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Autore: vermissen_stern    15/02/2020    2 recensioni
[Transformers: Prime/IDW comics] [storia che si collega alla raccolta di _Cthylla_ a "day off" to repent]
Coprifuoco. Questo era ciò che la piccola Ember si stava trovando a violare a causa della sua disattenzione – piuttosto tipica nell’età in cui si trovava a dire il vero – ma altrettanto pericolosa in quanto la sua città natale non regalava sconti per i trasgressori come lei. No, neppure ai bambini distratti.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
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è praticamente da un anno che non scrivo qualcosa, ed è passato ancor più tempo da quando ho debuttato nella sezione Transformers. devo questo ritorno di fiamma a _Cthylla_ a cui faccio questo regalo di Natale seppur in ritardo xD. La storia è strettamente legata alla raccolta di _cthylla_  "A Day Off to Repent" di cui consiglio prima la lettura in quanto si tratta di un suo seguito. Buona lettura!

Coprifuoco.

Questo era ciò che la piccola Ember si stava trovando a violare a causa della sua disattenzione – piuttosto tipica nell’età in cui si trovava a dire il vero – ma altrettanto pericolosa in quanto la sua città natale non regalava sconti per i trasgressori come lei. No, neppure ai bambini distratti.

La capitale dei decepticon, l’oscura Kaon, per quanto fosse stata risparmiata al momento dalla guerra civile che attanagliava il pianeta Cybertron non rimaneva comunque un posto sicuro neppure per i suoi stessi senatori... Figurarsi quindi per una cybertroiana la cui età approssimativa – se si parlava in canoni biologici – si aggirava attorno agli otto anni di vita.

Era ancora piccola, sia di statura – il suo endoscheletro non si era ancora evoluto al massimo come quello di un adulto – sia di raziocinio. Aveva da poco sviluppato la sua modalità veicolare, e in quanto seeker le permetteva di librarsi nei cieli fumosi della sua città natale, ma durante un coprifuoco non era concesso neppure agli individui come lei di potersi librare in volo con il favore delle tenebre.

Se durante il giorno aveva il compito di andare a scuola – cosi come per legge, in quanto lord Megatron pretendeva cittadini istruiti – e durante il pomeriggio lavorare senza sosta per conto dell’attività commerciale delle sue due zie, si occupavano di un magazzino di energon in periferia e lei si adoperava spesso di fare anche da fattorino oltre che le pulizie, per tutte le ore della sera bisognava restarsene tappati in casa e sperare che le poche ronde di polizia decepticon non avessero pretesto di entrarti nel buco in cui vivevi.

Ora, il problema principale di Ember era che aveva sforato di molto l’orario di rientro a casa – a causa di un suo personale capriccio che l’aveva vista dirigersi a casa di una amica dopo l’ultima consegna a domicilio, in quanto tale bambina viveva relativamente vicino – e senza neppure accorgersene i due soli di Cybertron calarono all’orizzonte rendendo il cielo rosso sanguigno. Avrebbe potuto rimanere a casa della sua amica durante la notte… ma temeva di incombere nell’ira delle sue due zie se fosse rincasata tardi.

Ed ora, nascosta dietro pesanti casse metalliche stipate in un vicolo di servizio, stava iniziando a rimpiangere della decisione presa. Si era mossa a fatica per quelle strade buie e maleodoranti, cercando di evitare gli adulti il più che poteva – sia sparuti gruppi di soldati che tossici impossibilitati ad alzarsi in piedi e costretti a rannicchiarsi meglio negli anfratti che la città proponeva loro – eppure adesso era sull’orlo di mettersi a piangere.

Davanti a lei si stagliava un vialone abbastanza largo da permettere il passaggio di diversi transformers in modalità veicolare, e attualmente le carreggiate erano occupate da un vero e proprio plotone decepticon le cui voci dei comandanti riecheggiavano per l’ampia strada e le pareti metalliche dei grattacieli vicini. Un passo da casa, sotto un cielo privo di stelle, eppure così intoccabile da portarla a piangere silenziosamente dalla frustrazione.

Ember non si era mai sentita così indifesa e in pericolo come in quel momento, arrivando a toccare una sensazione simile alla sconfitta quando lo sguardo di uno di quegli ufficiali parve accorgersi di strani movimenti all’interno del vicolo in cui si era nascosta. Talmente pietrificata dalla sua stessa stupidità da trovare unicamente la forza di appiattire le piccole ali contro l’ombra offerta da quelle casse contenenti chissà cosa, con la fasulla speranza che nascosta in quel triangolo di oscurità non venisse notata da quel mech dall’imponente stazza.

Quelli erano ricordi antichi, di cui rimembrava solo alcuni attimi e di questi solo quelli più importanti. E lo sguardo vermiglio di quel soldato dal volto impassibile lo avrebbe ricordato per il resto della sua vita.

Non ricordava la colorazione della sua armatura, se non il pallore del suo volto non dissimile da quello della giovane femme, i cui lineamenti somatici del metallo densomorfico lo rendevano piuttosto attraente. Ma i suoi sensori ottici, benchè rossi, rimasero freddi nello scrutare una bimba terrorizzata. Anche nell’atto di piegare un ginocchio a terra per essere il più possibile a contatto visivo con lo sguardo insolitamente aranciato di Ember.

“Non sei una minicon… qual è la tua designazione?”

Una domanda dettata con voce tranquilla, eppure la ragazzina non trovò modo di rispondergli a voce limitandosi semplicemente scuotere la testa in senso di diniego. La paura principale della piccola era che, se avesse dato al soldato decepticon le proprie generalità, allora sia lei che la sua intera famiglia avrebbero passato grossi guai a causa della sua tremenda stupidità. Ember non sapeva del perché di tutti quei soldati minacciosi sull’unica strada principale ancora illuminata della città – il resto dei palazzi e strade era immerso nell’oscurità, forse per non dare pretesto agli autobot di attaccarli – ma sapeva di non dover dire nulla a quel soldato inspiegabilmente gentile. In quanto cittadina neutrale per Ember non valevano le stesse regole per quelli che portavano le insegne decepticon, ma per quanto non sapesse cosa questo implicasse sperò che nel silenzio il mech desistesse dall’insistere con le sue domande. Cosa che, purtroppo, non successe.

