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Autore: Carmaux_95    14/02/2020    7 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIASSETTE

Era ingiusto, se ne rendeva conto.

Lui aveva avuto il suo addio, il suo momento di intimità. Pochi attimi, in fin dei conti – forse anche meno di cinque minuti – ma che erano stati sufficienti per imprimergli nella mente la delicata fermezza delle labbra di Jim; il profumo dei suoi capelli scompigliati e che nascondevano quel bernoccolo procuratogli da Roger; il calore delle sue mani che si infilavano sotto i suoi vestiti; la sua voce nelle orecchie mentre, anche in quel momento di fuga frenetica, continuava a scherzare.

Non faceva che pensarci, ricordando il modo in cui Jim gli aveva preso il viso fra le mani e aveva cominciato a dirgli qualcosa per poi essere interrotto da Roger:

-Potresti...-

Potresti... cosa? Cosa gli stava per proporre prima che quel teppista del suo migliore amico rovinasse l'atmosfera?

Aveva continuato a domandarselo: la sua mente non aveva potuto fare a meno di tornare ancora e ancora a quel momento, elucubrando e vagliando le possibili opzioni.

Forse voleva solo fare un'altra battuta.
Ma se avesse voluto dirgli qualcos'altro?

Quei pensieri vennero bruscamente interrotti quando intercettò con lo sguardo uno degli uomini che li aveva sorpresi, tre settimane prima, in quel garage di Chicago: si volse di scatto, di modo che non lo vedesse in viso.

Dovevano andarsene. Subito!

Era ingiusto, ma dovevano andarsene immediatamente. Entrambi.

Si avvicinò al suo migliore amico e si sentì un verme quando gli appoggiò una mano sulla spalla, interrompendo quell'intenso contatto visivo che si era instaurato fra lui e il suo professore.


 


 

Edizione straordinaria!
Sette uomini massacrati in un garage!

La forte belligeranza fra bande culmina con una strage durante la notte di San Valentino. La banda del noto gangster George Bugs Moran viene sterminata nel garage al 2122 di North Clark Street, dove sono state ritrovate più di 160 pallottole di mitra. Per quanto riguarda il solo “Bugs” Moran, i polmoni sono stati lacerati da più di dodici pallottole; l'aorta è lacerata e il fegato è spappolato.

Si prevedono sanguinose rappresaglie!

Ma la polizia potrebbe riuscire a prevenirle: pare, infatti, che due uomini – due musicisti capitati nel posto sbagliato nel momento sbagliato – abbiano assistito alla sparatoria e siano riusciti, miracolosamente, a sfuggire alla medesima sorte riservata alla banda assassinata.

Tutta la polizia di Chicago ha già cominciato le ricerche ma al momento non si hanno ancora notizie.”

John voltò pagina, concentrandosi su un altro articolo di giornale che era stato ritagliato e inserito nel suo fascicolo.

Chiude il Rainbow dopo una retata della polizia.

Arrestate quasi un centinaio di persone tra gestori, ballerine e musicisti...”

Scorse rapidamente gli occhi lungo quell'articolo.
Non aveva bisogno di leggerlo per sapere cosa fosse successo: era presente, quella notte. Era stato lui ad indicare quel locale alla polizia.

Ma era stato sempre lui a risparmiare la stessa triste sorte della galera a due musicisti che, anche nell'articolo, venivano segnati come scomparsi.

Due musicisti scomparsi.

-Come cazzo si fa a farsi scappare un musicista che si porta dietro il peso di una grancassa! Posso capire il cantante che non ha impedimenti... ma una cazzo di batteria no!- così gli aveva detto Prenter quella sera.

Un batterista.
Che non era più stato trovato.

Prese una matita e sottolineò quell'ultima frase.
Tornò all'articolo precedente e sottolineò le poche parole riguardanti quei due testimoni.

Due musicisti.

Due musicisti inseguiti dalla polizia possono salvarsi rimanendo fuori dal giro per un po', ripiegando su lavori di seconda mano e su locali legali.
Ma due testimoni di una sparatoria fra gang, braccati dai peggiori criminali della città...
Non sarebbe bastato nascondersi per un po' o cambiare locale. Non sarebbe bastato cambiare città; non sarebbe bastato cambiare orchestra.

