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Autore: Soul Mancini    14/02/2020    5 recensioni
Come al solito, Mike aveva soddisfatto sia le mie che le sue voglie, sempre col suo fare rude e poco avvezzo agli scambi d’affetto.
Tenevo davvero tantissimo a lui, ero profondamente affascinato dalla sua stravaganza e mi sarebbe davvero piaciuto essere il suo uomo, l’unico a renderlo felice.
Ma Mike non voleva. Non era questo che cercava in me, a lui bastava prendersi il mio corpo per essere soddisfatto e credere che anche io lo fossi.
Io glielo lasciavo credere. […]
Poi c’era Jim. Quel ragazzo burbero e strano, che si vestiva sempre di nero e faceva discorsi sconclusionati, quello che tutta la band odiava, ma nessuno lo conosceva come lo conoscevo io. Con me si apriva, mi coccolava, diventava affettuoso fin quasi alla nausea, mi riempiva le orecchie delle sue idee bizzarre e il corpo di carezze.
Colmava il vuoto che Mike lasciava.
E nemmeno a lui sarei mai riuscito a rinunciare.
- SESTA CLASSIFICATA al contest "Il Lago dei Cigni" indetto da molang sul forum di EFP.
- QUATTORDICESIMA CLASSIFICATA al contest "Hold my Angst - Seconda Edizione" indetto da BessieB sul forum di EFP.
- Partecipa alla "Infinity Prompt Challenge" indetta da HarrietStrimell sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Gould, Jim Martin, Mike Bordin, Mike Patton, Roddy Bottum
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Every lie is trying to break me
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Da sinistra verso destra: Roddy Botum, Mike Patton, Jim Martin,

Bill Gould e Mike "Puffy" Bordin





Every lie is trying to break me





«Per oggi metterà da parte anche questo, anche l'ennesimo sguardo, anche l'ennesimo abbraccio, anche l'ennesima carezza.
Anche l'ennesimo senso di colpa.»
falcediluna_ - Today





“Dai Jim, devo andare.” Ridacchiavo mentre mi mettevo a sedere sul letto da una piazza e mezzo.
“Hai fretta?” Il ragazzo al mio fianco, che fino a poco prima mi dava le spalle, si mise supino, poi afferrò la mia mano e la portò tra i suoi capelli, dove era stata per interminabili minuti, fino a quel momento.
“Va bene che mi piacciono i tuoi capelli, ma mi sa che te ne stai un pochino approfittando” borbottai, facendo scorrere le dita tra i suoi riccioli scuri.
Mi sporsi leggermente su di lui e lo vidi socchiudere gli occhi, come faceva sempre quando giocavo con la sua fluente capigliatura, mentre un leggero tanfo di alcol mi pizzicava le narici.
Jim aveva alzato un po’ il gomito quella sera, lo capivo dal suo volto arrossato e lo sguardo appannato.
“Dai, resta qui. Fammi addormentare” mormorò, strattonandomi per il bordo della maglietta.
Mi arresi e mi sdraiai nuovamente accanto a lui, posando la testa sulla sua spalla. Alla fine ci cascavo sempre, non mi stancavo mai di quel calore che mi invadeva quando gli stavo così vicino.
E poi era così tenero quando si ubriacava e richiedeva a gran voce le mie attenzioni, come un bambino bisognoso di coccole.
Sbadigliò e mi strinse ancora più forte a sé, posandomi una mano sul fianco.
“Tu ti stai già addormentando, cosa ci faccio qui? Vuoi che ti racconti la favola della buonanotte?” scherzai.
“Potresti anche farlo.”
Sorrisi. “Non sono bravo in queste cose.”
“Va bene, allora la racconto io” biascicò; anche se non potevo scorgerlo, immaginai che un sorriso sghembo gli si fosse dipinto in faccia. “C’era una volta una band di cinque ragazzi che erano in tour e litigavano sempre. Un giorno arrivarono in quest’hotel e fecero giusto in tempo a entrare nelle camere che tutta la struttura crollò.”
Storsi il naso. “Così però mi fai venire gli incubi.”
Lui sollevò la mano che teneva sul mio fianco e me la posò sulle labbra. “Shh, non ho finito, adesso arriva la parte bella. C’era sangue ovunque, era una carneficina, ma per fortuna – o per sfortuna, questo non lo so – tutti e cinque i componenti della band sopravvissero. Solo che a ognuno di loro mancava una parte del corpo: al chitarrista mancava un piede, al batterista un braccio, e così via. Tutti si misero alla ricerca delle parti mancanti, ma in mezzo ai detriti era impossibile, ovviamente. Per fortuna arrivò la polizia e l’ambulanza, e sai cosa fecero i ragazzi della band? Staccarono la parte del corpo che mancava loro da un paramedico o da un poliziotto e si ripresero ciò che gli apparteneva di diritto. Fine della storia.” A ogni frase le sue parole erano sempre più biascicate e confuse.
Mugolai. “È terribile, Jim. E quale sarebbe la morale?”
“Morale? Ah già, non ci avevo pensato… è che cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia.”
Scoppiai a ridere: era troppo spassoso quando delirava in quel modo. Per chiunque sarebbe stato paradossale sentirlo portar fuori certe cose macabre e disgustose mentre giocherellava in maniera smaliziata col bordo della mia maglietta, solleticandomi appena la pelle, ma per me era la routine.
Era semplicemente Jim.
Mi liberai dalla sua stretta, ormai debole per via del dormiveglia che stava assorbendo il ragazzo, e mi misi finalmente a sedere sul bordo del materasso, stiracchiandomi. Un brivido di freddo mi attraversò il corpo, ma non cedetti alla tentazione di tornare tra le confortanti e calde braccia del chitarrista.
“Okay, è il caso che io vada, si è fatto tardi. A domani” conclusi, dirigendomi verso l’uscita.
Lui bofonchiò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi scompostamente nel letto, e io mi lasciai sfuggire un sorriso prima di lasciare la stanza.
Ma quando piombai nell’anonimo corridoio dell’albergo, una sensazione terribilmente fastidiosa mi invase, rivoltandomi lo stomaco.
Avevo appena lasciato Jim per intrufolarmi nella stanza di Mike, ed entrambi sapevamo cosa sarebbe successo.
Non sarei dovuto andare da Jim prima di correre da Mike.
O forse non sarei dovuto andare via dalla stanza di Jim per raggiungere Mike.
Scossi il capo, ripetendomi ancora una volta quanto fosse patetica quella situazione.
Ero un mostro.