“capisco… vivi qui vicino?”

A quella seconda domanda però non si sentì di non accontentare il paziente ufficiale che ancora non aveva avvertito gli altri della sua presenza, ritrovandosi per questo a deglutire colta da una strisciante paura che la portò a cambiare in parte la propria opinione sul suo ostico silenzio.

“s-si… dopo la strada”

“la tua famiglia sa che sei qui fuori?”

“sono in ritardo, mi aspettano! P-posso andare per favore?”

Al giovane soldato non ci volle molto per capire che quella incauta creatura era solo un’altra vittima involontaria di una guerra civile che ormai stava spegnendo lo stesso nucleo del pianeta. Dopotutto il lavoro minorile era una necessità per molti individui che faticavano ad andare avanti, e probabilmente era lo stesso per quella giovane femme senza insigne. Si trovò quindi a spendere i successivi sei secondi nel prendere la decisione che gli parve più giusta, decretando che poteva anche graziare una così piccola creatura.

“Hm… allora facciamo così, ora darò ordine ai soldati di avanzare verso nord così da darti le spalle. Hai dieci secondi per attraversare la strada, prima che io mi accorga di te e dia l’allarme”

La proposta del soldato colse quasi impreparata una piccola femme che gli annuì vigorosamente, incredula di fronte a così tanta generosità da parte di un ufficiale decepticon, e come da sue indicazioni aspettò che si allontanasse per ricongiungersi con i suoi sottoposti e dir loro di seguirlo.

Non seppe mai del perché quel decepticon decise di disubbidire alle leggi del coprifuoco e a graziarla a quel modo, perché solo una volta che fu messa in salvo si rese conto che la parte peggiore doveva ancora cominciare. Le sue zie non sarebbero state così clementi.

 

[…]

 

Le ci vollero parecchi cicli nella sua lunga vita – per quanto Ember fosse giovane i cybertroiani vivevano assai più a lungo rispetto ad una creatura biologica comune – per comprendere che all’epoca, con il suo comportamento disattento, aveva fatto morire di preoccupazione quelle zie sempre stressate e dai musi lunghi. Per quanto le avesse perdonate da tempo, in fin dei conti aveva capito il perché della loro severità in un periodo buio di Cybertron, non era pentita di aver lasciato la sua città natale una volta che Hallow le aveva proposto di andare via con lei.

Quella seeker dal carattere fin troppo particolare era entrata a far parte effettiva della vita di Ember in maniera quasi inaspettata, e per quanto la ragazza sapesse chi fosse – le descrizioni che ne ebbe durante l’infanzia dalle zie erano alquanto impietose – le riusciva ancora in parte difficile adattarsi allo stile di vita di sua madre e suo fratello maggiore Finn.

Che avesse anche un fratello la sorprese non poco – un giovane mech che Hallow aveva avuto con un partner differente – eppure era forse con lui che aveva una intesa migliore. Hallow in fin dei conti non era cattiva, anche se Ember non l’aveva ancora vista arrabbiarsi per davvero… ma già su Pettinathia, chiassosa e tossica metropoli di Cybertron, aveva dimostrato di tenere particolarmente alla sua unica figlia femmina. Forse perché fino a poco tempo fa neanche sapeva di averne una.

Ad occuparsi della creazione di nuovi individui per il loro pianeta natale erano di solito le femme. Estraendo l’energon dal partner scelto, ed incubandolo all’interno del proprio corpo, generavano delle protoforme che si assemblavano un pezzo alla volta. Indipendentemente che tale compagno fosse tanto un mech quanto una femme, e tale procedimento ultimo era stato alla base della realizzazione di Ember da parte di due creatrici. Con una gravidanza tenuta nascosta ad una ormai ex compagna, e una fine prematura a causa della guerra dopo – la madre che l’aveva effettivamente generata si trovava su un convoglio di pendolari in rotta verso una fabbrica d’acciaio quando si trovò in mezzo ad un conflitto a fuoco – contribuirono a rendere Ember fin troppo guardinga nei confronti del prossimo.

Ma comunque, a parte queste sue considerazioni sulla propria genitrice i motivi di tutti quei pensieri riguardanti la sua attuale famiglia – oltre che a ripescare un ricordo antico e spaventoso – erano dovuti principalmente a quello che le stava accadendo al momento.

Attualmente lei e la sua famiglia si trovavano a bordo di una piccola nave mercantile diretta chissà dove – a detta di Hallow doveva essere una sorpresa – e il modo in cui sua madre era riuscita a scroccare quel viaggio, con tanto di stanza personale per i suoi due pargoli, lo si poteva intuire dal tempo che passava nella cabina del capitano. Non che fosse questo a dare fastidio ad Ember – in fin dei conti la conosceva così poco come madre che non riusciva proprio a scandalizzarsi per ogni sua bravata, quanto piuttosto preoccuparsi che potesse farsi male sul serio – in quanto ciò che la infastidiva veramente era il modo in cui la sua privacy era stata violata in quelle ore.

I messaggi insistenti presenti sul suo datapad personale, che ora stava tenendo in mano con la tentazione di buttarlo contro una parete dello scafo, lasciavano pochi dubbi che uno sconosciuto la stava tempestando di messaggi e complimenti decisamente non richiesti. Seppur non volgari, quello strano tizio presente nell’avatar della chat aveva comunque una fisionomia che la giovane seeker cercava di ricordare.

-Ehi salve! Come va?

-Sai che sei molto carina nella tua foto di profilo? Mi piace proprio!

-Se mi dici la tua attuale rotta possiamo anche incontrarci, che ne dici?

Le domande e richieste che le arrivavano erano alle stregua di una raffica di fucile automatico, e più cercava di ricordarsi dell’individuo che la stava importunando più l’istinto prese il sopravvento ancor prima della ragione.

-Prima di tutto due domande: chi sei, e come hai fatto ad hakerare il mio profilo!

Digitò quelle parole con una certa stizza, ma dovette aspettare almeno un minuto e mezzo prima di vedere una imbarazzata risposta apparire sullo schermo digitale. E quello che lesse bastò a farle passare un nervosismo di tutto rispetto.

