Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    13/02/2020    1 recensioni
E se i personaggi del gobbo di Notre Dame si trovassero in un'altra storia del tutto diversa, e con ruoli che non avete mai preso in considerazione? Se Quasimodo fosse il principe scomparso di un lontano paese, come la Russia? Ed Esmeralda è una ragazza truffaldina che spera di trovare un sosia del principe per una bella ricompensa? Sì, è la trama di Anastasia, ma pensateci bene, potrebbe sorprendervi se amate entrambi i mondi e i generi. Perciò se siete curiosi addentratevi in questo racconto crossover.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Febo, Quasimodo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                          Sentieri incrociati
 

Il gelo di quella sera era così pungente che riusciva a penetrare perfino tra le trame intrecciate della lana, fino ad arrivare a irrigidire il corpo e le ossa. Una leggera nebbia stava calando tra le stradine del paese, mentre le prime lanterne venivano accese e i respiri si facevano più intensi. In un quartiere, giusto poco lontano dal centro di San Pietroburgo, un piccolo gruppo di persone si era ammucchiata davanti all'uscio di un vecchio edificio nella penombra di un vicolo. Lì, proprio sulla porta, c'era un cartello che portava la scritta: cercasi "principe Kvazimodo". Oggi provini in sala. Guadagno fruttuoso per il selezionato.
Alcuni curiosi che passavano per caso, si chiedevano cosa significasse, ma i più informati sulla questione, lo sapevano benissimo. I due fratelli zingari, Esmeralda e Clopin, erano ai primi posti della saletta, in quel piccolo edificio, o meglio dire teatro. A dire il vero era solo una catapecchia dai muri con l'intonaco scrostato e le porte cigolanti, ma non c'era tempo per badare a certi dettagli estetici. Un provino e una modesta lista di candidati li attendevano. La prima fase del piano era incominciata: trovare il sosia perfetto del principe Kvazimodo Aleksandr Sht'yen Belstov.

PV Clopin

- Avanti un altro! - si fece sentire la mia voce, mentre mi sfregavo le mani, cercando di scaldarle. Nonostante ci trovassimo nel cuore del teatro, nella sala principale, stavo rabbrividendo comunque. Era come se il freddo invernale riuscisse a infilarsi anche nelle fessure più sottili delle finestre, delle porte e di ogni singola apertura. Senza un camino accesso, o una piccola stufa, stare in quel posto non faceva tanta differenza nel stare fuori in mezzo alla neve. Gettai un'occhiata a mia sorella, seduta accanto a me. Aveva un'aria concentrata, così tanto da non far caso a quella temperatura poco accogliente. Era comprensibile. Eravamo nel pieno del provino per scegliere il candidato giusto per la nostra geniale truffa. Intanto, si fecero avanti altri soggetti, ma erano uno peggio dell'altro. Ovviamente lasciavo tutto il giudizio ad Esme, dato che era l'unica che poteva decidere e scegliere chi fosse idoneo.
- Sì...grazie, monsieur. Vada pure, le faremo sapere - rispose Esmeralda, allargando un sorriso forzato. Con un gesto netto, tracciai una riga con la penna per cancellare l'ennesimo nome sulla lista. Un altro squalificato. Con un sospiro stanco mi portai le dita al volto, strofinando leggermente le palpebre. Da quanto tempo eravamo lì? Mezz'ora? Si era presentato un notevole numero di persone, ragazzi e uomini, magri e grassi, alti e bassi, e dalle fattezze più disparate. Ma nessuno di loro era riuscito a convincere la mia sorellina, e quindi superare il provino. Mi chiedevo se la fortuna ci avesse già abbandonati. La gitana dagli occhi smeraldo si girò verso di me e notò il mio umore esasperato.
- Lo so, Clopin. Hai ragione - mi disse poi, e mi diede un'affettuosa scrollatina sulla spalla.
- Possibile che nessuno di questi poveri cristi sia adatto? - le chiesi, guardandola di sottecchi. In quel momento avvertì un vuoto allo stomaco. Perfetto, ci mancava solo quello!
- Purtroppo no...- mi disse con una nota agrodolce - Ma non perdiamoci d'animo. Siamo ancora a metà strada -.