L’acqua mi scorreva sul corpo, dividendosi e riunendosi in piccoli rivoli, talmente bollente da farmi male. Avevo sempre saputo che il calore era in grado di cancellare e purificare; era proprio quello l’effetto che volevo ottenere, desideravo eliminare ogni traccia dello sporco rapporto tra me e Mike che era rimasto incastrato sulla mia pelle.
L’idea di essere il suo giocattolo sessuale mi faceva star male, tuttavia non riuscivo a dirgli di no, mai, in nessun caso. Anche quella notte ci eravamo ritrovati a condividere la camera d’albergo e anche quella notte mi ero ritrovato a desiderarlo con tutto me stesso.
Come al solito, Mike aveva soddisfatto sia le mie che le sue voglie, sempre col suo fare rude e poco avvezzo agli scambi d’affetto.
Tenevo davvero tantissimo a lui, ero profondamente affascinato dalla sua stravaganza e mi sarebbe davvero piaciuto essere il suo uomo, l’unico a renderlo felice.
Ma Mike non voleva. Non era questo che cercava in me, a lui bastava prendersi il mio corpo per essere soddisfatto e credere che anche io lo fossi.
Io glielo lasciavo credere.
Con un sospiro, versai un’abbondante dose di bagnoschiuma sulla spugna e presi a strofinarmela sulle braccia, sul petto, sulle spalle; la premevo forte, con rabbia, quasi volessi scorticarmi la pelle.
Poi c’era Jim. Quel ragazzo burbero e strano, che si vestiva sempre di nero e faceva discorsi sconclusionati, quello che tutta la band odiava, ma nessuno lo conosceva come lo conoscevo io. Con me si apriva, mi coccolava, diventava affettuoso fin quasi alla nausea, mi riempiva le orecchie delle sue idee bizzarre e il corpo di carezze.
Colmava il vuoto che Mike lasciava.
E nemmeno a lui sarei mai riuscito a rinunciare.
Mi sentivo così sporco, così corrotto.
Mentre gli occhi cominciavano a bruciarmi – proprio come la mia pelle – il mio flusso di pensieri venne interrotto da un rumore quasi impercettibile: la porta del bagno era stata aperta.
Rabbrividii, sapendo già cosa sarebbe accaduto: una sola persona si trovava in stanza insieme a me quella sera.
“Ehi, Roddy” sentii mormorare Mike con quel tono di voce basso e profondo che mi s’insinuava fin nelle ossa.
Rimasi in silenzio, in attesa.
Diversi secondi più tardi, il pannello in plexiglass che delimitava il box doccia scorse di qualche centimetro rivelando la figura di Mike, del tutto vestito e coi capelli ancora arruffati. I suoi occhi scuri e penetranti percorsero con voracità il mio corpo nella sua interezza, mentre sul suo viso si dipingeva un sorrisetto sornione.
Non fui in grado di sostenere il suo sguardo e abbassai il capo, sentendomi indifeso e disarmato, come ogni volta che mi ritrovavo in sua compagnia.
Tuttavia non poteva che farmi piacere la consapevolezza di essere l’oggetto dei suoi desideri.
Mosse un passo avanti, infischiandosene del fatto che i vestiti si sarebbero bagnati, e mi intrappolò in quello spazio angusto, continuando a inchiodarmi con lo sguardo.
Eravamo così vicini che il suo respiro si mischiava al mio e la cosa non poteva che eccitarmi ed elettrizzarmi.
“Non ci stiamo, Mike” sussurrai, ma il luccichio che attraversò i suoi occhi mi dissuase dal dire qualsiasi altra cosa.
Non mi volevo opporre, quella era la verità.
Mike si avvicinò ancora di un passo e io fui costretto a schiacciarmi contro le piastrelle per fargli spazio. Ormai i suoi indumenti erano zuppi e aderivano deliziosamente al suo corpo.
“Ops, sono completamente fradicio. Che disastro, bisogna porre rimedio” mormorò in tono ironico e malizioso, poi si sfilò via la maglietta con movimenti frenetici e la scaraventò fuori.
A me non rimaneva che guardare. Mike non mi permetteva mai di spogliarlo o di toccarlo, o almeno, potevo farlo solo quando era lui a dirmelo.
Mentre lui si liberava dei suoi indumenti, io sentivo una grande eccitazione crescere in me; improvvisamente l’acqua mi sembrava troppo calda e il vapore in cui era immerso il bagno sembrava volermi soffocare.
Mugolai quando le mani di Mike mi furono addosso, sapevano esattamente cosa cercare, come muoversi; sapeva ormai cogliere ogni mio segnale.
Mi lasciai andare ancora una volta, la seconda di quella sera, sentendomi nuovamente sporco.
Non mi importava nemmeno di ciò che Mike pensasse di me, non mi importava se lui provasse dei sentimenti nei miei confronti.
Mi importava di Jim.
Stavo tradendo entrambi.


