Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Shjeld    14/02/2020    0 recensioni
[dalle serie "A Witch Made World"]
San Valentino è alle porte e una ragazzina come tante chiede aiuto a una ragazzina come poche, una ragazzina priva del senso arcano chiede aiuto a una strega, l'emarginata della scuola chiede aiuto alla più popolare.
(Abbiamo deciso di lavorare al world-building attraverso una serie di racconti che esploreranno la cultura di un mondo in cui la magia non solo esiste ma è commercializzata: impacchettata e venduta.
Immaginando quelli che possano essere i lati positivi e negativi della magia una volta inserita e confrontata con tutti gli aspetti della realtà.)
Genere: Fantasy, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 


La baraonda generata dalla mandria di adolescenti che brulicavano fra le mura della scuola media Oreste Giorgi era fin troppo assordante per Clarissa. Le urla, gli schiamazzi e gli sfottò scuotevano le fondamenta dell'edificio stesso in quell'infernale quarto d'ora di ricreazione.

Era solita passarlo da sola, nella rampa di scale che conduceva al terzo piano, al quale gli studenti non avevano accesso. Un vero e proprio nascondersi da quando un paio di anni prima si sedette su una gomma da masticare e fu assediata da scherni di ogni genere, tanto che  da quel giorno, bersagliarla divenne il passatempo delle più bestiali creature. Non subì, a onor del vero, nessun episodio particolarmente aggressivo e quei ragazzini possedevano comunque un cervello ancora troppo distante dall'essere pienamente formato da imputare loro una responsabilità piena delle proprie azioni.

Ma questo lei non lo sapeva. E forse neanche le importava. Era certo, però, che non seppe trovare la forza necessaria dentro di sé per reagire nel migliore dei modi e che, a malincuore, la sua autostima ne risentì.

Una felpa nera ne nascondeva le goffe e acerbe forme, particolarmente tondeggianti. Le mani, coperte fino alle nocche dalle maniche, accompagnavano il panino alla mortadella con formaggini alla bocca e le sue guanciotte si gonfiavano mentre le sue labbra sottili si ricoprivano di briciole.

Lo aveva quasi terminato quando udì una voce che la fece pietrificare: il cuore le saltò in gola, scalciava desideroso di risalire fino alla sua bocca e fuggire. Era assolutamente convinta che quello fosse Vero Amore. Ne aveva sentito parlare in così tanti film, ne aveva letto anche in quel paio di libri che aveva ma la sua fonte più autorevole era il suo cartone animato preferito “Vampire High School”, in cui la protagonista Hope non risparmiava nei suoi monologhi interiori di sottolineare le palpitazioni che provava ogni qual volta che Eduardo le rivolgeva uno sguardo enigmatico.

Sia chiaro, per quanto fosse giovane era perfettamente consapevole che tutta quella storia fosse molto lontana dalla verità; vampiri?! Rideva alla sola idea.

Ma lei si era diagnosticata ogni singolo sintomo di mal d'amore che sapeva di condividere con la sua eroina Hope.

A nutrire le sue speranze non era tanto la scelta poco fantasiosa degli autori del cartone animato che l'aveva tanto appassionata, ma il fatto che la protagonista non fosse particolarmente carina. Anzi, senza cattiveria, Clarissa stessa non faticava ad ammettere che Hope fosse una ragazzina anonima, proprio come lei, nascosta in quella grande felpa, seduta sugli scalini di quella rampa di scale inarrivabili per i trecento alunni dell'Istituto.

Si era quasi persa nel riconfermare a sé stessa quanto amasse Filippo (lo aveva confermato anche la rivista «Strega Moderna») che fu necessario che il ragazzino parlasse ancora con i suoi amici per destarla dai suoi pensieri. Inghiottì quel che aveva ancora in bocca del panino e posò, incartando quanto più velocemente e silenziosamente possibile, quello che ne restava sullo scalino dietro di lei.

