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Autore: Teo5Astor    12/02/2020    13 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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52 – Tempesta e Impeto
 
 
31 gennaio
 
Entro in campo da solo, per primo. Forse per pensare, probabilmente per godermi il momento. Viverlo appieno.
Non capita tutti i giorni di avere il privilegio di poter giocare la finale del campionato nazionale. Forse non mi capiterà più, o magari mi capiterà invece addirittura di giocare finali a livello continentale o mondiale. Ma non è importante, adesso. Quello che conta sono le sensazioni di oggi, perché so che me le porterò dentro per sempre. Perché non è una semplice finale da vincere quella di oggi, almeno per me. È molto di più.
La fine di un percorso, la chiusura di un cerchio. L’uscita da un tunnel.
Oltrepasso la linea bianca laterale e vengo accolto da un boato. Sono il primo in assoluto a scendere in campo per il riscaldamento e mi vengono i brividi. Non per il freddo, nonostante indossi solo una felpa da allenamento sopra alla mia maglia da gioco giallonera col numero 5 e sia già in pantaloncini. È per quello che provo. Per quello che si prova quando si varca questa linea bianca e si entra in campo. Quando tutto può ancora succedere. Quando sai di poter vincere e ti senti l’adrenalina nelle vene. Quando vedi uno stadio pieno e non sei abituato a tutto questo.
Mi giro su me stesso e mi godo lo spettacolo del Tokyo Stadium che si sta riempiendo a vista d’occhio. Cinquantamila persone. Ripenso alla mia prima partita col Liceo Minegahara sul campo della nostra scuola, con qualche studente in tribuna e qualcun altro che guardava dalle finestre del corridoio davanti alle classi. Con Lazuli dietro una porta, anche se ancora non la conoscevo. Mi guardo intorno di nuovo e penso a quanta strada abbiamo fatto io e i miei compagni. Ripenso alle mie prime partite da bambino. A quando avevo dovuto smettere di giocare. Penso a tutto quello che mi è successo negli ultimi tre anni e sorrido verso il cielo.
Faccio qualche passo in avanti sull’erba morbida e sento un boato talmente forte che mi stordisce e mi elettrizza allo stesso tempo. Abbiamo giocato in questo stadio anche l’altro ieri, quando abbiamo battuto la fortissima Toho School capitanata da Mark Lenders per 3-0. Ma gli spalti non erano così pieni come oggi. Io ho segnato di testa il primo gol, poi è stato Vegeta a chiudere la partita con una doppietta che l’ha anche proiettato in testa alla classifica dei marcatori, superando di un gol lo stesso Mark Lenders e Shingo Narita, l’attaccante dell’Ichiran di Chiba, la squadra campione nazionale in carica che dovremo affrontare oggi per strapparle il titolo.
Cerco con lo sguardo il settore dello stadio occupato dai nostri tifosi e mi avvicino corricchiando, venendo accolto da applausi e urla di incitamento. Mi sembra di poterli vedere tutti a uno a uno. Tutti gli studenti della nostra scuola con la divisa scolastica, accompagnati dalla preside e gli altri professori. “Tempesta e Impeto”, leggo su un grosso striscione giallo con scritte nere che hanno affisso sul muretto della tribuna. Leggo e sorrido istintivamente, perché quello slogan è davvero tutto quello che siamo noi del Liceo Minegahara. Noto poi con estremo piacere che ci sono striscioni e cartelloni per tutti i giocatori, stavolta. Non riesco a contare quelli dedicati a me, che ormai sono pressoché tanti quanti quelli per Vegeta. Ma è bello vedere che ce ne sono davvero per tutti i miei compagni. Per Napa, Cabba e tutti gli altri. Alcuni studenti cominciano a scandire in coro il nome della nostra squadra. Mi volto verso l’uscita degli spogliatoi e mi rendo conto che sono entrati in campo anche gli altri miei compagni di squadra per il riscaldamento, seguiti dai giocatori dell’Ichiran. Un boato ancora più forte accoglie l’ingresso dei campioni in carica, che hanno molti più tifosi di noi. Del resto, noi non siamo altro che una piccola squadra arrivata qui contro ogni pronostico. Ma adesso ci conoscono tutti. Ci temono tutti.
Mi giro ancora verso la tribuna e cerco con lo sguardo Lazuli, finché la trovo. Mi sorride, e sento il cuore battermi all’improvviso un po’ più forte. I suoi occhi di ghiaccio brillano, incorniciati dalle ciocche bionde che fuoriescono elegantemente dal suo cappello di lana nero dei Raptors con tanto di pompom in testa. Stringe il pugno destro e lo solleva. Io faccio altrettanto, sollevando il braccio e generando un nuovo boato tra i nostri tifosi. Guardo Bulma, seduta alla sinistra di Lazuli e già impegnata a fare le sue riprese col telefonino. Osservo poi Chichi, alla destra della mia ragazza, con le mani a coppa intorno alla bocca intenta a urlarmi qualcosa, mentre Goku, al suo fianco, salta e urla felice. A ridosso della balaustra, invece, vedo già impegnati nelle riprese video un gruppetto di primini entrati di recente nel club di scienze come assistenti di Bulma, cioè Senku, Chrome e le gemelle Kohaku e Ruri.