-Ah… scusa! Forse avrei dovuto presentarmi prima eh, eh! Comunque io sono Kaon… cioè, non la città decepticon ma quello della DJD. Ti ricordi di me? Ci siamo visti a Pettinathia prima che tua madre decidesse che non era il caso di fare amicizia… e per la seconda domanda posso affermare di essere uno dei tecnici migliori in circolazione, quindi trovare il tuo contatto non è stato per niente difficile.

Il lungo papiro di spiegazioni da parte dell’inquietante decepticon senza sensori ottici risvegliarono nella giovane seeker alcuni ricordi rimasti fino a quel momento sopiti. Neanche due settimane fa lei e la sua famiglia si trovavano in quella città del peccato che ben poco piaceva ad Ember, nonostante sua madre e suo fratello si siano divertiti come pazzi, ed ora che aveva letto quelle parole ben si ricordava di aver incrociato quei boia decepticon nei trambusti che spesso si infiammavano per le fumose strade di Pettinathia. Pertanto, si poteva dire che al nervosismo subentrò una certa ansia.

Non era una decepticon, probabilmente mai lo sarebbe stata così come mai sarebbe diventata autobot, eppure come tutti coloro che vivevano nell’omonima capitale di lord Megatron era fin troppo a conoscenza della fama poco lusinghiera della Decepticon Justice Division. E per quanto avessero dei modi di fare da macellai erano pur sempre degli ufficiali militari.

L’unica idea che ebbe a riguardo non le piacque neppure un po’, eppure fu l’unica che le venne in mente di fare per evitare altri spiacevoli equivoci con quella gente pericolosa.

“Ehi, Ember! Guarda cosa ho trovato nella dispensa della cucina! Scommetto che neppure il capitano si ricordava di avere questi dolcetti”

L’entrata in scena di suo fratello Finn nella disordinata cabina che condividevano – con sottobraccio un contenitore cilindrico da cui sporgevano cubetti di energon color rosa – rese la decisione di Ember decisamente più semplice.

 

[…]

 

Kaon si ricordava bene il giorno in cui aveva perso i sensori ottici. Il suo piccolo vizietto per le sostanze chimiche non propriamente legali lo aveva fatto spesso viaggiare sotto l’effetto di chissà quali acidi, vedendo cose che solo lui riusciva a vedere, e proprio per tale motivo un giorno venne colto dal panico più totale.

“Tarn! Vos! Il mondo non finirà se mi strappo i sensori ottici!!”

Aveva corso come un matto per tutta la Paceful Tyranny – la loro nave nonché loro base operativa – preda dei peggiori deliri allucinogeni e, quando finalmente aveva trovato il suo comandante e quell’inquietante scienziato di nome Vos, non aveva esitato ad usare un cacciavite per strapparsi via i sensori ottici rossi preda del dolore più assoluto. Sia fisico – perché al gesto scaturirono non poche scintille – sia mentale.

Quando fece ciò svenne sul colpo, la perdita di energon causata da quelle ferite profonde e violente quasi gli costarono la vita, ma dopo che stramazzò al suolo non seppe che i due mech tornarono bellamente a parlare dei fatti propri prima di decidersi a soccorrerlo.

Un modo per fargli imparare la lezione? Molto probabilmente.

L’aveva imparata? In parte… gli occhi non li aveva più, e i danni che si era auto inflitto furono così gravi da rendere inutile un altro trapianto con la soluzione di un trapianto di sensori ambientali, eppure ciò che aveva di fronte gli fece allargare ancor di più le già ampie orbite vuote.

Non poteva crederci, ciò che stava leggendo sul suo datapad era letteralmente più elettrizzante di qualsiasi droga che si era sparato negli ultimi anni! Il fatto che quella pollastra dalle ali nere e dai dettagli rosa e arancione volesse una video chiamata proprio in quel preciso momento lo portarono ad emettere un grido strozzato assurdo dalla scatola vocale.

Per sua fortuna aveva avviato quella chiacchierata dentro la propria stanza privata, altrimenti avrebbe sicuramente attirato le occhiate degli altri suoi colleghi inquisitori e sarebbero venuti a conoscenza di questo suo piccolo segreto.

Si dette quindi rapidamente una occhiata alla carrozzeria – una premura istintiva per quanto quella ragazza non avrebbe visto altro che il suo volto e al massimo le spalle – e nonostante la sua armatura non fosse tirata a lucido perlomeno non aveva segni di ammaccature o ruggine.

Si sistemò per bende alla propria scrivania e, con un sorriso a trentadue denti, accettò la chiamata in arrivo da parte della bella seeker.

“Wow… non mi ricordavo più che dal vivo sei ancor più bella! Un vero peccato che la nostra precedente chiacchierata sia durata così poco”

“Si ecco… se si tratta del tuo cane mi dispiace per il fraintendimento. Non era intenzione mia o della mia famiglia fargli chissà cosa. Quindi… ecco… mi dispiace per il piccolo fraintendimento avuto su Pettinathia!”

Sul volto pallido della femme vi era una genuina preoccupazione mascherata da una espressione il più possibile neutra, il tutto condito da un coraggio senza eguali nel volersi scusare con uno dei peggiori carnefici al soldo di lord Megatron. Durante i disordini che spesso infiammavano la capitale dello spaccio per eccellenza era successo che Kaon aveva perso il suo animale domestico – una creatura che un tempo era stata un transformer comune, con l’unico difetto di aver vissuto come una spia nemica, per poi essere passato per la punizione della “domesticazione” per mano della stessa DJD – ma grazie al cielo quella volenterosa ragazza aveva salvato la sua amata bestiola dall’essere mangiato da un branco di tossici in crisi di astinenza. Attualmente la creatura stava dormendo ai piedi del giaciglio di Kaon incurante di quella conversazione privata, e molto probabilmente se il tecnico gli avesse chiesto qualcosa su Pettinathia avrebbe iniziato a “latrare” spaventato al ricordo di quell’esperienza tutt’altro che gradevole.