Errore, errore, errore.
Che parola strana: dolorosa, in un certo senso.
Sentivo tutto il peso, tutto il dolore, dei miei schiaccianti errori. E non potevo far finta di niente mentre eravamo in tour, dovevo stare a contatto ventiquattro ore al giorno sia con Mike che con Jim.
Per fortuna quella sera ci sarebbe stata l’ultima data inglese e poi avrei avuto del tempo per staccare, per pensare e decidere come venir fuori da questa situazione senza offendere nessuno.
Sospirai e perdetti lo sguardo fuori dal finestrino, dove si estendeva la brughiera inglese. Doveva fare davvero caldo là fuori, mentre io dentro il tour bus quasi tremavo per via dell’aria condizionata troppo forte.
“Ehilà!” Bill mi raggiunse e lo sentii prendere posto su una poltroncina accanto a me.
Non mi voltai a guardarlo finché qualcosa non mi venne posato sulle ginocchia: si trattava di un piatto con dentro una sghemba omelette mezzo bruciacchiata.
Sollevai lo sguardo sul bassista, perplesso, e lo trovai che sorrideva appena.
“Mia nonna mi diceva sempre: un buon pasto sostiene il cammino di colui che ama profondamente il buon cibo. Generalmente mentre mi versava la terza porzione di tacchino ripieno” affermò in tono allegro.
Storsi il naso. “Ha delle parti carbonizzate… l’hai fatta tu?”
“Ma certo che no, io so cucinare molto meglio. L’ha fatta Puffy.”
Sospirai, afferrando la forchetta posata sul piatto e giocherellandoci. “Non si offenderà se non la mangio, vero?”
“Perché non dovresti mangiarla? Puoi togliere le parti bruciate e…”
“Non ho fame, ho lo stomaco chiuso.”
Bill sbuffò e fu sul punto di dire qualcosa, ma si bloccò e si guardò intorno con circospezione, assicurandosi che non ci fosse nessuno intorno a noi. La privacy in tour era un miraggio, ma quando avevamo qualcosa di cui discutere in privato sceglievamo sempre il fondo del tour bus, la zona meno frequentata, quella in cui il rombo del motore era più forte e copriva almeno in parte le nostre parole.
Il mio amico tornò a concentrarsi su di me e mi fissò con un’espressione serissima, che assumeva sempre quando si entrava in qualche argomento spinoso. “Roddy, non puoi andare avanti così. Insomma, quei due già non si sopportano e sognano di farsi fuori l’un l’altro, se poi scoprono il tuo doppio gioco lo scontro sarà inevitabile.”
Colpito e affondato. Bill aveva capito esattamente quali fossero i miei pensieri senza che io li esternassi; il mio amico aveva una sorta di sesto senso per quel tipo di questioni.
Ma ora parlarne sarebbe stato dannatamente difficile.
Sospirai. “Lo so, so tutto, pensi che io non l’abbia tenuto in conto? Ma non riesco a dire di no a nessuno dei due perché… io non so se li amo, ma sicuramente tengo tantissimo a entrambi e adoro le loro attenzioni. Sì, perché entrambi mi danno importanza, anche se in maniera diversa. Si completano a vicenda.” Ero arrossito nel pronunciare quelle parole, mi vergognavo un sacco ad ammettere ad alta voce quella situazione che era davvero troppo squallida.
“Okay, senti: da uomo a uomo, non puoi farti scopare da Patton e mezz’ora dopo fare gli occhi dolci a Jim. È scorretto, lo capisci? E non solo nei loro confronti, ma anche e soprattutto nei tuoi.”
Abbassai lo sguardo. Bill era stato diretto come sempre, senza peli sulla lingua, nonostante sapesse di potermi far male con quelle parole.
Io lo apprezzavo, avevo bisogno che qualcuno mi sbattesse in faccia la verità.
“Non puoi fare la puttanella della band, cazzo. Se ci servisse una puttana, sapremmo come procurarcela, no?”
Senza staccare lo sguardo dall’omelette ancora intatta – ormai si stava sfreddando – presi un respiro profondo e parlai con calma, cercando le parole giuste per esprimermi: “Hai ragione, ci sto male, ma ormai il danno è fatto e non esiste un modo per tornare indietro senza ripercussioni e senza far male a nessuno. Ogni giorno io mi sveglio, apro gli occhi e queste bugie si moltiplicano e mi divorano: mento all’uno, mento all’altro, loro sono felici e anche io. Cosa dovrei fare secondo te?”.
“Semplice: scegliere tra uno dei due” replicò prontamente Bill.
“Semplice?! Billy, io… io non voglio che qualcuno soffra a causa mia” mormorai, trovando finalmente il coraggio di incrociare i suoi occhi.
“Appunto! Quindi non vuoi nemmeno che si uccidano a vicenda a causa tua, giusto?”
“Esatto.” Annuii, poco convinto. “Per adesso lasciamo le cose come stanno, oggi è l’ultima data del tour e poi avrò tempo per pensarci. Credo che un po’ di lontananza da entrambi mi aiuterà a schiarirmi le idee… o almeno spero.”
Bill sorrise. “Ancora non ho capito come fai a stare appresso a uno di loro, figuriamoci a entrambi.”
Risi. “Mike e Jim sono particolari, ma hanno anche tanti pregi, bisogna solo saperli cercare.”
Bill ghignò e mi si avvicinò, mentre una scintilla maliziosa gli illuminava gli occhi. “Per esempio, un pregio di Patton? Scopa molto bene?”
Lanciai un gridolino scandalizzato e lo spinsi via. “Che coglione! Certe volte sei davvero bastardo, sai?”
Lui si abbandonò sulla sua poltroncina, in preda alle risate.
“Allora, piaciuta l’omelette?” Anche Puffy ci raggiunse, ma la sua allegria si tramutò in preoccupazione quando notò il piatto ancora pieno sulle mie ginocchia.
Gli rivolsi un’occhiata mortificata. “Scusa Puffy, non ho molta fame. Grazie comunque, ha un aspetto davvero delizioso.”
“Prima a me non hai detto questo” puntualizzò Bill con un sorrisetto innocente.
Gli tirai una gomitata. “Zitto, razza d’idiota!”
Puffy ridacchiò e prese posto davanti a me, posando i gomiti sulle ginocchia e il mento sul palmo di una mano. “Dovrai mangiare qualcosa durante la giornata, altrimenti finirai per svenire sul palco.”
“Tanto è l’ultimo concerto, poi non servo più a niente” scherzai, ma nel mio tono di voce c’era una nota lugubre che non avevo in programma di lasciar sfuggire.
“Oh sì, ci servi a un sacco di cose! Innanzitutto sei un tastierista molto talentuoso, poi ci offri sempre da bere quando dimentichiamo di portarci i soldi appresso” cominciò a elencare Bill.
“E sei utile anche a mantenere gli equilibri in questa gabbia di matti, altrimenti ci saremmo già uccisi tutti a vicenda” proseguì Puffy, prendendo a giocherellare con un suo dread.
“A proposito, Mike e Jim dove sono?” si domandò il bassista, gettando un’altra occhiata intorno a sé.
“Li ho lasciati in testa al tour bus, che litigavano per non mi ricordo quale motivo” spiegò Puffy con un sospiro.
Mi morsi il labbro inferiore: le liti mi mettevano sempre ansia. Non ci avevo mai fatto l’abitudine, nonostante fossero all’ordine del giorno.
Soprattutto quando coinvolgevano proprio loro due.