Con lo sguardo scendo qualche fila più in basso, dove riconosco l’unico striscione dedicato a me durante la finale del campionato provinciale. Uno striscione che ha continuato a comparire anche in tutte le partite di questo campionato nazionale, insieme agl’altri che nel frattempo si sono aggiunti. È lo striscione di Lunch e delle sue compagne di classe, che lo sollevano e lo agitano verso l’alto, urlando a squarciagola. Nel casino di sottofondo mi sembra di udire chiaramente quel loro “Senpaiii” che mi è ormai così tanto familiare. Vedo Lunch, che si sta sgolando, e al suo fianco Mai. Con Loro ci sono Lapis e Trunks, decisamente più contenuti. Il cugino di Lazuli scuote la testa lentamente e ghigna beffardo quando incrocio i suoi occhi, mentre Trunks solleva il pollice in segno d’intesa. Vedo poi Erza, Mira e Lucy che si sbracciano. Poco più in là scorgo uno striscione sgargiante e tutto colorato con lettere fluorescenti. Sopra ci sono scritti il mio nome e quello di Vegeta, con un cuore fucsia disegnato in mezzo. Anzi, più precisamente c’è scritto “Rady” e “Veggy”, oltre al mega cuoricino. Marion, ovviamente. Solo lei può riuscire a far almeno un po’ imbarazzare uno come me! La vedo saltare e gridare sotto lo striscione insieme alle sue amiche. Miku arrossisce mentre mi saluta, Ichika ride e urla qualcosa che non posso capire, Nino incrocia le braccia sotto il seno, Itsuki scuote la testa e Yotsuba sale in piedi sul seggiolino e agita le braccia. È bello sapere che ci sono anche loro. Riconosco poi facce note e altre viste solo di sfuggita a scuola. Ci sono Yamcha Wolf, Tensing, Riff e gli altri del club di baseball. Sakuragi, Mitsui, Aomine e Kise del club di basket, Sawamura e Sugawara di quello di pallavolo, Yamato e Suzuka di quello di atletica e chissà quanti altri. Vorrei ringraziarli tutti, davvero. Tutti gli studenti e professori che sono qui, tutti gli sportivi della nostra scuola, perché loro sanno cosa si prova quando si scende in campo con un sogno nel cuore. Vedo anche i ragazzi del club di rugby, e sarebbe difficile non notarli con la loro mole. Ci sono il capitano Sekizan, Oharano. Ebuni e tutti gli altri. Accanto a loro riconosco il club di nuoto. Makoto mi saluta agitando la mano, accanto a lui riesco a notare Haru e Rin, ragazzi che ho avuto modo di conoscere e apprezzare negli ultimi mesi grazie all’amore per lo sport che ci lega, come del resto Hattori, Zoro, Ikki e Tanjiro della squadra di kendo. Ci sono davvero tutti i club della nostra scuola, e la trovo una cosa stupenda. Come mi sembra allo stesso tempo strano pensare a quanto le cose siano cambiate nel corso di quest’anno scolastico: all’inizio tutti mi consideravano un reietto, non mi rivolgevano la parola o mi criticavano alle spalle. Io stesso non sapevo nemmeno quali fossero i nomi di tutti i ragazzi e le ragazze che adesso sono in grado di riconoscere e salutare tra il pubblico. Non ho mai fatto nemmeno io un passo verso di loro, perché ho sempre dato per scontato che tutti mi odiassero e mi andava bene così. Me ne fregavo, anche se in realtà è ovvio che un po’ ne soffrivo quando sentivo le falsità che circolavano sul mio conto. Ma adesso è tutto diverso, io stesso sono una persona diversa da allora. Una persona migliore, spero, e non solo perché sono diventato popolare a scuola grazie alla mia strampalata dichiarazione d’amore pubblica a Lazuli e alla storia che ho con lei, oltre a quello che sono riuscito a fare da quando ho ripreso a giocare a calcio. Spero di essere diventato una persona migliore in generale, di poter aiutare chi ha bisogno e di saper stare vicino alle persone che mi vogliono bene. Guardo gli spalti gremiti, e mi rende davvero felice aver potuto conoscere tutte queste persone della nostra scuola in questi mesi. È bello che siano qui al nostro fianco, abbiamo bisogno di tutti oggi. Davvero di tutti.
