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Autore: Altair13Sirio    14/02/2020    17 recensioni
Alessandro è un ragazzo che si sente perso. E' un tipo solitario e un po' romantico, capace di creare tante storie nella sua mente che non accadranno mai. Ma alcune volte quelle storie possono prendere incredibilmente vita, e allora il suo animo gli impedirà di tirarsi indietro ancora una volta.
Sarah è una ragazza che si è persa. Desiderosa di ritrovare sé stessa, è partita senza dire niente a nessuno ed è andata più lontano possibile. Pur non sapendo dove andare, troverà comunque una cura alla sua malinconia.
Genere: Fluff, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Le dieci e trentaquattro minuti alla stazione di Paola, Cosenza. Non si direbbe visto il paese, ma si tratta di un posto molto grande e dall’aria professionale; la stazione ha quei caratteristici grandi tabelloni che segnalano arrivi e partenze e ovunque si guardi c’è qualche dettaglio che salta all’occhio, facendo sentire i viaggiatori come se si trovassero in un palazzo di cristallo.

È una stazione uguale a tutte le altre. Alessandro lo sa, lui ne ha viste parecchie, eppure questa ha un’aria diversa da tutte le altre; quando ti ritrovi a prendere un treno vuol dire che stai andando da qualche parte, lontano, eppure non è questo il suo caso.

Alessandro è uno studente di sociologia dell’Università della Calabria e ogni settimana prende i mezzi pubblici per tornare a casa, dalla sua famiglia, che lo aspetta con ansia. Qualcuno potrebbe dire che è un mammone, ma la tesi di Alessandro è diversa: soffre di lontananza da casa. Ogni volta che parte per un lungo viaggio senza i suoi genitori sente una morsa al petto e tutte le volte che parla con loro attraverso un cellulare viene assalito da un forte senso di nostalgia che nemmeno lui sa spiegare.

Nonostante ciò, gli piace viaggiare. L’atto ha un sapore di avventura che lo fa sentire vivo, come se stesse facendo veramente qualcosa di importante. E quando viaggia da casa sua fino all’università, dove ha in affitto una stanza a quindici minuti dalle lezioni, e viceversa si sente tanto una persona responsabile, capace, intraprendente.

Lui vorrebbe esserlo, anche se probabilmente non sa come si faccia. Si sente un alieno e a volte si sorprende di come riesca a mantenere una faccia sicura di sé di fronte alle altre persone, quando in realtà vorrebbe gridare e rinchiudersi nel bagno per non dover dar conto a nessuno di quella sua incapacità.

È così privo di buon senso che ha scelto il corso di studi senza neanche sapere di che cosa si trattasse – così privo di buon senso che addirittura quello stesso corso non lo chiama con il suo vero nome; sociologia suona molto meglio di “servizio sociale”, in fondo, e quando qualcuno gli fa la fatidica domanda del “cosa studi?” lui può liquidarli con quella secca risposta che li fa stare tutti zitti e previene altre domande, perché in fondo nessuno sa cosa sia la sociologia. Tutto quello che gli importava dell’università era che fosse vicina a casa, un piccolo paesino sulla costa tirrenica in provincia di Vibo Valentia.

Lì nemmeno ce l’hanno una stazione dei treni come quella di Paola, o meglio ce l’avevano; non ci si ferma più nessuno, ormai. Non che importi, visto che il suo treno non passa da lì: i suoi genitori devono fare un quarto d’ora di macchina per andarlo a prendere a un’altra stazione. Anche quella è uguale alla stazione di Paola, ma in miniatura: ha la metà dei binari, il bar sembra una minuscola tabaccheria e gli sportelli sono sempre vuoti, così che se servissero delle informazioni solo l’aria potrebbe rispondere.

Sì, la stazione di Paola è migliore sotto ogni punto di vista, con la sua serie di binari che sembrano aprirsi come il delta di un fiume, i suoi grandi ed efficienti tabelloni che dicono sempre con chiarezza dove andare, il suo moderno ascensore per disabili; persino l’esterno della stazione ha un aspetto migliore, più accogliente, con una statua di San Francesco di Paola a salutare i viaggiatori che partono e ad accogliere quelli in arrivo. Sarà per questo che è diversa.

