Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: meiousetsuna    10/02/2020    5 recensioni
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna
Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp
Scritta con i prompt: bicicletta, ambra, ritardo, triangolo ― [school!AU, all!human]
Eren è uno studente della Shiganshina High School; non è certo troppo brillante, il primo della classe, o l’amico preferito dei compagni… in compenso, però, ha fortuna in amore. La sua sembra una situazione invidiabile, e lo è, ma un giorno la sua sicurezza si troverà a vacillare. Chi sarà il nuovo compagno di scuola che rifulge come un’ambra preziosa? Eren sarà così stupido da fare una scelta sbagliata? Per me ce la può fare! Spero di offrire dieci minuti di divertimento a chi si fermerà! (Sì, sto urlando un pochino, ho paura che non mi sentiate da sopra le mura. Me l’ha suggerito Jaeger, non sono io!) ^_____^
Un bacio Gigante,
Setsy
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dot Pixis, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Reiner Braun, Sasha Braus
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Triangolo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Documento senza titolo

Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp
tutti i personaggi hanno compiuto 18 anni: sono alla fine dell’ultimo anno di liceo, o sono adulti/professori, come specificato nella storia
personaggi principali: Eren/Levi/Reiner + altri
genere: school!AU, all!human, commedia, lime
tutte le note sono in fondo alla storia


I don't believe in Peter Pan, Frankenstein or Superman (All I wanna do is…)

La folla in alcuni momenti poteva rivelarsi una vera benedizione, pensò il ragazzo dagli occhi sfuggenti quanto il loro colore. L’azzurro spento delle proprie iridi non gli era mai andato a genio, perché non brillavano di cielo come quelle del suo compagno di banco, Armin. Attiravano l’attenzione e a lui questo non piaceva; il picco negativo c’era stato il primo giorno di liceo, quando la professoressa Zoe, l’insegnante di scienze, l’aveva fissato in un modo che gli aveva fatto accapponare la pelle.
“Jaeger, hai mai fatto un’analisi del sangue per studiare il tuo DNA? È la mia branca di specializzazione, sembri avere interessanti caratteristiche dei popoli nordeuropei miste a quelle di Yamato.(1) Un prelievo del midollo spinale sarebbe fantastico”, la donna abbassò gli occhiali, scrutandolo come ai raggi X “mi… ci porterebbe a qualche scoperta”.
Eren aveva inghiottito una virtuale manciata di sabbia a grana grossa prima di risponderle, blaterando qualcosa come: ‘non mi piacciono gli aghi, meglio essere punti da un insetto gigante’. Per un momento si era domandato se le lenti fossero realmente graduate, o se la professoressa fingesse un disturbo della vista per avere un’aria più innocua, tradizionale. Ma non poteva dire di comprendere benissimo le persone di primo acchito. Per quello, per fortuna, c’era…
“Hei, Jaeger, finalmente l’hai ammesso!” Una fortissima pacca sulle spalle seguì quell’affermazione, facendolo vacillare. Prima di poter rispondere qualsiasi cosa, una spinta più violenta lo fece girare nella direzione opposta, e dopo due secondi una bella pedata decisa nel sedere gli fece fare un mezzo volo in avanti. Lo sapeva, lo sapeva benissimo di chi era la colpa! Con un gesto furioso si strappò la giacca di dosso, trovando un foglietto con su scritto “prendimi a calci, sono un idiota”, e come firma la sagoma stilizzata di una ragazza con i capelli raccolti in uno chignon strizzato.
“Annie Leonhart, maledetta, ti odio! Ti distruggerò, tu e tutta la tua banda! Uno per uno, lo giuro! Sarà lo scopo della mia permanenza in questa scuola!”
“Jaeger! Topo di fogna! Cos’hai da urlare così!?” Il preside Pixis manteneva nello Shiganshina High School una disciplina che si poteva considerare di stampo militare, retaggio della gioventù passata in caserma. Per lui gli allievi erano poco più che truppe di marmaglia infima da comandare, formare alla dura realtà della vita di un giapponese che si rispetti, e magari anche acculturare. Fighetti, ecco cos’erano. Come se un lavoro d’ufficio potesse definirsi una vera ambizione.