Intravedo persino i genitori di Vegeta nella folla, oltre ad alcune squadre che abbiamo affrontato ed eliminato nei giorni scorsi, come il Godai, ben riconoscibile grazie ai suoi colori sociali giallo e blu. Riconosco poi dalle loro tute i giocatori della Flynet, che so che faranno il tifo per noi. Vedo il loro capitano, Philip Callaghan, alzarsi in piedi e incitarmi. Loro sono i campioni di Hokkaido e sono la prima squadra che abbiamo affrontato in questo campionato. Una partita durissima, equilibrata, in cui abbiamo faticato ad esprimere il nostro gioco forse anche a causa della tensione dell’esordio in una competizione importante come questa. Ma alla fine abbiamo vinto 1-0, grazie a un mio gol di testa a metà del secondo tempo. Segnare un gol all’esordio nel campionato nazionale non avrei nemmeno osato sognarlo, figurarsi riuscire a farne un altro come successo l’altro ieri in semifinale contro la Toho. In queste due partite ho potuto affrontare e conoscere due grandissimi giocatori come Philip Callaghan e Mark Lenders, ragazzi con cui spero di avere la possibilità di giocare di nuovo in futuro perché sono letteralmente straordinari e ho dovuto mettere l’anima per riuscire a fermarli. Riconosco anche un gruppo di giocatori della Toho School, non lontano dalla Flynet. Mark Lenders ha le braccia incrociate sul petto e un cappellino con la visiera calato sulla fronte. Mi saluta con un cenno del capo, col portiere Ed Warner e il centrocampista Danny Mellow seduti al sul fianco. Riguardo i giocatori della Flynet e mi viene automatico pensare a Videl, visto che arrivano da Hokkaido. Guarderà la partita anche lei? Saprà che sto giocando il campionato nazionale? Non so nemmeno se le piaccia il calcio, dopotutto. Sono stato innamorato di lei, ma in realtà non la conoscevo molto. Anzi, non sapevo proprio nulla di lei. Come non mi sono nemmeno reso conto che la Sindrome della Pubertà avesse potuto colpirla rendendola una ragazzina delle medie. Sì, ormai sono convinto di questa cosa dopo quello che mi ha detto Là a proposito del suo incontro con Videl in stazione di due mesi fa: Videl-chan e Videl-san erano la stessa persona. La mia senpai è diventata una ragazzina delle medie come effetto per quella dannata sindrome, probabilmente perché si è resa conto che era innamorata di me, salvo poi avermi trovato già fidanzato e felice quando mi ha rivisto dopo due anni. Ho provato a telefonare qualche volta a Videl-chan in questi mesi, ma ormai quel numero non risulta nemmeno più attivo. Penso che sia tornata la sé stessa diciottenne perché a un certo punto ha accettato la situazione, magari perché ha capito che ero felice con Lazuli. Che avevo trovato il mio posto del mondo, come direbbe lei. E a lei è andata bene così, a quel punto. Perché è una persona gentile, perché è positiva e perché è buona, probabilmente. Si sarà ricordata i suoi insegnamenti che mi aveva dato da senpai di vita, quel suo “chi sorride è più forte”, magari. Ed è riuscita a sconfiggere da sola la Sindrome della Pubertà. Credo che quel giorno di agosto in cui mi aveva dato appuntamento in spiaggia volesse dirmi la verità. Probabilmente chiedere aiuto. E io avrei dovuto capirlo. So che ho ancora tanto da imparare per poter diventare una persona migliore, per poter essere davvero un sostegno per gli altri come lei aveva detto che sarei diventato. Non sono più innamorato di lei, forse non lo sono mai stato davvero perché è solo da quando ho conosciuto Lazuli che ho capito sul serio che cos’è l’amore, ma di sicuro non sono cambiati i miei propositi di quel giorno di tre anni fa in spiaggia in cui ci siamo baciati. Continuo a voler essere una persona sorridente, gentile e che sappia aiutare chi sta soffrendo. Forse non rivedrò più Videl Satan e probabilmente è giusto così, ma quello che mi ha insegnato e l’aiuto che mi ha dato lo porterò sempre nel cuore. E, allo stesso tempo, le auguro con tutto me stesso di trovare qualcuno che sappia renderla felice, perché lei merita davvero di esserlo nella sua vita.
 
Nello stadio parte a tutto volume “In too deep” dei Sum 41 e il mio cuore ha un sussulto, visto che si tratta di una delle canzone preferite da me e Lazuli. Anche durante il riscaldamento della semifinale era stata trasmessa un po’ di musica, ma sentire oggi per prima proprio questa canzone non fa altro che aumentare la carica che sento accumularsi dentro di me. Sollevo lo sguardo in direzione del maxischermo su cui continuano a scorrere pubblicità una dopo l’altra e sento un sussulto molto più forte del precedente farmi battere il cuore all’impazzata. Un’immagine promozionale meravigliosa di Lazuli campeggia infatti sui maxischermi, mentre i cartelloni pubblicitari posti lungo il perimetro rettangolare del campo riportano la data di uscita del film “Mirai World – C18”. Manca solo un mese, ormai, e le pubblicità stanno diventando sempre più martellanti. Ma a me fa piacere, ormai mi ritrovo immagini della mia ragazza ovunque e questo non può che rendermi felicissimo e anche decisamente orgoglioso. Guardo i suoi occhi di ghiaccio che sembrano bucare il maxischermo e l’espressione dura e fredda che ha assunto in questa immagine ripresa leggermente dall’alto. Il suo viso mostra segni velati di nero qua e là, mentre i suoi vestiti sono strappati e lesi in alcuni punti, come se fosse appena uscita indenne da un’esplosione. È in piedi, e attorno a sé ci sono solo macerie. I suoi capelli biondi sono smossi da una leggera brezza, mentre si sta sfilando il gilet di jeans che indossa sopra una maglietta nera aderente a maniche lunghe. Per il resto ha una minigonna di jeans, dei leggings neri e degli stivali. Sorrido, perché riconosco in questo look di scena della mia ragazza quello che aveva indossato al nostro primo appuntamento. E comincio a sentire caldo soffermandomi su quell’immagine, perché devo dire che la mia ragazza è la cyborg più bella che sia mai comparsa in un qualunque film della storia del cinema, secondo me. La guardo, e non posso che ritenermi fortunato. Non solo perché è fottutamente bella, ma per la persona che è. Per quello che mi fa provare. Per tutto quello che ha fatto e fa per me.
Mi giro verso la zona della tribuna dove l’avevo vista prima per guardarla di nuovo dal vivo, come a convincermi che non è un sogno, o anche solo per sorriderle di nuovo. Forse sarò scemo, ma a volte non mi sembra ancora vero che Lazuli Eighteen sia la mia ragazza.