Scivolò sul marmo, esitò a sporgere la testa oltre l'inferriata e lanciare un'occhiata di sotto. Ma lo fece.

E lo vide: Filippo era il più alto fra i suoi amici, un metro e cinquanta circa. Ed era uno dei fortunati adolescenti a non subire rinculi ormonali: i suoi tratti maturavano e mutavano in quelli di un futuro uomo ma la sua pelle non era toccata da putridume, brufoli e acne di alcun genere. Un ciuffo di capelli castani ne copriva spesso gli occhi, quel taglio tornato infatti di moda risvegliava gli ormoni delle ragazzine, eccome se li risvegliava!

L'ingenua Clarissa non aveva la benché minima idea che ciò che viveva, ricadeva nel cliché della ragazzina imbranata e timida che si innamorava del più figo della scuola e fu con estrema convinzione che si martoriava i pensieri per escogitare un modo per approcciarsi al gruppo di ragazzi prima che tornassero in classe.

Un paio di stagioni del telefilm della sua vita più tardi ma solo pochi secondi dopo, Filippo uscì dalla sua area di osservazione dopo un'insensata conversazione fatta di battute assimilate da qualche star dei social e di una poco avvincente discussione sul chi fosse più bravo a giocare a FourNight. Ma lei non se ne accorse. Non subito.

Quando lo fece si maledì e scoppiò a piangere. Un'esplosione di singhiozzi, lacrime che strabordavano dai suoi occhi marroni.

Perché non poteva essere come Hope? Perché Filippo non poteva sorriderle nella penombra di un corridoio come il misterioso Eduardo? Perché doveva passare tutta la sua vita da sola e senza amore?

Il pianto isterico durò poco. Nessuno la sentì piangere. Le emozioni a quell'età sono particolarmente mutevoli e piangere più di cinque minuti era raro. Si asciugò le lacrime con le maniche della felpa, in quel momento si sentì proprio come Hope, era un gesto che le aveva visto fare diverse volte. Lo stomaco le si era comunque chiuso, se ne accorse quando guardò con dispiacere quel paio di morsi della rosetta.

Prese il cellulare e le lacrime tornarono a minacciarla non appena vide la data e l'importanza della stessa, che aveva momentaneamente rimosso per colpa della testa fra le nuvole che la caratterizzava. Era il tredici febbraio. Mancava un solo giorno a San Valentino!

Un fuoco le si accese in petto, una forte determinazione scorreva dentro di lei e si sentiva potente, in grado di realizzare qualsiasi suo desiderio. E ciò che più desiderava al mondo era non passare il suo quattordicesimo anno sola nella festa degli innamorati.

Aveva saputo che anche Matteo, detto il brufoloso, quest'anno aveva una fidanzata. Lei era davvero peggio di Matteo il brufoloso? No, non lo era e non lo accettava.

Guardò l'orologio, aveva ancora cinque minuti prima del suono della campanella. Avrebbe raggiunto Filippo e davanti a tutti gli avrebbe decantato i suoi sentimenti. «Costi quel che costi!» Disse fra sé e sé mentre si innalzò come Giovanna d'Arco circondata dalle fiamme della passione. Scese gli scalini con la testa alta, adornata di quel rosso candore che le faceva da guida, almeno fino al porre la pianta del piede oltre l'ultimo scalino.

Tutto si spense e morì scontrandosi con la realtà. Non esitò un secondo a scappare  nella direzione opposta della classe di Filippo, la Terza B, verso il suo secondo posto preferito dell'Istituto: il sottoscala in cui si rifugiava quando c'era un via vai inspiegabile per il terzo piano da parte dei professori e si stancava presto dei loro tentativi di spronarla a farsi amicizie.