“Allora, per che ora dobbiamo farci trovare pronti?”
“Dipende da molti fattori. Volete fare il soundcheck? Volete assistere anche ai live dei gruppi spalla?”
Una volta conclusasi l’assegnazione delle stanze, la band per intero si era radunata in corridoio insieme al tour manager per definire le ultime cose, prima di andare a riposarsi in previsione del concerto.
Mentre seguivo con attenzione la conversazione che si stava tenendo, sentii qualcuno alle mie spalle sfiorarmi appena la spalla e poi immergere le dita tra i miei capelli.
Non ebbi bisogno nemmeno di voltarmi per capire di chi si trattava.
“Jim, che fai?” bofonchiai, sollevando una mano per posarla sulla sua e scostarla gentilmente dal mio capo.
In genere non commetteva gesti del genere quando eravamo in mezzo agli altri, era troppo riservato per farsi scoprire, e soprattutto non volevo che Mike lo intercettasse.
“Vieni nella mia stanza quando finiamo qui?” bisbigliò in modo che solo io potessi sentirlo.
“Non lo so” temporeggiai, mordendomi un labbro. La tentazione era forte, ma non volevo destare sospetti nei nostri compagni di band.
“Dai…”
“Potrebbe essere” gli concessi con un sorriso.
Quando mi concentrai nuovamente sul resto dei presenti, l’occhiata tagliente di Mike mi trafisse come un coltello affilato.
Cercai di non mostrarmi troppo turbato, ma fui certo che il sangue fosse defluito dal mio viso e i miei occhi si fossero sgranati.
Cazzo, Mike se n’era accorto.
Però se ci aveva lanciato quell’occhiata di fuoco voleva dire che la cosa non lo lasciava indifferente. Forse era geloso?
Eppure quando stavamo insieme si mostrava così distaccato… lo sapevo, per lui esisteva soltanto la musica e non aveva il tempo né la voglia di concentrarsi su una relazione seria, ma quello sguardo mi aveva comunicato qualcosa di diverso.
Tuttavia, quando lo osservai nuovamente con la coda dell’occhio, lo trovai disinteressato e indifferente come al solito.
Intanto il tour manager aveva finito di spiegarci i programmi per quella sera e io mi ero perso tutto, non avevo ascoltato una singola parola.
“Bene, buonanotte” si congedò Puffy con una risatina, intrufolandosi nella sua camera.
“Non vorrai davvero dormire prima del concerto!” gli gridò dietro Bill, ma il batterista aveva già richiuso la porta.
Il bassista si strinse nelle spalle. “Va bene, ci vediamo dopo” concluse, dirigendosi a sua volta nella sua stanza.
Mike era sul punto di fare lo stesso, mosse qualche passo in corridoio e stava per dire qualcosa, ma contemporaneamente accadde qualcos’altro.
Fu una questione di istanti: se Mike avesse distolto lo sguardo un attimo prima, non avrebbe notato Jim che mi sfiorava quasi accidentalmente il fianco, come a ricordarmi la richiesta che mi aveva fatto poco prima.
Se solo Jim avesse spostato la mano in maniera più discreta…
Invece Mike lo notò. Se ne accorse e guardò Jim fisso negli occhi.
Il chitarrista sostenne l’occhiata senza battere ciglio.
“Roddy, vieni un secondo con me?” se ne uscì il cantante in tono tranquillo, lasciandomi spiazzato.
Merda. E adesso cosa avrei dovuto rispondere? Entrambi mi avevano chiesto la stessa cosa!
Ero fottuto.
Ma ci pensò Jim a intervenire, facendo un passo avanti e superandomi. “Roddy viene con me.”
Un sorriso sarcastico increspò le labbra del cantante. “In che senso viene con te?” insinuò in un sussurro quasi impercettibile, dovetti decifrare il labiale per capire le sue parole.
Sentii una fitta al cuore. Oddio, no… questo era il tipo di commenti che faceva perdere le staffe a Jim.
Il chitarrista infatti inspirò profondamente prima di dire qualsiasi cosa. “Sei un pezzo di merda, Patton.”
“D’accordo, sono un pezzo di merda, okay.” Mike azzerò la distanza tra lui e Jim e gli si piazzò di fronte. “Però tu tieni giù le mani da Roddy, mmh?” scandì.
“Ragazzi, per favore…” cercai di intervenire, ma non riuscii a concludere la frase, paralizzato dalla scena che mi si svolgeva di fronte.
Jim infatti, in preda alla rabbia come poche volte l’avevo visto, si era scagliato contro Mike e gli aveva assestato una potente spallata, facendo barcollare il cantante all’indietro; ma quest’ultimo vacillò soltanto per qualche istante, poi cominciò a tirare una serie di pugni ai danni del chitarrista.
Mi coprii gli occhi con le mani per non vedere, mentre un nodo sempre più stretto e soffocante mi si stringeva in gola. Non poteva essere vero, erano davvero arrivati alle mani per colpa mia.
Mi sentivo morire.
“Roddy fa il cazzo che vuole senza rendere conto a te, hai capito?” ringhiò Jim.
Ero davvero sorpreso dalla sua reazione: non era certo il tipo da risse e accese discussioni, se ne stava sempre in disparte e si lasciava scivolare addosso le provocazioni. Perché se l’era presa così?
Quando ebbi il coraggio di guardare di nuovo, lo trovai che bloccava Mike per le braccia, sovrastandolo di diversi centimetri; il cantante cominciò a gridare e a divincolarsi finché non riuscì a liberare un braccio, allora afferrò una ciocca dei capelli scuri e lunghi di Jim e prese a tirarla con forza.
“Smettetela, vi prego” piagnucolai, trattenendo a stento le lacrime, avrei dovuto fare qualcosa per fermarli, ma i miei muscoli non rispondevano ai comandi.
“Sei un figlio di puttana!” sbottò Jim, spingendo indietro il cantante fino a bloccarlo contro una parete. “Arrivi qui per ultimo e credi di poterti prendere quello che vuoi, eh? Ti sei preso i miei amici, hai deciso tu il destino della band e mi hai messo contro il mondo intero. Vuoi anche Roddy?”
“Roddy è perfettamente in grado di scegliere da solo da che parte stare. E non si rifugia da te tutte le notti, vero Jim?” replicò Mike, spingendolo via con forza.
“Basta, smettetela! Porca puttana!” strillai, improvvisamente reattivo e consapevole di ciò che stava accadendo. Mi fiondai verso di loro e mi gettai in mezzo per cercare di dividerli, ma l’unico effetto che ottenni fu ricevere un pugno ben assestato sullo zigomo da parte di Jim.
Tutto si fermò per un istante: la vista mi si appannò, ma nonostante ciò scorsi l’espressione scioccata sul viso del più grande, mentre Mike respirava affannosamente alle mie spalle.
“Che cazzo sta succedendo qui?” La voce di Bill esplose in corridoio e solo allora mi accorsi che lui e Puffy erano usciti dalle rispettive camere, ma non mi curai di loro, ancora sconvolto dal colpo appena ricevuto.
“Visto che hai fatto, stronzo? Gli hai fatto male. E questo si aggiunge alla chilometrica lista dei tuoi errori” mormorò Mike, per poi afferrarmi un polso; mi costrinse a voltarmi e mi scrutò con apprensione – era la prima volta che lo vedevo così sinceramente interessato e preoccupato per me, avevo paura di sciogliermi sotto il suo sguardo così dolce.
“Ti si sta gonfiando, forse è meglio metterci del ghiaccio” affermò il cantante, sfiorandomi con delicatezza il punto contuso.
“Che cosa…” tentò di intervenire Jim, ma Mike lo incenerì con lo sguardo e gli fece cenno di rimanere indietro.
“Non. Toccarlo.” Il cantante mi attirò ancora più a sé con fare protettivo, quasi mi abbracciava.
“Adesso basta!” esplosi, veramente stanco di quella situazione. Mi scrollai di dosso la mano di Mike e mi allontanai da lui e Jim, gli occhi pieni di lacrime. “Sono uno stronzo, va bene? La verità è che voglio bene a entrambi e non posso sopportare di vedervi nel bel mezzo di una rissa per colpa mia! Ci sono mille motivi validi per saltarvi al collo a vicenda, ma vi prego, non per colpa mia, non per questo coglione di Roddy Bottum!” gridai, per poi correre nella prima stanza che trovai aperta e rannicchiarmi in un angolo. Non sapevo se fosse la stanza di Bill o di Puffy, ma in quel momento desiderai che nessuno entrasse da quella porta.