Non sarebbe bastato nemmeno cambiare nome.

-John! Non esiste nessuna “Clare”! Guardami! Ho davvero una sorella che si chiama Clare... ma questa Clare... non esiste: sono solo io. Era il modo più sicuro di scappare da Chicago...-

Scappare da Chicago.

Roger.
Il “fratello” di Clare.
Lo stesso Roger di cui Brian gli parlava da quasi tre settimane.
Ed erano passate appena tre settimane dalla Strage di San Valentino.
Lo stesso Roger che, sotto mentite spoglie era partito proprio da Chicago insieme ad un'orchestra femminile.

Ed insieme ad un'altra persona.

Il dubbio che anche Wendy non fosse la pianista che credeva, cominciò ad insinuarsi nella sua mente: i testimoni della strage, dopotutto, erano due.

Separò quelle due pagine dal resto della documentazione e le piegò più volte su sé stesse. Aspettò qualche secondo, prima di infilarle nella tasca dei pantaloni, riflettendo: alla luce dei fatti, non era poi così inconcepibile come credeva che Roger non volesse far sapere nulla a Brian, dato il rischio di farlo entrare nel mirino di gangster di quel livello.

Con un gesto disinteressato, chiuse il resto del fascicolo e lo buttò nella sua valigia, aperta sul letto. Sorrise al pensiero che anche Veronica, nella sua camera, stava raccogliendo tutte le sue cose, pronta a lasciarsi alle spalle quel lavoro poco gratificante per andarsene con lui.

Non riusciva ancora a credere che stesse davvero succedendo: nell'arco di poche ore la sua vita si era completamente ribaltata.

Ma non poteva ancora andarsene: aveva alcune questioni lasciate in sospeso.

E un favore da ripagare.

Rifletté per qualche secondo: alla fine, si diresse verso la scrivania e prese in mano la cornetta del telefono.


 


 

Era rimasto lì, immobile e frastornato.

Di tutte le cose che si sarebbe aspettato – che Clare non gli rispondesse, proteggendo i segreti del fratello; che lo spintonasse via dato che, dopotutto, aveva dimostrato di avere un carattere particolarmente sanguigno; che lo insultasse per averla strattonata e per averla tempestata di domande e richieste... – mai avrebbe immaginato di vedere quell'intensità nei suoi occhi, quello sguardo distrutto. E ancora meno si sarebbe aspettato di vederla sporgersi in avanti per baciarlo.

E poi la sua voce...

-Non ne valgo la pena Brian.-

La voce non più di Clare... ma di Roger.

Il... suo Roger?

Gli occhi sgranati, riconobbe per la prima volta quel viso dai lineamenti delicati, quegli occhioni azzurri di cui tanto si era invaghito... quelle labbra morbide.

Incredulo – perché non poteva che essere una follia – allungò sfacciatamente una mano verso il suo viso, sfiorando quei lunghi codini biondi. Con sua nuova sorpresa, al tatto si rese conto che quei fili d'oro erano finti.

Una... parrucca?

Le sue dita, sotto quello sguardo celeste tanto familiare, stavano per stringersi attorno ad una di quelle ciocche per tirarla e scoprire cosa si nascondesse sotto di esse, ma una mano si posò bruscamente sulla spalla di quello che non poteva credere fosse davvero il suo Roger, facendolo voltare di colpo.

Wendy sussurrò qualcosa al suo orecchio e, prima che Brian si rendesse conto di cosa stesse succedendo, Roger gli rivolse un ultimo sguardo triste: -Mi dispiace...- furono le uniche parole che riuscì a pronunciare mentre la corvina lo trascinava via.


 


 

Jim si sistemò velocemente i vestiti e riuscì a chiudere la cerniera dei pantaloni appena prima che, con un trillo, le porte dell'ascensore si aprissero al piano terra. Si passò una mano fra i capelli in un misero tentativo di renderli presentabili e tornò finalmente nelle cucine.

