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Autore: Nuel    14/02/2020    4 recensioni
La pace è tornata a Dante’s Cove dopo che le Ombre sono state ricacciate nella loro prigione secolare, ma di Toby e Adam non c’è traccia.
Mentre i ragazzi sono intrappolati nella Casa delle Ombre, il mondo morente da cui le malvagie entità che li hanno attaccati hanno avuto origine, le streghe e i maghi del Treesom rimasti sull’isola cercano un modo di riportarli a casa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam, Ambrosius Vallin, Grace Neville, Kevin Archer, Toby Moraitis
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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V

Conseguenze

 

Adam non sapeva se fosse merito del suo malore o del cocco che avevano mangiato fino a saziarsi. Non era saporito e fresco come quello a cui erano abituati, ma era meglio di qualsiasi tubero o radice amara che avessero mangiato negli ultimi giorni. Quello che sapeva era che stava scambiando con Toby tutte le effusioni che il suo ragazzo non gli aveva concesso da quando erano arrivati in quel posto maledetto.
     
Il corpo di Toby era caldo e duro di muscoli allenati e desiderio. Non potevano andare fino in fondo, ma lo sentiva di nuovo vicino, desideroso di lui, e gli bastava. Gli bastava baciargli la pelle tesa intorno all’ombelico e risalire fino alla sua gola lasciando una traccia di saliva, slacciargli i jeans e toccarlo nel modo giusto per accorciargli il fiato.
     
«Adam…». La voce di Toby era bassa, inframmezzata da sospiri e gemiti di piacere. Le braccia del suo ragazzo gli si strinsero sulle spalle, e Adam gonfiò il petto, premendo il torace contro il suo. La sensazione delle unghie corte di Toby sulla schiena lo spinse a stringere la presa, muovere più rapidamente la mano, ma anche i suoi jeans si erano fatti di colpo più stretti. Spinse l’erezione contro il fianco di Toby e lui sussultò. Ci era vicino, Adam ormai lo conosceva abbastanza da capire quando gli mancava poco, anche se non diceva nulla.
     
Le dita di Toby gli arpionarono il denim su una natica, alla ricerca spasmodica della sua pelle e poi si infilarono nella tasca dei pantaloni. Strinse mentre veniva, e Adam avrebbe potuto venire solo guardandolo inarcarsi e spalancare la bocca in cerca d’aria. Un gemito così roco da fargli venire la pelle d’oca. La fronte di Toby, però, si aggrottò l’attimo dopo, e il sorriso sparì dal suo viso.
     
«Che c’è?». Adam si slacciò i jeans prima di scoppiare, e puntò di nuovo al suo collo, affamato del sapore salato della sua pelle, ma Toby si alzò a sedere, sottraendosi alle sue labbra.
     
Con la mano frugò ancora nella sua tasca, e Adam capì che aveva trovato il lichene.
    
Toby aveva il respiro corto per l’orgasmo appena raggiunto e la pelle coperta di sudore, ma non c’era più traccia di piacere o abbandono nella sua espressione. Aprì la mano in cui stringeva il Saint, esponendolo sul palmo, tra di loro. Lo guardò interrogativo, e Adam chinò lo sguardo.
     
«Non ci posso credere». La delusione nel suo tono ferì Adam come un coltello nel cuore. Non c’era più traccia di eccitazione, di complicità. Toby gli lanciò addosso il lichene appassito e stropicciato, e scese dal letto, riallacciandosi i jeans.
     
Adam cercò di trattenerlo afferrandogli un polso, ma Toby lo strattonò via. «Toby, posso spiegarti…».
     
«Cosa?», lo aggredì l’altro. «Che dopo tutti gli sforzi per tenerti pulito, usi ancora quella merda? Era quello, prima, vero? Non le Ombre. Eri sotto l’effetto del Saint!».
     
«Sì, ero sotto l’effetto del Saint, ma non lo sto prendendo, Toby».
    
«E allora perché ce l’hai con te, Adam?». Toby era troppo arrabbiato. Non gli avrebbe creduto, e lui aveva rovinato tutto, di nuovo.
     