“Roddy.”
Stretto tra il letto e un piccolo comodino, mi asciugavo quell’unica lacrima che avevo lasciato sfuggire al mio controllo. Mi ero imposto di non piangere perché non lo meritavo, non ero io che potevo concedermi di soffrire in quella faccenda. Ero soltanto lo stronzo che aveva tradito due persone, che aveva mentito senza pudore.
Quasi non mi accorsi delle voci di Bill e Puffy che mi richiamavano.
“Roddy, dai.” Bill si accovacciò sul pavimento di fronte a me, mentre Puffy si appollaiò sul bordo del materasso.
Non risposi.
“Non è colpa tua. Qualsiasi cosa sia successa, non è colpa tua” cercò di confortarmi il batterista.
“Oh, sì che è colpa mia.” Sollevai il capo giusto il tanto per incrociare lo sguardo di Bill. Era stato lui, del resto, a gettarmi la verità in faccia giusto qualche ora prima; mi aveva fatto capire che, se Jim e Mike si fossero scontrati, sarebbe stata solo colpa mia.
Il bassista ricambiò l’occhiata con gli occhi velati di dolore, ma non replicò.
“Roddy… quei due si sarebbero distrutti a vicenda in ogni caso” proseguì Puffy in tono calmo.
“Non è rassicurante” mormorai, tirando su col naso.
“Ascolta, non pensiamoci ora, dobbiamo fare qualcosa per quello zigomo che ti sta diventando il doppio dell’altro” affermò Bill, posandomi una mano sul viso e costringendomi a sollevarlo.
Ma io mi ritrassi e mi lasciai sfuggire un gemito affranto. “Non pensiamoci? Non pensiamoci?! Billy, porca puttana, non esiste un’altra cosa a cui riesco a pensare in questo momento, la cagata che ho fatto sta occupando ogni mio neurone! E ogni singolo pensiero disperato sta cercando di prendermi e farmi fuori, così come io… ho fatto fuori la nostra band, la nostra amicizia. Spiegatemi come cazzo dovrei fare a entrare in sala prove o a salire su un palco al fianco di Mike e Jim fingendo che nulla sia accaduto, come se nulla fosse!” Riversai all’esterno ogni granello della mia frustrazione e intanto avevo cominciato a tremare per la rabbia.
“Io penso che loro già lo sapessero, hanno solo trovato un pretesto per venire alle mani e risolvere una marea di questioni che avevano in sospeso, molto prima che si andasse a creare questa situazione” affermò pazientemente Bill.
“Hanno fatto rissa per colpa mia” ribadii.
Puffy sospirò. “Va bene, mettiamo pure caso che sia colpa tua. Ti sei beccato un pugno che ti ha quasi spaccato la faccia, hai già scontato la tua pena. O sbaglio?”
Un’altra lacrima scivolò sul mio viso. “Fosse così facile. Ho davvero paura per quello che succederà, temo le conseguenze.”
Bill si sporse verso di me e mi strinse in un abbraccio, facendomi rannicchiare contro di lui. “Si sistemerà tutto, okay? Non so come, ma in un modo o nell’altro troveremo un modo. In fondo non hai fatto nulla di male, hai solo un cuore troppo grande.”
Trascorsero diversi secondi di silenzio, in cui il mio amico mi tenne stretto a sé e Puffy mi posò una mano sulla spalla con fare rassicurante. La loro vicinanza fu terapeutica, mi aiutò almeno per qualche istante a rilassare i nervi e smettere di tremare, mi permise di sperare che davvero le cose sarebbero potute andare per il meglio.
Finché la voce di Mike non raggiunse le mie orecchie e trafisse il mio povero cuore a pezzi.
“Roddy è qui?”
Non risposi e non cambiai posizione, stringendomi ancora più forte a Bill.
“Sì” confermò Puffy. “Oh, hai portato il ghiaccio!”
Davvero Mike si era premurato di portare il ghiaccio da mettere sul mio livido? Davvero si preoccupava per me? Al solo ricordo dell’occhiata che mi aveva rivolto qualche minuto prima, il cuore mi si scioglieva nel petto.
Nonostante la sorpresa, non mi sentivo affatto pronto per affrontarlo e sperai con tutto me stesso che consegnasse l’impacco ghiacciato ai miei amici e uscisse dalla stanza.
Ma ovviamente non fu così. Quel giorno tutto doveva andare contro i miei piani.
Mike si accovacciò a terra accanto a Bill, avvertii la sua presenza senza bisogno di guardare. “Posso?”
Il bassista allora mi afferrò per le spalle e mi costrinse a rimettermi seduto dritto, nonostante le mie proteste: a nulla servì appigliarmi alla sua maglietta e cercare di fargli capire che non mi volevo staccare.
Mike si sostituì a lui; con una delicatezza inedita in lui, posò due dita sotto il mio mento e mi sollevò il viso, per poi appoggiare sul mio zigomo contuso il siberino freddo avvolto in un asciugamano. La guancia finalmente smise di bruciare e il dolore parve attenuarsi.
Non mi potei impedire di sospirare sollevato.
“Roddy, perché ti sei messo in mezzo?”
Trasalii a quelle parole e, se fino a quel momento ero riuscito a evitare il suo sguardo, i miei occhi si tuffarono nei suoi, così scuri e penetranti.
Così dolci, ancora una volta.
E dov’erano finiti Bill e Puffy? Non potevo crederci, si erano volatilizzati e mi avevano lasciato in quella situazione di merda.
Presi un profondo respiro, tentando di placare l’ansia.
“Perché l’hai fatto?” ripeté Mike.
Mi leggeva dentro, mi scavava nell’anima, esplorava ogni anfratto di me con quei suoi occhi così belli.
“Perché io… non volevo vedervi così, non sopporto che sia successo per colpa mia, so di aver sbagliato ma pensavo di avere tempo e… Mike, io e Jim non abbiamo quel tipo di rapporto, cioè non andiamo a letto insieme…” presi a biascicare.
“Lo so” mi interruppe lui annuendo appena. “Ma detesto vederlo così vicino a te. Proprio lui.”
Mi morsi il labbro inferiore. “Ho paura di cosa succederà ora.”
Io non sono stato qui da prima e non vedrò la fine. Sono stato l’ultimo ad arrivare e sarò l’ultimo ad andarmene: qualsiasi cosa accadrà, io non cederò, non ora” sussurrò Mike in tono estremamente serio, poi posò l’impacco freddo sul letto accanto a noi e fece l’ultima cosa che mi sarei aspettato da lui: mi abbracciò.
Non mi aveva mai stretto in quel modo prima di allora.
Mentre mi appigliavo a lui con disperazione, col cuore che batteva a mille, non potei impedire alle lacrime di sgorgare fuori, tanto ero commosso da quel gesto dolce e naturale. E finalmente il mio rapporto con Mike aveva assunto un senso, si era ingrandito, era andato oltre il semplice soddisfacimento di un desiderio fisico.
Ma sapevo com’era fatto e avrei dovuto capire fin dal principio che non sarebbe durata a lungo: dopo qualche istante Mike sciolse l’abbraccio e si ritrasse, per poi rimettersi in piedi. Lasciandomi lì, freddo, solo, a terra.
“Dov’è Jim?” fui soltanto in grado di mugugnare d’istinto, pur sapendo che avrei rovinato tutto. Ma ero davvero in pensiero per il chitarrista, non riuscivo a fingere che non me ne importasse.
A quelle parole Mike mi diede le spalle. “Fanculo a Jim Martin. Non lo so e, anche se lo sapessi, non te lo direi” sibilò con rancore prima di lasciare velocemente la stanza.
Perfetto. Ormai non tenevo più il conto di quante cose avessi sbagliato quel giorno.
Sospirai e mi presi la testa tra le mani. Avevo anche un concerto da affrontare quella sera…