“Bè tesoro… se vuoi scusarti per la tua condotta puoi sempre accettare il mio invito ad uscire insieme”

Flautò quelle parole cercando di sedurla, quando in realtà riuscì solo a renderla più irrequieta per la scelta fatta. L’intento di Ember non era tanto quello di sedurre un ufficiale decepticon per farla franca, quanto piuttosto di mettere le mani avanti e scusarsi pubblicamente per qualcosa che lei – o la sua famiglia – aveva combinato durante un soggiorno poco piacevole in quella città innominabile. Le sue scuse alle autorità decepticon le avrebbe fatte a prescindere anche senza nessuna colpa – in quanto sapeva bene di cosa fossero capaci – ma avrebbe mentito a se stessa se tale decisione non l’avesse presa senza “l’aiuto” di suo fratello Finn in camera con lei.

Attualmente il ragazzo occupava la parte superiore del letto castello in cui entrambi i fratelli potevano riposarsi, e nonostante fosse intento a mangiare i propri dolcetti all’energon era solo in apparenza disinteressato alla conversazione che stava coinvolgendo sua sorella.

Dove si trovava lui poteva solo sentire l’inquisitore decepticon avere quella chiacchierata poco equivoca con Ember, ed in cuor suo sapeva che la sua sola presenza silenziosa accanto alla bella seeker bastava a darle quel pizzico di coraggio necessario per affrontare quella bega insolita.

“Uhm… forse per quel genere di appuntamenti mia madre è più indicata rispetto la sottoscritta” replicò Ember, con una risata imbarazzata

“Ah… si! Tua madre! Quella femme è troppo forte… ehehe!” il ricordo di quella seeker piuttosto energica riecheggiò potente nella memoria di Kaon “ sono passate due settimane ma Tesarus ed Helex hanno ancora l’inguine che cigola ogni tanto… bwahaha! Che ragazzaccia!”

Hallow era una transformers alquanto bizzarra, andava detto, in quanto era spesso più il tempo in cui era nei guai piuttosto che quello speso a non fare nulla. Amava relazionarsi molto con le persone – che fossero mech o femme non aveva importanza, purchè consenzienti e adulte – ma in egual misura non amava che qualcuno provasse a far del male alla sua famiglia. La sua tempra era alquanto notevole, e la DJD se n’era accorta rimanendo a dir poco allibita.

“ma no… non è così male” borbottò Ember, più rivolta a se stessa che al proprio interlocutore “cioè, con quella ragazza ospite a casa sua si era comportata piuttosto bene… come si chiamava? Spectra, giusto?”

Senza rendersene conto la seeker si era momentaneamente scordata di essere in diretta video-chat con un macellaio della DJD – persa nei ricordi della sua prima settimana a Pettinathia, ospite nella casa che sua madre aveva preso nella sua più limpida periferia e ricordando anche chi aveva ospitato prima dell’arrivo dei suoi figli – chiedendo conferma del nome di quella giovane ragazza semi sconosciuta ad un fratello non in vista. Il ragazzo si abbassò quel tanto per mostrarsi alla femme e annuendole con la bocca piena, allungandole anche un cubetto di energon che Ember accettò volentieri, non accorgendosi che in video la figura di Kaon si era come congelata.

“A… aspetta un minuto, dolcezza! Hai per caso detto Spectra? Verniciatura bianca e blu… piccola di statura e con un fratello figlio di buona donna?!”

Per il tecnico decepticon fu come se i ricordi iniziassero a zampillare fuori come una fontana dal suo stesso processore, rivangando le memorie di volti e nomi che ormai aveva sepolto da molto. C’era stato un tempo in cui la DJD era stata pure più larga in fatto di membri acquisiti e tra questi quello che non se n’era mai effettivamente andato dalle loro memorie era quello di Spectra Specter.

Una femme relativamente giovane, quando la incontrarono nel mezzo di rovine contorte era ancora una bambina, e per quanto fosse rimasta con la squadra di inquisitori per poco più di un mese aveva comunque saputo ritagliarsi uno spazio all’interno della squadra. Per certi versi fu come se quell’anima candida avesse ricordato agli spietati decepticons che anche loro possedevano ancora una scintilla che continuava a pulsare dentro le loro pesanti armature, pur non perdendo di vista il loro stile di vita – nonché missione – piuttosto sadico in certi frangenti.

Un idillio durato poco per l’appunto, il tempo per quello che si era rivelato essere il fratello di quella fanciulla rapirla direttamente dal loro incrociatore – avendo un certo fegato nel farlo, bisognava concederglielo – e portarla via con se… quantomeno stando alle dichiarazioni di Tarn, in quanto si era studiato bene i video di sorveglianza della nave e lo aveva riconosciuto dai dettagli fisici. Non c’era da meravigliarsi se ora tale individuo era sul libro nero del loro capo.

“Oh… la conosci anche tu?” per un momento Ember rimase stupita, per poi ricordarsi con chi stava parlando e rispondere di conseguenza “c-comunque si… una ragazza piuttosto carina con le cromature blu e bianche. Ed il fratello non è che l’ho frequentato molto… ma mentirei se dicessi che mi sembrava una bella persona”

Non poteva crederci. Il tecnico decepticon aveva fatto decisamente centro quel giorno, in quanto ripescare su extranet il contatto di quella seeker non era stato affatto facile – per quanto fosse abile in informatica – e scoprire inoltre che quella femme era a conoscenza della loro bambina era praticamente un caso che poteva avvenire unicamente una volta su un milione.

Si massaggiò dunque il mento con fare pensoso, e se avesse avuto ancora i sensori ottici al loro posto probabilmente il suo sguardo sarebbe stato anche più preoccupato agli occhi di chi lo stava osservando, prima di decidersi sul da farsi. La conferma di aver appena ricevuto un indizio importante sull’ultima ubicazione del membro della loro squadra scomparso da tempo gli era stata appena data in maniera così inaspettata che quasi non poteva crederci, ma non per questo doveva abbandonare i suoi propositi meno nobili.

Faceva bene a continuare a chiederle di Spectra per quel che la giovane seeker potesse saperne, ma non voleva rinunciare nel cercare di abbordarla in qualche modo. Se avesse immediatamente avvertito i ragazzi allora avrebbe perso la sua possibilità di parlare con una cybertroiana piuttosto sexy – non che la madre fosse da meno, andava detto, ma Ember gli sembrava piuttosto tranquilla rispetto alla genitrice – e dunque le sue successive parole furono dettate soprattutto da ciò che mediamente stimolava un uomo al di sotto della cintura.