Mentre scendeva la seconda rampa di scalini con una fretta pericolosa, vide Miriana. Stranamente non fu sollecitata dal solito sentimento di naturale antipatia verso la più bella della scuola, nonostante la ragazzina dai capelli biondi e dagli occhi azzurri non le avesse mai fatto nulla di male. Aveva ottimi voti, era gentile e simpatica e sembrava essere l'unica a non essersi accorta di quanto fosse bella e di quanto tutti, studenti e professori, sembravano cadere vittima del suo fascino.

Tuttavia, ciò che solleticava la piccola testolina di Clarissa circa la bella Miriana non aveva nulla a che fare con la catena alimentare dell'istituto ma con la sua discendenza. Miriana era una strega, appartenente a una famiglia di streghe. E lei aveva bisogno proprio di una strega.

Tale discendenza all’Oreste Giorgi era più unica che rara, la maggior parte dei suoi studenti erano semplicemente privi del senso arcano tant’è che un solo famiglio supervisore, un bassotto di nome Males, si aggirava per i corridoi dell’istituto.

Clarissa attese qualche istante nell'angolo, osservando l'altra ragazza ammaliare senza volerlo una sua coetanea prima che quella andasse verso la macchinetta automatica per comprare qualche snack. Non le si sarebbe presentato altro momento più propizio per avvicinarla.

Non seppe come ma le si parò davanti. 

«Ciao.» Parlò, e non seppe come riuscì a fare nemmeno quello.

«Ciao.» Rispose Miriana, dopo un breve attimo in cui la sorpresa balenò sul suo faccino. «Sei Clarissa, vero?» E Clarissa odiò il fatto che l'altra la conoscesse e che pronunciasse il proprio nome con tanta grazia. Non credeva di averlo mai sentito suonare tanto bene come pronunciato dalle labbra carnose e rosee della strega. «Mi piace tantissimo come ti vesti! Purtroppo io ho la pelle troppo chiara, se indossassi il nero come fai tu... sembrerei un fantasma!» Rise. E la cosa, congiunta al complimento, mise in discussione tre anni di antipatia ingiustificata di Clarissa. Ma l'avrebbe eventualmente rivalutata dopo.

«Avrei davvero bisogno del tuo aiuto.» Annuì. «Sei una strega, giusto? Puoi prepararmi una magia?»

La sorpresa che attraversò il volto della giovane ragazza fu niente in confronto allo stupore che le permaneva in quel momento. «Non mi aspettavo una richiesta del genere... e poi non sono neanche troppo brava, mia sorella sì che ha l'indice magico!» Con un sorriso e tutta l'amabilità del mondo la strega sembrava sul punto di declinare la richiesta.

«Sono stanca!» Sbottò Clarissa, prima che l'altra potesse porre fine a quella conversazione, sfogando tutta la rabbia che aveva represso fino a quel momento. «Giorno dopo giorno a mangiare da sola, senza nessuno che voglia stare con me, senza che io tiri fuori il coraggio di lottare per i miei sogni e desideri!» Vi era sicuramente dell'energia in quelle parole, e anche una profondità che, per quanto superficiale, era assente in molti dei suoi coetanei. Come un palombaro con una luce troppo poco potente per esplorare la completezza del fondale marino.

Miriana portò l'indice sulle labbra, mugugnando. «Un incantesimo per infondere coraggio? Per migliorare la propria autostima? Se ci teniamo sul semplice, dovrei riuscirci.» Tuttavia quell'energia grezza convinse la strega, e la sua indole altruista le impediva di voltare le spalle ad un'anima in pena.

«No.» Clarissa scosse la testa con vigore. «Voglio far innamorare una persona!»

L’espressività di Miriana non arrivava a tanto. «Oddio.» Portò la mano dinanzi la bocca. Rifletté a lungo, almeno così sembrò a entrambe. Ma furono meno di un paio di minuti prima che la campanella le stordì. «Vediamoci oggi pomeriggio a casa mia. Ti aspetto alle cinque. Prima devo fare Matematica.»

