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Autore: Shireith    15/02/2020    1 recensioni
(Lovesquare, Ladynoir | future!fic | SPOILER! se non siete in pari con la terza stagione)
Avanzò verso di lei, affiancandola, e le scoccò un’occhiata furtiva per studiare la sua espressione: i suoi occhi sembravano calmi, ma lui, che li conosceva bene, poté subito intercettare la nota di malinconia che li velava. Fece cadere lo sguardo in basso e quello si posò sulla lapide dove Ladybug aveva appena sistemato la corona di fiori che avevano scelto insieme. Riuscì, sforzandosi, ad accennare un sorriso. «Meglio di prima», sentenziò dopo un attimo. «Gli dà un altro aspetto.»
Ladybug annuì debolmente. «Ci vorrebbero dei fiori.»

Terza classificata (a pari merito) al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Requiem

 «Che ne dici?»
  Inginocchiata, Ladybug gli dava le spalle.
  Quando la vedeva così, girata di schiena, gli sembrava più grande di tutto. Più grande delle sue responsabilità, ancora più ingenti di quelle che gravavano sulle sue spalle – le spalle, ossia, dell’eroe che le era sempre stato accanto, fin dal primo giorno. Gli sembrava, Ladybug, più grande persino di se stessa e di lui, benché ormai Chat Noir sapesse che avevano la stessa età.
  Avanzò verso di lei, affiancandola, e le scoccò un’occhiata furtiva per studiare la sua espressione: i suoi occhi sembravano calmi, ma lui, che li conosceva bene, poté subito intercettare la nota di malinconia che li velava. Fece cadere lo sguardo in basso e quello si posò sulla lapide dove Ladybug aveva appena sistemato la corona di fiori che avevano scelto insieme. Riuscì, sforzandosi, ad accennare un sorriso. «Meglio di prima», sentenziò dopo un attimo. «Gli dà un altro aspetto.»
  Ladybug annuì debolmente. «Ci vorrebbero dei fiori.»
  Proprio in quel momento, Chat Noir volse lo sguardo altrove e adocchiò la figura di una donna di loro conoscenza. L’anziana signora, bassa ed esile, era avvolta in un pesante cappotto nero, in sintonia con il grigio spento che i nuvoloni gettavano sulla città. Avanzava lentamente lungo la stradina principale del cimitero, un mazzo di fiori stretto tra le mani e il volto chino che non le permise di notare i due eroi.
  Con un cenno del capo, Chat Noir segnalò la sua presenza a Ladybug. «Sembra che qualcuno ti abbia letto nel pensiero», sussurrò.
  Lei seguì il suo sguardo fino a incontrare la figura della donna, che riconobbe all’istante. Nel vederla così, sola e lenta nella sua camminata, si domandò cosa fosse meglio fare – se rimanere o se andarsene in silenzio, lasciandole il suo spazio.
  Ladybug scoccò un’ultima occhiata alla lapide. Quando vi lesse il nome inciso sopra, il cuore parve fermarsi, ma ora che la notizia l’aveva in parte digerita, non sarebbe stata mai devastante come la prima volta. «Credo sia meglio lasciarli soli», disse. Chat Noir mormorò qualcosa in assenso.
  Insieme, i due eroi spiccarono un lungo balzo e abbandonarono il cimitero prima che la donna li vedesse. Avevano già parlato con lei a seguito della spiacevole notizia che lei stessa aveva comunicato loro; ora, era giusto che le concedessero la meritata privacy per dire addio all’uomo che più di tutti aveva amato.
  Si fermarono su un tetto poco distante. Nessuno dei due – lo sapevano bene – voleva andarsene. Nessuno dei due voleva separarsi dall’unica persona che davvero potesse comprendere cosa provasse l’altro. Rimasero lì, a osservare il sole che pian piano si gettava pigramente oltre l’orizzonte, cullati da un silenzio che, pur immacolato, non risultava imbarazzante.
  Questa volta, toccò a Ladybug scoccare a Chat Noir un’occhiata furtiva – almeno lei pensava. Lo osservò in silenzio, senza azzardare alcunché.
  Chat Noir, che in verità se n’era accorto fin da subito, ricambiò lo sguardo. «Mancherà anche a me», commentò, come fosse in grado di leggerle nel pensiero.