“Hmm… senza dubbio questo è un argomento che va approfondito meglio! Meglio parlarle di persona, visto che si tratta di una cosa altamente importante”

Il sorriso ambiguo che incorniciò il pallido volto del mech fece storcere il naso ad Ember che, praticamente pentita di aver preso l’iniziativa di avviare una chiamata video, roteò i sensori ottici color arancio buttando momentaneamente il datapad sul ripiano del suo lettino metallico. Si era messa nei casini da sola e quel che era peggio l’idea di creare lei una conversazione dal vivo con un membro della DJD si stava trasformando in una fossa che la stava sprofondando sempre di più. Invece di risalire la china arrivando a scusarsi pubblicamente con un ufficiale decepticon aveva dato la possibilità a quest’ultimo di incastrarla senza possibilità di rifiutare.

“Io di questo non me ne libero più, cosa faccio adesso?!”

Vi era una vena di sensibile esasperazione nella voce della bella seeker, e questo non venne ignorato da un fratello ormai esausto di dolcetti trafugati. Con un gesto agile scese dal letto, e vedendo Ember intenta a massaggiarsi le tempie doloranti da stress si ritrovò ad inarcare un sopracciglio nel vedere come la situazione non si era risolta nonostante il fegato della ragazza.

Fu allora che gli venne in mente qualcosa che, solo in apparenza, poteva non c’entrare nulla con la situazione attuale. Ed era un qualcosa che riguardava un membro della Decepticon Justice Division con cui il giovanotto aveva interagito a Pettinathia per breve tempo.

“Senti, perché per cominciare non gli chiedi il contatto privato di quella loro minicon… come si chiamava? Nickel mi pare”

“cos… e questo come potrebbe aiutarmi?!”

La ragazza lo guardò giustamente allibita – incapace di capire il perché il giovane seeker  avesse tanto voglia di contattare quella piccoletta dalla lingua sciolta – tanto da osservarlo curiosa e ignorando le domande di Kaon che, dallo schermo, ora non vedeva altro che un giaciglio scuro.

“fidati, funzionerà” sorrise Finn, non vedendo l’ora di salutare nuovamente la piccola decepticon incontrata per puro caso in quella fogna di città “ho proprio voglia di sapere se è riuscita a togliersi dalle dita quei tentacoli di gomma presi al Tiger!”

 

[…]

 

Non vi erano molti passatempi all’interno della Paceful Tyranny, e quelli che c’erano erano offerti dai pochi giochi interattivi che la sala ricreativa aveva da offrire. Tesarus, gigantesco decepticon con un inquietante foro dentellato nel mezzo del petto – sfruttato per le sue esecuzioni più spietate – era più il tipo da passatempi pratici anziché mettersi a fare uno di quei giochi di strategia in cui bisognava muovere pedine e ipotizzare le tattiche dell’avversario. La sua anima da demolitore si faceva sentire ancora dentro di lui, era una mente semplice seppur non significasse che fosse stupido… anzi, quindi ecco che preferiva cimentarsi nelle costruzioni per poi sfasciarle una volta completate.

Attualmente era impegnato a impilare uno sopra l’altra delle sottili barrette di metallo che, una volta sistemate a dovere, stavano prendendo la forma di una complessa struttura torreggiante.

“coraggio piccolina… ancora dieci pezzi e poi potrai dirti ultimata!”

La sua voce tradì una lieve emozione nell’atto di incrociare altre due barrette tra loro, in quella che era una torre perfetta, ma tutto ciò fu destinato ad infrangersi quando un ruggito spaventoso andò ad infrangersi tra le pareti metalliche della sala in cui era.

“KAOOOONN!!”

L’idilliaco momento del colossale esecutore si interruppe quando l’ultimo tassello stretto tra le sue dita fu quasi in procinto di posarsi sulla cima della sua complicata torre, prima che questa non si sgretolasse alle vibrazioni vocali partite dal loro medico di bordo.  Quando Nickel si incazzava non c’era nulla che potesse contrastare la sua furia in miniatura – no, non la spaventava neppure lavorare con gente pericolosa priva di scrupoli nonostante il suo essere una minicon – pertanto al povero Tesarus non rimase altro che boccheggiare incredulo al suo capolavoro distrutto e a sospirare poi dispiaciuto per il tempo sprecato.

Ciononostante la curiosità di sapere in cosa si era cacciato questa volta il loro tecnico fu troppo grande per lui, tanto da dimenticarsi in breve del proprio passatempo rilassante e scrutare fuori dalla grande finestra della sala una Nickel che letteralmente volava per il grande corridoio. Una furia in miniatura con in mano già una sega circolare pronta ad abbattersi sullo sventurato che l’aveva fatta incazzare, quindi perché perdersi il probabile smembramento di quell’imbecille senza sensori ottici?

“Nickel… cosa succede?”

Quel giorno tuttavia il massiccio inquisitore decepticon non si sarebbe rallegrato con un po’ di sana violenza, in quanto lo stesso Tarn – loro capo indiscusso in quella loro combriccola malata – uscì fuori dalla propria stanza per frenare l’avanzata della minicon – che gli arrivava a stento alle ginocchia – e sotto il suo sguardo vermiglio la piccola donna si dette apparentemente una calmata.

“succede che quel coglione di Kaon ha ceduto il mio contatto privato a quel pazzo che mi ha rapito a Pettinathia! Ecco cosa succede! Guarda!” da uno scomparto del proprio voluminoso torso estrasse quello che era il proprio datapad olografico, con una evidente chat iniziata da un tizio di nome Finn “mi sta rompendo le scatole in questo preciso istante!!”

Alzò lo schermo per mostrare il fattaccio al proprio capo, e questi – un mech dalle tonalità cromatiche tendenti al viola e al nero e con il volto coperto da una maschera che ricordava il simbolo dei decepticon – notando che la chat continuava come se nulla fosse decise di prendere la decisione più saggia. Seppur trattenendo un sospiro di pura frustrazione.