Il suo posto tra Bulma e Chichi adesso è vuoto, però noto che vicino a Goku è arrivato anche il suo amico Crilin. Accanto a lui ci sono Piiza-san e le Sweet Bullet al completo. Mi salutano anche loro agitando i pugni e le mani. Vedo Levy venir sollevata di peso da un ragazzo che accanto a lei sembra ancora di più un energumeno. La stringe a sé e la bacia, prima di lasciarla andare, paonazza, e incrociare le braccia al petto, lanciandomi un cenno d’intesa. È Gajeel, il fidanzato di Levy. Alcuni dicono che ci assomigliamo, forse sarà per l’altezza o magari per la nostra folta chioma nera, non saprei. Di sicuro ci stiamo simpatici a vicenda, quello sì.
Sposto lo sguardo nella fila sopra a mio fratello e gli occhi mi diventano improvvisamente lucidi, mentre un sorriso si dipinge automaticamente sul mio volto. C’è mia mamma, infatti, e mi saluta agitando le mani e ridendo. Mi urla qualcosa, sembra felice. Mio padre la cinge con un braccio e mi fa segno che è tutto ok con la mano. Io ricaccio indietro le lacrime e li saluto. È la fine di un incubo durato tre anni, perché ora anche mia madre sta bene. Tutto tornerà come prima, lo so. Ne sono convinto. Mia mamma voleva essere qui oggi e ce l’ha fatta, ha raggiunto il suo obiettivo. Ora sono io a dover raggiungere il mio.
A dover vincere.
 
Abbasso lo sguardo in cerca di Lazuli e la trovo, finalmente, in piedi e da sola con le mani appoggiate alla recinzione metallica sopra al muretto che separa il bordocampo dalla tribuna. Ha messo gli occhiali da sole, probabilmente per non farsi riconoscere, maggior ragione dopo che l’immagine pubblicitaria del suo film ha attirato su di sé l’attenzione di tutto lo stadio. Accenna un sorriso, mentre mi avvicino a lei. Crea una bolla rosa con la cicca che sta masticando e la fa scoppiare, per poi farla sparire di nuovo nella sua bocca. Già, proprio come in uno dei primissimi spot che aveva girato dopo essere tornata sulle scene.
«Lo sai che se fai così mi eccito» le sorrido sghembo.
«Ah sì?» fa la finta tonta, mostrando disinteresse. Nonostante il delirio intorno a noi la sento benissimo, come se fossimo in una bolla solo noi due. «Ce ne hai messo di tempo per arrivare, comunque».
«Ero ancora stordito dalla fantasmagorica bellezza della tua immagine sul maxischermo. Anzi, più precisamente ero arrapato. Cioè, lo sono tuttora».
«Rad».
«Uhm?»
«Piantala di fare il cretino. Non costringermi a scavalcare per darti un ceffone in diretta televisiva» sibila, prima di distogliere lo sguardo dal mio. «Però… ecco, sì, mi fa piacere. Anche se sei il solito kohai irrispettoso».
«Solo perché tu sei la mia senpai preferita!» rido. «A proposito, ho apprezzato davvero che avevi lo stesso look del nostro primo appuntamento».
«Ah, te ne sei ricordato?!» esclama, tornando a guardarmi e illuminandosi ancora di più.
«Te l’ho detto, non dimenticherò mai più niente che ti riguardi. E non potrei non ricordare un momento così bello».
«Io… ho proposto al regista questo look per alcune scene. Volevo farti una sorpresa» mi spiega, abbastanza imbarazzata.
«Là?»
«Sì?»
«Lo sai che ti amo più della mia vita?»
Lei sorride di più, mentre si sfila gli occhiali.
«Allora ti va di farmi una promessa?»
«Ovvio!»
«Adesso entra in campo e vai a prenderti il titolo di campione nazionale. E segna anche un gol. Mi piace vederti segnare».
«Agli ordini, mia regina e mia dea!» mi metto sull’attenti.
«Voglio vedere la vetta del cielo insieme a te».
«La vedremo insieme. Tra non molto la potremo vedere insieme, Là».
«Sono felice che ci sia anche tua mamma, devi vincere anche per lei e per tutte le persone che sono venute a tifare per te».
«Sono felice anch’io, davvero! E voglio vincere per te, soprattutto. Ce la farò, te lo giuro!» ribatto, allungando il pugno chiuso verso di lei e sorridendo. Lei fa lo stesso, anche se non possiamo batterli fisicamente uno contro l’altro perché siamo troppo lontani e per di più c’è una recinzione a dividerci. Ma non serve, è come se l’avessimo fatto.
Le sorrido e mi volto, per tornare dai miei compagni e completare il riscaldamento. Negli altoparlanti adesso risuona “Feeling this” dei Blink 182, e io non posso che pensare sia un altro segnale positivo.
«Rad!» mi chiama a gran voce, facendomi voltare di nuovo verso di lei dopo pochi passi. «Guarda che ti amo anch’io, scemo!» aggiunge, facendomi la linguaccia.
 
«Mi sembri in forma anche oggi, Rad-kun. E mi sembra ancora più in forma la tua fidanzata, a giudicare dall’immagine di prima. Un vero schianto» mi fa l’occhiolino Husky, avvicinandosi a me con disinvoltura mentre sto guadagnando la via degli spogliatoi dopo aver terminato il riscaldamento pre-partita coi miei compagni. In una mano stringe il microfono ancora spento, nessun cameraman infatti mi sembra la stia inquadrando. È l’emittente per cui lavora a trasmettere la partita in diretta e lei si trova a bordocampo per le interviste post partita e per dare le ultime notizie dal campo in tempo reale, proprio come aveva fatto durante la semifinale.