Quando Esmeralda si metteva in testa una cosa, era capace di combattere e spendere tutte le sue energie per ottenere i suoi scopi.  
- Tranquilla, sorellina, lo sai che non ho mai dubitato del tuo buon senso e giudizio - le confessai mentre avvertivo ormai i morsi della fame. Non vedevo l'ora di mettere qualcosa sotto i denti. Così, ritrovata la forza di andare avanti, mi ricomposi e la mia voce riecheggiò nuovamente per la sala.
- Avanti un altro! -.
Ti prego, fa che questa sia la volta buona, dissi tra me e me. In quel momento si presentò un tizio davvero particolare. Aveva addosso un cappotto di panno scuro, una sciarpa molto lunga, e il capo era coperto dal cappuccio. La cosa più bizzarra era il suo modo di camminare. Anzi, per la precisione zoppicava, passo per passo e la sua schiena era ricurva come un punto interrogativo.
- Clopin...forse ci siamo! - bisbigliò la gitana, con un leggero tono alquanto agitato. Sentendo ciò, anche io mi sentì scosso dall'emozione.
- Davvero?! - feci a bassa voce, e lei mi indicò il tizio, confermandomi che solo il principe Kvazimodo si poteva muovere in quel modo strano. Fidandomi ciecamente, ero sul punto di esultare, ma avvenne una cosa inaspettata. Il candidato si fermò in mezzo al palco, fece scivolare il cappotto e si rivelò completamente a noi. Rimasi perplesso e allibito scoprendo che si trattava di un rozzo scaricatore di porto, con i calzoni che quasi gli cascavano, i capelli unti e le mosche che gli ronzavano attorno. Ubriaco fradicio, alzò in alto una mano che stringeva una bottiglia di birra, ormai vuota.
- Eccomi, babbo, hic!...sono io, Kvazimodo...BUUUUURP! -.
Un rutto pesante uscì fuori da quella bocca che presentava si e no una decina di denti. Quella scena era troppo per me, e la sonora esplosione fu la ciliegina sulla torta. Una fragorosa risata mi scappò e mi spinsi così forte sulla sedia che cascai all'indietro, cadendo rovinosamente a terra.
- Ah ah ah! Aiuto, non ce la faccio! - strillai tra le risate, dimenando le gambe per aria. Con le lacrime agli occhi, alzai di poco la testa e scorsi Esmeralda che mi fissava con aria di rimprovero e allora capì che non era per nulla divertente. Quello sì che era un buco nell'acqua.
- Eh...eh, no. Non c'è proprio niente da ridere - dissi infine, esponendo una delle mie facce da bambinone dispiaciuto. Mia sorella, sospirando per la prima volta, tornò a guardare con aria disgustata quel baraccone da circo: - Già...Qui c'è solo voglia di piangere -.
 
- Beh, cherì, non possiamo certo dire che non ci abbiamo provato - proferì, e uscendo dal teatro strappai via il cartello dalla porta. Forse ero troppo pessimista, ma quel tardo pomeriggio buttato al vento, senza risultati, mi aveva già gettato nello sconforto. Tanta fatica per niente!
- Abbiamo già speso una buona parte dei nostri risparmi per pagare il teatro, e non abbiamo ancora trovato nessuno che possa fingersi Kvazimodo -.
Accartocciai il pezzo di carta, lo ridussi in una palla deforme e la gettai in aria per poi calciarla il più lontano possibile. Ogni volta che ero di mal d'umore avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo, anche se per qualcuno potevo passare per un ragazzino troppo cresciuto.
- Non gettiamo la spugna, Clò! - disse mia sorella, mentre si sistemava i capelli sotto il berretto. Non riuscivo a capire perché la nascondesse sempre, quella morbida chioma fluente, dai riccioli sinuosi. Insieme ai suoi occhi, era ciò che la rendeva così bella e attraente.
- Vedrai, lo troveremo - aggiunse poi, prendendomi sottobraccio - Sento che è qui da qualche parte, proprio sotto il nostro naso -.
Quell'ultima frase, una delle tante metafore che usava spesso Esme, fece attivare il mio lato da burlone. Mi girai verso di lei con occhi indagatori.
- Che c'è? - mi chiese, mentre stavo ispezionando la sua faccia.