“hm, d’ora in avanti lascia che me ne occupi io… questa storia necessita di essere chiarita”

A Tarn non piaceva particolarmente ricordare il periodo passato in quella città tossica abitata da persone fastidiose oltre ogni limite – ma per questioni commerciali non del tutto “pulite” era comunque costretto a frequentare – ma era ancor peggio che, gente conosciuta e affrontata li per questioni legate per lo più ad equivoci imbarazzanti, continuassero a provocarli con la complicità di uno di loro.

Tosto si diresse quindi in direzioni degli appartamenti dello sconsiderato tecnico, seguito a breve distanza da un medico di bordo ancora furente e dallo sguardo di un Tesarus piuttosto interessato a vedere come si sarebbero evolute le cose.

“Ehe! Forse faccio bene a chiamare anche gli altri!”

Se doveva esserci spettacolo tanto valeva che anche il resto della squadra osservasse.

 

[…]

 

Non ci fu bisogno di sfondare la porta per una entrata in scena ad effetto per far sudare freddo Kaon, in quanto una volta che le porte scorrevoli si furono ritirate all’interno dei muri fu la minacciosa ombra di Tarn ad oscurare un povero tecnico dal sorriso forzato come quello di qualcuno colto con le mani nella marmellata.

“E-ehilà ragazzi! Come va?!”

Nonostante fosse rimasto rintanato nelle sue stanze il grido della piccola dottoressa l’aveva sentito eccome… così come l’avevano sentito anche il resto della squadra, visto l’assembramento di individui alle spalle del suo comandante.

“A te andrà male appena ti metto sotto i ferri! Sappilo testa di cazzo!”

Nickel aveva dei ricordi poco piacevoli della sua obbligata permanenza in una città i cui fumi tossici letteralmente portavano la gente a sballarsi in modo brutale, ed essere stata praticamente rapita da un seeker in vena di scherzi per essere poi portata in un negozio di cianfrusaglie per fare compere fu una esperienza ancor più allucinante.

Una mano protesa verso di lei comunque la frenò dal prendere in mano uno qualsiasi dei suoi bisturi – spesso tenuti alla cintura – e ben sapendo che Tarn non avrebbe approvato aggressioni di alcun tipo all’interno della propria squadra frenò la propria lingua ma non lo sguardo fiammeggiante.

Al leader decepticon non servirono molte parole per farsi capire da Kaon – quest’ultimo ben poteva intuire dalle sue ottiche rosse insolitamente accese che, sotto la maschera, fosse piuttosto adirato – ma bastò semplicemente mettergli sotto il naso il datapad di Nickel per pretendere al più presto risposte convincenti.

“Spiega, e alla svelta”

La cupa voce di Tarn era un paradosso se paragonata alle parole allegre della chat da parte di quel seeker di nome Finn, pertanto il tecnico dalle voluminose antenne tesla sulle spalle girò la propria sedia girevole quel tanto da avere l’attenzione di tutti. E oltre le spalle cingolate del suo signore gli altri inquisitori già se la ridevano in silenzio.

“Ehm, ma certo! T-ti ricordi quella femme carina di nome Ember? Quella che ha ritrovato il cane?”

“Ember… intendi la figlia di quella tizia di nome Hallow?!”

fece dubbioso Helex massaggiandosi il mento. Domanda a cui il gigantesco Tesarus rispose con un sogghigno dando una gomitata al collega con tendenze un filino cannibalistiche quando si trattava di lavorarsi gli eretici.

“Se è quella che ci ha demolito l’inguine allora è un bene che Kaon sia riuscito in qualche modo a trovarla”

I due grossi decepticon smisero di sghignazzare a quel dolce ricordo quando Vos – lo scienziato del gruppo – li zittì con un sonoro “shhh” in quanto pure l’allampanato decepticon era interessato a quella discussione. Kaon quindi riprese con le proprie spiegazioni seppur il nervosismo dettato dalla tensione lo stava portando a tamburellare con il piede destro il pavimento in metallo.

  “si… bè ecco, sono riuscito a rintracciare il suo contatto privato e indovinate un po’?! la ragazza ha incontrato Spectra durante il suo soggiorno a Pettinathia!”

Un silenzio glaciale calò nella stanza, interrotta solo dopo pochi secondi da un brusio di sottofondo di chi stava iniziando a mettere in dubbio le parole del tecnico e chi, semplicemente, era troppo incredulo per poter dire qualcosa.

“Cos… ma stai scherzando?”

La prima a spezzare quell’innaturale silenzio fu il piccolo medico di bordo, decisamente scettica per quella rivelazione improvvisa, tanto da accompagnare i borbottii di chi era del suo medesimo parere e chi – tutt’altro – speranzoso nei riguardi di un membro della loro “famiglia” che aveva nuovamente fatto parlare di se.

Ma ciò che preoccupò maggiormente Nickel, ed anche il resto del gruppo dopo, era l’innaturale silenzio del loro comandante.

Tarn si era chiuso in un mutismo gelido difficile da decifrare, ed il fatto che portasse una maschera perennemente calata sul volto non aiutava i presenti a capire in che stato fosse al momento. Solo i suoi sensori ottici potevano esprimere qualcosa attraverso una luce che gli astanti avrebbero quasi definito sinistra.

Fu difatti lui a prendere l’iniziativa, e con voce tetra chiese al proprio tecnico di passargli il datapad infame.

“Fammi parlare con la ragazza…”

“M-ma certo! Poi però posso uscirci… vero?”

Le parole morirono un po’ per volta nella scatola vocale di Kaon, riducendosi ad un sussurro quando il suo comandante letteralmente lo ignorò dopo che gli ebbe consegnato i propri effetti personali.

 

[…]

 

Ember non aveva mai avuto pensieri violenti riguardo la sua attuale famiglia, ma in quel preciso momento avrebbe volentieri mollato un ceffone sulla nuca di suo fratello.

Finn era davvero stato un ingenuo a pensare che, scatenando il caos all’interno di quella che era la Paceful Tyranny – l’attuale nave della DJD – avrebbe in qualche modo aiutato sua sorella! Attualmente sullo schermo si erano aggiunte facce nuove, una poco rassicurante dell’altra, e una delle poche che riconosceva dal suo soggiorno a Pettinathia fu quella del mech mascherato impossibile da dimenticare e ancor più impossibile da non riconoscere.