“In presidenza di corsa, recluta! Voglio dire, ragazzino!” Un po’ sarebbe bastata la grinta esibita dall’uomo, un po’ c’era la bacchetta di salice che teneva nervosamente in pugno a convincere gli studenti a darsi una mossa quando li convocava. Colpirli sarebbe stato illegale, ovviamente. Da alcuni decenni. Sarebbe. Sta di fatto che Eren non si sentì un tale animo impavido da scoprirlo, e seguì il preside ringhiando parolacce a mezza voce sulla biondina e la sua cricca, fino a giungere alla porta dell’ufficio.
“Quell’altra dov’è andata? Non ci credo, è scappata invece di aspettare!”
Fono qua!” Una simpatica faccina illuminata da occhioni castano chiaro e sovrastata da una coda alta di capelli nocciola sbucò da dietro il distributore automatico di merendine e bevande. Dopo aver inghiottito un boccone enorme battendosi sul costato, la giovane riguadagnò l’uso della parola.
“Sono qui, preside mi scusi, mentre aspettavo ho avuto tanta fame… l’ora di pranzo è lontana”.
“Non ci credo! È per questo che ti ho convocata, specie di pattumiera! Non puoi mangiare durante le lezioni, cosa credi, di stare a un pic-nic? Tre giorni di sospensione, e quando torni niente merende per due settimane!” L’ombra della morte e il vento della devastazione passarono sul volto di Sasha, lasciando la loro impronta buia.
“La prego, signor preside, non mi faccia questo! Non posso vivere senza cibo, ho avuto un’infanzia dura, in orfanotrofio non c’era mai abbastanza da mangiare per tutti, e…”
“I tuoi genitori sono ricchi e grassi borghesi, bugiarda!” Pixis odiava tre cose soprattutto: gli adolescenti, le persone oziose e quelle false e lei era praticamente l’incarnazione del male, in quel momento.
“Signor preside, signore!” Eccolo, il paladino delle cause perse, l’unico che amava gridare più di lui. Però almeno Jaeger aveva un po’ di educazione.
“Mi offro volontario per scontare la pena al posto di Sasha! È una brava studentessa e una buona ragazza, mica come quei figli di…” Eren si morse le mani per non completare la frase, assai inadatta alla serietà del luogo. Era la sua valvola di sfogo quando si trovava solo in certe situazioni, però qualche volta aveva esagerato, era persino finito in infermeria perché era uscito un pochino di sangue.
“… quei cretini che mi prendono in giro, per quello ho fatto casino nel corridoio”.
“E tardi a lezione. Questa è la scorrettezza più grave, Jaeger. Almeno hai la decenza di soccorrere le donne, come avrebbe fatto un samurai. Per questa volta ti accontento, farai dieci giorni di turni di pulizia al posto dei tuoi compagni e non voglio sentire repliche. In quanto a te, signorina, controllati, neppure un cinghiale selvatico è così famelico!” Detto fatto, il preside voltò loro le spalle, marciando tronfio verso il proprio ufficio. Dopo un secondo Eren si trovò a sorreggere il peso di Sasha che gli era saltata in braccio annodando le gambe dietro la sua schiena e dandogli baci sulle guance.
“Grazie, sei il mio eroe, grazie! Domani ti porto il pasticcio di patate di mia madre, è buonissimo… ma parlando di cinghiale, hum…” Sasha aveva una vera passione per il povero animale, e considerava la sua preparazione una sfida importante.(2)
“In più, non sei infelice per quello che devi fare, eh? Lo sappiamo…”
Eren sorrise. Sasha era una vera amica, non lo prendeva in giro. Dopo averla fatta scendere la salutò con un cenno veloce, aumentando l’andatura man mano che si avvicinava all’aula. Un dispettoso brivido caldo lo stava stuzzicando anzitempo, scendendo dalla base del collo ― la sua zona erogena preferita ― fino a punti meno nobili da nominare. Quando finalmente entrò in classe era passata una buona mezz’ora dallo squillo della campanella. Passò davanti ad Annie e Bertholdt, quei degni compari, e il loro scagnozzo, Jean Kirstein, che gli diede una gomitata sul fianco. Finalmente guadagnò il proprio posto, scambiando un’occhiata con Armin che significava ‘dopo ti spiego’. L’atlante era già aperto alla pagina giusta, l’Australia: il suo amico lo stava dividendo con lui nel centro dei banchi.