«Per te». Non fu sicuro di averlo detto finché non vide l’espressione incredula e disgustata sul volto del suo ragazzo.
    
«Per me? Inventane un’altra, Adam». Gli diede le spalle, e Adam vide la sua schiena contrarsi e sussultare. Toby si portò le mani al viso. Non aveva bisogno di vedere la sua espressione per sapere che stava cercando di inghiottire le lacrime, e non ce la fece più.
     
«Se non ci fosse nessun modo per tornare a casa?». Gli si formò un nodo in gola, ma non poteva tacere ancora. La visione era dietro le sue palpebre ogni volta che le abbassava: Toby morto, in quella casa, il suo corpo consumato dagli stenti e dalla disperazione. Sarebbe successo. Sarebbe successo se non fossero riusciti ad andarsene. «Se tutto quello che potessimo fare per il resto della nostra vita fosse guardare attraverso quello specchio, con te che rimpiangi Kevin, mentre moriamo un po’ alla volta, cibandoci solo di bacche e radici…».
     
Toby si rivolse di nuovo verso di lui. «Adam, io non rimpiango Kevin. Ho avuto la possibilità di tornare con lui, ma ho scelto te».
     
Adam sentì gli occhi diventare umidi. «Il Saint ti fa sentire bene. Ti toglie la fame, la paura». Un sorriso amaro gli stirò le labbra, la voce incrinata. «Ti fa vedere quello che desideri».
     
«O incubi spaventosi!».
     
Scosse la testa. «Non all’inizio, Toby. Gli incubi arrivano con la dipendenza. Il tuo cervello ne vuole di più, ma il corpo non ce la fa, e allora… allora vedi cose spaventose, che non puoi controllare, ma…». Non riuscì a finire. Non riuscì a dirgli che era l’unica via di fuga che aveva trovato, che a lui sarebbe bastato per… Rimase inginocchiato sul letto, la testa china e le spalle curve, con le braccia inermi lungo i fianchi e i jeans slacciati. Sul lenzuolo i frammenti del lichene si confondevano tra le pieghe del cotone.
     
Toby si mosse lentamente. Il pavimento scricchiolò quando spostò il peso da una gamba all’altra e poi mosse un passo verso la porta. Tornò indietro. Sospirò. «Pensavo». Si interruppe, e Adam trattenne il fiato nell’attesa che continuasse. «Pensavo che una delle noci di cocco che hai portato potremmo provare a piantarla nell’orto. Se germogliasse, ci vorrebbero anni prima che iniziasse a dare frutto ma, come è successo a noi, di finire qui, potrebbe capitare anche a qualcun altro».
     
Adam alzò appena lo sguardo, inseguendo il respiro che sollevava e abbassava il torace di Toby, e si fermò sulla sua gola, sul pomo d’Adamo che scendeva ingoiando saliva e lacrime. «È un’ottima idea, Toby».
     
«Allora, che ne dici di venire fuori con me a scegliere dove piantarla?».
     
Toby era il suo migliore amico, l’unico che si fosse sempre sforzato di capirlo e di sostenerlo nonostante i suoi sbagli. Adam annuì e lasciò il letto, lasciò il lichene, resistendo alla tentazione di raccoglierlo. Si asciugò il viso col dorso della mano e seguì Toby, certo che l’altro avesse capito e che lo avesse già perdonato.
 

)o(

Grace aveva già staccato i petali da una ventina di fiori, uno ad uno, ripetendo invocazioni rituali e gesti antichi. «Passami il mortaio». Allungò una mano verso Ambrosius e l’uomo sospirò.
     
«Non puoi prendertelo da sola?». Non faceva altro che camminare avanti e indietro, incapace di nascondere il nervosismo, ma le passò il recipiente di pietra.
     
«Almeno ti rendi utile invece di scavare un sentiero nel pavimento. Non dovresti imparare la formula?». Il mortaio era più pesante di quanto avesse immaginato e per un attimo vide Ambrosius sogghignare nel vederla in difficoltà. Lo appoggiò al tavolo e cominciò a riempirlo di petali.
     
