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Autore: Sofyflora98    11/02/2020    0 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Sherlock. –

Stupefacente come una parole possa riassumere cosi molto. Stupore, incredulità. Il mio amore è vivo.

Sherlock.

Mycroft mi ha detto tutto. So come avete fatto a uccidere il Ragno.

Sherlock.

Hai finto la tua morte. Mi hai abbandonato. Come hai potuto?

Sherlock.

Il detective voleva tanto distogliere lo sguardo, ma sapeva che se l’avesse fatto sarebbe stata la fine, ammissione di colpevolezza. John non gli avrebbe nemmeno più rivolto la parola, e ora che lo vedeva di nuovo desiderava tanto sentire la sua voce. Lo desiderava più di ogni altra cosa. Non osava però aprir bocca, per timore di dire qualcosa di indesiderato che avrebbe fatto fuggire o imbestialire il compagno.

Il dolore, il tradimento che leggeva nei suoi occhi erano puti e grezzi, quasi taglienti nel loro essere privi di alcun tentativo di essere celati.

Alla fine fu il dottore a parlare per primo.

- Quindi – esordì con un filo di voce. Cercò di ricomporsi quando si sentì, e si schiarì la gola. – Quindi, eccoti qui. Vivo. –

Il suo respiro era irregolare, e gli tremavano le mani e le labbra. Per qualche strano impulso Sherlock pensò che le sue parole avrebbero potuto farlo cadere in pezzi, se avesse commesso qualche errore nel pronunciarle. Pur cercando freneticamente nel suo palazzo mentale, non trovò nulla di meglio da dire di un ridicolo monosillabo.

- Già. – mormorò con un debole sorriso che non raggiungeva i suoi occhi e che a malapena riuscì a mantenere per qualche secondo, fino a che non vide John inspirare profondamente e stringere i pugni.

A lungo stette in silenzio, in piedi, e con lo scorrere dei minuti il suo sguardo si faceva da sconvolto e arrabbiato a via via cupamente malinconico. C’erano anche delusione e confusione, in quegli occhi che Sherlock aveva così cari, e questo fece male più di ogni cosa.

- Dammi un minuto. – disse di punto in bianco John.

Con grande sorpresa del detective, John gli si avvicino cautamente e si sedette solo qualche decina di centimetri da lui.

- Non mi interessa sapere come hai fatto ad ingannarci. –

Batteva ripetutamente le ciglia, quasi in modo nervoso, le sue mani non parevano in gradi star ferme. Si stringevano e rilassavano, prima l’una sull’altra, poi separate, poi intrecciate tra loro, spasmodicamente. Sherlock teneva le proprie immobili, ai lati del proprio corpo. Tutte le sue membra erano come congelate al loro posto.

- Una cosa però devi dirmela, Sherlock. – continuò il dottore, e si voltò a guardarlo. – Devi dirmi il perché. Questo me lo devi. Mi hai lasciato a piangerti da solo. Voglio sapere se ne è valsa la pensa. –

 

Perché. Questo era ciò che temeva, questa domanda.

Se fosse stato solo per John, certo che ne era valsa la pensa. Per il bene di John valeva la pena fare qualsiasi cose. Ma cosa avrebbe pensato Watson? Non credeva che per lui sarebbe stato lo stesso, che avrebbe dato alla propria vita lo stesso valore che le dava Sherlock.

D’altronde, se John fosse stato al suo posto e le situazioni fossero state invertite, Sherlock stesso probabilmente avrebbe considerato assurde e dolorose le sue azioni. Avrebbe anche lui preteso delle spiegazioni.

Sotto lo sguardo d’attesa del compagno si sentiva esposto, privo di armatura.

Iniziare a parlare, sebbene avesse preparato ciò che voleva dire sin dal giorno in cui era sparito, fu atroce. La lingua non voleva scollarglisi dal palato, secca e impastata com’era.