“Sempre peggio, Jaeger” il professor Smith aveva qualcosa di inquietante, malgrado la distaccata gentilezza e capelli biondi che avrebbero potuto conferirgli un’aria bonaria “così non ti diplomerai, non sei tagliato per questa onorata Scuola”. Sì, proprio così, nella sua pronuncia si poteva distinguere chiaramente una S maiuscola. Come facesse non si sa, ma aveva una venerazione per quell’istituto. Alla fine di cinque ore interminabili ― Eren non soffriva di sindrome di primo della classe, anzi ― l’intervallo di pranzo trascorso con Sasha e Armin sul tetto, e altre due ore di arte e ginnastica, finalmente l’agognato suono della campanella pose fine alle sue sofferenze. Da una parte avrebbe voluto rincorrere Annie e i suoi amici fino a farli cadere a terra senza fiato, ma dall’altra…
Pulizie. Eren si leccò le labbra mentre prendeva con insolita allegria il secchio, gli stracci e il detersivo da una stupefatta assistente scolastica, per tornare nell’aula tutto soddisfatto. Senza perdere tempo sollevò le sedie capovolte sui banchi, dosò il detergente a modo suo ― meglio esagerare che essere spilorci! ― poi si inginocchiò sul pavimento, canticchiando mentre lo insaponava con cura.
“Hei, Cenerentola”.
Quella voce era maschile, bassa, vellutata e crudele insieme, e non c’era certo bisogno di sollevare gli occhi per controllare a chi appartenesse.

Da un anno circa (undici mesi, otto giorni, un’ora, cinque minuti: ma se lo ricordava del tutto casualmente, sia chiaro) Eren si riteneva la persona più fortunata del pianeta. Il capoclasse della sezione C dell’ultimo anno, Levi Ackerman, che per inciso era anche il rappresentante d’istituto, il capitano della squadra di rugby malgrado la statura piccola e l’idolo incontrastato dei compagni, aveva deciso di diventare il suo boyfriend. Non l’aveva chiesto, appunto: aveva deciso. Si era avvicinato a lui, l’aveva squadrato come un pezzo di filetto in rete, e aveva pronunciato queste semplici parole: “Tu, nello spogliatoio, tra un minuto”. Molte mascelle si erano slogate, occhi femminili e maschili avevano stillato lacrime d’invidia. Quando la sorellastra maggiore di Eren ― che con sua vergogna veniva a prenderlo a fine lezione come quando frequentava l’asilo ― l’aveva saputo a fine giornata, aveva reagito nel suo modo abituale. Gli occhi della giovane, Mikasa, si erano ridotti a fessure così gelide da favorire la comparsa di pinguini nel cortile scolastico, e la bocca si era chiusa con lo scatto di una porta blindata che venga sbattuta male. Senza commentare gli aveva messo una lunga sciarpa al collo, noncurante che fosse aprile inoltrato, e individuato Levi gli aveva fatto il cenno ‘ti controllo’ puntando l’indice e il medio verso i propri occhi, poi verso i suoi, grigi e cupi, misteriosi. La risposta era stata un gesto disdicevole del ragazzo che implicava sistemarsi il cavallo dei pantaloni attillati; tutto lì.

Eren restò con uno spazzolone in una mano e la candeggina nell’altra, come color che son sospesi,  mentre le sue facoltà mentali non proprio da premio Nobel si era bloccate per rimirare dalla testa ai piedi il suo Levi.
“Non credo di sbagliare, questo non era il tuo turno di pulizie, li segno sul calendario. Hai di nuovo violato il regolamento, vedo”. Il capoclasse spostò con noncuranza una ciocca di capelli lisci che gli stava scivolando su un occhio mentre si curvava quasi fino a sfiorare le labbra del ragazzo, mettendo il piede destro sul suo ginocchio sinistro piegato a terra, per maggior comodità.
“Prima di andare via tornerò a controllare, e intendo che passerò un fazzoletto sui banchi e poi sul pavimento. Se trovo una sola macchiolina stasera ti dovrò insegnare un po’ di disciplina, Jaeger”.
Il povero Eren era percorso da brividi di eccitazione e da una tale euforia da lasciar cadere quello che stava reggendo. Comunque fosse andata, sarebbe stato un successo. Se il lavoro fosse risultato impeccabile, Levi lo avrebbe lodato, e anche offerto una ricompensa… se avesse lasciato che i microbi proliferassero indisturbati, l’avrebbe pagata cara. Un filo di bava gli scese da un angolo delle labbra, e stava per asciugarla con la manica ― non era un damerino! ― ma Levi fu più veloce.