 

Clarissa attese con spropositata concitazione l’imbrunirsi del giorno. La Luna era alta nel cielo, per la prima volta in vita sua si interrogó sulla sua presenza: poteva giovare al rito che Miriana si apprestava a praticare per lei o poteva addirittura compromettere la sua riuscita? 

Le tinte dorate e rosse regnavano sulle nuvole e tingevano di rosso la stessa luna mentre il rosa attecchiva sporadicamente su qualche nuvola più alta. I lampioni del viale che percorreva la giovane ragazza sfarfallavano e le luci elettriche dissipavano ogni timore o dubbio che ella potesse maturare circa le sue azioni. 

Era diretta alla villa dei Cagliostro, l'unica famiglia secolare di un certo spessore all'interno della sua piccola città. 

«Sei riuscita a finire le espressioni?» Miriana sembrava già avvezza all'uso convenevole della conversazione. 

«Sì, sì.» Mentì Clarissa. Anche se non aveva neanche sfiorato col pensiero l'idea di dover fare gli esercizi di matematica. «Iniziamo?»

«Shh!» Miriana la guardó con gli occhi sbarrati. Tacitamente, poi, la invitò a seguirla in giardino e si recarono nel capanno degli attrezz.

«Ho rubato questo dallo studio di mia nonna.» Disse Miriana, indicando un grimorio che aveva tutta l'aria di essere antico. «È il suo Libro delle Ombre, un giorno sarà mio. Quindi non è neanche un vero furto.» Si giustificò. La verità è che anche lei provava una certa eccitazione per quella situazione. Non aveva mai praticato un incantesimo tanto complesso. O almeno credeva che fosse complesso, così se li immaginava gli incantesimi d'amore: intricati come una ragnatela sulla quale bisogna essere ragni che mangiano mosche, per non essere mosche mangiate da ragni.

«Dici che lo trovi in fretta?» Disse con impazienza Clarissa.

«Calmati. Sei stata sola per tutta la tua vita, cosa ti cambiano cinque minuti in più?» 

«Proprio perché lo sono stata tutta la vita ogni attimo di troppo che passa è una vera agonia.» Si fece seria, troppo seria. 

Ma ciò fece sì che Miriana si affrettasse nella sua ricerca, prese a sfogliare il grande tomo dalle pagine ingiallite e dai bordi usurati dal tempo. L'indice guidava gli occhietti vispi e l'altra mano giocherellava con i boccoli dorati. 

Erano entrambe sedute su due sgabelli di legno decisamente alti per la loro statura e poggiavano i gomiti sul ripiano da lavoro.

Nell’attesa, lo stato d'animo di Clarissa si fece più quieto. Prese a guardarsi intorno, tra i vari attrezzi vi erano anche molteplici piante da giardino e fiori variopinti. Si chiese se la passione del giardinaggio di un qualche membro della famiglia avesse a che fare con la produzione di ingredienti per gli incantesimi o se fosse un hobby disinteressato.

Non seppe trovare risposta, quei ciclamini porpora le sembravano ciclamini porpora.

Il ripiano da lavoro era di castagno? Aveva letto che fosse un legno che alimentava le energie per i lavori in casa, la perseveranza contro le lunghe sfide. O forse era un semplice tavolo da lavoro.

Era la prima volta che entrava in contatto con la magia. In città vi era anche un negozio Witchware ma lei non aveva mai comprato niente, neanche le caramelle frizza-felicità: ne prendi una e sei subito felice, negli anni ‘80 erano illegali ma un decennio di studi hanno sbugiardato le falsità sui loro effetti collaterali.

L'atmosfera cominciava a farsi densa quando nel silenzio del suo guardarsi intorno, nella monotonia dello sfogliare il libro, un rumore sordo di un vaso che cadeva le sorprese facendole saltare sugli sgabelli. 

«Eduardo!» Sgridò il gatto nero, che miagolava su una mensola affissa alla parete e i cocci, il fiore e la terra sul pavimento. 