«Già fatto». Gli occhi scuri del warlock si illuminarono di orgoglio prima che li spostasse da lei a Kevin, all’altro lato della stanza. Grace guardò a sua volta in quella direzione, dove il ragazzo stava imparando come aprire il portale. Diana gli mostrava la sequenza dei gesti e ripeteva le parole dell’incantesimo con voce morbida e profonda.
     
«Non immaginavo che fosse un’insegnante così brava».
     
Ambrosius sogghignò. «È invidia quella che sento nella tua voce?».
     
Grace atteggiò le labbra in una smorfia. «Beh, forse un pochino», ammise. Era inutile negarlo, e si stava davvero impegnando per lasciarsi alle spalle l’antico rancore tra di loro.
     
«È brava». Ambrosius le si avvicinò, prendendo il pestello in mano, e Grace gli lasciò il posto. «Se non fosse stato per lei, sarei impazzito mentre ero prigioniero del tuo incantesimo». Cominciò a triturare i petali con più forza di quanta ne avesse Grace, ma con gli stessi movimenti che avrebbe fatto lei.
     
«Riconosco che non sia stato… appropriato, da parte mia».
  
«Dovrebbero essere delle scuse?». Ambrosius alzò gli occhi su di lei e Grace si affrettò a distogliere lo sguardo. «Centosessant'anni», le ricordò. «E sarei ancora lì se Kevin non mi avesse liberato».
     
«Erano altri tempi». Grace cercò di fare l’espressione più contrita di cui fosse capace. Sapeva che quello che aveva fatto era sbagliato, ma all’epoca le era sembrato giusto. Persino generoso.
     
Ambrosius dedicò di nuovo la propria attenzione al lavoro. I petali candidi dello starflower erano diventati quasi trasparenti, la linfa che avevano rilasciato rendeva lucida la conca interna della pietra. «Mi avresti davvero sacrificato dopo la nascita del nostro primo figlio?».
     
Lui non alzò nemmeno gli occhi, e lei si morse il labbro. «Mia madre non era comprensiva e paziente come Diana».
     
Lui sospirò. «Lo sospettavo. Sospettavo che quella vecchia strega mi avrebbe ucciso alla prima occasione, ma confidavo che tu mi amassi abbastanza».
     
«Oh, Ambrosius…».
     
«Lascia stare, Grace. Come dicono in quest’epoca, tutto è bene quel che finisce bene, non è vero? Finirà bene anche per quei due».
     
«Ne sei convinto?».
   
«Siamo i migliori incantatori del Treesom sull’isola». Le regalò quel suo sorriso da schiaffi, e Grace avrebbe tanto voluto credergli.
     
«Vuoi dire che siamo gli unici».

)o(


Kevin era pronto: Diana aveva dipinto delle rune sulla sua faccia, sui dorsi delle mani e sulle palme dei piedi, e lui aveva infilato nello zaino il mortaio e tre ampolle. Lui stesso aveva consumato alcuni petali di starflower e subito aveva sentito i suoi sensi farsi più acuti, la concentrazione aumentare. Poteva sentire il potere del Treesom scorrergli nelle vene, riscaldandolo con l’energia del Sole.
     
Ambrosius lo baciò. «Stai attento, e sii veloce. Non so per quanto riuscirò a tenere aperto il portale».
     
Il Warlock appoggiò le dita sullo specchio, i pollici si sfioravano appena, poi ruotò i polsi e ogni polpastrello lasciò dietro di sé una traccia gelatinosa e trasparente.
     
«Apri ciò che è stato chiuso nel vortice tra i mondi. Apri il tuo abbraccio oscuro. Lega i mondi, districa il percorso. Rivela la via. Mostra ai miei occhi il sentiero da compiere. Il mio compito è vedere. Il mio compito è sapere. Rivela la via. Rivela la via. Rivela la via».
     
«Rivela la via». La voce di Grace, alle spalle di Bro, si unì alla sua. Un attimo dopo anche quella di Diana ripeté l’invocazione, e il vetro dello specchio divenne opaco e poi tornò limpido. Dall’altra parte c’era una stanza.
    