- Nah, ti sbagli, non c'è niente qui sotto - risposi e le gettai un'occhiata divertita. Appena realizzò, Esme mi diede una leggera spinta, ridendo.
- Ma che scemo! -.
Passammo qualche minuto a riderci su, per sdrammatizzare la situazione ed evitare di demoralizzarci. Lo so, ero sempre stato un tipo difficile da trattare. Mia sorella, oltre ad essere scaltra, aveva il dono della pazienza e sapeva attendere il momento giusto per poter agire. Non come me, che soffrivo di una perenne carenza di tolleranza, nevrotico e ansioso di ottenere tutto in fretta e furia. Ero abbastanza onesto da ammetterlo. Ma nonostante ciò, nel mio piccolo cercavo di sfruttare il mio lato giocoso per mantenere vivo quel briciolo di spensieratezza. Non poteva fare tutto lei. La nostra vita era già difficile, e ci mancava solo il mio caratteraccio a darle pensieri. A volte mi sembrava che fosse lei la sorella maggiore. Che vergogna, Clopin!
- Oggi non è andata bene - ricominciai, assumendo un tono serio ma calmo - Ma come hai detto tu stessa, non dobbiamo arrenderci. Domani è un altro giorno, e magari saremo più fortunati. E poi, abbiamo pur sempre "l'asso nella manica" -.
Senza che se ne accorgesse, avevo già sfilato il prezioso oggetto dalla tasca del suo cappotto. Fin da piccolo avevo il dono di borseggiare in maniera furtiva, e questo talento mi aveva permesso di sfamare Esme nei tempi di assoluta povertà. Purtroppo, o quasi, era un vizio che non si era mai estinto.
- Bravo, mi hai proprio tolto " le parole dalla tasca " - mi canzonò lei, lanciandomi un'occhiatina furbetta. Fischiettando, le restituì il carillon e solo in quel momento mi balenò un piccolo dettaglio che avevamo trascurato.
- Cherì, lo sai che sono fiducioso, e non smetterò mai di ripetertelo. In fondo sei una delle poche persone rimaste in circolazione che ha avuto la fortuna di avere un contatto diretto con "lui". Ma devi ammettere, mia cara, che è passato tanto tempo da allora. Quindi, anche se dovessimo trovarcelo davanti agli occhi, come farai a capire che sia "il principe" che stiamo cercando? -.
La gitana rimase per qualche secondo in silenzio, mentre cercava di stringersi di più a me per proteggersi dagli spifferi pungenti. Infine sollevò il capo e incontrò il mio sguardo. Con un mezzo sorriso mi rispose:
- Non lo so. Ma sono certa che quando vedrò il suo volto, unico nel suo genere, avvertirò una specie di folgorazione -.
Detto ciò, mi prese il naso tra le dita per scuotermi affettuosamente il viso. Soddisfatto decisi che per quel giorno potevo mettere da parte i dubbi e le mille preoccupazioni che mi avevano tormentato fino a quel momento. Desideravo solo tornare al nostro " rifugio segreto", scaldarmi davanti al camino, e gustarmi una semplice cena in compagnia della mia sorellina. A quel pensiero l'appetito si risvegliò, e anche lo stomaco disse la sua.
- Ho capito. Meglio sbrigarci prima che mi svieni qui per terra costringendomi a trascinarti - disse Esme, sorridendo divertita.
- Sono d’accordo con te. Sai cosa mi piacerebbe più di tutto, ora come ora? - le chiesi facendo gli occhioni da cucciolo bisognoso.
- Una buona torta di mele! - rispose lei, quasi cantando. " Oh, oui! La mia preferita!". Esultai felice mentre Esmeralda alzò gli occhi al cielo.
- Promemoria per quando avremo la ricompensa; comprarti una pasticceria intera con tanto di chef personale. Così ti passerà tutta questa voglia di dolci -.