«Vedi Vampire High School?» Chiese Clarissa subito, allettata dall'idea di potersi liberare di tutte le sue teorie sulla vera identità della matrigna di Hope e il potere segreto di Giusy, la sua amica del cuore. 

«Sono ancora alla seconda stagione, niente spoiler!» Poi rise. E rise anche Clarissa, che finalmente vedeva la possibilità che un giorno una conversazione che vertesse sul suo argomento preferito potesse giungere. «Ma

... lo sai che Eduardo non esiste e la magia non può farci niente, vero?» Nella mente della streghetta balenò l'idea che l'altra volesse far innamorare il personaggio di un cartone animato.

«È Filippo.» Confessò immediatamente, forse più imbarazzata all'idea che Miriana pensasse fosse così disperata da innamorarsi di un disegno.

«...chi?»

«Filippo! Della terza B!!!» Esclamò con veemenza. «Vabbè, nel frattempo pulisco.» Ma non fece in tempo a fare due carezze al gatto dopo essere scesa dalla sgabello che l'altra, tornata a leggere incantesimi, saltò sulla sedia.

«Eccolo!» L'entusiasmo si spense sotto una valanga di neve e gelo.

«Cosa c'è?» Chiese. «È troppo difficile? Non riesci a farlo?» 

Miriana scosse la testa. Non era la difficoltà del rituale ad averla inevitabilmente spenta. 

«E allora?» 

«Un ingrediente è… molto particolare…» cercò nel viso altrui una conferma per proseguire o attendere ma poté scorgere solo determinazione «…sangue…» esitò ancora, i suoi genitori le avevano spiegato che non c’era assolutamente nulla di innaturale o di cui vergognarsi al riguardo, per cui terminò la frase «…del tuo ciclo mestruale.» 

Clarissa non vacillò neanche un momento. Voleva porre fine alla sua solitudine, voleva smetterla di essere l’emarginata e raggiungere finalmente la rivincita sociale nei confronti di tutti i suoi aguzzini nella scuola fidanzandosi con il più bello.

Se ci fosse riuscita, avrebbe dimostrato a tutti e soprattutto a sé stessa che era degna di rispetto, che aveva valore come persona e che non potevano prenderla in giro. Non più.

E poi lui l’avrebbe protetta, stretta fra le sue braccia e riempita di caldi baci in grado di infondere in lei stima e amore tocco dopo tocco. «Per fortuna sono al secondo giorno. Ne avremo più che a sufficienza.»

Miriana continuava a stupirsi del comportamento della compagna di scuola; era così eccessiva e allo stesso tempo così risoluta.

«Qui ce ne sono anche altri…» Puntualizzò la ragazza bionda, il grimorio era pieno di note e indicazioni scritte ad ogni angolo dalla mano poco precisa della sua nonna ma a Clarissa tutto ciò non interessava. «...anche se delle note specificano che il sangue mestruale o il liquido seminale siano gli ingredienti più potenti per una fattura d’amore.»

«Non pensarci!» La interruppe Clarissa. «Non voglio che l’uso di un rito meno potente possa rovinarmi la vita!» 

Arresasi alla ferrea volontà dell’altra ragazza gli occhietti di Miriana indagarono sul grimorio ancora una volta, vi era il disegno del cerchio magico da tracciare. «Non capisco perché mi sia preoccupata così tanto per questo rituale, è semplicissimo!» E infatti bastava accendere una candela rossa all’interno del cerchio magico e far versare delle gocce di sangue sulla fiamma dalla persona che desiderasse il legame di sangue dopo che ne avesse opportunamente evocato le energie magiche.

Prese a copiare il pentacolo su un foglio di carta, con una semplice penna bic. Non le ci volle molto, ne fece uno piuttosto piccolo e lo fermò con una candela scarlatta sul legno.

Clarissa confermò che la passione del giardinaggio avesse fondamenta magiche, considerando la grande quantità di candele colorate presenti in un armadio.