Si sentì quindi congelare l’energon nelle viscere sintetiche, nel mentre che suo fratello – seduto al momento accanto a lei – la guardava con fare interrogativo intuendo forse solo in parte il disagio della seeker.

“Ed ecco che cominciano i guai…” sussurrò la giovane, una volta che Tarn prese posto dove prima era seduto il suo cieco tecnico e, lasciando che il resto del gruppo prendesse posizione dietro di lui, si rivolse ad Ember con poche parole dirette.

“sarò chiaro e andrò direttamente al punto: è vero oppure no che hai visto Spectra, un membro del nostro gruppo, su Pettinathia?”

C’era decisamente qualcosa di strano nella cupa voce del mech. Qualcosa che Ember non riuscì ad identificare con precisione, simile ad un brivido sinistro che la portò a sentirsi le gambe e le braccia informicolarsi, ma che – stranamente – la portò anche a mettersi quasi sull’attenti. Non si poteva sapere se in quel momento il lord inquisitore stava usando effettivamente i suoi fantomatici poteri di controllo – capaci addirittura di uccidere a distanza semplicemente abbassando il tono della voce fino ad un sussurro, questo almeno stando alle voci che circolavano – o semplicemente la propria figura per incutere timore e rispetto, ma riuscì in pieno a farsi rispettare dalla giovane seeker.

“Si, signore. È così… ho avuto modo di vederla poco ma…”

“Ti è sembrata in salute? Felice? Era in compagnia di qualcuno? Sai dov’è adesso?”

Le pressanti domande dell’inquisitore lasciarono momentaneamente spaesata Ember che, molto più che incredula, credette tutto fuorché quello che parve essere un sincero interessi nei confronti di una persona viva. La fama della DJD era piuttosto nota per essere quanto di truce e grottesco le società decepticon potevano creare in fatto di soldati – e quando lavorava a Kaon di storie sulle loro favoleggiate missioni, forse non tanto fantasiose, ne aveva sentite abbastanza da stare sul chi vive – ma arrivare a percepire quella che sembrava essere preoccupazione sincera la lasciò sempre più stupita man mano che rifletteva velocemente sulla cosa.

“per essere in salute lo era, almeno stando a quello che mi ha detto lei, ma felice… non saprei. Era in compagnia di suo fratello, un tale di nome Spectrus, ma mi è sembrata comunque molto malinconica… nonostante i suoi sorrisi. E per rispondere all’ultima domanda, non ho idea di dove si trovi ora. Purtroppo il tempo che abbiamo passato assieme è stato relativamente breve”

Ci fu un lungo attimo silenzio dopo le parole della seeker. Un attimo così lungo che parve riempirsi di un innaturale gelo quando la ragazza pronunciò il nome di quel mech dall’aria tutt’altro che rassicurante, tanto da portare Ember a sentirsi ancor più a disagio di fronte all’autorità decepticon.

In particolar modo gli occhi del loro leader mascherato parvero accendersi come due tizzoni ardenti alla breve relazione di Ember, ben ansioso di saperne di più nonostante chissà quale emozione gli stava attraversando il volto sotto quell’inquietante maschera.

Vedendo che il timore di incappare in chissà quale punizione da parte di quegli spietati esecutori non aveva ancora lasciato le membra di sua sorella, nonostante fosse comunque ottimista per come si sarebbe conclusa quella chiacchierata, Finn decise comunque di darle conforto stringendole la mano destra e farle così sentire la propria presenza al suo fianco. Un gesto comunque gradito da Ember, che si fece così forza di fronte a quello che ora le sembrava un uomo quasi ferito.

“Voglio sapere nel dettaglio il tuo soggiorno a Pettinathia e quello che tu e Spectra vi siete dette. Oltre che una descrizione dettaglia sua e di suo fratello… per cortesia”

Avrebbe indubbiamente obbedito alle volontà di un lord inquisitore, anche senza una sua apparente cortesia.

 

[…]

 

Tutto sommato quel colloquio indesiderato era stato relativamente breve, nonostante si sentisse la scatola vocale praticamente danneggiata dal suo troppo chiacchierare.

Ember aveva detto tutto quello che poteva saperne riguardo a Spectra, arrivando persino a ripetersi in certi punti, e solo una volta che quelli della DJD capirono che la bella seeker alla fine della corsa non aveva altro da aggiungere decisero finalmente di lasciarla stare.

Mai in tutta la sua vita era stata così disponibile a parlare con qualcuno e rispondere a tutte le domande che le venivano poste, ma vivendo a Kaon aveva imparato fin da bambina a rispettare le autorità decepticon. Questo non toglieva tuttavia il timore di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato alla persona sbagliata, in quanto le storie che si raccontavano sulla DJD erano così inquietanti da essere probabilmente vere.

Tuttavia quando il leader degli inquisitori si era stancato di tempestarla di domande aveva deciso di chiudere li la conversazione e, da diverse ore ormai, nessuno più l’aveva disturbata o importunata.

Tutti quei minuti spesi a parlare con quella gente le aveva messo il dubbio che in realtà quegli individui fossero più umani di quel che volevano mostrare alla gente comune. La preoccupazione di quegli uomini per quella che il loro leader aveva identificato come un membro della loro squadra sembrava essere davvero sincera – soprattutto da parte di Tarn, i cui sensori ottici erano l’unica cosa a parlare effettivamente delle emozioni che lo stavano attraversando, ricordandole per certi versi lo sguardo cattivo e mortalmente preoccupato delle sue zie – ma da qui a considerarli dei bravi ragazzi ce ne passava. A pelle, e di natura Ember era piuttosto intuitiva, era come se – soprattutto il loro leader – ci fosse del rammarico per essersi lasciati indietro Spectra. E nel mentre che lei cresceva e si faceva donna, il probabile tarlo dell’abbandono, vero o presunto, si impossessava di menti provate da una vita di violenze.

Uno spiraglio di normalità rappresentato da quella che all’epoca era una ragazzina – quantomeno il leader della DJD si era lasciato scappare che avevano incontrato Spectra che ancora era una bambina – destinato per forza di cose a non durare a lungo data la natura dei soggetti coinvolti. Forse quegli uomini stavano semplicemente rincorrendo un sogno ormai finito da tempo, per quanto potesse essere un pensiero amaro da parte di Ember, ma alle delusioni della vita ci si era abituata.

