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Autore: QueenVictoria    10/02/2020    15 recensioni
I Cavalieri d’Oro vengono richiamati al Santuario per una riunione straordinaria, questa volta partecipa anche Mu dell’Ariete che torna in Grecia di sua spontanea volontà per sondare la situazione. Ambientata due anni prima dell’inizio della serie classica, questa storia vedrà l’incontro tra i Cavalieri d’Oro in un momento in cui la situazione al Santuario è molto tesa; una breve missione li porterà in viaggio in Asia Centrale e li costringerà a interagire e confrontarsi tra loro.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Virgo Shaka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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VIII
 
 
 
I Cavalieri si erano radunati all’esterno del caravanserraglio, chi seduto su ciò che restava del vecchio muro di cinta, chi direttamente sul terreno. Avevano cenato controvoglia, quasi solo per riconoscenza verso Aleksandra che si era adoperata a cucinare per loro, e adesso se ne stavano in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, cercando una soluzione per l’accaduto.
Mu guardava le stelle senza davvero vederle, il suo sguardo vagava stancamente tra quei puntini luminosi che illuminavano il cielo. Era inquieto, avvilito, provato e scoraggiato. Ma non rassegnato, quello mai.
 
“Sapete…” la voce di Shaka, dal tono come sempre basso e pacato, sembrò riecheggiare nel silenzio pensate che si era formato “L’aspetto di quell’uomo mi hanno fatto pensa a una cosa.”
 
“Cosa?” chiese Camus.
 
“Quell’uomo aveva capelli biondi e occhi chiari, come uno dei guerrieri che hanno attaccato il Santuario. Non aveva caratteri somatici tipici di questi luoghi, e non mi sembrava neppure russo. Descrivevano così l’antica popolazione degli Ari, ho sentito dire spesso che alcuni dei suoi discendenti vivono ancora in questa parte dell’Asia. Non li ho mai incontrati, ma credo che non siano leggende.”
 
“Vicino al luogo dove abito c’è un monastero induista,” rispose Mu “quando ero bambino, uno dei monaci anziani mi ha parlato più di una volta di questa popolazione. Se esistono ancora dei loro discendenti, sono sicuro che saprà anche dove trovarli.”
 
“Forse è più semplice di quanto pensassimo,” disse Camus “anche se adesso gli Ari non esistono più, non sarebbe così strano che dei loro discendenti fossero devoti a Indra. Se scopriamo dove vive qualche loro comunità, forse potremo capirci qualcosa.”
 
Gli occhi degli altri si illuminarono per un momento. Forse avevano ancora una speranza di recuperare la pietra.
 
 
***
 
 
 
Quando Mu si materializzò davanti all’ingresso del Monastero era ormai sera tardi. Il monaco di guardia al portone lo riconobbe e lo fece entrare. Tutte le luci erano spente, ad eccezione dei bracieri posti sul terreno per illuminare i percorsi esterni, e l’enorme complesso di edifici era completamente avvolto nel silenzio. Una piacevole aria fresca soffiava dalle montagne, in lontananza si sentiva qualche grillo frinire; c’era sempre un’atmosfera tranquilla in quel luogo che sembrava lontanissimo dal resto mondo.
 
Il vecchio Yun, dopo cena, si ritirava sempre a leggere nel suo studio; prima però aveva l’abitudine di fare il giro del monastero per verificare che tutto fosse in ordine. Non fu difficile trovarlo.
Mu lo accompagnò nella sua breve perlustrazione. Dopo aver controllato tutti gli ingressi lungo il muro di cinta, e che ogni cosa o persona fosse al suo posto, risalirono assieme il breve pendio che portava agli alloggi dei monaci. Si trattava di una piccola collina affollata di costruzioni minuscole dal tetto piano, apparentemente tutte uguali, le pareti bianche scrostate e drappi votivi appesi alle finestre.
 
Arrivati a un bivio il vecchio Yun si fermò tendendo l’orecchio, poi scosse la testa sorridendo e gli fece cenno di seguirlo verso un edificio vicino. Mu riconobbe il padiglione dove solitamente dormivano gli ospiti; anche Kiki doveva essere lì. In pochi passi coprirono la distanza che li separava dalla costruzione, camminavano a passo veloce tra le ombre create dal riverbero dei bracieri. Ad un tratto si udirono delle voci provenire dall’interno.   
 