«Certo che sei proprio ovunque te, eh» le sorrido.
«Ma smettila! Che ti ho anche portato fortuna visto che avete vinto e hai anche segnato!»
«Non ci avevo pensato, quindi cerca di portarmi fortuna anche oggi dato che ho intenzione di vincere e segnare di nuovo!»
«Così mi piaci, Rad-kun!» ride. «Hai già fatto due gol ed è tantissimo per un difensore in così poche partite, però oggi devi fare ancora di più. L’Ichiran è fortissimo» aggiunge seria.
«Non preoccuparti. Vinceremo».
«Io credo che ve lo meritate come squadra. Ma credo soprattutto che te lo meriti tu, Rad-kun» mi dice dolcemente. «Ne hai fatta di strada da quel giorno. Non so se conti qualcosa, ma sappi che sono fiera di te».
Accenno un sorriso e la guardo nei suoi occhi azzurri, mentre un leggero e frizzante vento le fa oscillare i lunghi capelli biondi e spazza via dalla mia mente il ricordo del nostro primo incontro. Ricoverato in ospedale, considerato da tutti un autolesionista. Il petto bendato, il cuore a pezzi. Sono passati tre anni, eppure sono così felice adesso che posso permettermi quasi di ridere ripensando a tutto quel dolore. Già, “ne riderai”, si dice, quando qualcosa va male e si spera che prima o poi si sistemerà. Quando speri che potrai guardarti alle spalle serenamente. Che il futuro ti sembrerà luminoso. Ripenserai a certe cose che ti hanno fatto soffrire e potrai permetterti di riderci sopra, se sarai stato abbastanza forte o anche solo fortunato da poterle sconfiggere.
«Forse non ti ho mai ringraziato per avermi creduto quella volta» le dico, ripensando al fatto che era stata davvero Husky l’unica a credere alla mia storia, seppure non mi avesse mai visto prima.
«Non devi ringraziarmi. Era solo lavoro» prova a schermirsi.
«Lo so che non era così. Tu sei diversa».
«Non potevo lasciarti solo, Rad-kun. Nessuno merita di restare da solo».
«Lo so che venivi a chiedermi le foto delle mie cicatrici anche per vedere come stavo. E ti ringrazio per questo».
«Smettila Rad-kun, ero e sono solo una giornalista come le altre che cerca di fare carriera!»
«E invece sei una brava persona, lo sa benissimo anche Là, altrimenti non si fiderebbe così tanto di te».
Husky sorride e tira fuori dalla tasca il suo telefonino, cominciando a digitare qualcosa prima di mostrarmi lo schermo.
«A proposito della tua ragazza, mi ha appena mandato un messaggio dicendomi di fartelo leggere subito. Sembra che si sia dimenticata di dirti una cosa importante, prima» ridacchia, mentre prendo in mano il suo cellulare. «Anche se, conoscendola, forse non è stata capace di dirtelo di persona perché non è una ragazza… come dire… smielata. Ecco, lei non è una smielata. Però condivido quello che ti ha scritto».
Te lo meriti un arcobaleno, con tutta la pioggia che hai preso. Vinci, Rad.
Leggo il messaggio e restituisco il cellulare ad Husky. Mi sento leggero, felice. Mi volto verso la tribuna e riesco a trovare con lo sguardo ancora Lazuli, che nel frattempo è tornata al suo posto. Siamo lontani un’ottantina di metri, eppure sollevo il pugno destro verso il cielo e vedo che lei fa lo stesso. La vedo benissimo tra la folla, in mezzo agli striscioni.
Abbasso il braccio e mi sfilo la felpa, correndo negli spogliatoi, pronto a cominciare la partita.
 
«Ehi, “Cinque”» una voce bassa e allo stesso tempo profonda attira la mia attenzione verso un ragazzo imponente dai folti capelli neri appoggiato con la schiena contro il muro del corridoio che conduce agli spogliatoi. Ha le braccia conserte e accenna un sorriso, mentre accanto a lui noto una ragazza dai corti capelli argentati e la faccia simpatica. Ride, mentre mi saluta agitando la mano, prima di dare un morso a una barretta di cioccolato. Indossa un giubbino verde fluo e sembra minuscola accanto al suo accompagnatore. Accanto a Broly Berserk per essere precisi, il fortissimo attaccante del Liceo Joiyn, la squadra che abbiamo sconfitto lo scorso agosto nella finale del campionato provinciale. Si è rivolto a me chiamandomi col mio numero di maglia.
«Ehi! Cosa fai qui? Giochi anche tu?» gli sorrido, scherzando e dandogli il cinque. Lui, ovviamente, non ha potuto prendere parte a questo torneo, dato che siamo stati proprio noi a eliminare la sua squadra.
«Mi sono fatto dare un pass per vedere la finale da bordocampo» mi spiega, mostrandomi il tesserino che porta appeso al collo.
«E me ne ha fatto avere uno anche a me!» interviene la ragazza, facendomi l’occhiolino e mimando il segno della vittoria con le dita. «Del resto io sono la mitica manager del Liceo Joiyn!»