Bro ricominciò l’invocazione da capo, e al centro dello specchio si formò un’increspatura, poi ne seguirono altre, come se lo specchio fosse stato liquido e qualcuno vi avesse gettato dentro un sasso. Ambrosius staccò le dita dal vetro, lento e attento come se stesse maneggiando dell’esplosivo. Allargò le braccia e si allontanò dallo specchio.
    
Kevin contò i passi che il suo compagno stava compiendo all’indietro. Quando fece il terzo, l’apertura nel portale era abbastanza grande perché potesse tuffarcisi dentro.
    
Per un istante sentì ancora alle sue spalle le voci che chiedevano che la via fosse rivelata, e poi la vide, la strada tra i mondi, simile a un filo sottile e liquido, un cordone ombelicale che si ricostituiva via via. Annaspò in cerca di aria, in cerca di un centro di gravità che gli permettesse di coordinare i passi, di correre, di mantenersi in equilibrio, di raggiungere l’altra parte.
     
Quando sbucò dall’altro specchio, gli parve di non aver respirato per tutto il tempo. Poteva aver corso per ore, per giorni, e non aver mai respirato, eppure, col primo ossigeno che gli riempì i polmoni, gridò: «Toby?».
     
Non si voltò nemmeno a guardare il passaggio, corse fuori dalla stanza, attraversò la cucina e uscì. Non c’erano altre stanze. «Toby!».
   
Toby e Adam erano fuori, a pochi metri dalla porta, le ginocchia piegate a terra e le mani congiunte intorno a qualcosa. Alzarono gli sguardi increduli e, in un istante, furono in piedi.
     
«Kevin!». Prima che Toby potesse riprendersi dalla sorpresa, Kevin lo raggiunse e lo strinse in un abbraccio. «Come…».
     
«Dopo! Dobbiamo sbrigarci, prima che il portale si richiuda». Non c’era bisogno che spiegasse dove dovessero andare: Toby e Adam corsero in camera. Attraverso lo specchio videro Bro, le labbra in movimento e l’espressione concentrata. Aveva la fronte corrugata come se stesse sostenendo uno sforzo immane.
     
«Via le scarpe», ordinò Kevin. Gettò sul letto lo zaino e lo aprì estraendo rapidamente un pennarello nero. «Devo disegnarvi delle rune addosso». Bastava guardare lui per capire quello che intendeva.
     
«Con un pennarello?». Toby era scettico, ma tolse le scarpe comunque.
     
«Non c’è tempo per inchiostro e pennello».
     
«E non è più il medioevo, giusto?». Adam fece un sorriso incerto, ma Kevin non aveva tempo di pensare alle sue insicurezze, e si limitò ad annuire.
     
Tracciò i segni sul viso di Toby, poi sulle sue mani, infine lo fece sedere per potergli sollevare i piedi e disegnare sulle piante. Lo fece anche con Adam. Gettò il pennarello nel fondo dello zaino e tirò fuori le ampolle. «Dovete bere questo».
     
«Cos’è?». Kevin sperava che l’avversione di Toby per la magia, in quel frangente, non fosse di ostacolo, ma era stato troppo ottimista.
     
«Starflower». Rispose in modo secco. Non avevano tempo da perdere e Toby avrebbe dovuto farsene una ragione.
     
«No». Scosse la testa, facendo un passo indietro, ma Adam, alle sue spalle, lo fece girare verso di sé e lo baciò con prepotenza, costringendolo a chinare la testa in virtù dei centimetri d’altezza in più. Lo strinse e gli tolse il fiato, facendogli aprire le labbra. Toby lo spinse via un attimo dopo, stringendosi una mano alla gola.
     
«Litigheremo dopo, Toby». Adam teneva in mano un’ampolla vuota e aveva gli occhi lucidi, ma Kevin non avrebbe saputo dire se stesse per piangere o se fosse effetto dello starflower. Avrebbe voluto ringraziarlo per aver risolto il problema della testardaggine di Toby, ma aveva la mascella contratta. Lo osservò aprire la seconda boccetta e berne il contenuto e, per un istante, desiderò che gli andasse di traverso. Desiderò che una delle ampolle si fosse rotta durante il viaggio e che Adam non tornasse indietro con loro.
     