Non vidi Jim finché tutta la band non si ritrovò radunata nel backstage, qualche minuto prima dello show. Tutti sapevamo bene che era un tipo silenzioso e riservato e quel giorno non faceva eccezione, ma stavolta c’era qualcosa di diverso.
Stavolta teneva lo sguardo basso e non osava sollevarlo su di me, come se si vergognasse, nonostante fossi l’unico con cui non si vergognava mai.
Stava in un angolo a sorseggiare la sua birra, in disparte, perso in chissà quali pensieri.
Dal canto mio, non riuscii ad avvicinarmi e a rivolgergli la parola, non avrei saputo cosa dirgli. Così come a Mike.
C’era tantissima tensione quel giorno. Sarebbe stato un live grandioso, come sempre capitava quando i componenti della band erano particolarmente nervosi, ma a me non importava poi tanto, anzi, speravo di svenire sul palco come aveva presagito Puffy e risvegliarmi con la memoria resettata.
“Vado in bagno” mormorai a Bill qualche minuto prima di salire sul palco, poi mi diressi con passo strascicato verso l’ala del backstage dedicata alle toilette. Era deserta, tutti i musicisti e lo staff si trovavano nei pressi del palco per l’imminente entrata in scena della band.
Stavo per aprire una delle porte socchiuse e rinchiudermi in bagno, quando una mano si posò all’improvviso sulla mia spalla. Sobbalzai e mi voltai di scatto, poi sgranai gli occhi sorpreso: era Jim. Mi aveva seguito.
Incapace di parlare, mi limitai a scrutarlo in viso per la prima volta quella sera: vi era dipinta un’espressione estremamente seria e triste, i suoi occhi erano lo specchio di un’anima distrutta e tormentata.
Non mi si doveva serrare la gola, non mi dovevano bruciare gli occhi. Non era il momento.
“Jim” farfugliai soltanto.
Ma lui non mi diede il tempo di aggiungere altro: si chinò su di me e intrappolò le mie labbra in un bacio.
Non era la prima volta, tra di noi ne era scappato qualche altro ogni tanto, ma quella volta fu diverso.
Jim mi strinse forte a sé con disperazione mentre approfondiva quel contatto con impeto, con urgenza, come se da quel singolo bacio dipendesse la nostra intera esistenza.
Io ero talmente frastornato che non riuscii a ricambiare, ma non mi opposi, lasciai che lui si impossessasse di quella parte di me, lasciandomi tra le labbra il suo sapore di alcol e tristezza.
Poco prima di separarsi da me, fece scorrere la sua mano destra sul mio fianco – quel gesto che ormai lo caratterizzava – ma non si fermò, giunse fino alla tasca dei miei jeans e vi fece scivolare qualcosa dentro.
Infine si scostò da me giusto il tanto per potermi guardare e, col fiato corto, sussurrò: “Perché non posso vincere?”.
Senza attendere una risposta, posò per un istante i polpastrelli sulla mia guancia dolorante – coperta alla bell’e meglio con un po’ di ridicolo trucco – e il suo viso si distorse in una smorfia. “Non lo meritavi.”
E corse via, veloce, lasciandosi alle spalle me e tutto ciò che era successo.
“Jim, aspetta!” cercai di gridargli dietro, ma non si voltò.
Rimasi qualche istante impalato là, cercando di realizzare cos’era appena accaduto, poi mi ricordai che Jim aveva infilato qualcosa in una delle mie tasche; vi frugai dentro e trovai un biglietto minuziosamente ripiegato. Lo distesi davanti ai miei occhi, tenendolo in punta di polpastrelli, e vi scorsi frettolosamente il contenuto.

A volte spero in una cura,
ma è difficile curarmi, ora sono a pezzi.
Tutto ciò cerca di distruggermi costantemente,
ma non mi importa più:
ho scoperto che muoio dalla voglia di salvarmi.

Rimasi basito, tentando di decifrare il senso di quelle parole. Si poteva pensare che fosse uno dei soliti deliri di Jim, ma erano frasi davvero troppo potenti per non significare niente, mi avevano colpito nel profondo.
Jim era a pezzi per colpa mia. Forse non solo a causa mia, ma anche per via della difficile situazione che viveva nella band già da diversi anni. Era questo che lo stava distruggendo.
Ma a cosa si riferiva quando parlava di cura? E come pensava di potersi salvare?
“Roddy, due minuti e si sale sul palco! Che fai?” richiamò la mia attenzione un roadie, facendomi un cenno a distanza.
Già, il concerto.
Riposi il foglietto in tasca ed entrai velocemente in bagno.
Intanto avevo così tanti dubbi per la testa che pensavo sarebbe esplosa. Un effetto scenico niente male per il nostro ultimo concerto del tour.