«In effetti mi ricordo di te» le sorrido.
«E lui è il mio ragazzo, lo sai?!» esclama, saltando e appendendosi al collo di Broly, prima di dargli un bacio a stampo.
«C-cheelai… basta…» farfuglia lui, arrossendo e abbassando la testa, mentre la ragazza ride ancora e dà un altro morso alla barretta di cioccolato.
«Comunque…» cerca di ridarsi un tono Broly, schiarendosi anche la voce. «Se io potessi giocare, la vincerei di sicuro questa finale. Quindi vedi di vincere».
«Tifiamo per voi perché rappresentate la nostra prefettura e ci avete sconfitti, in pratica» interviene Cheelai con voce squillante. «Sarebbe una consolazione per noi saper di aver perso contro i campioni nazionali!»
«Sì, più o meno…» borbotta Broly. «Mi sto allenando per batterti la prossima volta».
«Spero che sarà uno scontro epico come l’ultimo, allora» accetto la sfida. «Ma vincerò ancora io».
«E dai, Broly, smettila di fare il musone adesso e fagli un “in bocca al lupo” come si deve! Ti ho insegnato come si fa, no?!» ride Cheelai, mettendo di nuovo a disagio il suo fidanzato. «Lui ti ammira molto, lo sai?! Però gli sto insegnando le buone maniere!» aggiunge, facendomi l’occhiolino.
«T-ti ho detto di smetterla, per favore…» farfuglia lui.
«Anch’io ti ammiro molto, non vedo l’ora di giocare di nuovo con te» dico a Broly, che torna a guardarmi.
«Vincete, allora» mi dice.
«Contaci».
«Quante volte te lo devo spiegare?! Bisogna fare così il tifo» si intromette di nuovo Cheelai, mettendo le mani a coppa intorno alla bocca. «Forza Radish Sooonnn! Forza Minegaharaaa!» sbraita, prima di scoppiare a ridere. La gente intorno a noi si volta, mentre Broly diventa paonazzo e la stringe a sé per fermarla.
«C-ci guardano tutti, ti avevo detto di …» sussurra lui, prima di venire interrotto da Cheelai che gli infila in bocca la barretta di cioccolato che stava mangiando.
«Ecco, mangia un po’ di cioccolato mentre andiamo a bordocampo!» esclama, trascinandolo con sé. «Vedi di vincere, Radish Son!»
 
«Se oggi battiamo l’Ichiran, tutti i giornali, tutte le televisioni, tutti i siti… tutti quanti parleranno del miracolo del Liceo Minegahara» esordisce Napa, rompendo il silenzio nervoso e carico di tensione dello spogliatoio. Mancano pochissimi minuti all’inizio della finale. Siamo pronti. E siamo tutti insieme, chiusi nel nostro spogliatoio. «Nessuno ci conosceva fino a qualche mese fa, nessuno ci considerava competitivi nemmeno all’inizio del campionato nazionale. Eppure siamo arrivati fin qui. Le abbiamo vinte tutte. Non abbiamo subito nemmeno un gol. Tutti dicono che abbiamo già fatto un miracolo, e che sarà un miracolo ancora più clamoroso se dovessimo vincere il titolo».
Vedo con la coda dell’occhio Vegeta stringere i pugni, seduto al mio fianco e bramoso di cominciare questa battaglia. Alla mia sinistra sento invece fremere Cabba, ormai diventato titolare, sempre alle prese col suo solito nervosismo pre-partita.
«In realtà, noi abbiamo compiuto qualcosa di ancora più straordinario» accenna un sorriso il nostro capitano. «Abbiamo creato un gruppo eccezionalmente affiatato. Un gruppo in cui ogni giocatore sputa sangue pur di correre in aiuto di un proprio compagno. Un gruppo in cui il singolo sa sacrificarsi in nome della squadra. È questo il vero miracolo che abbiamo fatto. E io, da capitano, sono fiero di voi. Anzi, di noi».
Nello spogliatoio non vola una mosca, mentre Napa si schiarisce la voce per un istante. È visibilmente emozionato.
«Oggi è la mia ultima partita insieme a voi. L’ultima per me e per quelli del terzo anno. L’ultima partita di questo gruppo, di questa squadra. Finora abbiamo sempre giocato ogni partita per poterne giocare un’altra tutti insieme, per poter rimandare anche solo di un po’ il momento dell’addio. Ma oggi è diverso, perché in ogni caso domani sarà tutto finito per noi del terzo anno».
Guardo gli occhi di Napa, velati di malinconia e carichi di emozioni che forse sarò in grado di comprendere davvero solo tra un anno, quando sarò io a dover giocare la mia ultima partita con questa maglia prima di diplomarmi.
«Quando riprenderete gli allenamenti settimana prossima il nuovo capitano sarà Princely, il vice sarà Son. Così abbiamo deciso io e il mister, e so per certo di lasciare il club in buone mani».
Tutti ci guardano, mentre io volgo lo sguardo a destra e a sinistra un po’ disorientato perché davvero non me l’aspettavo. Sarò il vice capitano? Sarò in grado davvero di farlo? Osservo Vegeta al mio fianco, che ghigna sprezzante ostentando sicurezza e anche orgoglio per quel ruolo che secondo me si merita.
«Pensiamo a vincere oggi, del futuro di questa squadra ci sarà tempo per parlarne da domani, quando saremo i campioni nazionali» sibila il mio amico, caricando tutti i nostri compagni.