“Non ti agitare, guarda qui, peggio di un bambino”. Il suddetto fazzoletto immacolato pulì la bocca di Eren, che gli afferrò la mano per baciarla prima che potesse ritrarla. Un raro sorriso trattenuto brillò sul viso di Levi, che sfiorò velocemente le labbra dell’innamorato.
“Il resto più tardi, se sarai bravo. Muoviti ora, l’aula non si pulisce da sola”.
Eran fece cenno di sì con la testa, sopraffatto dall’emozione, ma in quel momento un forte schiamazzo e un rumore di passi di corsa si avvicinò dal corridoio.
“C’è stato un incidente in cortile, il professor Hannes ha investito un ragazzo in bici! Venite a vedere!”
Mentre tutti si precipitavano per guardare ― chi da vicino, chi dalle ampie vetrate ― soltanto Armin aveva prontamente chiamato il 119; chissà dove avevano perso la ragione gli altri, solo un pronto intervento contava.  Il ragazzo investito, però, non aveva granché bisogno di soccorsi medici, ma l’arrivo dell’ambulanza non sarebbe stato sprecato, a quanto pareva.
“Giuro che non guidavo ubriaco, quando mai! Ho bevuto una birra piccola a pranzo, sono sobrio… penso… non si è fatto niente; ecco, rialzati, ti do una mano”.
La mano offerta fu presa, ma per sollevare l’insegnante al di sopra di una possente spalla della vittima, che facendo leva scaraventò il suo opponente lungo disteso. Il gesto fu salutato da uno scroscio di applausi, qualche fischio e risolini nervosi di alcune studentesse incerte della posizione da prendere.
Mentre Hannes si risollevava a fatica, inviperito per l’accaduto, il giovane corse a controllare il proprio mezzo di trasporto.
“Che bella, è una Amber 2019?”(3)Eren si era avvicinato senza riflettere, perfettamente nel suo stile; in fondo il nuovo arrivato era molto esasperato, poteva anche reagire male. La bicicletta in questione era di un bel giallo pallido con un leggero riverbero metallizzato, in accordo col suo nome, quindi si trattava dell’edizione speciale. Un vero sogno.
“Adesso quest’ubriacone mi ripaga i danni. Sono Reiner Braun…” Una stretta di mano che rischiò di stritolare quella di Eren gli lasciò il segno delle cinque dita.
“Mi succede”. Niente scuse, aggressività da vendere, un carattere poco accomodante. Improvvisamente le nubi che spesso offuscavano il giudizio di Jaeger si dissiparono. Ma certo, ecco dove l’aveva visto!
“Sei il capitano degli Amber Horses? La squadra che ha vinto il campionato dei licei per due anni di fila?”
Reiner si passò una mano tra i capelli a spazzola, anch’essi di un biondo scuro, fissandolo con malcelato interesse con gli occhi castano dorato. Tutto in quel giovane faceva pensare a una statua ricavata da una grande pietra preziosa, in ogni senso. I colori caldi, la ruvidezza, la linea squadrata delle spalle, la potenza che si intuiva da ogni movimento. Se non fosse stato impegnato con l’uomo della sua vita, Eren ci avrebbe fatto un pensiero.
“Conosci Leonarth e Hoover? Sono in classe con loro”.
“Non potrei non conoscerli neanche volendo!” Eren fece del suo meglio per urlare piano, non voleva fare subito figuracce “Ecco, non siamo proprio amici”.
Reiner accennò un sorriso storto, facendo un passo incontro al più piccolo, che restò stoicamente immobile.
“Lo so, sono persone complicate, ma con me sono stati accoglienti. Ho perso un anno per un incidente di rugby, il primo agosto(4) ne ho compiuti diciannove, e la scuola non perdona… quando ho sbattuto la testa, per qualche mese sono stato un po’ instabile mentalmente e solo loro non sono scappati”.
Eren si lambiccò il cervello al massimo per dedurre perché una persona che conosceva da dieci minuti gli stesse raccontando cose tanto personali. Il trauma cranico poteva essere una spiegazione, ma lì per lì gli stava sfuggendo; anche il fatto che il nuovo arrivato, muovendosi con fare baldanzoso, gli fosse arrivato a un soffio di distanza e gli avesse preso il mento con l’indice e il pollice avrebbe insospettito chiunque altro.