  Lei sorrise appena, gli occhi che ancora riflettevano il dolore che quella giornata aveva portato nei loro cuori. «Almeno sono stati felici, no?» suggerì, e Chat Noir annuì debolmente. «Anche se la loro felicità non è durata a lungo.»
  Erano passati poco meno di due anni da quando Marinette era diventata la guardiana dei miraculous. Poco meno di due anni, ossia, da quando tutte le responsabilità di questo mondo sembravano esserle piombate addosso, come se il lutto di una persona cara che aveva dimenticato tutto – il Maestro Fu – non fosse stato abbastanza.
  Essendo stati tutti smascherati, i vecchi portatori non erano stati più reperibili, e presto ne erano subentrati di nuovi. Mayura affiancava costantemente Papillon, la cui sconfitta sembrava ancora lontana, e ogni giorno la lotta andava avanti – ancora, ancora e ancora, senza che una delle due parti desse segni di cedimento. In tutto questo, Ladybug e Chat Noir erano sempre stati una costante l’una per l’altro.
  Marinette non era stupida. Aveva Tikki, ora anche Wayzz, pronto a infonderle tutta la conoscenza derivante dall’aver affiancato il Maestro Fu per decenni, ma sapeva che senza Chat Noir non sarebbe stato lo stesso. Il loro rapporto si era rafforzato giorno dopo giorno e sembrava che ora niente più potesse scalfirlo, nemmeno la ferocia di un uomo che tanto disperatamente bramava i loro miraculous.
  Adrien avrebbe dato il mondo per lei. Era una guardiana eccezionale, e lui era sempre più convinto che il Maestro Fu avesse preso la giusta decisione, quando l’aveva designata come sua erede. Eppure, avrebbe voluto far di più, ancor di più di quanto già non facesse.
Se solo avessero potuto rivelare le rispettive identità, l’avrebbe fatto – avrebbe gettato al vento ogni briciolo di buon senso e avrebbe pronunciato quel maledetto «Plagg, ritrasformami» solo per lei. Sapeva, però, che non potevano permetterselo, e aveva ormai imparato che, sebbene non conoscesse né il suo nome né il suo volto, Ladybug era la persona più vicina a lui. Solo loro potevano comprendere le responsabilità che gravavano sulle spalle dell’altro. Solo loro potevano capirsi con un semplice sguardo, senza bisogno di ricorrere alla voce.
  Quando Ladybug aveva pronunciato quelle fatidiche parole che anni prima sarebbe morto solo per poterle ascoltare – un «Ti amo» sussurrato con voce tanto soffice che per un attimo aveva pensato a un’allucinazione – il mondo gli era crollato addosso e aveva preso a girare allo stesso tempo, una tempesta di eccitazione mista a disperazione.
Non potevano.
  Erano eroi, colleghi, amici – nient’altro.
  C’era una linea che non dovevano superare.
  Nel silenzio, lo sguardo di Chat Noir vagò in un punto che conosceva bene e un’idea bussò alla sua mente. Realizzò, in quel momento, che anche se non poteva, lo voleva.
  Si alzò di scatto. Ladybug lo osservò con una nota di sorpresa nello sguardo, ma fu un istante, perché subito svanì. «Sì, meglio che andiamo», commentò, mal interpretando il suo gesto.
  «Non subito.»
  Quando gli porse una mano, lei capì. «Chaton…»
  Chat Noir scosse la nuca, zittendola. «Ti ruberò solo cinque minuti, lo prometto.»
  Lo fissò da sottinsù per un lungo, interminabile istante, mordicchiandosi l’interno della guancia quando la risposta – quella sbagliata – iniziò a formularsi nella sua mente. «Va bene», s’arrese a dire, la ragione che urlava il contrario. «Solo cinque minuti.»
  Ci volle poco per raggiungere il luogo che Chat Noir aveva in mente. Ladybug lo riconobbe subito – era l’albergo Le Grand Paris, dove abitava lo stesso sindaco Bourgeois. Per la precisione, si trovavano sul terrazzo. Da un po’ di tempo, a fianco alla piscina, era stato sistemato un pianoforte a coda bianco1. Quando Chat Noir si sedette sullo sgabello, Ladybug non poté fare a meno di capire.