Non voleva darlo a vedere ma il cuore gli batteva freneticamente.
Un po' per il ricordo ancora vivo di quanto stava succedendo in quello sgabuzzino, un po' per la paura.

Raggiunse la porta della dispensa, sulla quale era appeso il programma della giornata: i turni di lavoro; gli orari di pranzi e cene; i nomi degli inquilini che desideravano ricevere il servizio in camera e tutti gli eventi della giornata che coinvolgessero anche solo marginalmente le cucine.

Si soffermò su quest'ultimo elenco e scorse la lista, aiutandosi a tenere il segno con l'indice, per essere sicuro di non perdere nulla. Verso la fine dell'elenco, finalmente trovò quello che stava cercando:

Salone secondario: PRENOTATO.
EVENTO PRIVATO.
Decimo congresso degli amici dell'Opera italiana
CENA e DOPOCENA.”

Tornò rapidamente nella hall dell'albergo e, scusandosi sbrigativamente con il collega che cercava di dare il benvenuto ad una giovane coppia appena arrivata, lo spinse di lato per controllare i fascicoli relativi agli eventi organizzati per quella giornata.

Se si trattava di un evento privato, da qualche parte doveva pur esserci una lista con i nomi di tutti gli invitati con, di fianco, il numero della camera occupata.

Il racconto di Fred era stato frettoloso e leggermente sconclusionato, ma, sebbene si fosse perso qualche dettaglio per strada, i concetti principali si erano impressi a fuoco nella mente di Jim: per l'albergo si aggirano i peggiori gangster di Chicago e Fred e Roger per poco non avevano rischiato una tragica morte in ascensore quando le porte dell'ascensore si erano aperte proprio di fronte a loro.

Al secondo piano. Era quasi sicuro che Fred avesse detto che si trovavano proprio al secondo piano quando li avevano incontrati.

Era improbabile che fossero delle persone qualunque ad aggirarsi per un piano a caso dell'albergo: era molto più probabile che chi era in attesa dell'ascensore a quel piano fosse appena uscito dalla propria camera.

Inoltre, Freddie, parlando dell'amministratore dell'orchestra, aveva accennato di sfuggita al Congresso degli amici dell'Opera. Jim lì su due piedi non aveva capito in che modo quell'evento si inserisse nella sua sventurata storia, ma non aveva posto domande.
Adesso, invece, un'idea era balenata nella sua mente.

Poteva fare ben poco per aiutare Fred e Roger a scappare: provare a controllare quali potessero essere gli spostamenti e gli eventuali impegni dei loro aguzzini era forse l'unica cosa nelle sue possibilità.

Trovò finalmente l'elenco e lo lesse avidamente, confermando le sue supposizioni.

Ricontrollò gli orari e il luogo, per essere sicuro di riferirli giusti a Fred, poi strappò un pezzetto di carta e, rubando la penna al povero ragazzo che ora si trovava in seria difficoltà con i nuovi clienti, scrisse rapidamente poche parole.


 


 

-Forza! Andiamo!- esclamò Roger, di pessimo umore, liberandosi dalla presa di Fred e afferrando Mallett, spingendolo a muoversi.

L'uomo, preso in contropiede da quell'aggressività, fraintese, come sempre e, lasciandosi trascinare, si volse verso Fred sfoderando un sorriso: -È sempre così impetuosa!-

Uscire sulla strada principale forse non era il piano migliore, tutto sommato: decine di macchine continuavano ad andare e venire, e molti clienti dell'albergo avevano deciso di godersi un po' di sole e quella fresca arietta proprio nella veranda che dava sulla strada. Roger e Fred, invece, volevano passare inosservati, volevano che il minor numero di occhi possibile si posasse su di loro. Ogni singola persona che li vedeva poteva, potenzialmente, indirizzare i gangster verso di loro.

Con un'occhiata, Roger comunicò a Fred che aveva intenzione di passare dall'uscita sul retro dell'albergo e il pianista annuì.