No, ad Alessandro quella stazione fa uno strano effetto e non è per via dei suoi servizi. Non vi era mai stato per così tanto tempo, di solito è semplicemente una tappa della sua tratta di sempre; ma questa volta è diverso perché la galleria che collega la montagna alla costa è stata chiusa per lavori. Alessandro non voleva nemmeno partire quel pomeriggio, pensava di aspettare uno degli autobus che ci sarebbero stati il giorno seguente, ma un improvviso bisogno di casa lo ha fatto correre alla stazione, dove era stato preparato un servizio di autobus per compensare la tratta mancante su strada ferrata, che lo aveva portato fino a là, dove ora dovrebbe prendere l’intercity che lo porterà a casa – o quasi.

«Peccato che sia in ritardo.» Dice seccato sporgendosi dalla panchina e guardando lungo i binari. Niente, e niente nemmeno nell’altro verso. Non che ci speri, sa che il treno verrà annunciato agli altoparlanti, quando sarà il momento, ma intanto la sua pazienza comincia a risentirne.

Non ha neanche mangiato. Abbassa lo sguardo e stringe una mano sulla pancia per far cessare il suo stomaco che ruggisce. È stato lì per un’ora e mezza e non ha pensato di comprare nulla da mangiare nella speranza di poter prendere in fretta un treno. Ovviamente ha fatto male i calcoli, e ora ne sta pagando le conseguenze: il bar sta chiudendo, e la qualità che forse è la migliore e peggiore allo stesso tempo di Alessandro è la sua caparbietà, che gli impedisce di tornare indietro sui propri passi. Ha detto che non mangerà, e non mangerà neanche se dovesse aspettare fino a domani mattina!

La sua famiglia lo definisce masochismo, lui preferisce chiamarla forza di volontà.

«Excuse me?» Una voce cordiale gli fa alzare lo sguardo e Alessandro si trova davanti un volto amichevole, coperto fino al naso da una sciarpa rossa. «Is this seat taken?» Chiede con gentilezza.

È una ragazza alta, con lunghi capelli corvini e uno sguardo felino, che è l'unica cosa del suo volto che si riesce a vedere. Ha gli occhi puntati su di lui, in attesa di una risposta.

Alessandro la fissa imbambolato, soffermandosi un momento sul suo pesante cappotto verde e sulla borsa rosa acceso che tiene davanti alle ginocchia; un bagaglio troppo piccolo per una ragazza straniera.

Che cosa ha detto? Si formano questi pensieri nella sua mente. Ha detto "sit" e poi qualcosa con la enne… Vuole sedersi?

Non ha mai imparato a parlare in inglese nonostante le martellanti lezioni della professoressa Costantino, al liceo Scientifico di Vibo Valentia. Non se n'è mai curato perché non era quella la sua intenzione per il futuro, ma non gli era mai neanche capitato di ritrovarsi da solo a parlare in inglese con una sconosciuta. Prima che possa cominciare a balbettare stupidamente come un disco rotto, Alessandro si accorge che la ragazza sta puntando con il corpo il posto sulla panchina accanto a lui, nonostante stia ancora guardando verso di lui.

Così Alessandro si sposta di poco verso il bordo della panchina e dice con voce roca:«Prego.»

La ragazza sobbalza per tirare un po' su la propria borsa e si avvicina alla panchina per prendere posto accanto al ragazzo, poggiando il bagaglio sulle ginocchia.

Lei si volta e togliendosi la sciarpa dal volto manda un grande sorriso al ragazzo. «Thank you! You are very kind.» La sua carnagione pallida stride fortemente con i colori scuri dei suoi vestiti e il freddo non la aiuta a sembrare più sana, solo le sue guance presentano un po' di colore che sparisce quasi subito quando la sua pelle entra in contatto con l'aria fredda della notte. Alessandro pensa che sia carina.

Distoglie lo sguardo imbarazzato e ricordandosi qualcuna delle forme di cortesia che aveva imparato alle elementari dice:«Welcom…»

Una voce maschile annuncia il passaggio di un treno merci al binario tre. «Allontanarsi dalla linea gialla.» Conclude meccanicamente, in quel tono cantilenante che chi viaggia abitualmente come Alessandro conosce a memoria.

Alessandro si sporge dalla panchina e avvista in fondo al binario i fari del treno che si avvicinano, accompagnati da un rumore ritmico e continuo che si fa sempre più forte. Anche la ragazza si sporge e guardando dalla stessa parte chiede:«Your train?»

Cosa? Ora il frastuono del treno è arrivato al binario coprendo qualsiasi altro suono, quindi Alessandro non capisce cosa gli dica la ragazza – non che avrebbe capito comunque senza il rumore del treno. Ha detto "eim?" "Name?" Vuole sapere il mio nome?