“Come immaginavo...” Sussurrò il monaco con aria divertita mentre si dirigeva verso l’ingresso dell’edificio.
 
Man mano che si avvicinavano le voci divenivano sempre più distinguibili, sembravano bambini intenti in chiacchiere.
 
“Mio nonno mi vuole tanto bene,” stava dicendo una bambina.
 
“Beh, ma anche mio fratello mi vuole un sacco di bene!”
 
Mu trasalì; ma era la voce di Kiki! Ma… fratello!? Gli aveva detto di essere solo al mondo!
 
Istintivamente si fermò, spiazzato, mentre il monaco proseguiva lungo il ballatoio di pietra. Fratello… Perché quel monello gli aveva mentito?
 
“E allora perché ti ha portato qui?” chiese un’altra voce di bambino.
 
“Perché è in viaggio per lavoro. Io me la cavo anche da solo ma lui si preoccupa sempre tanto, allora ogni volta mi porta qui,” rispose Kiki.
 
“E che lavoro fa?”
 
“Ah, ripara armi vecchie, armature, robe così. Deve viaggiare spesso.”
 
Un momento. Aveva capito bene? Mu sentì una stretta al cuore. Il fantomatico fratello di cui il piccolo stava parlando, in realtà era lui.
 
“Ma dai, non si usano più quelle cose...” continuarono i bambini “Non è che ti ha lasciato qui con una scusa e non torna più?” seguirono delle risate.
 
“No!” rispose la voce di Kiki “Torna sempre a prendermi. E ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei dolci.”
 
Il vecchio Yun intanto era arrivato vicino alla porta. Si fermò, fece due rumorosi colpi di tosse e batté ripetutamente il bastone sul pavimento.
 
Le voci tacquero all’improvviso. Poco dopo si udì un sussurro. “È il vecchio Yun… era ancora sveglio!”
 
Il monaco, sempre sorridendo, tornò sui suoi passi e fece cenno a Mu di seguirlo nella sua abitazione pochi metri più avanti. 
 
“È sempre così a quest’ora,” spiegò mentre camminavano affiancati “Come si sveglia uno, si svegliano tutti, e se non li rimetto subito a letto stanno alzati a parlare e giocare tutta la notte, come se non lo facessero già tutto il giorno... Ah, beata gioventù!”
 
Era un uomo buono, il vecchio Yun; il passare degli anni lo aveva reso colto e saggio, ma non gli aveva fatto dimenticare di essere stato anche lui un bambino.
 
“Spero che Kiki non vi dia troppo disturbo,” disse Mu.
 
“No, figurati. È decisamente vivace, ma anche molto buono. Qui poi va d’accordo con tutti,” rispose il monaco “anche se credo senta la mancanza del suo… fratello maggiore” aggiunse strizzando un occhio.
 
“Già, ho sentito. Ha raccontato agli altri bambini che sono suo fratello.”
 
“Beh, in un certo senso lo sei. No?”
 
L’Ariete annuì, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse vera quell’affermazione.
 
Lo studio del monaco era esattamente come se lo ricordava, piccolo e con le pareti ricoperte di scaffali zeppi di libri e rotoli antichi. Il vecchio gli fece cenno di sedersi su dei cuscini che circondavano un basso tavolino al centro della stanza, prese da una mensola una teiera e due tazze e si sedette di fonte a lui.
 
“A cosa devo questa visita notturna?” chiese versando della tisana fredda al suo ospite.
 
Il monaco Yun, di origine cinese, viveva in quel monastero da quasi settant’anni; grande studioso e vecchio amico di Shion, era l’unica persona che lui e Dohko, avevano messo al corrente della sua morte. L’Ariete sapeva di poter parlare liberamente con lui di qualsiasi cosa, descrisse quindi l’uomo che avevano incontrato nel pomeriggio spiegando il sospetto collegamento con la stirpe degli Ari, e di aver bisogno di tutte le informazioni possibili.
 
“Ci sono molte leggende attorno alla stirpe degli Ari, che si dice discenda direttamente dagli dèi,” rispose il vecchio “Sull’Altopiano del Pamir ne vivono ancora intere popolazioni, si distinguono molto bene dalle altre locali per i loro caratteri somatici diversi, che sono quelli che avete notato voi.”
 