Avevano appena svoltato l'angolo quando il batterista bloccò di colpo quella marcia forzata.
Si fermò così bruscamente che Mallett sbatté contro la sua schiena e per poco Fred non fece lo stesso con quella di quest'ultimo. Alzandosi sulle punte per controllare cosa fosse successo, sbiancò e si abbassò, in un misero tentativo di nascondersi dietro il pretendente di Roger che, invece, si era letteralmente ritrovato faccia a faccia con uno degli uomini dai quali cercavano di scappare.

Senza fiato e con il cuore che aveva improvvisamente smesso di battere, Roger rimase impietrito.

Fu il gangster ad aprire bocca per primo, sorridendo: -Ma guarda.- disse affabile: -Le bamboline dell'ascensore!-


 


 

Ancora fermo sul posto, Brian si sentiva un idiota: era rimasto lì immobile mentre Wendy trascinava via Clare... o Roger; era rimasto lì fermo, con la mano ancora alzata come quando stava sfiorando quei finti capelli color del grano; era rimasto lì a cercare di costruire un pensiero logico.

Invano.

Tutto questo non ha senso. Non ha un minimo di senso!

Com'era possibile?

Ma che diavolo sta succedendo oggi?!

Esclamò fra sé e sé: prima John che rivelava improvvisamente di essere, ormai da più di un anno a questa parte, un informatore della polizia; e, come se questa non fosse stata una rivelazione sufficientemente sconvolgente, si aggiungeva Roger che prima gli aveva detto addio senza spiegare il motivo di una fuga così improvvisa, e poi gli aveva rivelato di essere Clare... o meglio... Clare gli aveva rivelato di essere Roger...

Persino cercare di riordinare le idee risultava folle!

Tutte quelle storie su Clare, sull'averle insegnato a suonare...
Tutte quelle scuse quando parlava di lavoro: l'essere un dentista... e tutti quegli appuntamenti fuori dall'orario di lavoro...

Non erano... non potevano essere tutte bugie!

Improvvisamente gli tornarono in mente le parole che lui stesso aveva pronunciato, non più tardi del giorno prima, a Wendy:

-So che sembrerà un'idiozia da dire, ma alcune sue espressioni... sono identiche a quelle di Roger. Ma immagino che sia quasi normale, tra gemelli.-

Dio! Quanto ingenuo e stupido poteva essere!?

Si portò le mani fra i capelli, come a voler enfatizzare la follia di tutta quella storia.

Perché, poi? Che motivo poteva mai esserci per aver creato quell'enorme castello di bugie e mezze verità?

Ripercorse ancora una volta gli avvenimenti degli ultimi giorni e un altro dettaglio catturò la sua attenzione: quando aveva chiesto consiglio a Wendy, dando sfoggio della sua stupidità quando aveva sorriso a Clare pensando a quanto somigliasse al fratello, lei gli aveva risposto con poche parole:

-Oh sì. A volte è come se fossero la stessa persona!-

Non ci aveva prestato attenzione, sul momento – dopotutto, perché mai avrebbe dovuto immaginare che quella semplice frase avesse un duplice significato? – ma adesso gli apparve come una lampante confessione.

Anche Wendy era coinvolta!
Se sapeva della vera identità di Clare, forse anche lei non era chi diceva di essere!

Pensò a John: possibile che anche lui non ne sapesse nulla?
Doveva assolutamente parlargli!


 


 

Non era sicuro che fare quella telefonata fosse stata una buona idea: sotto una certa luce era un'ottima idea e, sostanzialmente, si era sostituito a Prenter, assolvendo i suoi compiti; sotto un altro aspetto forse aveva complicato la fuga di Roger.

Oppure no...

Infilò una mano in tasca, accertandosi del fatto che i due documenti che aveva separato dal resto del suo fascicolo fossero ancora lì: alla fine, se fossero riusciti ad uscirne tutti sani e salvi, Roger lo avrebbe ringraziato.

Forse.

Non che John cercasse o desiderasse il suo riconoscimento: era semplicemente la cosa giusta da fare, il giusto modo di ringraziarlo.

Chiuse la valigia e fece mente locale: doveva tornare da Veronica e poi andarsene, possibilmente prima che arrivasse la polizia.