«Adesso?». Adam era una corda tesa, Kevin poteva quasi percepire la sua agitazione. I suoi occhi si stavano arrossando in fretta.
     
Si costrinse ad accantonare la gelosia che provava e raccolse la terza ampolla, versandone il contenuto nel mortaio. Vi immerse le dita. «Adesso apro il portale in modo che si possa viaggiare da questo mondo al nostro. Appena sarà aperto, vi ci buttate dentro e cominciate a correre».
     
«E tu?». Toby lo aveva ascoltato accigliato. Kevin conosceva la ruga verticale tra le sue sopracciglia e quel modo di tenere basso il mento per non guardare Adam. Era arrabbiato.
     
«Io dovrò sigillare di nuovo il portale in modo che le Ombre non possano attraversarlo, prima di seguirvi».
     
«La casa è circondata di rune che le tengono all’esterno», lo informò Adam.
     
«Come farai?», chiese invece Toby.
     
Kevin sorrise, sicuro di sé e grato per l’attenzione di Toby. «Dovrò essere veloce». Pose le dita sullo specchio, come aveva fatto Bro, dall’altro lato. I pollici che si sfioravano appena e si separavamo nel tracciare un semicerchio. Ogni dito lasciava dietro di sé una traccia bagnata.
     
«Apri ciò che è stato chiuso nel vortice tra i mondi. Apri il tuo abbraccio oscuro. Lega i mondi, districa il percorso». Alla sua voce si unì, simile a un’eco lontana, quella di Ambrosius, e Kevin sorrise. Il contatto era stato stabilito nel modo corretto. «Rivela la via. Mostra ai miei occhi il sentiero da compiere. Il mio compito è vedere. Il mio compito è sapere. Rivela la via. Rivela la via. Rivela la via».
     
Guardava dritto negli occhi di Bro, e quando le loro voci si coordinarono intravvide un sorriso tendergli le labbra. Kevin desiderò con tutto se stesso tornare da lui, baciarlo e morderlo, e fare l’amore con lui. Si allontanò di un passo, poi di un altro. «Adesso!». Mosse il terzo passo indietro e vide Adam spingere Toby nel varco.
     
I piedi di Adam incespicarono, ma riuscì a seguire Toby nel vortice. Kevin attese ancora un istante. «Rivela la via», ripeté ancora una volta, prima di afferrare il mortaio. Il cuore gli batteva forte in gola. Doveva essere veloce.
      
Il mortaio non gli era sembrato così pesante, prima.
     
Bro fece un cenno con la testa, e Kevin scagliò il mortaio contro lo specchio. Si lanciò nel portale mentre il vetro andava in frantumi e il cordone ombelicale tra i due mondi si sgretolò troppo in fretta. Kevin si sentì cadere, precipitare.
     
Poi la mano di Bro si strinse sulla sua, in uno spazio a metà tra il loro mondo e quello da cui stava fuggendo, e Kevin vi si aggrappò con tutte le forze che aveva.
     
Si sentì trarre in salvo. Le rune sulle sue mani si legarono alle rune sulle mani di Bro, e lui lo riportò a casa, tra le sue braccia.
    
Kevin precipitò addosso a Bro nell’istante in cui lo specchio si infrangeva alle sue spalle. Tornò a respirare, quasi incredulo sorrise e baciò lo stregone, steso sotto di lui. Le braccia di Bro lo strinsero per un momento. L’uomo respirava con affanno per lo sforzo fatto, ma voltò lo sguardo indietro, dove Diana e Grace si stavano occupando dei ragazzi.
     
Toby si stava alzando. Forse gli girava la testa, ma Diana lo stava aiutando. Adam, però, era ancora a terra, col volto pallido e le labbra bluastre. Grace cercava di svegliarlo, colpendolo al viso con degli schiaffi sempre meno gentili.
    
«Adam!». La voce incerta di Toby convinse Kevin ad alzarsi. «Adam! Che succede? Perché non si sveglia? Adam!». Toby si lasciò cadere in ginocchio accanto al suo ragazzo, e Kevin si avvicinò trattenendo il fiato.
     