Pv Kazy

Quanta strada avevamo percorso! Beh, cosa del tutto normale quando ti metti in testa di fare una bella camminata, partendo da un orfanotrofio sperduto nel nulla fino al centro abitato di San Pietroburgo. Appena arrivai nella piazza centrale del paese, mi diedi un'occhiata in giro. Avevo passato così tanti anni, rinchiuso tra le mura di quella prigione, che avevo dimenticato quanto fosse bello il paesaggio e l'atmosfera di una cittadina. Con tutte quelle luci che provenivano dalle botteghe, le stradine con i carretti, e la gente che andava e veniva. Era tutto così vivo. Ero così rapito da quello spettacolo, che non badavo minimamente al gelo che mi attanagliava le membra, anzi mi presi tutto il tempo per ammirare estasiato quella bellezza urbana, immacolata dalla neve candida. Ad un tratto, il belare di Djali, la mia nuova amica, mi fece tornare alla realtà.
- Hai ragione, Djali, dobbiamo muoverci - le dissi, soffermandomi ad accarezzarla sulla testolina. Quella capretta, bianca come il manto nevoso, mi aveva seguito per tutto il tragitto. Era come un angelo custode che si era presentato sotto forma di animale per farmi da guida in quel viaggio pieno di insidie. Ma ciò che mi aveva colpito di più, era che non si fosse spaventata neanche un po’ per via del mio aspetto. Mi rimaneva accanto come un fedele compagno di avventure, disposto a seguirmi anche ai confini del mondo. Era proprio vero, che gli animali si differenziavano dagli esseri umani, per la loro ineguagliabile lealtà e sconfinato amore. Djali non mi avrebbe mai giudicato male, o deriso, o allontanato, semplicemente perché non conosceva lo sgradevole concetto di " diverso". Era tutto decifrabile dalle attenzioni che mi serbava, dai versi acuti e dal modo di strofinare il muso sulle mie ginocchia.
- Allora, per prima cosa, dobbiamo trovare la stazione - dissi a bassa voce, mentre cercavo di mantenere il capo nascosto nel cappuccio. Non volevo mostrare il mio aspetto a nessuno, onde evitare qualsiasi tipo di scalpore da parte dei passanti. Quando ero in orfanotrofio non era una preoccupazione così drastica, dato che ero circondato sempre dalle solite facce, che man mano si erano abituate al mio aspetto deforme. Ma nella situazione in cui mi trovavo in quel momento, stando a contatto con nuovi sconosciuti, mi rendeva troppo nervoso. Cosa avrebbero fatto se mi fossi mostrato? Meglio non correre rischi per scoprirlo, pensai tra me e me. Ma c'era un piccolo problema; mi trovavo in un luogo che non conoscevo bene, e avevo bisogno di informazioni. Non potevo certo andarmene in giro senza avere un'idea precisa, come un volatile che aveva smarrito la strada nell'infinito cielo. Ecco, più o meno era quella la situazione. Dopo un attimo di esitazione, ponderando sul da farsi, decisi di farmi coraggio e scrutai alcuni volti prima di fare qualche passo avanti. Una fanciulla, dalla pelle chiara come il latte, catturò la mia attenzione. Aveva un'aria che mi trasmetteva gentilezza e quindi alzai timoroso un braccio.
- Mi scusi - dissi con voce lieve, forse un po’ troppo, e temetti che la ragazza non mi avesse udito. Ma lei girò il capo nella mia direzione, e allora divenni ancora più nervoso.
- Sì? Ha bisogno di qualcosa, signore? - mi chiese, con una voce dolce e mansueta. Caricandomi di sicurezza, mantenendo il volto all'interno del cappuccio, feci giusto qualche passo nella sua direzione, giusto il minimo per farmi sentire.
- Scusi il disturbo...ma, mi sa dire dove si trova la stazione ferroviaria? Devo prendere un treno -.
Sentivo il viso in fiamme, un po’ per la paura di essere scoperto, e un po’ per la sensazione che mi dava parlare con una ragazza, così bella e gentile. Non ero abituato ad approcciarmi con le ragazze, dato che in orfanotrofio eravamo nella maggioranza maschietti, e le poche femminucce erano poco più che bambine. Meno male che riuscì a farmi capire, nonostante l'incertezza nella voce, perché notai la ragazza che annuiva decisa.
- Certo, non è molto distante da qui - mi spiegò, facendomi segno con la mano verso un punto alle mie spalle - Basta camminare per qualche metro verso quella strada, girare a destra e percorrere sempre dritto. Troverete la stazione nel bel mezzo di una piazzetta. La riconoscerete dal cumulo di fumo che si staglia in aria sopra ad essa -.