Ma prima doveva trovare Brian e avvertirlo del putiferio che si sarebbe scatenato nell'arco di qualche minuto.


 


 

Roger non ci pensò su: quasi senza aspettare che il gangster finisse di parlare mollò il braccio di Mallett per prendere la mano di Fred e fare bruscamente dietro front.

Le voci che gli giunsero all'orecchio mentre si allontanavano gli fecero accelerare il passo:

-Ma che hanno quelle due donne?- domandò l'uomo che le aveva cordialmente salutate, togliendosi anche il cappello.
Doveva essere il meno sveglio del gruppo, pensò Roger, trovando subito conferma nella voce di uno degli altri uomini, più precisamente lo stesso che, quando le aveva incontrate per la prima volta, aveva chiesto loro se fossero mai state a Chicago:

-Idiota! Ve l'avevo detto: mi erano un po' troppo famigliari... quelle “donne” non sono donne! I due musicisti del garage! Neanche morti vogliono andare a Chicago? Bene: noi li finiremo qui!-

Erano ufficialmente fottuti!

Ormai stavano correndo e, facendosi largo fra la gente a spintoni, riuscirono a imboccare l'entrata dell'albergo: dovevano nascondersi immediatamente o sarebbe stata la fine.

Caracollarono fino all'ascensore ma persero qualche secondo aspettando che le porte si aprissero. Voltandosi per controllare alle loro spalle videro che uno degli uomini era riuscito a recuperare terreno e ad entrare e che, ora, si stava guardando intorno alla loro ricerca.

Fred fece in tempo a scattare di lato, andando a rifugiarsi dietro il bancone della hall, ma così facendo la mano di Roger sfuggì alla sua.

Il batterista per un momento non seppe cosa fare e rimase in piedi, fermo davanti all'ascensore.

Le porte, finalmente aperte, rivelarono John con, in mano, la sua valigia.

Roger ragionò in fretta, ma al suo cervello si affacciò solo un'unica idea che potesse, anche se con remota probabilità, permettergli di salvarsi la pelle.
Le dimostrazioni di affetto in pubblico mettevano le persone circostanti a disagio, portandole a distogliere lo sguardo: non era sicuro che questa teoria potesse applicarsi anche a dei fuorilegge alla ricerca di chi poteva firmare la loro condanna a morte, ma, ormai, tanto valeva giocarsi il tutto e per tutto.

Afferrò per la giacca l'amministratore, poliziotto, musicista, o qualunque altra cosa John fosse e, prima che questi potesse protestare, lo fece girare su se stesso di modo che il suo corpo nascondesse il proprio: indietreggiò fino a sbattere la schiena contro la parete e, così “protetto” lo trascinò su di sé, tenendolo fermo mentre lo baciava il tempo sufficiente perché quel criminale lo superasse, quasi senza nemmeno concedergli uno sguardo fugace.

John scattò indietro, con gli occhi sgranati e confusi. Stava per parlare quando riconobbe “Clare”:

-Roger! Ma che stai facendo!- esclamò passandosi una mano sulle labbra per cancellare il segno lasciatogli del rossetto. -Pensavo fossi scappato!-

-Credimi: ce la sto mettendo tutta!- bisbigliò sbirciando oltre la spalla del bassista. L'uomo che li aveva riconosciuti poco prima si era ricongiunto con i suoi compagni di banda, compreso il suo capo, e stava dando delle direttive perché riprendessero immediatamente le ricerche.

Roger si fece piccolo, tentando di nuovo di nascondersi dietro a John quando, dalla porta principale dell'albergo, entrò un nuovo gruppo di uomini. Per un momento il batterista temette che si trattasse di altri scagnozzi; poco dopo riconobbe lo scintillante badge della polizia appeso alla cintura di ognuno di loro e si morse l'interno della guancia.

Un attimo dopo vide niente meno che Prenter scendere le scale di fianco all'ascensore massaggiandosi la nuca: indossava ancora gli stessi vestiti di quando stava minacciando John, e che, ormai, dopo che Roger gli aveva fracassato una teiera in testa, erano fradici.