Ancora elettrizzato dallo show, scrutavo fuori dal finestrino oscurato mentre sbocconcellavo una pizza d’asporto.
Alla fine avevo avuto un piccolo svenimento, ma per fortuna quando ero già sceso dal palco; reazione normale, dato che non avevo toccato cibo per tutto il giorno.
Bill, preoccupato come non mai, mi aveva scaricato addosso tutta la sua ansia con una paternale degna della migliore mamma chioccia, mi aveva gridato contro fino a farsi mancare la voce, rimproverandomi e ricordandomi tutti i rischi a cui potevo andare incontro se non mi nutrivo adeguatamente; per fortuna il nostro staff si era già adoperato per farci trovare qualcosa da mangiare e con la bocca piena non avevo avuto modo di replicare.
Però era stato uno show pazzesco, il pubblico era infuocato e avevamo suonato alla grande. Una degna conclusione per il nostro tour, dopo un anno trascorso on the road.
Tutto ciò mi aveva anche aiutato a svuotare la mente e svagarmi per qualche ora, concentrarmi sulla musica che più amavo e a cui avevo donato l’anima, ma una volta dietro le quinte il peso della giornata mi si era rovesciato addosso, sommergendomi.
Scendemmo dalle auto che ci avevano riportato in albergo e ci ritrovammo tutti nell’andito su cui si affacciavano le nostre stanze – era assurdo pensare che in quello stesso punto si fosse tenuta una rissa qualche ora prima – stanchi morti e pronti ad andare a letto.
Tutti tranne Jim. Mi guardai attorno diverse volte, ma non lo trovai da nessuna parte.
“Bene, allora a domani, l’ultimo giorno che passeremo insieme!” esclamò Bill con un sorriso stanco ma soddisfatto, dirigendosi verso la sua stanza.
“Un attimo, devo dirvi una cosa.” Puffy allungò una mano e gli fece cenno di fermarsi, poi ci osservò uno per uno, il volto contratto per la tensione e la preoccupazione.
La cosa mi confuse e mi allarmò parecchio: il nostro batterista era una delle persone più tranquille e rilassate che conoscessi, doveva essere successo qualcosa di veramente grave.
Sgranai gli occhi e lo fissai in attesa, col cuore in gola.
“Jim se n’è andato.”
Mike si strinse nelle spalle. “Lo vedo, non è qui con noi. Dove si è cacciato, in qualche bordello?”
Ma Puffy scosse il capo. “Se n’è andato dalla band, ci ha proprio lasciati. Ed è già partito, aveva già fatto le valigie prima del concerto.”
Il mio cuore perse un battito, mentre sentivo il sangue lasciare il mio viso di colpo.
Stavo per avere il secondo svenimento della giornata, me lo sentivo.
“Ma dici sul serio?” sbottò Bill incredulo.
“Ci toccherà cercare un altro chitarrista, magari meno stronzo di lui” liquidò in fretta la questione Mike, per nulla turbato da quella notizia. Del resto lui e Jim non si sopportavano e probabilmente era chiaro a tutti che quest’ultimo se ne sarebbe andato presto: non poteva sopportare il peso dei continui scherzi che Mike e Bill gli giocavano, non poteva reggere le prese per il culo pubbliche e soprattutto la continua discordanza, sia artistica che caratteriale, col resto della band.
Già. L’avevano capito tutti, tranne me.
Jim se n’era andato.
Aveva lasciato i Faith No More in maniera definitiva.
Non l’avrei più visto.
Aveva lasciato anche me.
Ecco cosa intendeva in quel biglietto, quando diceva che si voleva salvare.
“Cazzo, no” riuscii soltanto a bofonchiare. Barcollai verso la porta di camera mia, infilai a stento la chiave nella serratura e, senza nemmeno assicurarmi che la porta fosse ben chiusa, mi gettai sul letto e seppellii il viso nel cuscino.
Ero talmente incredulo che non riuscivo nemmeno a piangere, rimasi semplicemente in silenzio, immobile.
Non poteva essersene andato. L’avevo davvero ferito tanto?
Non riuscivo a farmene una ragione, a metabolizzarlo. Per me era come se Jim fosse ancora là fuori, a battibeccare con Mike come al solito, e avevo l’impressione che sarebbe entrato nella stanza da un momento all’altro, chiedendomi di giocare con i suoi capelli e facendomi posare il capo sul suo petto.
Infilai una mano nella tasca dei jeans e strinsi forte tra le dita il bigliettino ripiegato, come se lo volessi distruggere. Quelle frasi apparentemente sconclusionate erano tutto ciò che mi rimaneva di Jim.
Trascorsero minuti, forse ore, in cui i rumori fuori in corridoio si attenuarono sempre più fino a lasciare posto al silenzio.
Mi rimisi in piedi, stordito, e mi diressi verso la soglia per capire se almeno fosse chiusa a chiave.
Ma quando la schiusi, trovai gli occhi di Mike che mi scrutavano nella penombra e per poco non lanciai un grido spaventato. Lui mi posò due dita sulle labbra per intimarmi di tacere e mi spinse dentro la stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Dovevo ammetterlo: Mike in quel momento era l’ultima persona con cui volevo passare il mio tempo. Avevo troppe cose per la testa e non avevo voglia di essere il suo giocattolo erotico, non quella sera.
“Non mi va, Mike” mormorai in tono piatto, osservandolo mentre andava a distendersi sul mio letto come se fosse il suo.
“Tranquillo, non voglio scopare nemmeno io. È un peccato sprecare così la nostra ultima notte, ma nemmeno un paio d’ore fa sei svenuto.” Picchiettò su una porzione di materasso vuota accanto a sé. “Vieni qui.”
A disagio, feci come mi chiedeva e mi sedetti sul bordo del materasso, lasciandomi sfuggire un sospiro stanco.
“Come va il livido?” domandò.
D’istinto mi tastai lo zigomo: era ancora gonfio e faceva male. “Passerà.”
“Sdraiati, se vuoi.”
Esitai per qualche istante, ma il mio corpo affaticato reclamava a gran voce un letto morbido, così mi rannicchiai sul bordo del letto, steso su un fianco. Non volevo disturbare Mike o invadere i suoi spazi, sapevo che la cosa lo mandava in bestia.
Socchiusi gli occhi mentre formulavo una domanda che mi ronzava da un po’ di tempo in testa, ma non avevo ancora avuto il coraggio di porre; tuttavia in quel momento, mentre davo le spalle a Mike e lui sembrava così tranquillo, mi sentivo più sicuro. “Ce l’hai con me?”
“No, Roddy. E anche se fosse, non avrebbe senso. Tu invece?”
Se ce l’avevo con lui? No, assolutamente. Non avrebbe avuto senso neanche da parte mia, ero stato io a combinare il casino.
“È colpa mia se se n’è andato” dichiarai con un filo di voce, più rivolto a me stesso che a Mike. Le lacrime cominciarono a pungere agli angoli degli occhi, ma le ricacciai indietro.
Il cantante non replicò, si limitò a posarmi una mano sul fianco, per poi attirarmi a sé e stringermi in un dolce abbraccio.
Mi aveva posato la mano sul fianco.
Come faceva sempre Jim.
Allora non fui più in grado di pormi un freno e scoppiai a piangere come un bambino, portando fuori tutta la sofferenza che avevo accumulato nelle ultime ore. Jim non c’era più ed era troppo doloroso da accettare; nessun Mike sarebbe stato in grado di sostituirlo, semplicemente perché Jim era Jim, con tutte le sue stranezze e peculiarità.
D’altra parte Mike era lì accanto a me, mi abbracciava e mi cullava tra le braccia, lasciava che soffocassi i singhiozzi col volto affondato nel suo petto e mi stava dando ciò che da lui avevo sempre desiderato: un po’ di affetto.
Dentro di me sapevo che non sarei mai riuscito a scegliere tra loro due, che per me ognuno era a suo modo speciale e inimitabile, ma in quel momento decisi di godermi quell’attimo di dolcezza, decisi di abbandonarmi a quel calore nuovo e lasciare che attenuasse il dolore delle mie ferite.