- Non sapevo cos’altro fare. – riuscì infine a dire a mezza voce, incapace di incrociare ancora lo sguardo di John. Una volta uscite le prime parole, quelle successive fluirono con meno intoppi, ma il silenzio vibrante che calava quando taceva gli metteva una sorta di ansiosa trepidazione e inquietudine. Sentiva John che accettava le sue spiegazioni, sentiva sempre John che le rifiutava e che diceva di non voler più avere a che fare con lui. Poteva sentire ogni risposta che avrebbe potuto dare, contemporaneamente, ed era terrificante.

- Qualsiasi azione avessi fatto per fermarlo, la tua vita sarebbe stata troppo soggetta a possibili attacchi. Non ti avrebbero lasciato vivere dopo la morte del loro leader, a meno che la tua uccisione non fosse stata inutile. Senza Holmes in circolazione non avrebbe avuto significato, perché la tua morte non avrebbe ferito nessuno dei loro nemici. Da morto ho potuto fare la caccia ai membri della fazione di sotto sparsi per il paese, convincere alcuni di loro a passare sotto le direttive di Mycroft o allontanarsi e cessare le loro azioni violente contro gli esseri umani. Senza il loro capo, non c’era più la forza di opporre resistenza. –

John nel frattempo si era portato le mani alle tempie e le massaggiava con lentezza.

- Sherlock. – lo interruppe. – Non voglio sapere perché hai ingannato loro. voglio sapere perché hai ingannato me. Perché non mi hai coinvolto in questa tua messinscena? –

Perché, perché.

Il silenzio continuo ancora un minuto infinito prima che Sherlock parlasse ancora.

 

 

 

- Per non rischiare. – borbottò John alla signora Hudson.

Non era passata più di un’ora da quando era uscita mezzo stranito da quella dannata stanza. Si era trovato la signora di fronte poco dopo aver messo fuori piede. Naturale che Mycroft l’avesse chiamata, non poteva certo lasciarla all’oscuro di tutto.

Ripensandoci, probabilmente lei era sempre stata a conoscenza di tutto. John non aveva voglia di saperlo, comunque.

- Per non rischiare, capisce? – sbottò ancora. – Rischiare cosa? Che io lo dicessi a qualcuno? Si fida così poco di me? –

La donna gli rivolse uno sguardo preoccupato che con sbigottimento del dottore rivelava anche una nota di dubbio.

- Pensa che abbia ragione. Sul serio? – le chiese con gli occhi sgranati mentre gli veniva versata una tazza di tè bollente.

- Beh, non si offenda, ma lei non è certo così indiscreto. Ognuno ha le proprie pecche, caro. –

La verità nella sentenza della signora forse gli bruciò ancora di più dell’inganno. In fondo sapeva che era stata la scelta più razionale da parte del detective. Sapeva anche che a situazioni invertite avrebbe probabilmente fatto lo stesso.

Sei frustrato, si disse. Sei solo frustrato. Speravi che per te avrebbe fatto l’atto irrazionale, che ti avrebbe messo a parte di ogni cosa, o che ti avrebbe portato con sé. Ma indovina? È di quella persona che ti sei innamorato, non di qualcun altro. Sapevi benissimo com’è lui. Non cambierà certo per soddisfare il tuo ego, proprio come non lo farai tu.

A questo pensava ancora ore dopo, con gli occhi spalancati sul soffitto della sua camera e nessun segnale che si sarebbe addormentato di lì a breve.

Fu dopo un’infinità di minuti o ore passate a contemplare una crepa che si stagliava sull’intonaco sopra di lui che arrivò alla conclusione che non ce l’avrebbe fatta.

A fare cosa? Ad allontanarsi da Sherlock, a rifiutare il suo ritorno?

A che scopo? Se si trattava di orgoglio o rabbia non sarebbe durata molto comunque. Sherlock, sotto quel punto di vista, l’avrebbe sempre avuto vinta.