Non c'era limite al peggio: ora, oltre che dai gangster, dovevano pure nascondersi dalla polizia.

I poliziotti lo sorpassarono senza, di nuovo, degnarlo di uno sguardo e si fermarono solo una volta di fronte ai suoi aguzzini. Anche Prenter, pur dopo aver adocchiato John – e dopo aver probabilmente progettato il suo omicidio – alla fine decise di fare quanto rientrava maggiormente nei suoi interessi: si fermò con i suoi colleghi, pronto ad assumersi il merito di averli rintracciati, senza ovviamente far menzione del suo “informatore” che si era persino premurato di chiamare la polizia al suo posto riferendo la situazione prima che fosse troppo tardi.

Roger sgranò gli occhi, incredulo.
Che colpo di fortuna: forse potevano ancora svignarsela, mentre la polizia teneva impegnati i loro cacciatori.


 


 

-Salve, sbirro.- disse Ghette, placidamente, rivolgendosi a Paul.

Il corpo di polizia gli aveva affibbiato quel soprannome dopo l'indizio scovato da Prenter in seguito alla strage di qualche settimana prima.

-Come mai qui in Florida?-

-Sapendo che voi, Amici dell'Opera, vi riunivate ho pensato di fare un salto qui, caso mai qualcuno avesse voglia di cantare.- rispose il superiore di Prenter, avanzando di un passo e oscurando il suo agente, negandogli quel rispetto e dichiarazione di importanza che tanto agognava.

-Spiritoso.-

-Eppure, avrei scommesso che non saresti venuto.- continuò, accendendosi una sigaretta. -Ti credevamo ancora in lutto, dopo quel brutto affare a San Valentino: la vittima non era un tuo “amico”?-

-Tutti dobbiamo andarcene, prima o poi.-

-Già, e non si sa mai chi sarà il prossimo.-

-Vero.-

Il capo della polizia decise di finirla con il sarcasmo: -Dov'eri la sera del 14 febbraio?-

-Io? Al Rigoletto.-

-Che locale è? A chi appartiene?-

-È un'opera, ignorante.-

-E dove la davano? In un garage di Clarke Street per caso?-

-Clarke Street? Neanche so dov'è.-

-Saprai allora dov'è la lavanderia De Luxe: non abbiamo già parlato di un paio di tue ghette insanguinate? Un incidente con il rasoio, vero?-

Era consapevole che quella conversazione non sarebbe durata e che, certo, Ghette non sarebbe stato tanto stupido da farsi sfuggire la benché minima confessione in un finto interrogatorio come quello. Tuttavia continuare a tormentarli con quelle prove e fargli capire che gli stavano addosso non poteva che giocare a loro favore. Forse, dopo quella conversazione, li avrebbe lasciati andare perché partecipassero al loro agognato “convegno”, ma sarebbero stati appena fuori dalla porta ad aspettare un qualsiasi pretesto per intervenire. E, data la situazione di tensione nella quale si trovavano, soprattutto considerando l'assurda faccenda di quei due testimoni che erano riusciti a farsi beffe di loro, le probabilità che avessero fortuna erano più alte che mai: due scapestrati musicisti si erano burlati della malavita di tutta Chicago e un colpo del genere doveva aver ferito parecchio nell'orgoglio e, dopo il fracasso in quel garage, non aveva certo giovato alle “pubbliche relazioni” dei loro colleghi fuorilegge.

Dovevano solo aspettare.


 


 

Fred si sporse appena dal suo nascondiglio: avrebbe allungato una mano per afferrare il suo migliore amico e trascinarlo lì con lui, ma, quando lo vide avvinghiarsi a John pur di non farsi scoprire non poté che scuotere la testa, preoccupato ma con una punta di divertimento: o Roger cominciava a prenderci gusto, o stava finalmente imparando a ragionare anche sotto pressione.

Oppure un misto delle due possibilità.

Sussultò e quasi si mise ad urlare quando sentì una mano appoggiarglisi bruscamente sulla spalla. Aveva già serrato la mano in un pugno, pronto, se non altro, a difendersi, ma l'uomo che gli si era inginocchiato davanti gli bloccò il polso:

-Ho già ricevuto la mia dose per mano del tuo amico: questa volta ne farei anche a meno.- dichiarò indicando il bernoccolo nascosto sotto i capelli scuri.