  Ridacchiò appena. «Non scherzavi, allora, quando mi hai detto di saper suonare il pianoforte.» Era una confessione che gli era uscita così, tra capo e collo, e allora Marinette non aveva saputo se credergli o meno. Dopotutto, erano tante le volte in cui, preso dall’ilarità del momento, Chat Noir diceva qualcosa col solo intento di strapparle un sorriso.
  «Certo che no», rispose lui, sostenendo il suo sguardo. «Cosa ti va di ascoltare?»
  Lei scosse la nuca. «Non ne ho idea», ammise, un sorriso che vestiva le sue labbra. Se si parlava di musica classica, era sicura di essere un disastro: non avrebbe saputo riconoscere Mozart da Beethoven, o Chopin da Liszt. Apprezzava la musica – come tutti, d’altronde – ma era ben conscia che quello non fosse il suo campo.
  Adrien si concesse un attimo di riflessione. Data la situazione, considerò che quello che ci voleva fosse un brano più allegro che malinconico. Decise, perciò, di ripiegare sulla sonata per pianoforte n. 14 di Beethoven, Sonata al chiaro di luna, concentrandosi però solo sul terzo movimento, il Presto agitato. Ladybug, questo, non l’avrebbe probabilmente saputo, ma lui era fiducioso che le sarebbe stato quantomeno familiare, data la discreta fama che la composizione – in particolar modo il terzo movimento – poteva vantare.
  Chat Noir posizionò le mani al di sopra dei tasti, a meno di tre centimetri di distanza, e non appena li sfiorarono, le sue dita scattarono velocissime.
  Per un attimo, Ladybug rimase senza fiato. La prima cosa che notò, e che la stupì non poco, era la naturalezza con cui le sue dita si muovevano, rincorrendosi come fossero prive di articolazioni che le tenevano unite. Sicuramente, rifletté, era il risultato di anni di pratica. Non aveva dunque scherzato, Chat Noir, quando aveva assicurato di essere un pianista eccellente con quella solita faccia da schiaffi che tanto lo contraddistingueva?
  Marinette non dubitava della sua parola: sapeva che, sotto uno strato d’ironia e un ego all’apparenza smisurato, si nascondeva un ragazzo dalla dolcezza infinita. Eppure, ancora non aveva imparato esattamente quando credere alle sue parole – o fino a che punto farlo – e quando, invece, capire che si stava burlando di lei.
  Ora, perlomeno, sapeva che era davvero bravo a suonare il pianoforte.
  Pur da profana qual era, riconobbe che nel brano si ripresentava un tema costante. Le era familiare, ma non avrebbe saputo accostarlo a nessun compositore famoso nemmeno se avesse tirato a indovinare.
  Non voleva nemmeno pensarci, comunque. Non voleva pensare a niente. Voleva solo lasciarsi cullare dalla dolce musica di Chat Noir, una melodia allegra e calzante. Senza nemmeno fermarsi a riflettere se fosse giusto o meno, se potevano permetterselo o no, abbandonò la nuca contro la spalla del ragazzo e si lasciò trasportare dalle sensazioni del suo cuore.
  Non appena avvertì il contatto, Chat Noir abbassò lo sguardo su di lei: vide che era serena, beata, e sorrise di puro cuore. Lei, però, non lo vide nemmeno – i suoi occhi erano già chiusi, come se così potesse distaccarsi dall’ambiente che li circondava.
  Funzionò. Il mondo, quello concreto, sparì dalla sua percezione, e un altro apparve al suo posto. Un mondo sfocato, indefinito, difficile da descrivere a parole – se qualcuno le avesse chiesto di farlo, lei avrebbe esitato, incapace di formulare un pensiero razionale.
  Era una sensazione piacevole. La musica di Chat Noir, tanto limpida e priva di imperfezioni, sembrò proiettarla in una specie di bolla – un altro mondo, appunto, che esisteva solamente per loro due. Le note sembravano prendere vita e concretizzarsi in un insieme di colori e odori. Le note le parlavano, confessandole il più intimo dei segreti che Chat Noir custodiva gelosamente: un amore sincero, un amore ora persino corrisposto, ma anche un amore che non poteva trovare il suo lieto fine – non finché, almeno, fosse esistito Papillon e tutto il male ch’egli incarnava.
