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Autore: Darlene_    11/02/2020    3 recensioni
Moriarty non ha pietà: distrugge tutto ciò che tocca e intende sbriciolare pezzo dopo pezzo la vita di Sherlock, ma John, il fido soldato, non si lascia intrappolare nella ragnatela del genio del crimine e quel gioco spietato gli permette di mostrare i suoi sentimenti.
Una storia che ripercorre vari eventi delle serie, rivisitati in chiave Johnlock.
Scritta per la flash challenge del bacio indetta sul gruppo facebook: il giardino di efp
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la
Flash challenge “Bacio”
Del giardino di efp

 
 
Un sentimento chiamato amore
 
 
Fandom: Sherlock
Coppia: Johnlock
 

Prompt:
Bacio gelido

 



Ogni favola ha il suo cattivo, ma in ognuna di esse vi è anche un eroe che lotta fino allo strenuo delle forze e, quando pare che tutto sia perduto, riesce a rialzarsi e con un’ultima stoccata sconfigge il nemico. Tutte le favole hanno un lieto fine, tranne la sua.
Vagava tra le tombe, incapace di accettare che sotto ad un cumulo di terra vi fosse anche il vitale Sherlock Holmes. Non riusciva ad immaginare le sue membra rigide e gli occhi privi di quella scintilla di curiosità, mista al desiderio impellente di un nuovo rompicapo.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere sulla terra brulla, quasi come se anche il cielo di Londra stesse piangendo il suo eroe. John strinse i pugni, cercando di incanalare la sua rabbia, come poteva quella città maligna mostrare il suo dolore? Era stata lei, ad uccidere il suo unico amore. Sherlock si era sempre fidato della plumbea Londra, che lo aveva accolto come un figlio, cullandolo tra le sue spire e non si era accorto che invece di carezze, i tentacoli di asfalto lo trascinavano sempre più in basso, verso l’abisso. Era stata la capitale a partorire quel mostro chiamato Moriarty, il genio del crimine, lo chiamavano i tabloid. Per Watson quello non era altro che un mostro, un serpente tentatore, un pazzo che aveva indotto il suo acerrimo nemico alla follia.
La lapide nera svettava tra le altre per la sua lucidità, i fiori ancora freschi, le impronte delle scarpe di chi aveva reso omaggio al grande detective. Si sarebbe divertito, oh sì, quanto si sarebbe divertito a distinguere le orme, deducendo ciò che esse gli comunicavano. Per un attimo il soldato immaginò di vederlo mentre, con la lente in mano, si accovacciava a terra, scrutando quei segni che solo lui sapeva decifrare.
“Donna, arco plantare debole, piede piccolo. Uomo, zoppia al piede destro, tic nervoso.” Avrebbe declamato e lui si sarebbe stupido, nonostante le innumerevoli volte in cui lo aveva visto all’opera, perché tutto, in Sherlock, gli provocava ammirazione.
Si sedette a terra, incurante della pioggia che si mischiava alle sue lacrime. Passarono minuti interminabili, forse addirittura ora, ma non gli sarebbero bastati secoli per dire addio all’uomo che a lungo aveva amato. Ad un tratto un vento gelido si levò, facendo oscillare i rami e per un secondo John pensò di aver visto in lontananza il cappotto nero sfidare le raffiche, anche se, ovviamente, non era così. Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dall’aria, immaginando che fossero le mani fredde di Sherlock a percorrergli il viso. Inspirò, dischiudendo le labbra, fingendo che il vento gli portasse un ultimo gelido bacio del detective.





Ecco qui un altro capitolo, ce ne saranno pochi altri, ma spero che anche in questo caso valga il detto: "pochi ma buoni". Grazie a chi è giunto fino a qui e a chi deciderà di continuare questa avventura :)

 
  
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