Si volta di nuovo verso a ragazza mentre i vagoni del treno merci scorrono a velocità costante e cercando di tirare fuori il suo inglese migliore dice:«Mai neim is, uh… Alessandro.»

La ragazza socchiude le palpebre e piega di poco la testa. Non ha sentito, troppo baccano. Alessandro ci riprova alzando la voce.

«Mai neim…» Dice enfatizzando sui movimenti delle labbra, poi si blocca e lancia un'occhiata seccata al treno, che ormai è quasi passato. Una volta che questo se n'è andato, Alessandro ripete:«Mai neim is Alessandro.»

La ragazza guarda Alessandro con aria confusa, poi si volta a guardare il treno. Poi, improvvisamente, apre la bocca come se stesse facendo un grande respiro, si batte una mano sulla fronte e sorride di nuovo, questa volta come se stesse per scoppiare a ridere.

«Nice to meet you, Alessandro!» Dice agitandosi sulla panchina come una bambina che si sta divertendo un mondo. «I'm Sarah.» Poi gli porge la mano.

«Sara…» Ripete Alessandro, e la guarda. Ha i guanti, di quel tipo che lascia scoperte le ultime falangi; sicuramente molto carini, ma si chiede quanto scaldino veramente in una notte con quelle temperature… Alla fine le stringe la mano e sorride. «Nais tu micciu.»

I due ragazzi tornano a guardare davanti. Ci sono degli uomini in divisa sull'altro binario e chiacchierano ad alta voce con toni amichevoli; poco prima avevano salutato la cameriera del bar della stazione, che aveva chiuso le porte e appeso il grembiule all'armadietto. Le loro voci e risate rimbombano tra i binari deserti e fanno pensare ad Alessandro che, dopo essersi presentato, come minimo dovrebbe sforzarsi di intrattenere una conversazione con Sarah.

Così raccoglie tutte le sue – poche – conoscenze di inglese, caccia fuori il suo coraggio e si decide a parlare.

Sì, ma cosa dire? Non sa assolutamente districarsi nella lingua inglese e ha paura di tirare fuori un argomento troppo complicato o di dire qualcosa che potrebbe essere frainteso; la ragazza poi sembrerebbe capace di parlare a lungo senza preoccuparsi minimamente di non essere capita.

In un lampo una domanda gli salta in mente. Una domanda idiota, ma meglio di niente…

«You ar… Only?» Certo che è sola, coglione! Ci siete solo voi due qui! Una domanda idiota, appunto, ma pur sempre una domanda.

Solo che Sarah non sembra capire il significato di quelle parole. Alessandro comincia a preoccuparsi di aver detto qualcosa di sbagliato, e infatti è così. Non sa di aver completamente sbagliato termine nella frase che intendeva dire, ma nelle orecchie della ragazza è ancora insistente il fischio lasciato dal passaggio del treno merci e nemmeno lei ha capito bene cosa volesse dire il ragazzo.

«No… I’m not lonely…» Risponde guardandosi le mani con aria un po’ offesa. Dopo alza lo sguardo e si tocca la sciarpa, giocandoci un po’ prima di ributtarsela dietro alla spalla; improvvisamente sembra molto più imbarazzata. «I mean, what gave you that impression? It may look a bit weird since I’m on my own, but how did you…?»

Sarah si ferma quando si accorge dell’espressione di Alessandro: è completamente sbiancato in volto e non sta capendo una parola di quello che gli sta dicendo. Forse dovrebbe provare a dirle che non sa parlare inglese, ma non saprebbe nemmeno dire quello. Prima che lui possa dire qualsiasi cosa, la ragazza comincia a parlare con tono più mesto, come rassegnata, e questa volta Alessandro riesce a cogliere qualche parola.

«Well, actually… Yes, I am lonely. You could say that, at least…» Un sorriso riluttante compare sul suo volto. «I guess that’s the reason why I left without telling anybody… But I couldn’t just stay home, pretend that everything was fine. I had to do something! So I took a plane, went as far as I could from that place… And now I’m here, waiting for a train that never comes, in a town that I’ve never heard of before… Just trying to not feel like I’m in hell…»

Per qualche ragione Sarah comincia a mandare l’impressione di non essere molto a suo agio. A partire dalle sue movenze, al tono della voce, Alessandro pensa che la ragazza non sia molto contenta di trovarsi lì e le parole che ha utilizzato sembrano confermarglielo: “home”, “fine”, e poi “hell” dopo essersi messa a parlare di quel posto.