Fece una pausa e sorrise ancora, vedendo la luce di speranza che si accendeva negli occhi di Mu ad ogni sua parola.
 
“Se mai abbiano avuto una natura divina però, l’hanno persa da un pezzo,” continuò “tuttavia hanno potenzialità assolutamente superiori agli esseri umani.
Da quello che si legge nelle antiche cronache, centinaia di anni fa, tra le caratteristiche della loro stirpe c’erano anche la telecinesi e la capacità di trasportarsi da un luogo all’altro.
 
“Hai detto che quell’uomo usava una sorta di telecinesi e aveva la capacità di aprire varchi dimensionali. Bene, in via teorica, con tantissimi anni di studio e impegno, una persona con piena padronanza del proprio cosmo dovrebbe poter ottenere questi risultati. Prima però dovrebbe lavorare molto anche sulla sua anima, imparare a distaccarsi da gran parte dei sentimenti terreni, insomma non è un obiettivo semplice da raggiungere.
Gli Ari invece, e di conseguenza i loro discendenti, sono di molto avvantaggiati in questo campo. Anche se adesso non nascono più con queste capacità, hanno molta più facilità a conquistarle rispetto agli altri.”
 
“Quell’uomo aveva dentro una quantità di odio spaventosa,” disse l’Ariete “anche il suo cosmo ne sembrava contaminato. Insomma, non dava l’idea di possedere un grande equilibrio interiore. Inoltre sembrava che trasportarsi gli richiedesse un grande sforzo.”
 
“Motivo di più per pensare che sia uno di loro che ha imparato queste cose grazie alla predisposizione e con poco studio. In ogni caso i suoi caratteri somatici sono rarissimi da queste parti, già questo è di per sé significativo.”
 
Il monaco si alzò e, dopo aver rovistato per qualche minuto tra gli scaffali, tornò al tavolo con alcune mappe che srotolò con cura.
 
“Da quello che so io, gran parte di loro vive in quest’area” disse, indicando la parte meridionale dell’Altipiano del Pamir. Studiarono assieme i percorsi più convenienti per raggiungere quei luoghi; si trattava percorrere lunghe strade che risalivano per chilometri lungo i lati delle montagne fino a raggiungere le terre in quota, sembrava possibile avanzare con il fuoristrada fino quasi a destinazione.
 
 
 
Salutato e ringraziato il monaco Yun, Mu si incamminò lungo la strada per raggiungere l’uscita. Giunto davanti all’edificio dove dormivano i bambini si fermò tendendo l’orecchio per sentire se erano ancora svegli. C’era assoluto silenzio, dovevano essersi finalmente addormentati. Fece per allontanarsi ma si fermò per un momento, si guardò attorno per accertarsi che nessuno lo vedesse e si avvicinò alla porta, poi si teletrasportò all’interno.
 
La camera non era completamente buia, il riverbero del fuoco dei bracieri posti all’esterno filtrava attraverso le tende che coprivano le finestre; ci volle sono un momento perché gli occhi si abituassero a quella poca luce, ma individuò subito i giacigli che fungevano da lettini.
Kiki era steso supino, le braccia e le gambe abbandonate come sempre in una strana posizione scomposta, quasi del tutto scoperto. Gli rimboccò con cura il lenzuolo e la coperta di lana grezza sistemandola alla meno peggio. Controllò gli altri bambini, erano tutti ben coperti. Sorrise. Evidentemente erano più tranquilli di lui che riusciva a distinguersi anche dormendo. Tornò a guardare Kiki.
 
Fratello, eh?
 
Non si era mai reso conto di quanto quel bambino sentisse il bisogno di una famiglia, di un semplice legame affettivo. Eppure anche lui era solo al mondo, avrebbe dovuto capirlo subito.
Anche il suo legame con Shion era stato speciale; il Maestro lo aveva trovato nel bosco ancora in fasce e lo aveva cresciuto come un figlio. Già. Shion non gli aveva dato soltanto una casa, ma anche un punto di riferimento, per i pochi anni che gli era stato concesso di restargli accanto.
Non era un uomo molto affettuoso, forse per la veneranda età, forse per il suo ruolo che lo aveva portato a vivere una guerra e ad attenderne un’altra per più di duecento anni. Lo aveva amato come un padre ma con la reverenza e la devozione di un allievo; c’era sempre stata una grande distanza tra loro, in un certo senso. Non ricordava di aver mai ricevuto tante attenzioni o tenerezze, ma sapeva di essere stato amato.
Forse per Kiki era diverso, sentiva il bisogno di qualcosa di più tangibile.
 
E ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei dolci…”
 
Con che tono lo stava raccontando agli altri bambini? Sembrava fiero, orgoglioso. Come se quel semplice fatto fosse una risposta sicura a qualcosa.
 
Quando Mu era piccolo, era capitato spesso che Shion rimanesse lontano per lungo tempo. Al suo ritorno gli portava sempre qualcosa, in genere dolci o piccoli regali. Quei doni lo rendevano felice, lo facevano sentire importante perché dimostravano che il Maestro aveva pensato a lui. Senza rendersene conto aveva fatto la stessa cosa con Kiki.
Ora però gli faceva uno strano effetto pensare che qualcuno potesse sentirsi legato a lui, tanto quanto lui stesso lo fosse stato al Maestro.
 
Quando aveva accolto Kiki nella sua casa lo aveva fatto per tenerlo al sicuro, lontano dai pericoli che avrebbe incontrato vivendo per la strada. Credeva di avergli semplicemente dato un rifugio, ma forse aveva fatto davvero qualcosa di più, se quel monello gli si era affezionato tanto.
Soltanto adesso si stava rendendo conto di avere così grande importanza nella vita di quel bimbo, e anche di quanto ormai lui ne avesse nella sua. Non riuscì a trattenersi dall’accarezzargli i capelli, quella nuvola di riccioli rossi sempre arruffati.
 
Tornerò presto a prenderti.
 
Rimase ancora qualche minuto a guardarlo, accucciato vicino al suo giaciglio, abbracciando le ginocchia. Poi si trasportò fuori dal monastero.
 
 
 
Riapparve a qualche centinaio di metri di distanza, nel mezzo di una piccola radura. Non se la sentiva di tornare subito dagli altri, aveva bisogno di restare da solo per riordinare le idee e riprendersi dalla batosta di quel pomeriggio. Sentiva anche la necessità di riposarsi almeno un po’; il fatto che per teletrasportarsi non dovesse bruciare il cosmo, non significava che non gli richiedesse un certo sforzo.
 
Adesso aveva quasi la certezza che quell’uomo fosse discendente del popolo dei Ari, e sapeva dove viveva la maggior parte di loro, ma sarebbe servito davvero a qualcosa? Avevano pochi elementi per trovarlo e inoltre non doveva per forza vivere lì.
 
Cercò di pensare a mente fredda a ciò che era accaduto quel pomeriggio. Tutto sommato, le cose erano andate nell’unico modo in cui potevano andare; la pietra si era ricongiunta alla collana, nessuno di loro era in grado di contrastare la volontà di un oggetto sacro. No, no, questa cosa non poteva essere usata come scusa, anzi, era un’aggravante! Avevano chiesto di portare lontano dal Santuario un oggetto sul quale non avevano il minimo controllo. Avrebbero dovuto tener conto di quella possibilità. Cosa avevano creduto di fare? Sbuffò. Si sentiva così stanco...
 
Aveva bisogno di parlare con il vecchio Dohko; le informazioni fornite dal monaco Yun erano molto utili, ma voleva il consiglio di qualcuno con la sua esperienza, anche se non era troppo felice di raccontargli della loro sconfitta.
 
Bruciando leggermente il cosmo, lo raggiunse attraverso il canale telepatico.
 
Il Vecchio Maestro, pur rimanendo sempre seduto davanti alla cascata, era in grado di percepire tantissime cose dal mondo esterno ed era al corrente di quello che era accaduto, ma volle ascoltare comunque la sua versione dei fatti.
 
“Siete proprio dei giovani ingenui e presuntuosi...” sospirò poi, non appena Mu ebbe finito di spiegargli l’accaduto.
 
“Lo so, avete ragione,” rispose l’Ariete. Quanto gli bruciava ammetterlo.
 
Dohko però non aveva usato un tono di rimprovero, la sua era stata più che altro una constatazione.
 