“Sei carino, ragazzino. Facciamo un giro in bici fino a casa tua? Così vedo dove abiti”.
“Hai tre secondi per togliere le zampe dalla mia proprietà. Poi ti spezzerò le dita come grissini, una dopo l’altra, mentre implorerai pietà, ma sarà allora che mi divertirò di più”.
Letale come un cobra e rabbioso come una donnola idrofoba, Levi aveva raggiunto i due giovani, intervenendo col suo famoso tatto. Senza proferire altro tirò via con forza inattesa la mano del biondo, per girarla ed esaminare le unghie.
“C’è dello sporco. Non solo starai lontano da Eren, ma domani ti ispezionerò prima di darti accesso alla mensa, non mangio vicino a un lurido maiale come te”.
“E questo nano chi sarebbe?” Non avrebbe mai dovuto dirlo, mai. Gli occhi di Eren s’accesero di terrore, ― un lago di sangue avrebbe significato l’espulsione del suo adorato ― quelli di Ackerman di fredda furia omicida. “Ispezionami…”
Reiner non ebbe modo di concludere la frase, eppure il senso fu chiaro a tutti gli astanti. Sembrava che l’intero corpo docenti e studenti si fosse riunito in cortile, anche perché in effetti erano tutti lì!
“Se c’è una rissa scommetto su Ackerman, facciamo cinquemila yen a puntata? Non vedo l’ora di scoprire i loro punti deboli!” La professoressa Zoe era proprio senza vergogna, ma i suoi allievi dovevano aver assorbito un pochino della sua morbosità.
“Io punto sul nuovo, è la migliore, professoressa!” Jean era un tipo competitivo, odiava Eren e mal tollerava Levi, quindi stava vivendo un grande momento. Lo sguardo di timida riprovazione del suo amico speciale, Marco, lo bloccò ma solo per un istante. Sapeva di poter approfittare della venerazione del ragazzo per fare quello che gli pareva, tanto lo perdonava sempre. E poi un po’ di soldi per portarlo a bere una birra doveva pur racimolarli in modo facile e rapido, no?
“No vi prego, niente violenza!” Petra era una ragazza davvero affettuosa e anche molto carina e tutti i compagni prima o poi le facevano una dichiarazione, o la invitavano alle feste; anche Jean l’aveva fatto, il primo anno, ma poi si era fatto conquistare dalla dolcezza di Marco. Non per questo, però, rinunciava a fare il galletto.
“Se le donne non sopportano la vista di due che si fanno male sul serio, forse dovreste trovare un altro modo, anche perché il preside vi espellerebbe senza pensarci. Non che me ne freghi niente, ma non voglio incontrare Jaeger che piagnucola per i corridoi per una settimana come uno spettro inquieto…”
“Dillo ancora e mi farò il bagno nel tuo sangue!” Adesso l’aveva provocato, però. “E voi che avete da guardare!? Vi lascio a terra a sputare i denti, dal primo all’ultimo!”
Reiner era insieme affascinato e perplesso. Quel brunetto gli piaceva, lo sentiva nell’equivalente del cuore, che si trovava sotto la cintura. Però nel complesso gli pareva di essere capitato in una scuola di pazzi; già nel momento di passare tra quelle mura altissime si era chiesto perché non ci fosse un normale cancello come in tutti gli altri posti dove aveva studiato ― un anno nello stesso istituto non lo terminava mai ― ma forse ora lo intuiva. Era per difendere la città dalla follia che dilagava in quel posto, strano che fosse arrivato un commissario del Ministero della Pubblica Istruzione a dare un’occhiata; insegnanti ubriachi ancora non gli erano capitati, fino a quel giorno.
“Allora possiamo fare una gara di corsa in bici”. Reiner non aveva una grande opinione di se stesso come persona, ma si fidava della sua bravura, e poi quello che contava era che gli altri restassero sempre impressionati da lui, considerandolo molto carismatico.
“In bicicletta, come dei mocciosi” il tono di Levi era tagliente e sarcastico, e le sue parole si scavarono un tunnel sottopelle nel povero Eren, come se fossero zecche fameliche. “Va bene, accetto perché non c’è sfida che io non vinca. Ma da quel momento starai a due metri dal mio fidanzato”.