Grace sollevò lo sguardo sulla sorella e su Bro, prima di guardare Toby. «È in overdose». Grace non era mai davvero gentile, a meno che la situazione non fosse disperata.
     
Kevin sapeva che sarebbe potuto succedere, ma aveva voluto ignorarlo. Avrebbe voluto ignorare anche le lacrime di Toby, ma non ci riusciva. Lo abbracciò, senza sapere cosa dire.
     
«Possiamo salvarlo». Grace cercò lo sguardo di Toby, che si sollevò subito sul suo. «Posso salvarlo e farlo stare bene, ma non ti piacerà…».
     
«Salvalo!», la interruppe Toby. «Salvalo, Grace, ti prego».
   
Kevin allontanò Toby in modo che Grace potesse usare la magia su di lui. C’era un solo modo per purificare del tutto l’organismo di Adam dal Saint.
     
«Sacra luna che illumina il cammino, concedimi il potere del Treesom. Acque sacre siate veicolo di questo potere. Egli è mio. Mi è stato donato…».
     
«Toby». Diana gli accarezzò il braccio. «Devi rispondere. Devi dire che sei tu a donare Adam, perché lui non può farlo».
     
«Cosa?». Toby era frastornato.
     
«Di’ “io lo concedo”», lo istruì Bro.
     
«Solo così sarà salvo», lo incalzò Diana.
     
«Io… io lo concedo». Kevin lo sentì tremare tra le proprie braccia. Toby non aveva idea di cosa stessero facendo, di cosa stesse autorizzando, e la magia lo terrorizzava, ma perdere Adam lo spaventava ancora di più.
     
«Potere dell’oceano, potere della luna, io lo accolgo come mio Aspirante!». Grace premette le mani sul torace di Adam, e lui sussultò e tremò mentre Grace assorbiva il potere dello starflower che intossicava il suo corpo.
     
Passarono secondi interminabili prima che Adam aprisse la bocca in un primo, disperato respiro. L’aria gli riempì di nuovo i polmoni, e lui aprì gli occhi cerchiati e disorientati, inconsapevole di essere stato a un passo dal morire.
    
Kevin lasciò la presa su Toby, permettendogli di raggiungere Adam. Il suo sollievo sarebbe durato poco, ma per ora poteva lasciarlo in pace. Uno di loro, proprio lui magari, avrebbe dovuto dire loro che Adam adesso apparteneva al Treesom, che l’incantesimo che gli aveva salvato la vita, metteva anche quella vita nelle mani del potere che Toby odiava e che gli aveva già portato via lui e Van.
     
Si sentì avvolgere dalle braccia forti di Bro e decise di non pensarci, almeno per ora. Si appoggiò al suo torace, e Bro gli posò un bacio tra i capelli; quello valeva più di qualsiasi complimento avesse potuto fargli.
     
Finalmente, erano tutti a casa.
     
Finalmente, non c’erano più Ombre nel loro mondo.
     
Alle conseguenze avrebbero pensato in un altro momento.

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Buon San Valentino! ^^
     Questa storia è finita… in stile Dante’s Cove: con qualche nuovo problema da risolvere, che però viene rimandato alla stagione successiva.
    
Prossimamente, quindi, aspettatevi un mio ritorno in questo fandom per rimettere in piedi Adam e scoprire come prenderà Toby la sua affiliazione al Treesom.
    
Un grazie di cuore a chi ha seguito questa storia pur non conoscendo il fandom, a chi si è fidato di me per avventurarsi in qualcosa di nuovo, a chi conosceva già Dante’s Cove e sentiva la necessità di tirare fuori quei due poveri ragazzi dalla situazione in cui erano!
    Un grazie particolare a
shilyssFuuma e G RAFFA uwetta per aver commentato il capitolo precedente.
  Il mese prossimo uscirà mia breve storia originale, ma nel frattempo cercherò di tirare fuori dalla mia testa qualcos’altro quindi, se volete restare informati sui miei prossimi lavori, seguitemi su FB! ^^

A presto. ♥

   
 
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