La ragazza alza poi lo sguardo e sembra notare l’espressione ancora più confusa di Alessandro, che si sta sforzando di capire il più possibile di quella conversazione. Si muove di scatto alzando le mani. «Oh, I’m sorry!» Dice in tono imbarazzato, poi sembra in difficoltà. «I didn’t mean to say that this place is hell! It’s just that I’m not really accustomed to it, and it feels so strange… The people are nice here, and you are nice too!»

Alessandro non ha afferrato l’ultima parte del suo discorso, ma è sicuro di aver sentito “the people are nice” e poi qualcosa rivolto a lui. Riesce solo a ripetere con tono imbambolato quello che la ragazza ha detto:«De pipol ar nais.» Poi sorride. «Mi fa piacere che ti trovi bene.»

Sarah lo fissa per un momento, confusa. Forse ha capito che il ragazzo che ha di fronte non sa neanche una parola nella sua lingua, oppure sta facendo come fa Alessandro e sta cercando di decifrare le sue parole in italiano. Sono nella stessa situazione, anche se vengono da due posti molto lontani: non si riescono a capire, ma fanno del loro meglio per comunicare ed entrambi non sanno dove andare e hanno paura di quello che verrà in futuro. Se solo riuscissero a capirsi per bene, se solo sapessero quanto sono veramente simili, se solo avessero un po’ più di tempo per parlare…

Per poco succede. Per poco Sarah non capisce che Alessandro potrebbe capirla, e sorride. Sta per sussurrare un “grazie”, perché è l’unica parola che conosce in italiano, ma un altro annuncio agli altoparlanti della stazione copre la sua voce e fa distrarre Alessandro.

Sarah si copre di nuovo il volto con la sciarpa e abbassa lo sguardo mentre Alessandro ascolta la registrazione:«Sta per arrivare al binario tre il treno intercity proveniente da Roma, diretto a Reggio Calabria.»

Un treno si avvicina fischiando debolmente. A quest’ora nemmeno il capotreno ha più la forza di fare baccano. Il binario si riempie del rumore delle bielle motrici del treno, poi i freni fischiano striduli e le porte si aprono davanti ai due ragazzi.

Alessandro guarda Sarah e sul suo volto si può leggere la delusione di dover abbandonare quella persona lì sul binario. Ha aspettato tanto e dovrebbe essere contento che il suo treno sia arrivato, però adesso non vuole alzarsi dalla panchina.

«Ah…» Non riesce a dire niente, come se sapesse che qualunque cosa sia sarà un addio.

«Oh.» Lo precede la ragazza. Alza un dito in direzione del treno e con voce confidente gli dice:«That is your train!»

Alessandro si volta a guardare il treno, poi torna a guardare Sarah e capisce che prima, quando la ragazza era arrivata al binario non gli stava chiedendo il nome. Sarebbe bello se questa fosse una favola, se questa storia potesse in qualche modo chiudersi nella felicità dei due; è questo che sta pensando Alessandro mentre la sua mano cerca lo zaino per sollevarlo.

Ma questo è solo un incontro casuale tra due persone che probabilmente non si rivedranno mai più. Devi smetterla di affezionarti al primo che passa… Si rimprovera scuotendo la testa. Poi Alessandro si alza e sorride alla ragazza.

«Yes. Mai trein.» Dice il ragazzo con il suo solito penoso accento. Vorrebbe dire di più, ma le sue conoscenze in inglese sono limitate, ormai lo ha constatato anche Sarah. Quindi abbassa lo sguardo e dice semplicemente:«È ora di tornare a casa…»

Il ragazzo esita un po’ a lasciare del tutto la panchina, la sua valigia è ancora poggiata per terra e vorrebbe dire qualcos’altro. Alla fine ringrazia solamente la ragazza per la compagnia e la saluta cordialmente. Non sa se Sarah riesca a capire tutto quello che le dica, ma pensa che in un certo modo abbia afferrato il senso delle sue parole. Poi si decide finalmente e, sollevata da terra la valigia, si avvia verso la porta aperta del vagone più vicino.

Alessandro sale i primi gradini con passi lenti, riluttanti, sotto gli occhi di Sarah che sembra quasi esterrefatta. Dopo quella conversazione – breve, certo – che gli aveva fatto scaldare il cuore, se ne sarebbe andato senza dire nulla?

Il ragazzo si ferma sull’ultimo scalino con decisione, rendendosi conto che non è quello che vuole fare. Sarà anche infantile, ma lui non è pronto a mollare quella persona che ha sentito simile a sé! È un’anima sperduta che sta cercando la sua strada, proprio come lui, e chi gli dice che non sia destino che le loro strade seguano lo stesso percorso?