-Jim!-

-Cosa ci fate ancora qui?!-

-Sanno chi siamo! Siamo spacciati!-

Jim si guardò intorno e adocchiò Roger mentre si allontanava dall'amministratore dell'orchestra, per raggiungere Fred nel suo nascondiglio improvvisato.

-Dobbiamo liberarci di questi vestiti o non riusciremo mai a passare inosservati!- esclamò a bassa voce.

-Passate dalle cucine.- disse Jim. -C'è un camerino con le divise per i camerieri. In fondo al corridoio c'è una porta: è un'uscita secondaria che usano i cuochi quando vogliono prendere una boccata d'aria o fumare. Dovrete scavalcare un recinto per raggiungere la strada, ma se non altro non sarete in piena vista.-

Roger stava già partendo in quarta ma Fred lo trattenne per ascoltare gli ultimi avvertimenti di Jim: -Non passate dal salone secondario: fra poco lì si terrà il convegno degli amici operisti o come si chiamano.-

-Grazie.- il batterista gli batté una mano sulla spalla, poi si alzò per controllare la situazione: -Muoviamoci, prima che i poliziotti se ne vadano.-

Freddie fece il gesto di seguirlo, ma, prima, sentì la mano di Jim cercare la sua per depositarvi sul palmo un foglietto di carta ripiegato più volte su se stesso.


 


 

Quando John vide Brian entrare nella hall dell'albergo, si morse il labbro inferiore: non sarebbe stato facile spiegargli la situazione. Sapeva che sarebbe stato furente e lo avrebbe aggredito a parole, soprattutto vedendolo con in mano una valigia.

Effettivamente quello era un dettaglio al quale non aveva pensato: non sarebbe stato piacevole, per Brian, vederlo pronto per una rocambolesca fuga romantica appena qualche minuto dopo che Roger gli aveva lo aveva piantato in asso, asserendo che doveva misteriosamente andarsene.

Non che John si sentisse in colpa: dopotutto, l'idea di scappare da lì era nata all'improvviso, come conseguenza di quanto scoperto grazie all'aiuto di Roger.

Ripensò a quei frenetici minuti e infilò una mano in tasca, come per assicurarsi che i fogli che aveva tenuto da parte poco prima, mentre faceva la propria valigia, fossero ancora lì.

Anticipò qualunque parola di Brian lasciando cadere la valigia in terra e appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle, in un gesto banale ma che avrebbe anche funzionato, se avesse scelto con più cura le parole che pronunciò un attimo dopo: -Lascia che ti spieghi...-

Brian corrugò la fronte: era andato da lui per cercare risposte, ma non sperava davvero di trovare conferma dei suoi dubbi.

-Tu lo sapevi?!- esclamò scostandogli le mani. Non gli servì specificare a cosa si riferisse. -Lo sapevi e non mi hai detto niente! Quante altre cose mi stai tenendo nascosto?!-

John sospirò: -Ho fatto i miei errori, Brian, come chiunque, e per questi ti ho chiesto e ti chiedo di nuovo scusa... ma non accusarmi di cose che non ho fatto!-

Poteva immaginare come Brian si sentisse in quel momento: tradito, ferito, confuso. Non poteva biasimarlo se, adesso, aveva l'impressione che chiunque gli stesse mentendo, che qualunque parola fosse una bugia o una mezza verità.

Brian cedette sotto il suo sguardo, convincendosi del fatto che forse aveva esagerato. Piantò gli occhi in terra:

-Non riesco a credere che Roger non mi abbia detto niente.- dichiarò, ritrovando un contegno.

In quelle parole, John riconobbe una punta, nemmeno troppo velata, di risentito livore e pensò, nonostante tutto, di spezzare una lancia in favore del batterista: -Ha fatto bene.-

-Come?!-

-Ciò che non sai non può essere usato contro di te.-

Roger gli aveva fatto promettere di tenere la bocca chiusa, ma fin da subito John era stato tentato di infrangere quella promessa... e, ora, la tentazione era ancora più forte.