«Siamo ancora una squadra per altri novanta minuti» intervengo io. «E lo saremo per sempre per quello che si è creato tra noi. Ma lo saremo per sempre anche per tutti quelli che non ci conoscono, se vinceremo la partita di oggi!»
«Giusto! La promessa che ci siamo fatti prima della finale del campionato provinciale e che abbiamo scritto su questa fascia da capitano è ancora valida!» esclama Napa, sfilandosi la fascia dal braccio e appoggiandola sul tavolino davanti a sé al centro dello spogliatoio. «In quella fascia c’è tutto quello che siamo, c’è tutta la fatica che abbiamo fatto negli allenamenti, tutto l’impegno che ci abbiamo messo. Tutto il dolore, tutta la gioia. La rabbia, lo sconforto, l’adrenalina, l’euforia. Il sudore, le lacrime, il sangue e le risate. C’è tutto l’affiatamento che siamo riusciti a creare tra noi».
Ci alziamo tutti in piedi uno dopo l’altro e ci avviciniamo al centro dello spogliatoio, a quella fascia. Ci disponiamo a cerchio, sembra quasi un rito propiziatorio o il preludio di una magia. Ma non c’è nessun incantesimo qui, ed è il rumore prodotto dai tacchetti delle scarpe da calcio che tutti indossiamo contro il pavimento a ricordarmi che è tutto reale. Che siamo una squadra e che lo saremo per sempre. Che questo non sarà un vero addio, perché finché correremo dietro a un pallone potremo sempre ritrovarci a giocare insieme. Lo faremo magari con maglie diverse, ma con lo stesso cuore di adesso nel petto.
«Lo spirito di gruppo che si è creato nella nostra squadra resterà anche quando noi del terzo anno non ci saremo più. Lo porterete avanti voi del secondo e del primo anno e lo insegnerete ai nuovi arrivati. Farete in modo che resterà per sempre una caratteristica del club di calcio del Liceo Minegahara e so che non mi deluderete» riprende Napa, con un velo di commozione nella voce. «È questo l’altro grande risultato che voglio lasciare al club oltre al titolo nazionale, cioè l’affiatamento che abbiamo saputo creare tra noi che ci ha spinto ad andare oltre i nostri limiti. Un simile risultato lo dobbiamo a tutti quelli che ci hanno supportato. Senza anche uno solo di loro non saremmo mai arrivati fin qui» aggiunge, voltandosi in direzione del Mister, del professore responsabile del club e delle nostre manager, accennando un inchino. «Mister, professore: vi ringrazio a nome di tutti gli studenti del terzo anno. Caulifla, Kale: ringrazio anche e soprattutto voi. Con quaranta gradi o sotto zero, col sole o la pioggia, all’alba o al tramonto, voi eravate sempre in campo al nostro fianco e non ci avete fatto mancare mai niente. È stato un onore. Sono fortunati i vostri coetanei del primo anno a poter avere per altri due anni due manager come voi. Oggi giochiamo la nostra ultima partita insieme, ma se sono certo di lasciare il club in buone mani è anche e soprattutto merito vostro».
«C-capitano… i-io… grazie» sospira Kale, timida come sempre, abbassando la testa e arrossendo imbarazzata. Ha gli occhi velati di lacrime, come Napa e molti altri del terzo anno. Anch’io sinceramente mi sento molto emozionato. Non vedo l’ora di giocare, ma mi fa male pensare che sia l’ultima partita di questo gruppo straordinario.
Il mister sorride, il professore anche. Accennano un inchino anche loro.
«Allora, cosa sono queste facce da funerale?!» interviene Caulifla a gran voce, guardandoci tutti male. «Dai, eh! Voglio vedere gli occhi della tigre! Allora, dove sono questi occhi?!» ci sprona, passandoci in rassegna severamente uno ad uno. Vulcanica come sempre, e poco importa che sia lei la prima ad avere ancora gli occhi lucidi. «Raddrizza la schiena, Cabba! Sei il più giovane in campo, vedi di farti onore davanti ai tuoi senpai!» pungola il mio compagno di difesa, che dalla finale del campionato provinciale è diventato anche il suo fidanzato. «Piangerete dopo, adesso dobbiamo vincere questa finale!»
«Sì! Andiamo a prenderci il titolo, cazzooo!» urlo, appoggiando la mano sul tavolo sopra la fascia da capitano.
«Rompiamogli il culo!» ringhia Vegeta, appoggiando la mano sopra la mia, imitato poi da tutti i nostri compagni, oltre che da Caulifla e Kale.
«Minegaharaaa!» sbraita Napa, con tutto il fiato che ha in corpo.
«Fight!» rispondiamo in coro, gridando così forte da far vibrare i vetri dello spogliatoio, come a sperare che i nostri avversari abbiano potuto sentirci e magari intimorirsi.
Solleviamo tutti le mani mentre urliamo e permettiamo al nostro capitano di recuperare la sua fascia, prima di uscire dallo spogliatoio tutti insieme, carichi all’inverosimile.
Ci siamo. Finalmente ci siamo.
È giunto il momento.