Alessandro si volta e nel grido del treno apre la bocca. Vuol dire qualcosa che non sia troppo articolato e che allo stesso tempo sia comprensibile, non vuole rovinare tutto perché non sapeva come dire una determinata cosa quindi deve andare a colpo sicuro questa volta! Il concetto è semplice, ma le parole gli mancano e il tempo stringe. Poi si ricorda di una frase e capisce che è perfetta per il suo intento.

È una frase di una canzone di alcuni anni fa, che suonava nel film Fast and Furious 7 proprio alla fine quando i due protagonisti si separano per l’ultima volta. Alessandro ricorda che quando uscì quella canzone la si poteva sentire letteralmente ovunque, sia per la musica particolarmente orecchiabile che per il carico emotivo che si portava dietro.

Così Alessandro apre di nuovo la bocca e alza la voce per sovrastare il fischio del treno. «When I see you again?» Chiede con forza, pregando che Sarah lo capisca.

La ragazza è ancora seduta alla panchina, ma ha gli occhi puntati sulla porta del treno. Si nasconde le labbra dietro la sciarpa, ma improvvisamente la lascia cadere dal volto e si alza in piedi facendo qualche passo verso Alessandro. «Soon, I hope!» Grida in risposta facendo una breve corsa verso il bordo del binario, quasi come se volesse saltare sul treno all’ultimo istante.

Alessandro ha l’impulso di scendere dagli scalini e raggiungere la ragazza, ma la porta si chiude di scatto e il treno comincia a muoversi. Riesce a vedere il cambio di espressione negli occhi di Sarah e capisce quanto sia veramente dispiaciuta per quello. Ci aveva sperato fino all'ultimo istante anche lei.

Alessandro rimane con una mano poggiata sul vetro mentre Sarah si ferma a pochi centimetri da lui e lo fissa. È triste e delusa, e forse pensa di aver perso quel treno per sempre.

Anche Alessandro pensa di aver perso quell’occasione, ma dentro di sé ancora ha il cuore che batte forte e il suo cervello continua a lavorare. Sarebbe impossibile ritrovare quella ragazza anche se si fossero messi d’accordo prima, però lui non vuole crederci. E a un certo punto capisce anche perché: i suoi pensieri finalmente trovano un punto di sfogo e tutto quanto acquista un senso. La sua mano si muove veloce mentre con un movimento fluido delle spalle si sfila lo zaino di dosso e va ad aprire la cerniera.

A colpo sicuro, Alessandro affonda la mano nello zaino e per un attimo scompare dal vetro della porta, mentre Sarah comincia a seguire il treno scorrendo lentamente lungo il binario con occhi speranzosi. Quando ricompare, Alessandro ha una penna in mano e un sorriso a trentadue denti; schiaccia la mano sinistra sul vetro, mostrando una scritta un po' sghemba: ALESSANDRO RAGNO – VIBO MARINA.

Sarah capisce tutto e si ferma. Non vuole lasciarla andare, e neanche lei vuole perderlo. «Understood.» Dice guardando Alessandro negli occhi. Lui annuisce soddisfatto. «I’ll come find you!»

«Ti aspetto!» Grida lui dall’altro lato del vetro. Nessuno dei due può sentire ciò che l’altro dice, ma non ce n’è bisogno. Si sono intesi con un semplice sguardo e una scritta con penna blu. Forse Alessandro avrebbe dovuto aggiungere qualche altra informazione, magari mettere il suo indirizzo, ma ha pensato che sarebbe stato troppo lungo da scrivere sul palmo della mano e Sarah avrebbe potuto non riuscire a leggerlo in tempo o a capire a cosa si riferisse. Ma va bene così, perché Alessandro sente che andrà tutto bene.

I due ragazzi si salutano agitando le mani: Alessandro da dietro il vetro, Sarah ferma sul binario. Poi il treno se ne va e lascia la stazione di Paola ancora una volta nel silenzio.

La ragazza rimane ferma sul binario rivolta verso il treno. Continua a salutare finché non lo vede sparire nell’oscurità, poi abbassa la mano e attende alcuni secondi in silenzio.

Alla fine Sarah si gira e guarda la sua borsa riversa per terra; le è caduta dalle gambe quando si è alzata in tutta fretta per raggiungere il treno. La rialza da terra in fretta e raccoglie le poche cose che ha lasciato cadere, poi volge lo sguardo al binario tre e prende un bel respiro profondo, sollevata.

Adesso ha un posto dove andare.

   
 
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