uno spasmo al suo arrivo.
Le sollevò il viso appoggiandole una mano incartapecorita sulla guancia, avvicinandosi ancor più per poter distinguere i lineamenti di quel viso bruciato dal sole impietoso.
Il tappo di una borraccia venne liberato dalla sua prigione con un movimento deciso e dell'acqua tiepida corse sul viso della piccola halfling insinuandosi fin dentro la sua gola, goccia dopo goccia.
Lei si sentì appena sollevare, prima di smettere di percepire cosa la circondasse.
 
L'halfling guardò il nano che le sedeva di fronte, dormiva profondamente con la bocca aperta, dalla quale, ogni tanto, fuoriuscivano rumori confusi, forse figli di qualche dialetto nato nelle profondità delle miniere. I suoi occhi erano coperti da una bandana che era stata calata appositamente per proteggerli dalla luce pomeridiana che filtrava dalla copertura del carro in cui si trovavano.
 
La piccola si risvegliò su un pagliericcio, portava addosso una vestaglia grigia che la copriva ben oltre il necessario, la cui fine riposava mollemente diverse decine di centimetri dopo le gibbosità che rivelavano la presenza la presenza di un paio di piedi tra la stoffa.
Si mise a sedere lentamente, confusa.
Sentiva la testa stretta da qualcosa e i suoni ovattati. Non i suoni, era una melodia, un arpeggio.
Un essere alto era seduto su una logora sedia a dondolo in legno, alla sua destra ardeva un ceppo all'interno di un camino, alla sua sinistra c'era il letto, sul suo ventre, invece, veniva dolcemente accarezzato un liuto che riempiva l'aria con le sue fusa.
L'essere sorrise alla sua ospite, voltando verso di lei il viso solcato da profonde rughe e facendo ondeggiare i capelli grigi attorno alle orecchie appuntite che gli si allungavano verso la nuca.
Le aveva fatto molte domande, ma nessuna aveva ricevuto una risposta soddisfacente.
L'elfo non si era però mostrato frustrato da questa mancanza di informazioni.
L'aveva curata, le aveva cambiato le bende che le cingevano la fronte fino a quando la ferita che le si era aperta sulla tempia non si fu completamente sanata, le aveva dato un pagliericcio e un tetto sulla testa.
Le aveva dato un nome, in un giorno piovoso sull'altopiano aveva deciso che si sarebbe chiamata come lo Shannænnë, il liquore elfico di cui beveva un sorso ogni sera.
Da lui aveva imparato l'arte della musica e la curiosità per il mondo, lui l'aveva iniziata ai collegi bardici, lui l'aveva cresciuta negli anni, rendendola sua apprendista, le aveva comprato un pony, le aveva fatto conoscere le sue amicizie, i suoi contatti e i suoi segreti. Con lui aveva viaggiato tra i regni, chiedendosi ad ogni villaggio o comunità halfling se fosse quello il posto in cui era nata.
Lei era poi diventata i suoi occhi, quando quelli con cui nacque l'elfo persero completamente la loro luce, lei era rimasta al suo fianco, nella casa solitaria o nei lunghi viaggi tra città e villaggi, lei aveva ascoltato i suoi racconti e le sue canzoni, lei lo guardava con ammirazione, quando annusava l'aria per carpire quali odori e quali notizie il vento gli portasse.
Tithraril, così si chiamava il vecchio elfo, rideva di cuore ogni volta che Shannænnë gli chiedeva se gli mancasse poter vedere il mondo. No, gli rispondeva, perchè il vento portava con sè centinaia di odori e, ad ogni buon ascoltatore, questi rivelavano altrettante storie.
Ogni luogo possiede un proprio aroma, diceva, ed ognuno di questi aromi si aggrappa a chi vi passa in mezzo, creando una fragranza che intesse la storia di un viaggio.
Shannænnë fu l'unica costante al capezzale del vecchio elfo, anziano anche per gli standard della sua specie. Tithraril avvizzì come un fiore nelle sue ultime settimane e quella casa che li ospitava non vide mai tanti ospiti come in quei giorni.
Vecchi compagni di viaggio e nuovi conoscenti si alternavano accanto al giaciglio, scambiando poche parole con l'anziano che, imperterrito, sorrideva cordialmente a tutti.
Tithraril sembrò quasi aspettare che l'ultimo ospite se ne fosse andato, prima di cominciare a rantolare per lo sforzo di rimanere attaccato alla propria coscienza.
Chiamò a sè Shannænnë, stringendole la piccola mano tra le sue dita affusolate e inspirando a fondo l'odore che l'halfling portava con sè.
Le disse poche parole, le augurò lunghi viaggi, fiducioso che la giovane fosse pronta ad affrontare qualunque traversata le si prospettasse davanti, e le affidò la sua fiaschetta. Era una semplice fiaschetta in metallo con un albero inciso su uno dei lati, dentro la quale le ultime gocce di Shannænnë liberavano il forte aroma di alcol aromatizzato.
Spirò di lì a poco e, con lui, se ne andò l'unica persona che si ostinava ad utilizzare il nome Shannænnë.
Shanna assistette alla funzione del chierico elfico senza versare una lacrima, sapeva che Tithraril non le avrebbe approvate, e svuotò tutta la riserva di liquore elfico sulla tomba, tenendosene per sè giusto la quantità necessaria per riempire la fiaschetta che le pesava in tasca.
Vendette tutto quello che non potè portarsi dietro, non era legata a quella dimora, poichè ora la sua casa se ne era andata.
Era rimasta lei sola con i suoi larghi vestiti sgargianti che coprivano la corazza in pelle che l'avrebbe dovuta proteggere dai pericoli che costellano le strade del continente, con il suo violino, il suo stocco, la tracolla con gli strumenti che Tithraril le aveva insegnato a maneggiare e la fiaschetta a pesare in una delle tasche che le costellavano gli abiti.
Da quel punto era iniziato il suo viaggio, si era presa solo un momento per imprimersi nella mente l'odore di quella piana rocciosa che l'aveva ospitata per quasi due decadi per poi indirizzare il suo pony sulla strada che l'avrebbe portata fuori dalla regione di Syracon.
 