“Non so davvero consigliarti in questo frangente, ma ricorda che gli oggetti come quello non hanno davvero una vita propria come per esempio hanno le nostre armature. Hanno solo assorbito parte del cosmo che le rende in parte reattive. Possono riconoscersi e richiamarsi tra loro, ma non fare molto altro. Non sarà la semplice presenza della collana a richiamare le armature degli adepti di Indra. Ci sarà bisogno di una grande forza per risvegliare il suo potere.”
 
“Una grande forza?” ripeté Mu.
 
“Sì, anche per entrare veramente in contatto con il dio ne avranno bisogno. Il cosmo contenuto in quelle pietre potrà solo fare loro da tramite. Se sono abbastanza forti gli basterà bruciare il loro cosmo, ma ne dubito, in quel caso comunque ve ne accorgerete.”
 
“Sì, in quel caso sì. Riconoscerei il cosmo di quell’uomo anche se lo sentissi a centinaia di chilometri di distanza, era talmente carico di odio… sembrava avvolto da un’ombra.”
 
Il vecchio attese qualche momento prima di rispondere.
 
“Certe persone lasciano che il male cresca dentro di loro,” disse come stesse parlando tra sé e sé “e si lasciano divorare da esso.”
 
 
 
***
 
 
 
Quando si teletrasportò al Caravanserraglio, Mu trovò i Cavalieri ancora nel giardino. Shaka si era allontanato dagli altri continuando la sua meditazione, Milo e Camus parlavano a voce bassa tra loro seduti sui resti del muro di cinta mentre Aiolia, steso sul terreno a pochi passi la loro, guardava le stelle in silenzio.
 
Un attimo dopo essere arrivato, si accorse che Aleksandra era a un paio di metri da lui, pallida in viso che reggeva un vassoio sul quale erano posate quattro tazze fumanti. Le mani le tremavano così tanto che le tazze tintinnavano leggermente toccandosi tra loro. Doveva essersi spaventata nel vederlo materializzarsi all’improvviso dal nulla.
 
“Vi ho… preparato qualcosa di caldo…” balbettò la ragazza.
 
Mu sorrise e le prese il vassoio dalle mani.
 
“Grazie, lo porto io agli altri” le disse sorridendo.
 
Lei fece un rapido inchino e si avviò con passo veloce, quasi correndo, all’interno dell’edificio.
 
Sì. Si era decisamente spaventata. Si sentì un po’ in colpa, avrebbe dovuto usare più accortezza.
 
Erkut e Aleksandra li stavano ricoprendo di attenzioni; sentì il cuore pieno di riconoscenza verso quei due ragazzi che, senza neppure conoscere i dettagli della loro missione, li assistevano con tanta devozione.
Shion in effetti gli aveva spiegato che, in diverse parti del mondo, c’erano un gran numero di collaboratori del Santuario che da secoli si tramandavano il compito di assistere i  Cavalieri nelle loro missioni. Sembrava incredibile ci fossero tanti seguaci di Athena in luoghi così lontani dalla Grecia.
 
 
 
Raggiunti gli altri Cavalieri raccontò loro le sue scoperte attribuendo tutte le informazioni al monaco Yun; non volendo rivelare di essere in continuo contatto con il vecchio Dohko.
 
“Una grande forza…” mormorò Camus dopo che l’Ariete ebbe finito il suo racconto.
 
“Allora ci sono buone speranze di riuscire a identificare la loro posizione quando lo faranno, sempre che usino il cosmo e non facciano appello a qualche altra forza a noi sconosciuta.”
 
“Sì, così potremmo raggiungerli giusto in tempo per vederli richiamare le Armature o addirittura risvegliare il dio?” esclamò Aiolia, al quale evidentemente bruciava ancora lo smacco subito. “Non possiamo permetterlo! Dobbiamo trovarli prima che lo facciano!”
 
“Sono d’accordo. Dobbiamo stanarli prima!” ribadì Milo.
 
Camus alzò un sopracciglio, quasi sorpreso di vedere i due ragazzi d’accordo in qualcosa.
 
“E cosa vorreste fare?” rispose sospirando.
 
“Raggiungeremo l’Altopiano e setacceremo quella zona finché non lo troveremo. Non potranno nascondersi per sempre!”
 
“Non è così semplice,” rispose l’Aquario “fino ad ora sapevamo che sarebbero stati loro a cercarci, adesso penseranno solo a nascondersi.”
 