Memorizzai tutta la descrizione e poco dopo mi rivolsi nuovamente a lei, per ringraziarla.
- Grazie mille, è stata davvero gentile -.
Mi stupì di me stesso, quando notai che avevo risposto in modo così spontaneo, come se all'improvviso avessi acquistato più sicurezza. Forse era per via di quelle maniere così gentili da parte della sconosciuta, che mi avevano rincuorato.
- Di nulla. Addio e faccia buon viaggio - mi salutò la fanciulla, che con un sorriso fece un cenno con la mano per poi girarsi e allontanarsi.
- Grazie! - alzai la voce per farmi sentire, e una strana euforia mi pervase. Però, non era stato poi così male, pensai. Anche se si era trattato di uno scambio di poche parole, per me era come una vittoria clamorosa. Mentre ripensavo a quel semplice contatto, mi incamminai per la strada che la ragazza mi aveva indicato. Forse mi ero sempre fatto un'idea troppo dura delle persone sconosciute. Sì, dai, non possono mica essere tutti cattivi e sgradevoli. Ma poi, un altro pensiero mi fece riflettere. Quella ragazza era stata così gentile con me. Ma avrebbe dimostrato il medesimo atteggiamento anche se avessi mostrato il mio volto? ...
 
- Un biglietto per Parigi, per favore -.
Trovare la stazione era stato davvero facile, proprio come mi aveva detto la ragazza. Per via del buio della serata non potevo scorgere i minimi dettagli, ma era ben visibile un cumulo di fumo nero che si addossava nel cielo, confondendosi un po’ con le nuvole vaporose. Accanto ai cancelli della stazione vi era una specie di cabina, con la luce di una lanterna che illuminava la scritta " Biglietteria ". Mi trovavo proprio lì, emozionato e ansioso di partire.
- Presenti il visto di uscita - disse l'uomo nella cabina, alto e possente, con una voce cavernosa. Assomigliava in un certo senso all'orco delle favole che leggevo nelle ore solitarie, nella mia stanza all'orfanotrofio. A quelle parole, lo guardai confuso, non capendo cosa volesse. Forse non ero stato chiaro.
- Ehm...ho bisogno di un biglietto per il treno verso Parigi - ripetei la mia richiesta, cercando di essere chiaro e senza intoppi.
- Ha con lei il visto di uscita? - mi domandò l'omone, mentre avvertivo qualche bisbiglio dietro alle mie spalle. Infatti, dietro di me c'era una fila di almeno 5 o 6 persone, tutte che aspettavano il proprio turno. A quel punto, colto dalla confusione totale, non sapevo cosa dire. Cos'era il visto di uscita?
- Ehm...il visto di uscita...? - ripetei, guardandomi attorno, come se cercassi aiuto o una risposta da qualche parte.
- Niente visto di uscita, niente biglietto! - mi urlò in faccia (del tutto coperta dall'ombra del cappuccio) il tizio della cabina, esplodendo con quella voce che mi fece sussultare e spaventare. Sentendo la vergogna e il disagio del momento, mi allontanai da quel posto, con Djali che mi seguiva belando contrariata. Che dire, avevo avuto la prova che non tutte le persone sanno essere gentili, indipendentemente dal tuo aspetto esteriore. Mi fermai su una panchina di pietra per riposare. La stanchezza si stava facendo sentire. Amareggiato sospirai rumorosamente. Adesso cosa faccio? Come avrei potuto prendere il treno per andare a Parigi, se mi ero trovato quell'ostacolo chiamato " visto di uscita"?
- Problemi con i documenti di viaggio? - fece una voce maschile, a me sconosciuta. Mi girai di scatto e vidi che accanto a me si era seduto un uomo. Era molto alto, possente e protetto da una mantella di lana pesante e un cappello con falda larga. Nonostante il collo alto della mantella gli coprisse metà volto, potevo vedere i suoi grandi occhi neri, così marcati ma per nulla duri. Il tono della voce era profondo, ma non mi dava l'impressione che appartenesse a una persona sgradevole. Mantenendomi sempre al riparo dal mio cappuccio, feci un cenno un po’ confuso al nuovo arrivato. Cosa voleva da me?