Nel momento in cui accese la fiamma sulla punta della cera, Eduardo sfuriò con tutto il pelo irto e raggelò l’atmosfera prima di scappare via attraverso la porta socchiusa del capanno.

Le due ragazzine si guardarono in faccia, se Miriana cominciava a mettere in dubbio il da farsi Clarissa non aveva intenzione di arrendersi.

«È solo un gatto.» Tentò di tranquillizzare la strega. «Tutti gli animali hanno paura del fuoco.»

Miriana si rese conto di quanto disperata doveva essere Clarissa per desiderare con tale cecità quell’incantesimo; e non seppe dirle di no.

«Devi recitare questa formula, pensando intensamente a Filippo mentre versi qualche goccia di sangue sul fuoco.» Scrisse una formula antica su un foglietto di carta e gliela passò.

«Tutto qui?» Interrogò la ragazzina. «Lo avrei potuto fare benissimo a casa da sola...»

«Se non ci fossi io ad incantare la candela e il cerchio non succederebbe nulla. Io preparo l’incantesimo, tu lo usi.» Puntualizzò la strega.

Dopo di che, inspirando cercò di concentrarsi per lasciar fluire le proprie energie magiche nel rituale. La fiamma della candela sembrò subito divampare, crebbe esponenzialmente e l’aria si fece pesante.

«Procedi.» Disse.

«Basta che ti giri un attimo.»

Miriana non osò dire nient’altro, limitandosi a roteare sullo sgabello per darle le spalle.

Così, la ragazzina paffutella senza imbarazzo si calò i jeans blu e con essi le mutandine. Ed eccolo lì, l’assorbente con le ali pronto a far spiccare il volo alla vita di Clarissa. O forse no, dato che era ancora immacolato. Se l’era giustamente cambiato prima di uscire di casa, non avrebbe mai pensato che le sarebbe stato necessario. 

Ma non era ancora pronta a demordere, con la formula in una mano, utilizzò l’altra per toccarsi, chiudendo gli occhi, come se in quel momento fosse scomparsa, e dopo poco sollevò l’indice e il medio sporchi di sangue denso e scuro.

Non sembrò neanche schifata.

Agapi Pan Pathos Synasthima.” Disse. E disse ancora. E lo ripetè anche una terza volta immaginando il faccino pulito di Filippo e sognando già il giorno in cui le sarebbe stato legato indissolubilmente.

Il tavolo cominciò a muoversi mentre le dita portatrici di sangue sovrastavano la fiamma. Le mosse dal basso verso l’alto e viceversa, cercando di affrettare il lento scivolare delle gocce.

Quando la prima toccò la fiamma questa crebbe ulteriormente, una vampa di fuoco le illuminava il sorriso capriccioso e ingenuo. Il colore stesso, passò dal rosso e dal giallo all’azzurro e al verde.

Il suo viso avvertì il calore, la pelle già secca.

Figurava già il miglioramento della sua vita. Quando la porta si spalancò con forza, dall’oscurità della sera emerse la figura di una donna anziana dai capelli grigi raccolti in spesse  trecce a incoronarle il capo. “Interrumpo Arcana, Disperdo Vires, Expello Veneficia!” Formulò Grazia, la nonna di Miriana, un crescendo di potere e autorità ad ogni parola di comando.

Un colpo sordo tappò le orecchie di Clarissa, la vestaglia della anziana garrì come una bandiera quando un forte vento invase il capanno mettendo a soqquadro la stanza: le piante furono spinte a terra, i vasi dalle mensole furono sbalzati sul pavimento, gli attrezzi da giardinaggio andarono a sbattere contro la parete opposta alla porta e la fiamma azzurra si estinse. Il volto di Clarissa si tinse di stupore nel vedere quella scena, confusa da cosa stava accadendo. Ma come iniziò quella folata di vento si interruppe. Miriana era scesa dallo sgabello rannicchiandosi con la testa fra le mani per ripararsi.