 

Quel giro di pensieri notturni – dovuti ad una insonnia che non le permetteva di entrare in ricarica, non dopo aver parlato con degli esecutori decepticon – si infranse quando dal suo datapat, appoggiato sul ripiano metallico accanto alla cuccetta in cui stava cercando di riposare, si illuminò emettendo un piccolo trillo per avvisarla di una chiamata in arrivo.

Sbuffando seccata lo prese in mano prima che quel suono potesse svegliare Finn che dormiva sopra di lei, ma quando vide chi stava cercando di contattarla i suoi sensori ottici ambrati si spalancarono del tutto.

Avvertì brevemente la scintilla affievolirsi in petto, in un moto di paura e sorpresa che a momenti non le fece scappare una esclamazione di puro stupore dalla bocca. Decise quindi di alzarsi in punta di piedi dal letto per non svegliare suo fratello, non volendo dargli altre preoccupazioni, e di rispondere a quell’insistente chiamata una volta che fu uscita dalla propria cabina. Lì fuori, nel buio di un corridoio rischiarato solo dalle luci di servizio piazzate alla rinfusa lungo le pareti metalliche dello scafo, Ember decise di rispondere alla chiamata di Tarn dopo aver fatto un lungo sospiro.

“Signore… non mi aspettavo una sua chiamata. Le… ehm, serve qualcosa?”

Oltre lo schermo olografico del suo datapad la giovane poteva osservare l’imponente mech seduto in quella che doveva essere la sua scrivania privata – lo poteva intuire da quei pochi particolari che la caratterizzavano, tipo la presenza di bottiglie di alcoolici piuttosto costosi e un ordine quasi maniacale che permeava nell’ambiente – ma ancora una volta le era impossibile determinare quale emozione gli stesse attraversando il viso, in quanto l’onnipresente maschera decepticon nascondeva ogni cosa.

“a dire il vero no… sei stata più che esaustiva con le mie domande oggi, ma ho scordato di ringraziarti per la tua gentilezza e questo non è da me. Ti sei ripagata bene”

“Uh… signore?”

In tutta onestà la giovane non comprendeva esattamente cosa il lord inquisitore stesse dicendo, magari era intontita di suo a causa dell’ora tarda, ma il mech non si scompose ne parve irritato dalla confusione che aveva causato alla sua interlocutrice. Rimase silente per qualche secondo, prima di iniziare ad armeggiare con le cerniere magnetiche che tenevano ben salda la sua maschera al volto.

“voglio essere sincero, durante il nostro primo incontro a Pettinathia non abbiamo avuto modo di comunicare adeguatamente - tua madre ha saputo essere piuttosto protettiva, nei tuoi confronti - ma durante la nostra precedente chiacchierata ho avuto modo di riflettere meglio e di ricordarmi del nostro precedente incontro… il primo, ad essere sinceri”

La maschera si separò dal volto del capo esecutore con un sibilo dovuto alla decompressione, lasciando momentaneamente che il suo vero viso rimanesse all’ombra della stanza in cui si trovava, prima di avvicinarsi allo schermo e mostrarsi per quel che era realmente. Ed Ember credette di vedere quello che era un fantasma.

Il pallido volto di quello che sembrava essere ancora un giovane uomo era in parte rovinato da quella che si poteva definire una cicatrice metallica, prendente buona parte del lato sinistro, mentre l’espressione austera era la stessa che la seeker aveva incrociato quando era ancora una bambina. Se l’universo era sconfinato, ora si stava decisamente riducendo a quei pochi metri quadri di astronave dove ora si trovava lei.

“Quando mi trovavo ancora di pattuglia a Kaon, agli inizi della mia carriera, ebbi modo di incontrare il mio primo bivio…” la guardò intensamente, notando che ella stava iniziando a capire rapidamente “seguire diligentemente le regole, oppure dare la possibilità a qualcuno di potersi redimere? Ebbene, a distanza di così tanti anni penso ancora di aver fatto la scelta giusta”

Lo disse con un sottile sorriso appena accennato sulle labbra, nel mentre che Ember si perse in ricordi ancestrali. Ritornando ad essere una bambina terrorizzata dal futuro che l’attendeva al di fuori di quel vicolo buio e umido, di fronte ad un soldato che non avrebbe dovuto mostrare nessun tipo di magnanimità nei suoi confronti. Un ricordo questo che la intristì, così come le accadeva alle volte a pensare al passato, ritrovandosi a voltare lo sguardo altrove per evitare l’occhio vigile di un uomo invecchiato peggio di lei.

“Sei cresciuta bene, Ember… e hai saputo ripagare bene il favore che ti feci tempo fa. Pertanto, ne tu e neppure il resto della tua famiglia sarà mai sulla nostra lista”

Un segno di gratitudine non da poco, considerando che si stava parlando della DJD, ma che per qualche strano motivo passava in secondo piano nella mente di Ember. Se quel mech non aveva scordato lei dopo tutti quei secoli, come poteva scordarsi di quella ragazza che stava cercando disperatamente? Spectra non era dentro quel vicolo buio, chi le stava tendendo una mano per tirarla fuori c’era e, a modo suo, non avrebbe ritratto quella mano fino a che non l’avrebbe ritrovata.

“mi auguro davvero che possiate trovarla… signore”

Le ultime parole di Ember, fievoli e tristi, ora con la schiena appoggiata alla parete del corridoio come spossata da ciò che le si era rivelato, vennero colte con un timido accenno di assenso da parte di Tarn. L’esecutore annuì brevemente, ancora soddisfatto per tutte le informazioni che la ragazza era riuscita a dar loro quel pomeriggio, decidendosi di lasciare la propria ospite ai suoi pensieri. Anche per lui, ripescare il volto di quella ragazzina in un processore ormai compresso di sofferenza e infamia era stata una rivelazione simile ad una epifania.

“è quello che ci auguriamo tutti. Buona notte e addio”

Se era riuscito a trovare casualmente uno spettro del suo passato allora c’era speranza di ritrovarne un altro. Doveva solo continuare ad avere pazienza… e di quella, Tarn, ne aveva fin troppa.

  
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