Quasi si detestava per la sua debolezza. Il fatto che non era mai riuscito a tenergli testa era stato quanto mai più odioso in passato. La pensava ancora così, forse.

Stava mentendo a se stesso, spudoratamente pure. Non era passato nemmeno un giorno che già aveva accettato il suo “ritorno in vita” in tutta la sua naturalezza, e si preoccupava della presunta offesa più di ciò che avrebbe più di tutto dovuto sconvolgerlo. Forse in cuor suo sapeva che non poteva essere semplicemente morto così, oppure era ormai troppo abituato ai modi di Sherlock da stupirsi.

Ora che era tornato non l’avrebbe lasciato andare come se niente fosse, Sherlock aveva sempre ciò che voleva. Sherlock avrebbe fatto tutto ciò che la sua mente geniale sarebbe riuscita a concepire per averlo di nuovo al proprio fianco. Sarebbe stato così, alla fine, nonostante Sherlock era sembrato molto incline a lasciarlo andare.

Forse si sbagliava e davvero Sherlock non credeva che John l’avrebbe mai voluto nella propria vita nuovamente. Eppure, nonostante tutto ciò che aveva detto di fronte alla signora Hudson, John desiderava che tutto tornasse come prima. O magari simile a prima.

Ogni fibra del suo corpo gli gridava di tornare da Sherlock, ma gli sussurrava anche che non avrebbe fatto male se avesse deciso di lasciarlo sulle spine, da restituire un pizzico di ciò che aveva subito.

Una mente stanca e provata gioca brutti scherzi e fa pensare ciò che in condizioni normali non avrebbe mai contemplato, e questo John avrebbe dovuto saperlo. O per meglio dire, lo sapeva molto bene, ma per l’appunto la confusione e la stanchezza resero gradevole contemplare per qualche minuto l’idea di far attendere Sherlock almeno qualche giorno.

Se avesse tirato la corda solo un pochino, solo un pochino, si sarebbe sentito soddisfatto almeno un po’.

La luce nella sua mente si spense gradualmente mentre mormorava queste parole tra sé.

 

 

 

Si svegliò attanagliato dai sensi di colpa. Sorprendente quanto poco possano durare le idee nate da un cuore offeso, stanco e frustrato, seppur almeno in parte giustificate. Chissà quante cattive decisioni si potrebbero evitare se solo tutti avessero otto ore di sonno a dar loro il tempo di cambiare idea.

Non che fosse così drastico ciò che il sonno aveva capovolto nella testa di John. Solo, non gli sembrava più una grande soluzione quella di tirare la corda e restituire a Sherlock ciò che aveva sofferto durante la sua assenza. Sei davvero così infantile? Per l’amor del cielo, sei stato un soldato”

Fece colazione e si lavò in tutta calma, temendo che se solo si fosse mosso più in fretta avrebbe risvegliato la frustrazione e l’amarezza del giorno prima.

Fu sul punto di imprecare ad alta voce nel vedere trentacinque messaggi non letti, tutti dallo stesso mittente. Il numero era sconosciuto, ma letto il primo non ebbe dubbi su chi fosse.

Lesse uno dopo l’altro i messaggi inviati da SH, che via via si facevano più imploranti. I suoi propositi di lasciarlo a bollire nel suo brodo per qualche tempo ancora erano stati inutili, e fu nel leggere le parole dell’altro che si infransero completamente. gli chiedeva di perdonarlo. Gli chiedeva se voleva vederlo ancora o non aveva più intenzione di parlargli.

Al diavolo. Corse a prendere la giacca come se qualcuno lo inseguisse.

Dopo tutto quel tempo, c’era un solo posto dove voleva essere. Non aveva importanza che Sherlock gli avesse mentito, non aveva importanza alcun tipo di orgoglio o vendetta. Seppe che lo stesso pensava Sherlock quando, mentre si precipitava fuori di casa, un trentaseiesimo messaggio fece accendere lo schermo del suo telefono.