  Com’era successo che lei, Ladybug – Marinette – si fosse innamorata di Chat Noir, questo era un interrogativo cui non avrebbe saputo dare risposta nemmeno lei. Un giorno si era accorta che, lentamente, il ragazzo si era fatto strada nel suo cuore, accostandosi alla figura smagliante di Adrien, suo primo amore. Divisa tra i due, forse persino incapace di scegliere, non serviva nemmeno che lo facesse: il primo, Adrien, le sembrava irraggiungibile; il secondo, Chat Noir, era intoccabile.
  Erano supereroi, le regole stabilivano chiaramente che le loro identità dovevano rimanere un segreto. Anche ora che Ladybug era guardiana, le cose non sarebbero cambiate – dovevano essere cauti.
  Non avrebbe dovuto nemmeno essere lì, s’ammonì Marinette. Avrebbe dovuto tornare a casa, separarsi da Chat Noir su quel tetto dove aveva invece deciso di seguirlo.
  Poteva, però, biasimarsi?
  Il Maestro Fu era morto. Dopo decenni passati a custodire il segreto dei miraculous, dopo nemmeno due anni in compagnia della donna che aveva sempre amato, la veneranda età l’aveva portato via. Quando Marianne era riuscita a mettersi in contatto con lei e Chat Noir per dar loro notizia dello spiacevole avvenimento, il mondo le era crollato addosso.
  Il Maestro Fu era morto due volte. La prima, aveva deciso di rinunciare a tutti i suoi ricordi sui miraculous per il bene superiore, affinché Papillon non potesse sfruttare le sue conoscenze per ottenere informazioni preziose.
  A quel tempo, Marinette era stata ben conscia del fatto che il Maestro Fu non fosse morto, e che anzi si fosse finalmente ricongiunto con Marianne, l’amore di tutta una vita. Eppure, con la mente libera da tutto ciò che riguardava il suo ruolo di guardiano, era stato come perderlo per sempre. Era vivo, sì, ma non come se lo ricordavano Ladybug e Chat Noir.
  La seconda volta, la morte l’aveva preso per davvero. Non potevano più nemmeno lasciarsi consolare dalla consapevolezza che lui e Marianne erano felici l’uno tra le braccia dell’altra.
  Che cosa provava, infatti, Marianne? Come si sentiva ad aver ritrovato il suo amore dopo decenni di lontananza, solo per perderlo di nuovo dopo così poco tempo? Forse, si disse Marinette, avrebbero dovuto rimanere al cimitero e starle accanto, o almeno chiederle se preferisse la compagnia alla solitudine.
  Se non aveva voluto rimanere, se aveva suggerito a Chat Noir di lasciare a Marianne il suo spazio, forse era perché lei – Marinette – non ce la faceva. Non poteva sopportare che un’insulsa lastra di pietra fosse tutto quello che rimaneva dell’uomo che, due anni prima, aveva riposto tutte le sue speranze in lei e Chat Noir; lo stesso uomo che poi, nel corso degli svariati mesi che avevano seguito la loro prima battaglia, era stato per loro come un mentore. Non sopportava che, dopo aver dedicato una vita intera al suo compito di guardiano, la morte gli avesse concesso appena due anni da passare con la donna il cui pensiero l’aveva rincorso fin da giovane.
  Non era giusto, pensò, mentre il dolore riaffiorava in lei e la investiva sottoforma di lacrime salate e colme di un dolore represso a fatica.
  Non era giusto, pensò, mentre la musica si spegneva di colpo.
  Non era giusto, pensò, mentre Chat Noir le cingeva la vita con una mano e l’attirava a sé, lasciando che lei tuffasse il volto nell’incavo del suo collo.
  Adrien non riuscì a cacciare le lacrime che si presentarono agli angoli dei suoi occhi. Si trattenne a stento dall’esplodere in un pianto, mentre Ladybug singhiozzava contro la sua spalla.
  Era crollata, e non perché fosse debole – tutto il contrario, semmai.