Il tempo sembrò smettere di scorrere mentre Clarissa sosteneva appena lo sguardo della nonna di Miriana e sentiva le guance andarle in fiamme e la bocca seccarsi di colpo.

Il miagolio di Eduardo, che usciva dalla vestaglia color turchese della nonna di Miriana tagliò in due l’aria e come da una doccia fredda le due ragazzine furono investite dall’estrema consapevolezza delle loro azioni.

Clarissa era pietrificata, ancora con le braccia lunghe contro  fianchi e le braghe alle caviglie.

Miriana si alzò e camminando all’indietro inciampò su un rastrello senza distogliere lo sguardo terreo dal viso di Grazia, come se allontanarsi potesse discostarsi fisicamente da tutto ciò e presentare una versione alternativa ai fatti che non fosse come sembrava.

Ma non fece in tempo a parlare. «Cosa ti è saltato in mente?» La voce di Grazia era leggera e pesante allo stesso tempo, Clarissa ne riconobbe l’armonia che caratterizzava i modi di Miriana ma vi era una controparte di forza e potenza di cui l’ultima era priva. «Rubare il mio libro delle ombre, esercitare una magia nera delle più potenti e pericolose come una magia di sangue si può rivelare…» lasciò solo immaginare le conseguenze  «...con la tua inesperienza! E tu signorina, ricomponiti!» Il comando martellò Clarissa e si riscosse dalla paralisi scattando a rivestirsi.

Miriana sembrò capire solo in quel momento la gravità della situazione, non aveva prestato granché attenzione all’incantesimo, forse avrebbe fatto meglio a leggere tutti quegli appunti.

«Per giunta, un legame!» Era difficile comprendere se fosse adirata, preoccupata o terrorizzata. «Ma non riuscite a capire quanto ciò che volevate realizzare fosse profondamente sbagliato e ingiusto?» I suoi occhi ambrati, severi e compassionevoli, calarono su Clarissa. La ragazzina si tirò su i pantaloni di fretta, faticava a sostenere il peso dello sguardo della nonna e avvertiva un pizzicore diffondersi su tutto il proprio corpo.

Grazia mise da parte la rabbia, sapeva in fondo che le due erano poco più che bambine e che non erano state probabilmente in grado di comprendere ciò che realmente stavano per fare. «Chi era il povero sfortunato? Non vi sareste limitate a conoscere i sentimenti dell’altra persona o a infondergli un po’ di coraggio per farli emergere, cosa che avrebbe potuto fare un’innocua magia rossa. No signorine, voi avreste soggiogato una persona, l’avreste privata della possibilità di scegliere. Della sua libertà.» Si rivolse nuovamente a Clarissa. Le bastò uno sguardo per capirla. «Ti avrebbe portato sicuramente i cioccolatini per San Valentino, magari anche una splendida rosa rossa. E ti avrebbe baciato, ogni qual volta tu avessi desiderato un bacio. Ti avrebbe offerto la merenda, ogni qual volta tu avessi desiderato uno spuntino. Ti avrebbe accompagnato a casa, ogni volta che tu avessi desiderato percorrere la strada in sua compagnia. Ma lui non l’avrebbe mai desiderato

Clarissa rimase colpita da quelle parole che sottolineavano come non vi fosse traccia di nessun “vero amore”, nonostante le innumerevoli volte che avesse sognato che Filippo le regalasse una confezione di cioccolatini, che la baciasse, che le offrisse la merenda a ricreazione, che la accompagnasse a casa.

E fu investita dall’orrore delle sue azioni, dalla pochezza della sua mente e della sua immatura superficialità. Tutto ciò risalì dalle profondità del suo animo e piegò il corpicino in un singhiozzo spezzato che diede il via libera a un pianto.

In fin dei conti, voleva solo dimostrare a tutti e a sé stessa che valeva qualcosa in più di come tutti, e ancora compresa sé stessa, la percepivano. Voleva solo essere un po’ più Hope e un po’ meno Clarissa.