- Ho sentito che stai cercando un treno per andare a Parigi. Sai, se non hai i documenti, cioè le scartoffie giuste, per poter viaggiare, temo che sia impossibile poter lasciare il paese - continuò a parlare quell'uomo misterioso. Prima che potessi aprire bocca per rispondere, il tizio allungò il collo come se volesse guardarmi meglio. Una nuova ansia mi pervase, e allora per sicurezza mi voltai dall'altra parte.
- Porgimi la mano, amico - mi disse, con tono più gentile. In quel momento ebbi emozioni contrastanti. Non sapevo se fidarmi o meno di quello sconosciuto.
- Non temere, voglio solo darci un'occhiata - mi rassicurò lui, aspettando pazientemente la mia reazione. Tornai a guardarlo con la coda dell'occhio e notai i tratti del suo sguardo, così benevolo che alla fine mi convinse ad allungare il braccio verso di lui. Per qualche minuto studiò la mia mano, facendo scorrere il dito indice su ogni linea della pelle. Che strano, aveva tutta l'aria di essere una sorta di indovino.
- Ti aspetta un lungo viaggio - mi disse - Quando la tua via si intreccerà con la sua gemella, tutto ti sarà chiaro, e allora scoprirai la verità -.
Quelle parole, così insensate, mi fecero cadere in uno stato confusionario. Cosa intendeva dire? Cosa mi aspettava in quel viaggio? Come se mi avesse letto nel pensiero, il tizio mi diede una leggera pacca sulla spalla, come faceva il mio caro amico Klaus. Una piacevole sensazione si fece largo dentro di me. Chissà chi era quell'uomo? Avrei voluto tanto vederlo bene in faccia, ma non era possibile dato che era semicoperto dalla lana.
- Ti do una dritta. Cerca Esmeralda Trouillefou, lei è l'unica che possa aiutarti - mi informò, quasi sussurrando per non farsi sentire da altre orecchie.
- Davvero? - feci sentire finalmente la mia voce, con tono lieve - Dove posso trovarla? -.
Prima di rispondermi, si guardò attorno con fare furtivo, come se quella informazione fosse molto preziosa.
- Vai al vecchio palazzo reale. La troverai di sicuro, insieme a suo fratello Clopin - rispose.
Ero già sul punto di muovermi, ma fui nuovamente attirato dalla voce del tizio.
- Mi raccomando. Non dirle assolutamente che sono stato io a darti questa informazione. Chiaro? - mi ammonì, facendomi segno col dito all'altezza delle labbra, evocando l'assoluto silenzio. Da parte mia, annuì più di una volta, assicurandolo della mia complicità. In fondo non mi costava niente, l'importante è che grazie a questa Esmeralda sarei riuscito a trovare il modo di partire. L'esuberanza di Djali, che era rimasta fino a quel momento calma, attirò la mia attenzione. Sembrava che anche lei fosse ansiosa di andare, così mi ricaricai in spalla la borsa, pronto per incamminarmi. Poi, ricordandomi dell'uomo che mi aveva letto la mano, mi girai per poterlo ringraziare. Ma mi accorsi che lì accanto a me, non c'era più nessuno. Il tizio misterioso si era dissolto nel nulla, come una nuvola di vapore. Feci vagare gli occhi da una parte all'altra, sicuro di scorgerlo in lontananza. Ma niente. Era letteralmente scomparso. " Mi sono immaginato tutto? O forse era un fantasma? " pensai. No, non era possibile. Quella era una persona in carne ed ossa. Un uomo senza nome e senza volto, era accorso in mio aiuto, senza pretendere niente in cambio. Per qualche secondo fissai il palmo della mia mano.
" Chiunque tu sia, amico, ti ringrazio profondamente".
Che freddo! Spero solo che questo sia il posto giusto. Dopo aver ricevuto alcune informazioni, ero riuscito ad arrivare a destinazione. Il palazzo che si ergeva davanti a me era enorme e maestoso. In passato doveva essere davvero uno splendido edificio. Mi era stato detto che ormai quel posto era stato abbandonato a se stesso. Nessuno ci metteva piede, anche perché era proibito andarci. Questo spiegava il motivo per cui tutte le porte d'ingresso fossero sbarrate, per evitarne l'accesso a potenziali vandali. Ma come era possibile, allora, che questa Esmeralda, la persona che stavo cercando, si trovasse proprio lì? Mentre mi ponevo varie domande, sentì uno strano rumore. Ebbi il tempo di vedere Djali che si infilava in un buco tra le travi di una porta. Quella fessura era abbastanza grande da permettere a una capretta ficcanaso di penetrarvi senza alcun problema.