Fidanzato. Era la prima volta che lo chiamava così. A Eren sembrò che dal cielo scendesse una corona d’alloro a posarsi sul suo capo e cori di kami(5) accompagnassero l’avvenimento. D’altra parte tutta quella gloria gli fece male perché nel contempo, con la coda dell’occhio, continuava a sbirciare anche Reiner: i suoi muscoli guizzanti, la pelle appena ambrata da un residuo di abbronzatura. Non si era mai sentito così desiderato nella sua vita.
“Allora stanotte, nel bosco. C’è luna piena, ci vedremo benissimo”. Il biondo aveva sbadatamente omesso di essere cresciuto con una famiglia di allevatori di cavalli e di esser pratico di passeggiate notturne. Era per omaggiare i suoi animali preferiti che aveva scelto quel nome per la squadra di rugby. A proposito, quel Jean aveva qualcosa che gli piaceva… c’era roba buona in quella scuola di debosciati, sissignore. A tempo debito avrebbe potuto aprire un discorsetto anche con quel suo ragazzetto dal faccino lentigginoso; aveva quel tocco di ingenuità e purezza che lo stuzzicava. In fondo anche con Annie e Bertholdt ogni tanto passava delle serate in allegria, che c’era di male? Adorava le cose a tre, ma soprattutto le persone già impegnate: si sentiva un vero combattente quando riusciva a far vacillare le coppie dall’apparenza salda e monogama.  
“D’accordo” Levi lo guardò come un insetto, precisamente un moscone posato su una latrina “a mezzanotte fatti trovare pronto. Non sopporto il ritardo, se non ci sarai capirò che hai avuto paura”.
“Io?” Braun alzò un sopracciglio con aria di disprezzo “e cosa dovrei temere da te?”
“Se perdo ti prendi Eren, ma se vinco sarai mio schiavo. Farai doppi turni di pulizie e mangerai in cortile finché non sarai diventato più accettabile. E tu, Leonarth e Hoover non darete più fastidio al mio animaletto, capito?”
Nel sentirsi chiamare così Jaeger non riuscì a contenere la salivazione, dovendo asciugarsi con la manica per mantenere un po’ di ritegno. Di offendersi non ci pensava proprio, al contrario! Era una grande manifestazione d’amore; avrebbe dovuto ringraziarlo, quell’energumeno, anzi, l’avrebbe fatto. Così, solo per sdebitarsi, non perché guardarlo col sole che gli baciava gli occhi ambrati, e ammirare la sua statura di trenta centimetri maggiore di Levi lo stesse attizzando, no. Lui era un bravo cagnolino.
“Qua la mano”. I due maschi alfa scambiarono una stretta che avrebbe spaccato un macigno, e si salutarono con un gesto schifato del capo. Per completare il tutto avrebbero potuto sputare per terra e mostrare il medio, ma ci era mancato poco così.
La folla si disperse, promettendosi di radunarsi nel bosco per assistere alla gara, segnando le scommesse e accordandosi per portare spuntini e bevande.
“Eren” Armin era uno dei pochissimi che si era tenuto lontano da quella bisca improvvisata “non sei preoccupato? Ti hanno messo in palio come un prosciutto nelle fiere del medioevo europeo”.
“Prosciutto…”
“Sasha, non è il momento! Bisogna pensare a un piano B, cosa succederà se Levi dovesse perdere?”
Eren sentì il sangue affluire violentemente alle guance.
“Non succederà, lui è un vincente…”
“Non ti dispiace”. Va bene essere il più caro amico di quello squinternato da quando avevano tre anni, ma Armin aveva un codice morale. “Non credo a quello che sento. Avresti ucciso per tenerti Ackerman, fino a ieri. Anzi, a poche ore fa”.
“Ma è così! Se qualcuno lo tocca morirà per mano mia! Ballerò sulla sua tomba!” Jaeger sembrava tornato in se stesso.
“Spiegamelo, Eren”. Levi era come apparso alle loro spalle, senza fare rumore. La sua espressione era indecifrabile come al solito, ma le labbra erano strette, quasi a trattenere un moto d’emozione. Ovviamente il fidanzato non lo stava notando, preso dalle fantasie erotiche che si erano scatenate nella sua testa, ma Armin non era altrettanto svanito.
“Vi saluto, devo fare molti compiti. Mi raccomando…” Il biondino si allontanò rapidamente, per lasciare la privacy necessaria alla coppia.