-Ma che stai dicendo! È lo stesso ragionamento che hai fatto tu?-

Il bassista se lo aspettava – sapeva che Brian ci avrebbe messo del tempo per dimenticare quell'anno di falsità e che, forse, era anche giusto che sfogasse il risentimento che giustamente provava – per cui scosse semplicemente la testa, senza cercare di difendersi:

-No, Brian, sono due cose diverse: io ho mentito per proteggere me stesso; lui per proteggere te.-

E, così dicendo, infilò una mano in tasca, ne tirò fuori quei fogli che aveva tenuto da parte e li consegnò a Brian: Roger lo avrebbe perdonato.

Brian srotolò e lesse rapidamente.

John si volse per prestare un orecchio a quella conversazione tra polizia e malavita e le ultime parole che udì gli provocarono un brivido di paura.

Quando tornò a guardare Brian, lo trovò allibito e con la bocca leggermente aperta: finalmente, con tutti i pezzi del puzzle al posto giusto, anche lui era riuscito a vedere il quadro generale della situazione.

John si morse nuovamente le labbra e riferì all'amico quanto aveva appena udito: -Non c'è via di fuga: controllano le stazioni, le strade e gli aeroporti...-

Roger e Fred non potevano andare da nessuna parte.
E, allo stesso modo, nemmeno lui e Veronica.

Brian rimase in silenzio a lungo, cercando di assorbire tutte quelle informazioni – decisamente troppe, soprattutto se ricevute nell'arco di appena qualche minuto – e rilesse ancora una volta gli articoli che aveva sotto mano.

I suoi occhi saettarono fra le parole; la sua mente fra i ricordi.

Infine tornò a guardare John: -Non controllano gli yacht.-


 


 


 


 

Angolino autrice:

PRIMA DI TUTTO SCUSATE: questo capitolo potrebbe essere venuto o discreto... o completamente da buttar via... ma ci sono su da troppo tempo per continuare a rimuginarci sopra... ragazzi, chiedo scusa ma non ce la faccio più: spero sia almeno accettabile XD I prossimi saranno migliori, ve lo giuro XD


 

Ed eccoci qui con questo diciassettesimo capitolo!

Questa storia è nata ESATTAMENTE un anno fa, il 14 febbraio 2019.

Il mio piano originario era di concludere questa storia oggi, cioè arrivare all'ultimo capitolo proprio festeggiando l'anniversario della sua pubblicazione... purtroppo le cose non sono andate come speravo e questi ultimi capitoli mi hanno fatto penare più di quanto mi sarei aspettata XD

E mi dispiace anche per voi lettori! Da un lato vi chiedo scusa, dall'altro ammetterò che... insomma, ormai siamo alla fine e mi viene quasi difficile lasciar andare questa storia! '^^

Perché, ve lo dico, i prossimi e ultimi capitoletti sono già quasi tutti pronti... ^^

Mi rendo conto di aver impostato questo capitolo su paragrafi più brevi e veloci ma vi dirò di aver quasi “fatto apposta” per cercare di conferire un ritmo più rapido, quasi cinematografico con un cambio scena frequente che si sposta da un personaggio all'altro. Spero di essermela cavata ^^ (diciamo la verità: spero solo che non sia un disastro...)

È anche vero che ormai con oggi abbiamo tirato le fila di questa storia: tutti i nodi sono finalmente venuti al pettine!

Ma! Non è ancora stata scritta la parola “fine” ^^

Perché, dopotutto, i nostri quattro sfortunati musicisti non sono ancora scappati del tutto, no?

;-)

 

Vi mando un bacione enorme e vi auguro, anche se ormai è sera tardi, un buon San Valentino. ^^

 

(sì, mi sono concessa una minichicca dealor :-P Sorry not sorry XD)
 

A prestissimo con il prossimo capitolo!

<3

E come sempre grazie a tutti quanti voi che ancora leggete, seguite, recensite, ricordate e preferite questa storia! *^*

 

Un bacione!

Carmaux

  
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