- Ci fermiamo qui per la notte. - disse seccamente il proprietario del carro che la stava accompagnando alla sua prossima meta. Un umano corpulento, con pochi peli neri sparsi sul cranio quasi completamente calvo che riflettevano le lucidi prime luci della sera.
Shanna scese dal carro, facendo attenzione a non urtare le casse contenenti vasellame che la circondavano, cercò di distendere i muscoli intirizziti dall'immobilità a cui l'aveva costretta il viaggio e fece qualche passo verso l'elfo mingherlino che sistemava le pietre che sarebbero servite a contenere il fuoco su cui avrebbe cotto la cena.
Alle spalle dell'halfling il nano con cui aveva viaggiato borbottò qualcosa nel suo duro dialetto, scendendo pesantemente dal carro, intanto, la sua mano corse allenata ad una delle sue tasche, dalla quale estrasse la sua fiaschetta che stappò portandosela all'altezza del naso, chiuse gli occhi assaporando l'aroma che aveva appena liberato dalla sua prigionia.
Ox nanico, forte, colpiva le sue narici come un martello anticipando il bruciore alla gola che avrebbe provocato il primo sorso. Sapeva di montagna e di pietra, sapeva di lavoro e delle canzoni dure ma gioiose dei nani al termine della giornata di fatiche, portava con sè il ricordo delle pipe di quel popolo che poteva guardare negli occhi e del fumo acre che esse sprigionavano.
Per un attimo l'immagine di una taverna scura popolata di chiassosi esseri bassi e tracagnotti si dipinse sul nero delle palpebre serrate, per poi dissolversi quando queste si riaprirono per accogliere la luce serale che illuminava la radura accanto alla quale scorreva un fiumiciattolo mansueto.
Non ne rimaneva molto, di Ox, ma non sarebbe stato difficile sostituirlo con qualcos'altro alla prima locanda.
Ne prese un sorso, cercando di godersi il bruciore che le avvorlse la gola al passaggio del liquore denso, per poi chiudere la fiaschetta e farla ricadere nella tasca, al suo posto.
   
 
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