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci, è stato un lungo capitolo dedicato alle riflessioni di Rad su quanto le cose siano cambiate intorno a lui nel corso dell’ultimo anno scolastico, e spero che possiate aver apprezzato la sua introspezione. Quel lungo elenco di personaggi che ho citato voleva essere sia per me una sorta di tributo a tanti manga e anime che adoro, sia una prova tangibile di quanto sia cambiata la vita di Radish rispetto al capitolo 1. Prima non conosceva nessuno, non gliene fregava niente, ora sa i nomi e ha la stima di tantissime persone. Ne ho citati tanti, di personaggi, vediamo quanti ne avete riconosciuti! ;-)
Abbiamo poi visto e rivisto un po’ tutti i personaggi principali e quelli secondari apparsi durante questo lungo viaggio, spero abbiate apprezzato. Preferite lo striscione del team Lunch o quello del team Marion?! :-)
In tutto questo, è passato un mese esatto dai fatti narrati nel capitolo precedente. Abbiamo visto che Gine ce l’ha fatta, è allo stadio e sta bene, e anche Goku sembra andare alla grande, seduto tra Chichi e l’amico di sempre Crilin. Vediamo che anche Rad ha mantenuto la promessa, visto che abbiamo saltato tutte le partite precedenti e siamo arrivati direttamente alla finale. Abbiamo saputo qualcosa di quanto successo in questo campionato e ho voluto inserire i miei due personaggi preferiti tratti da “Holly e Benji” perché mi sembrava doveroso, arrivati a questo punto, cioè Philip Callaghan e Mark Lenders. Ma, per la finale, ho scelto l’Ichiran e i suoi giocatori, tra cui Shingo Narita che viene citato, che è la squadra protagonista di un manga straordinario che adoro e che si chiama “Angel Voice”.
Scopriamo anche grazie alla locandina che ritrae Lazuli (vi è piaciuta?) che il film uscirà tra un mese, quindi ormai ci siamo anche da quel punto di vista.
Abbiamo visto anche Husky, e spero abbiate apprezzato. Forse è stato un personaggio sottovalutato, molti l’hanno considerata ambigua, ma io sono felice di averla portata fino in fondo perché mi è piaciuta e mi ha anche fatto piacere averla pescata un po’ per caso tra i meandri dimenticati della prima serie anime di Dragon Ball. Si è poi rivisto Broly, con tanto di Cheelai al seguito, spero abbiate gradito anche qui. Addirittura i genitori di Vegeta, mai comparsi prima.
Ma, soprattutto, siamo entrati nello spogliatoio del Minegahara e spero con tutto il cuore che il discorso di Napa e poi gli interventi di Rad e Vegeta vi abbiano emozionati, perché a me ha un po’ commosso e un po’ caricato a palla quella parte. Ho adorato scriverla e non vedevo l’ora di condividerla con voi. Napa non lo si è visto molto in questa long, un po’ all’inizio quando Rad andava a cercare Là in classe, visto che sono compagni, ma direi che nei capitoli legati al calcio ha saputo farci emozionare coi suoi discorsi da capitano. Fa male pensare che questa sarà davvero l’ultima partita insieme per questi ragazzi, ma è così che vanno le cose nello sport. Io stesso ho giocato per dieci anni nella stessa squadra (giallonera, che caso, eh…) e quando è arrivato il giorno dell’ultima partita non è stato facile non pensarci. Ma era anche nel mio caso una finale, per di più andata avanti addirittura fino ai rigori, come a voler rimandare il più possibile il momento del fischio finale. Avevamo vinto poi, e non c’era stato nemmeno quasi il tempo o il modo di realizzare che era finito tutto, perché abbiamo festeggiato tanto (anzi, troppo). Sono quasi cose a cui pensi dopo, a freddo. Però è vero, continuando in altre squadre io e i miei compagni abbiamo potuto di nuovo giocare insieme o da avversari, magari anche a distanza di anni, e così succede ancora adesso. Ed è strano, perché sembra che nulla sia cambiato da allora, ci si racconta aneddoti di quel periodo e si ride e scherza come fossero cose successe il giorno prima e non, magari, dieci o quindici anni fa. Penso che questa sia la forza dello sport, spero che possiate condividere la mia riflessione e non odiarmi per le mie note autore sempre troppo lunghe.
 
Grazie a tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere, onestamente un anno fa sarebbe stato solo il sogno di un pazzo pensare che una storia come questa avrebbe sfondato il muro delle 500 recensioni. E questo è solo merito vostro, sarete sempre speciali per me. Grazie a chi legge in silenzio e a chi ha realizzato i fantastici disegni di oggi, come la sontuosa Là della locandina del film frutto del genio del leggendario YoungJijii, un’altra magnifica Lazuli in versione Harley Quinn (anche per onorare il film meraviglioso appena uscito con lei, “Birds of Prey”, ve lo consiglio) con la cicca a palloncino come vediamo in questo capitolo, ancora una sensuale Eighteen-senpai con l’altro look classico di C18 e una Kale realizzata da Echo Saber con la divisa scolastica, da brava manager del club di calcio.
 
Bene, mercoledì prossimo il capitolo sarà dedicato interamente alla finale del campionato nazionale: Minegahara-Ichiran, chi vincerà?
E poi, nella lunghissima carrellata di personaggi apparsi in questo lungo capitolo che avete appena letto, non vi sembra che mancasse qualcuno? Chissà se comparirà nel prossimo, adesso come adesso non mi ricordo. ;-)
Il titolo sarà “La vista dalla vetta”, spero con tutto me stesso che vi piacerà! Per il resto, ci vediamo già venerdì con una one shot su Lazuli dal titolo "Occhi Inverno", vi aspetto anche lì!
 
Teo
 
 
 

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