“Ti piace, vero? Non mentirmi, Jaeger, non lo accetto, non ti conviene. Vorresti toglierti lo sfizio?”
“No, giuro!” Non c’era la solita energia nella risposta, l’avevano sentito solamente nei due isolati più vicino. “Ti amo, Levi”.
“Questo lo so, e tu sai che sei fortunato ad avermi. Se perdessi, che faresti?”
“Resterei con te. In qualche modo ne usciremmo!” Fiamme blu bruciavano nei suoi occhi spiritati, e il pugno destro sollevato all’altezza delle spalle gli conferiva la sua miglior aria da eroe giapponese, con una Hinomaru immaginaria che sventolava fiera di sottofondo.
“Ma è una questione d’onore, ho impegnato la mia parola. Ti dovrei cedere, bestiolina. Mi mancheresti”.
Mai il capitano era stato così romantico, ed Eren era senza parole, con le fauci secche e il fuoco degli slip. Rimase a fissare il vuoto, rendendosi conto solo dopo parecchio di essere rimasto solo nel cortile.

Il grande orologio della piazza principale della città aveva battuto le undici e mezza della sera, e tutto era pronto: una pista era stata improvvisata segnandola con delle luci al led, gli spettatori erano lungo il tragitto per controllare che tutto si svolgesse in modo regolare. Eren era nervosissimo, si sarebbe mangiato le unghie, ma erano terminate alle dieci, seguite dalle pellicine; stava per avvicinarsi a Levi per dargli un bacio portafortuna, quando il suono di un WhatsApp lo distrasse. Chi aveva dato il suo numero a Reiner? L’idea che Jean l’avesse venduto non era tanto strana…
“Preparati, stanotte vedrai il gigante”. Eren era in difficoltà. Ma che, voleva anche portare qualcuno? Non capiva proprio, quella mente semplice.
Nella piccola spianata all’inizio del bosco i contendenti erano già in posizione; Reiner sulla Amber 2019, Levi su un modello più leggero, nero.
“E questa?” Braun ostentava superiorità, ma era curioso.
“L’ho assemblata io, con le mani nude”. Il problema era che fosse perfettamente vero.
Eren prese il fazzoletto a quadri bianchi e rossi, posizionandosi in mezzo ai ragazzi; contò fino a tre, poi lo sollevò al di sopra della testa, dando il via. Le due biciclette sfrecciarono all’unisono, lasciando una scia di erba bruciata al loro passaggio. La tifoseria non era proprio sportiva, visto che si era divisa a seconda della scommessa effettuata, altro che amicizia! In una curva appariva prima la bicicletta scura di Levi, nel tratto più spianato il mezzo quasi dorato di Reiner prendeva il sopravvento. La pista non era lunghissima, vista la pericolosità del sentiero pieno di buche e sassi, quindi l’unica possibilità era stata di arrivare a un grande albero contrassegnato e tornare indietro. In questo modo poco dopo gli sfidanti si trovarono in dirittura d’arrivo. Le gomme erano consumate, le catene di trasmissione pareva dovessero spezzarsi da un secondo all’altro. Negli ultimi cento metri tutti trattennero il fiato, ma le due biciclette passarono la linea di gesso nello stesso secondo. Un silenzio di tomba scese sulla scena.
“E adesso?” Reiner era consapevole di essere un furfante di poco conto(6) ma aveva un limite, almeno davanti a testimoni.
“La prossima settimana comincia la selezione per i ruoli della squadra di rugby, possiamo riprendere da lì”.
Eren sorrise di cuore. Quell’anno scolastico sarebbe stato il più bello della sua vita.

Note:
Titolo: Bicycle Ride – The Queen. Ovviamente Levi è Superman, Reiner Frankenstein, (per la sua personalità “composta” da due parti differenti e potenza fisica) ed Eren… Peter Pan. Almeno in confronto
a quei due; Peter non è stupido, ma ha la testa in un mondo che non c’è J L’importante è andare in bicicletta!
1 Ovviamente “Il Grande Giappone”, nomenclatura estremamente nazionalista
2 Mi riferisco all’episodio speciale con la gara di cucina ^^
3 Citazione della Nimbus 2001 di Harry Potter
4 Vero compleanno di Reiner
5 Quanto di più vicino agli angeli nello Shinto
6 Sua autodefinizione, ma prima di ‘furfante’ ci sarebbe anche ‘killer’


  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: meiousetsuna