- Djali! - la chiamai, avvicinandomi all'ingresso sbarrato. Ma per quanto insistetti per richiamarla, la mia amica non tornò indietro. Allora feci l'unica cosa che potessi fare. Con forza tirai alcune travi di legno, inchiodate tra loro. Non fu così difficile, e in pochi secondi liberai l'ingresso, facendo volare via quei pezzi ammuffiti. Dieci anni passati a fare il " mulo personale" del direttore, all'orfanotrofio, dove scaricavo ogni giorno pacchi pesanti, mi erano serviti in qualche modo. Senza perdere altro tempo, mi affrettai ad entrare, con la speranza di ritrovare subito la mia capretta. Lì dentro, c'era un'oscurità che avrebbe fatto gelare il sangue a qualsiasi orfanello. Ma io non ebbi alcun timore, e lasciai che i miei occhi si abituassero al buio. Man mano che mi addentravo mi accorsi che il luogo assumeva sempre più forma, contorni e toni di grigi. Grazie alle ombre che levigavano le forme, riuscì a salire una grande scalinata e mi trovai al piano superiore. Lì, trotterellando su un tappeto in mezzo alla stanza, con gli zoccoli che producevano rumori sordi, vi era Djali. Quando mi vide, emise uno dei suoi versi, come se fosse contenta di averla raggiunta.
- Eccoti, piccola birbante! - le dissi, spettinandole con le mani la pelliccia. A quel punto, la mia attenzione si spostò su tutto ciò che mi circondava.
Nella penombra potevo constatare di trovarmi in una saletta da the, con un tavolo rotondo ancora imbandito e pieno di vari servizi di porcellana. Una spessa patina di polvere rivestiva ogni oggetto. Era ovvio che in quel posto nessuno ci era stato più da moltissimo tempo. Mi soffermai su un piatto in particolare, uno di quelli che si usavano per servire dolci e crostate. Soffiandoci sopra si sollevò il velo di polvere, così la lucentezza della superficie mi mostrò il riflesso del mio volto. Potei vedere quegli occhi color verde prato, marcati dalle sopracciglia brune rossicce, e quei lineamenti che descrivevano la mia triste deformità. Un momento! Fu un attimo che durò un solo secondo, eppure ero certo di aver visto il mio viso trasformarsi. Era di sicuro il mio volto, ma più maturo e dai tratti che avrei definito "normali". Forse me lo ero solo immaginato. Sbattei per due volte le palpebre e distolsi lo sguardo da quel servizio da tavola, per poi dirigermi verso un angolo. Ero certo che quella fosse la prima volta che mettevo piede in quel palazzo. D’altronde, a parte l'orfanotrofio, in quale altro posto poteva esser stato uno come me? Eppure, e non so come spiegarlo, ma più mi guardavo attorno, più avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di familiare.
- Strano...- pensai ad alta voce, mentre mi avvicinai a un comodino con la specchiera - Ho come l'impressione di aver già visto questo posto. Forse, in uno dei miei sogni...-.