  Era sempre rimasta in piedi, volta dopo volta dopo volta. Aveva dato segni di cedimento, ma aveva sempre retto il colpo sulle sue gambe. In realtà, rifletté Adrien tra sé, non era nemmeno corretto dire che fosse crollata. Semplicemente, dopo tutto quello cui i loro giovani occhi avevano assistito, dopo che l’ingente e inaspettato compito di guardiana era piombato sulle spalle di Ladybug, finalmente lei lasciava che la frustrazione sfociasse in un qualche sfogo.
  Chat Noir l’aveva sempre guardata di spalle, ammirando in silenzio il suo coraggio, la sua forza d’animo nel non darsi mai per vinta. Gli ultimi anni erano stati particolarmente ardui. Papillon non cedeva. Continuava, imperterrito e disperato, a bramare i loro miraculous. E mentre Gabriel si lacerava con le sue stesse mani, senza che nemmeno suo figlio se ne rendesse conto, lui e Ladybug non avevano mai smesso di lottare. Nonostante tutto, non si sarebbero mai arresi: la posta in gioco – Parigi, i miraculous, la memoria stessa del Maestro Fu – era troppo alta.
  «Credo… credo che alla signora Lenoir farebbe piacere se stessimo un po’ con lei», osservò Chat Noir dopo un po’. «Dopotutto, siamo tra le poche persone oltre a lei che abbiano mai conosciuto il Maestro Fu per quello che era veramente.»
  Ladybug si allontanò da lui e con il dorso di una mano si asciugò gli occhi umidi. Nonostante avessero entrambi ceduto alle lacrime, nessuno dei due sembrava vergognarsene. Questo perché, come Marinette aveva ormai compreso da tempo, avrebbe sempre potuto contare su Chat Noir. E dire che mai avrebbe pensato, agli albori della loro conoscenza, che avrebbero stretto un legame tanto solido. Di questo, il merito andava al Maestro Fu. Nonostante tutte le responsabilità che ne derivavano, Marinette e Adrien erano felici di essersi dimostrati degni del ruolo di portatori.
  Ladybug si alzò, subito imitata da Chat Noir. Si scambiarono una lunga, intensa occhiata carica di significato, il verde brillante degli occhi di Adrien in contrasto con l’azzurro di Ladybug, che – incredibile – gli ricordava, ora più che mai, una ragazza di sua conoscenza.
  Scosse la testa, ricacciando quel pensiero in un angolo remoto della sua mente – non doveva pensarci, si disse, era una follia. Insieme, lui e Ladybug ripercorsero a ritroso la stessa strada di prima e, giunti al cimitero, appresero che Marianne era ancora lì, come avevano immaginato. Si concessero un attimo per osservarla da un’altura, prima di atterrare silenziosamente alle sue spalle e avvicinarsi cauti.
  Lei si volse quando udì il terriccio scricchiolare sotto i loro passi. Non disse niente, limitandosi ad accennare un sorriso che, pur sofferto, sembrava quantomeno sincero. Chat Noir e Ladybug si prestarono allo stesso silenzio e la affiancarono.
  Marinette osservò i fiori che Marianne aveva sistemato in un apposito vaso: un mazzo di fiori di pesco – finti, affinché si preservassero – dai petali di un candido rosa salmone.
  Marianne non sentì il bisogno di spiegare ai due ragazzi il motivo dietro la sua scelta, che era stata tutto fuorché casuale. I fiori di pesco, nel linguaggio dei fiori, stavano infatti a indicare un amore eterno, immortale, amore che sicuramente lei aveva vissuto in tutta la sua intensità. Da inguaribile romantica qual era, Marianne aveva voluto, quando li aveva scelti, che i fiori avessero un significato speciale, come speciali erano stati i suoi sentimenti per quell’uomo.
  Mentre ancora contemplavano la lapide, l’anziana donna osservò sottecchi Ladybug e Chat Noir. In poco tempo, i suoi occhi colsero tutto quello che i due ragazzi si convincevano di nascondere bene, e una preghiera silenziosa scappò ai suoi pensieri – sperò che almeno loro, a differenza di lei e di Fu, potessero avere più tempo.
Ti ho dato tutto, Fu, dedicandoti una vita
intera, e non avrei mai pensato che
saremmo finiti così.
   
 
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