“Vero, ma ci sarà qualcuno che avrà sentito parlare di loro? Quel tizio ha parlato dei Cavalieri di Indra, se esiste un ordine del genere qualcuno lo conoscerà,” ribadì Milo.
 
“Non possiamo certo chiedere e tutte le persone che incontriamo. Dobbiamo essere discreti, se fiutano la nostra presenza faranno di tutto per sparire.”
 
Le parole di Camus zittirono immediatamente i due ragazzi che non trovarono niente per ribattere. Aveva ragione, non potevano andare in giro sbandierando ai quattro venti le loro intenzioni.
 
“Temo che l’unica cosa che possiamo fare sia avvicinarci all’Altopiano e sperare di trovare qualche indizio, sempre che ce ne sia qualcuno da trovare, ovviamente,” convenne Mu “sappiamo che quell’uomo appartiene a una popolazione che vive prevalentemente in quell’area, questo non significa che si trovi lì anche lui. Se cercheranno di risvegliare il potere della collana probabilmente lo percepiremo, almeno in quel caso avremo la possibilità di identificarli. Fino a quel momento dovremmo guardarci attorno, ma se non vogliamo farli scappare dobbiamo fare attenzione.”
 
“Vuoi arrenderti così?” disse Aiolia, che non accennava a calmarsi.
 
“Non mi sto arrendendo, cerco solo di essere razionale,” rispose l’Ariete “dobbiamo prendiamo in considerazione il fatto che per un po’ non potremo fare altro che ad attendere.”
 
Il Leone tacque e tornò a sedersi sul muretto, i pugni stretti, lo sguardo in fiamme.
 
Mu sorrise tra sé. Non c’era niente da fare con il carattere impulsivo di Aiolia. Tutto sommato poteva capirlo, l’idea di rimanere ancora in attesa avrebbe snervato chiunque.
 
Per quanto, esternamente, non lo dessero a vedere tutti allo stesso modo, i cinque ragazzi erano ugualmente preoccupati. Quella che nel pomeriggio era sembrata una sconfitta su tutta la linea, ora si era trasformata in una situazione che aveva perlomeno un barlume di speranza. Forse. In realtà ciò che avevano in mano era un pugno di informazioni riguardanti la popolazione a cui quell’uomo probabilmente apparteneva, ma non avevano certezza che potessero davvero portarli a lui.
 
Aspettare era, di nuovo, l’unica cosa che potevano fare.
 
 
“Dite che dovremmo avvisare al Santuario di quello che è successo?” chiese Camus dopo qualche minuto di silenzio.
 
“No,” rispose Shaka, dopo aver lasciato trascorrere qualche secondo “il Sommo non mi ha chiesto di fargli pervenire aggiornamenti durante la missione. Gli racconteremo tutto al nostro ritorno.”
 
Gli altri parvero sollevati. Mu rifletté stancamente su quella situazione. Il Sacerdote era una figura da temere, più che una a cui chiedere consiglio. I Cavalieri erano davvero lasciati a loro stessi senza una vera guida? Il vecchio Dohko, che li seguiva nell’ombra, sembrava essere l’unico a preoccuparsi di loro.
 
Alzò lo sguardo verso il cielo; era pieno di stelle e limpido come quando lo guardava dalle sue montagne. Cercò la costellazione dell’Ariete, la sola vista di quei puntini luminosi riuscì a rasserenarlo un poco.
 
Le stelle vegliavano ancora sui Cavalieri, almeno loro, non li avrebbero mai abbandonati.

 
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Angolo di quella che scrive:

Finalmente riesco ad aggiornare questa storia, ho avuto un periodo di blocco che non potete immaginare. Anche un capitolo come questo, semplice e descrittivo, ha richiesto una fatica assurda. Il peggio sembra passato, quindi sono fiduciosa nel futuro. Devo ancora finire di revisionarlo quindi se trovate qualche errore di ortografia portate pazienza, tra qualche giorno sistemo tutto.

Veniamo ai nostri Cavalieri, sono stanchi e avviliti ma in qualche modo sono riusciti a raccogliere alcune informazioni che forse saranno utili per rintracciare il misterioso uomo e soprattutto la collana, speriamo sia davvero un passo avanti! Sennò chi lo sente il Sommo Sacerdote? ^_-

Grazie a chi continua a leggere questa storia, mi fa davvero felice vedere la vostra presenza e i vostri feedback. Ciaoo!!




 
   
 
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