 

Il giorno dopo, l’aria fresca del mattino accompagnava Clarissa nel breve tratto di strada che l’avrebbe condotta nell’istituto. Qualche cinguettio spezzato dall’abbaiare di Bobby oltre la siepe mentre si muoveva a testa bassa.

Passando davanti al negozio di alimentari, pieno di studenti che ordinavano rosette al prosciutto o pizze rosse per la ricreazione che avrebbe avuto luogo solo alcune ore dopo, nessuno la riconobbe o la salutò.

In silenzio attraversò il cancello ricoperto di ruggine che avrebbe tanto necessitato di una pennellata, come tutta la facciata della scuola, sorpassò alcuni compagni di classe che la ignorarono mentre parlavano della terribile professoressa di italiano che li avrebbe serviziati nelle prime tre ore infierendo sulle loro menti ancora desiderose del cuscino.

Non vi era nulla di diverso quel giorno, una fitta al petto nel vedere qualche coppietta di piccioncini scambiarsi bigliettini di nascosto dagli insegnanti, qualcun altro ricevere confezioni a cuore di cioccolata e rose rosse.

Si mosse nel grigiore di quella mattinata, invisibile addirittura alla professoressa che non la nominò in tre ore di lezione, sino al suono della campanella che la condusse sugli scalini del terzo piano.

Nulla era cambiato dal giorno precedente, solito panino alla mortadella con formaggini e solita felpa nera, esattamente la stessa.

Era ancora invisibile, non valeva ancora nulla.

«Hey» Una voce salì dalla rampa inferiore di scalini.

Lei sobbalzò, il cuore le scalciò in gola. Corse giù per le scale, incontrandolo nel corridoio del secondo piano. Il rituale doveva aver funzionato, nonostante l’interruzione di Grazia. Non poteva essere altrimenti. E doveva fermarlo.

Era Filippo, il viso pulito e innocente. Si scostò il ciuffo dagli occhi con un cenno del capo che la fece impazzire. Fra le mani stringeva una grande scatola laccata di rosso a forma di cuore.

«Sono per te.» Si sentì dire. La sua convinzione vacillò.

Grazia era pur sempre una strega esperta, ereditaria di una famiglia importante con un retaggio magico non indifferente.

Clarissa rimase immobile, vedendo Filippo che attendeva una sua decisione: accettare o rifiutare il presente. Le sorrideva.

Grazia aveva recitato la sua formala, doveva aver per forza spezzato l’incantesimo di sangue.

«Vedi…» Principiò la ragazzina.

Era tutto ciò che aveva sempre desiderato.

Due compagne di classe, all’angolo del corridoio, li videro e cominciarono a parlottare con le gote rosse e Clarissa potè scorgere ammirazione e invidia nei suoi riguardi.
Era tutto ciò che aveva sempre desiderato.

Si sentì il petto in fiamme, la bocca sfuggì al suo controllo e mutò in un sorriso incontenibile.

Filippo le si avvicinò, lasciando cadere il grande cuore che aveva in mano e Clarissa fu cinta in vita, tenendola stretta a sé.

Sentì il palmo di lui sulla guancia e lo vide scostarsi  il ciuffo da davanti il viso con un gesto della testa...

E fu baciata.

Era tutto ciò che aveva sempre desiderato.


Era davvero tutto ciò che aveva sempre desiderato?

Salve, mi chiamo Domenico Farruggio e questo è il primo racconto che andrà a delineare un mondo magico ma attuale e contemporaneo, ideato insieme a Roberto Rotondi.
Abbiamo deciso di lavorare al world-building attraverso una serie di racconti che esploreranno la cultura di un mondo in cui la magia non solo esiste ma è commercializzata: impacchettata e venduta.
Immaginando quelli che possano essere i lati positivi e negativi della magia una volta inserita e confrontata con tutti gli aspetti della realtà.


 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Shjeld