Partecipa alla “Infinity Prompt Challenge” indetta da HarrietStrimell.
I prompt utilizzati, entrambi dalla lista “Citazioni varie”, sono:

#014. “Errore, errore, errore. Che parola strana: dolorosa, in un certo senso”.
– Lauren Oliver, Before I Fall

#002. Mia nonna mi diceva sempre: «Un buon pasto sostiene il cammino di colui che ama profondamente il buon cibo».
– Flavors of Youth


Arrivo frastornata alla fine di questa storia che, seppur sia nata in soli tre giorni, è stato un parto plurigemellare e mi ha messo non poco alla prova. Purtroppo per voi vi dovrete beccare non solo le mie lagne post stesura difficile, ma anche delle NdA piuttosto lunghe!
Ma non perdiamoci in chiacchiere!
Chi conosce il fandom dei Faith No More sa bene che esistono due filoni narrativi principali, uno sviluppato da Kim WinterNight (in cui c’è questo rapporto particolare tra Roddy e Mike) e uno – ancora nascente – sviluppato da me, in cui invece esiste un rapporto particolare tra Roddy e Jim.
Per chi non conosce il fandom, lo spiego brevemente: nell’immaginario di Kim, Roddy è follemente innamorato di Mike, che però non è avvezzo a relazioni serie, romantiche o stabili, quindi si avvicina a Roddy in maniera prettamente fisica e si diverte con lui tra le lenzuola, senza mai essere troppo dolce o affettuoso (diciamo che lo è solo e unicamente quando lo vuole lui, ovvero raramente).
Nel mio immaginario invece, Roddy e Jim hanno sempre avuto un bel legame di amicizia e Roddy è l’unico con cui Jim (di natura chiuso e riservato) riesce ad aprirsi; allo stesso modo il tastierista è l’unico a stare appresso al chitarrista, dato che il resta della band non ci va molto d’accordo. Tra i due nasce quindi un rapporto di affetto reciproco che ovviamente va oltre l’amicizia, ma assume toni soffusi e non viene mai definito dai due.
Così in questa storia ho pensato di unire i due filoni narrativi, immaginando che Roddy vivesse questi due rapporti contemporaneamente, perché… dai, era troppo divertente immaginare una rissa/scenata di gelosia che coinvolgesse Mike e Jim XD
Per quanto riguarda il rapporto conflittuale tra i due, questo prende spunto dalla realtà: Jim a un certo punto ha cominciato a non andare più d’accordo con il resto della band, soprattutto per colpa di divergenze artistiche, e le liti più frequenti erano proprio con Mike, che gli giocava pure brutti scherzi sul palco. Insomma, in quel periodo specifico le tensioni erano palesi, addirittura parlavano male l’uno dell’altro nelle interviste!
Rimanendo fedele alla realtà, ho deciso di ambientare la storia nell’estate 1993, precisamente il 17 luglio, quando i FNM hanno suonato in Inghilterra e chiuso il tour di promozione per il loro album Angel Dust. Scelta non casuale: quello fu l’ultimo live di Jim Martin prima che lasciasse la band. Anche se la notizia del ‘divorzio’ dalla band venne diffusa pubblicamente diversi mesi dopo, ho pensato che potesse aver preso tale decisione in quel giorno ^^
Poooi… quando Jim accusa Mike di “essere arrivato per ultimo”, si riferisce al fatto che il cantante sia entrato nella band solo sul finire del 1988, mentre i Faith No More esistevano fin dai primi anni Ottanta e hanno avuto altri cantanti prima di lui.
Similmente, Mike si riferisce a questo quando dice che lui “non era lì da prima” ed effettivamente non ha visto nemmeno la fine: è ancora nella band ;)
Un altro fatto vero è che Roddy è veramente omosessuale e ha fatto coming out soltanto nei primi anni Novanta, anche se i suoi compagni di band lo sapevano già da tempo.
Come avrete notato, ci sono diverse frasi in corsivo durante i dialoghi. Non solo altro che delle traduzioni (un pochino riadattate a seconda della situazione) di alcuni versi del brano Breaking Now dei From Ashes To New, fornitomi nel pacchetto del contest a cui partecipa la storia; anche il biglietto che Jim lascia nella tasca di Roddy contiene alcuni spezzoni (non in ordine) del testo. sinceramente non sono molto convinta dell’utilizzo che ne ho fatto e non so nemmeno se sono riuscita a cogliere appieno il senso della canzone, ma ho pensato che alcune frasi si adattassero perfettamente alla situazione e le ho inserite!
Il titolo è una fusione di due versi della
La citazione all’inizio, invece, proviene da uno scritto di falcediluna_, autrice efpiana che adoro e stimo, che mi ha permesso di citare come mia fonte di ispirazione la sua Today (passate a darci un’occhiata, è fantastica!). La sorte ha voluto che leggessi questo suo scritto proprio durante la stesura di questa storia, che presentava le stesse tematiche da lei descritte, e devo ammettere che è stato parecchio illuminante! Grazie ancora, cara *-*
Penso di aver detto e spiegato tutto! Per il resto, spero che la storia sia stata esaustiva di suo e che i personaggi si siano raccontati tramite i loro gesti!
Grazie di cuore ai coraggiosi che arriveranno fin qui, spero davvero di non avervi traumatizzato con tutto quest’angst XD
Alla prossima!!!


   
 
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