“Non vorrai parlarmi, e avresti ragione. Io però ho bisogno di parlarti ancora. Sarò da te entro due ore, qualunque cosa succeda. SH”

Due ore? John sarebbe stato lì molto prima che mettesse piede fuori dalla porta del rifugio di Mycroft.

Prendendo la metro non gli ci sarebbero voluti più di venti minuti ad arrivare in zona, e poi altri dieci minuti a piedi. Forse meno, se avesse corso e non avesse trovato ostacoli.

Percorse il tragitto in stato quasi febbrile, il corpo che tremava in preda ad un’improvvisa eccitazione. Era come se tutte le emozioni, la gioia e l’incredulità che non si erano fatte sentire così molto il giorno prima fossero piombate su di lui d’un botto.

Era stato il messaggio, quell’ultimo messaggio. Il modo in cui Sherlock lo tempestava di messaggi e richieste, e il modo in cui decideva di agire senza chiedergli nulla lo avevano riportato bruscamente alla realtà. E la realtà, quella che contava davvero, non era quella di un inganno costruito a tavolino, ma quella del ritorno, della vita che pensava fosse andata perduta, e che invece poteva toccare con mano di nuovo.

Percorse gli ultimi minuti di corsa, senza quasi vedere le persone che gli passavano accanto. Quando intravide l’edificio in cui gli Holmes avevano il loro rifugio, si rese conto che non sentiva nemmeno stanchezza per lo sforzo.

Mycroft ovviamente sapeva, sapeva ogni cosa che ognuno di loro due aveva fatto e pensato, quando John giunse trafelato, il più anziano era già pronto ad aprirgli la porta, un sorriso compiaciuto stampato in faccia.

- Te l’avevo detto, fratellino. – disse con una nota divertita nella voce. – Ti avevo detto che non c’era nessun bisogno che ti preparassi per uscire. Sarebbe arrivato lui in ogni caso. –

John rivolse lo sguardo all’uomo che stava oltre le spalle di Mycroft.

Sherlock non rideva, non era compiaciuto, neppure soddisfatto. Mentre l’umano di avvicinava alla Creatura, questi pareva piuttosto meravigliato. Non proferiva parola, cosa che avrebbe dovuto far preoccupare Watson. Un Holmes che non parlava non era certo cosa comune.

- Eccomi, Sherlock. – disse semplicemente John.

Sherlock, però, ancora non si muoveva. Era come in attesa, in dubbio. Certo che lo era, come poteva essere altrimenti?

Doveva essere lui a muoversi, lo capì nel vedere l’espressione incerta di Sherlock. Se fosse stato John a toccarlo, sarebbe stato tutto a posto. Avrebbe significate che era disposto a riaccoglierlo. Era molto semplice, il modo in Sherlock ragionava, a volte. C’era sempre una logica, che fosse una logica scientifica o infantile e ingenua.

Gli sfiorò la mano, con la punta delle dita. La punta soltanto, e per pochi istanti. Quel minimo contatto, però, fece visibilmente distendere il detective. Si azzardò ad afferrargli la mano con più forza, e l’uomo più giovane ricambiò con evidente sollievo. Era finita, forse. O il contrario.

- Sono qui, sono qui. – mormorò piano John, e avvolse con delicatezza le braccia attorno al suo amato.

Fu Sherlock a stringerlo, stavolta, e il suo respiro era irregolare e spezzato.

- Sì, lo so. – sussurrò contro l’orecchio di John. – E io sono tornato. -

 

 

 

 

 

 

Baker Street, di nuovo, è abitata da due uomini. Un detective ed un ex medico militare. Una Creatura ad un umano.

La ricomparsa si Holmes fece scalpore, ma i cittadini furono meno sorpresi di quanto ci si sarebbe aspettato.

- D’altronde – diceva la vicina di casa. – Lui è Sherlock Holmes Trova sempre un modo. –

 

 

 

 

 

- FINE -

   
 
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