Ma come poteva essere possibile? Non si può sognare un posto, un luogo, qualunque cosa, senza averla mai vista. Tutto ciò non aveva senso. Passai le mani sulla superficie di un vaso, decorato nei minimi dettagli. Alzai lo sguardo e di nuovo mi scontrai con il mio riflesso sulla specchiera. Per un attimo mi aspettai di rivedere il mio volto cambiare di nuovo, ma non accadde. Allora, mi allontanai e uscì da quella sala. La curiosità di perlustrare quel posto, così nuovo, ma non del tutto, mi attirava più del profumo del pane caldo a prima mattina. Non sentivo nemmeno più i suoni prodotti dagli zoccoli di Djali. Il silenzio che sarebbe dovuto regnare il quel posto desolato, riecheggiava nelle mie orecchie fino a tramutarsi in una dolce melodia. Era un suono che andava e veniva. Proprio come quel luogo, era qualcosa che per logica doveva risultarmi sconosciuta, ma nel mio animo era l'esatto contrario. Davanti al mio sguardo si allungava una sala immensa, con quadri posti sulle mura tappezzate, e un fascio di luce lunare filtrava dalle finestre, donando un'atmosfera suggestiva. La mia mente, che era sempre stata influenzata da sogni fantastici, come quelli che facevo ad occhi aperti da piccolo, mi portò lontano dalla realtà. Eccomi, nel bel mezzo di un ballo sfarzoso, con la sala gremita di coppie vistosamente vestiti e che ballavano volteggiando nello spazio. Il suono di un'orchestra rimbombava, con mille violini e violoncelli, che ti sapevano scuotere nella parte più profonda della tua anima. Mi liberai della sciarpa. Mi spogliai del mio soprabito e lo feci volare per aria. Senza alcun indugio, mi fiondai in mezzo alla sala, cercando di mimare una danza trascinandomi con i piedi sul pavimento. Stavo immaginando di essere un principe, con tanto di vesti regali e ornamenti preziosi. Non so, ma più andavo avanti con quel sogno ad occhi aperti, più tutto mi sembrò così vivido, lucido. Sembrava che quelle stesse persone, quella stessa melodia, tutto ciò che stavo immaginando fosse davvero reale. Perfino le quattro fanciulle, una più graziosa dell'altra, che mi presero per mano in un giocoso girotondo, mi sembravano vere. No, era tutto finto. Quelle dolci donzelle, abbinate in due coppie con gli stessi abiti, mi sorridevano teneramente e non provavano alcun ribrezzo nei miei confronti. Non potevano che essere il frutto della mia mente. Poi, a un certo punto, la musica tacque, e qualcun'altro fece la sua comparsa. Era una donna bellissima.
Portava un abito che le conferiva l'aria di una sovrana. Con la pelle ambrata, gli occhi scuri, e un sorriso che mi scaldava il cuore, sembrava un angelo sceso in terra. Anche se si trattava di un gioco della mia fantasia, le sorrisi a mia volta, e come un perfetto cavaliere mi inchinai al suo cospetto, in segno di rispetto e ammirazione.
- Ehi! -.
Una voce si elevò in tutta la sala, facendo sussultare Kazy come non mai. Quando i suoi occhi si alzarono, diretti verso la fonte di quella voce, in un primo momento pensò di trovarsi ancora davanti a quella splendida creatura.
- Che cosa ci fai qui?! - disse ancora quella voce, che usciva dalle labbra di una giovane, con la stessa pelle ambrata e gli stessi capelli corvini.
Il ragazzo non era più certo di trovarsi nel mondo dei sogni o nella cruda realtà. Troppo scosso si alzò e si affrettò zoppicando verso la grande scalinata. La certezza che quella persona fosse reale, arrivò nell’esatto momento che si udirono i passi che si stavano avvicinando. Oh no, dov'è il mio cappotto? Non deve guardarmi in faccia! Pensava allarmato Kazy. Intanto, il belare di Djali riecheggiava per tutto lo spazio, come un allarme impazzito.
- Aspetta! Fermo! - disse la ragazza che lo aveva finalmente raggiunto. Col fiatone, Kazy si fermò proprio davanti a un grosso quadro, sentendosi in trappola.
Molto lentamente si girò, e con il cuore che gli batteva a mille si mostrò alla nuova arrivata.
- Come...come sei entrato...qui? -.
Esmeralda cercò di riprendere fiato, ma i suoi occhi color smeraldo rimasero fissi sul volto di Kazy. Una strana sensazione, diretta, esplosiva, come una folgorazione illuminò la bella gitana. Senza dirsi nulla, i due giovani si limitarono a guardarsi negli occhi. Due anime così differenti, ma dal medesimo destino, si erano appena incontrati sui rispettivi sentieri, ormai incrociati tra loro.
 
Angolo dell'autrice
 
Dedico questo capitolo alla mia amica Dreamereby, che oggi è anche il suo compleanno, e spero vivamente che la storia le stia piacendo sempre di più <3 Tanti tanti auguri, mon cherì <3  
   
 
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