27.
L’insostenibile leggerezza dell’essere Shouto
Todoroki
Due colpi contro la porta lo
fanno trasalire. Riapre gli occhi di scatto, spaesato, non ha idea di cosa sia
successo.
Realizza soltanto adesso che ha
dormito. Non sa quanto. “Bakugō, apri questa
porta”. La voce di Morto di sonno-sensei.
Si porta la mano alla fronte.
Sembra debba scoppiargli il cervello. “E’ già aperto”, gracchia.
Ha scordato di chiuderla a chiave
quando è uscita Uraraka.
Aizawa schiude il battente. Insinua
dentro lo sguardo apparentemente neutro ma acutissimo, senza però azzardarsi ad
entrare.
In un altro momento avrebbe
odiato quel riguardo, senza scherzi.
Eppure adesso si sente
spaventosamente vulnerabile.
“Stai bene, Bakugō?”,
domanda Aizawa.
Dio Santo, quella domanda. Era
già inutile prima per Katsuki, ora è addirittura
pleonastica se non offensiva.
Può forse andare tutto bene,
ridotto com’è? Scempio del suo corpo, scempio della sua mente e ora anche dell’esistenza
come stava forse imparando ad apprezzare fin qui, quel non dover per forza
essere un asociale del cavolo, quei tentativi di stringere legami che andassero
oltre il temerlo per la sua potenza.
Avrebbe fatto meglio a continuare
come ha sempre fatto.
Ora starebbe meno di merda,
sicuro. Si sarebbe rinfrancato col pensiero di ammazzare quei due bastardi,
appena fosse stato in grado di reggersi in piedi senza vacillare. “Uh”.
“Ti serve aiuto per tornare in
dormitorio?”.
“No”. Si rimette faticosamente
eretto, la schiena urla esattamente come fa lui.
A passo di tartaruga si avvia
verso l’uscita, lasciando anche il borsone.
Quando esce trova due sorprese,
nessuna delle due gradita.
Uno, ha iniziato a far buio.
Due, Aizawa
non è da solo.
C’è quel demente di Todoroki con
lui. “Tu che cazzo ci fai ancora qui? Ti avevo detto …”.
“Non potevo andarmene sapendo che
eri lì da solo”, replica quello in tono pacato, tranquillo come se avesse
schiacciato un pisolino anche lui, riposandosi dopo la fatica di ridergli
dietro.
Inizia a pulsargli qualcosa,
dentro la tempia.
Oltre che nel basso ventre.
Fa un male boia. E non poter
spaccare qualcosa – qualcuno- lo fa sentire anche più da cani di quanto già non
stesse.
E quello … quel bastardo maledetto
lo fissa con stampata sulla faccia a metà un’espressione che Santo Dio, a
poterlo fare gli frantumerebbe la spina dorsale a pedate.
Sembra impietosito, più che
inquieto adesso.
Come se gli spiacesse davvero per
lui.
E questo pensiero sbatte Bakugō fuori dalla residua grazia divina – molto,
molto poca, visto quello che gli stava capitando- che ancora potesse serbare.
Come cazzo gli salta in mente a quello là di provare pena per lui?
Che
… ma che cazzo …
“Todoroki, lo accompagni tu?”.
“Sì, sensei”.
Katsuki alza immediatamente le mani,
portandole avanti. “Non ci pensare. Stammi almeno a cento metri, idiota”. Lo
sorpassa e cammina a passo marziale, per quanto gli sia concesso dai crampi.
Fanculo. Fanculo. Fanculo.
Sta odiando il mondo. La vita.
Todoroki, soprattutto. Che gli
sta appiccicato al culo finché non arriva in dormitorio, davanti all’ascensore.
Grazie a Dio la sala comune è
vuota. Sono tutti esauriti, gli stronzi.
E pensare che alla maggior parte
di loro non è capitato proprio un bel cazzo di niente, altroché.
E hanno il coraggio di
lamentarsi. “Non puoi salire qui, cretino”.
“Ti accompagno soltanto fino alla
porta. Voglio essere tranquillo”, replica ancora, con un coraggio che sfiora
l’imprudenza.
O l’istinto suicida, probabile.
Forse sta iniziando ad elaborare il trauma, pure lui, e ha deciso che è meglio
crepare piuttosto che darci ancora dentro con la sua patetica esistenza. “Be’,
sì cazzo, sai, piacerebbe anche a me”.
Lo accompagna imperterrito fino
alla porta di Coda di cavallo.
Certo che per essere resistente
lo è. Anche troppo.
“Bakugō?”,
lo chiama il bastardo a metà, appena apre il battente.
Vorrebbe solo fare una doccia
calda e scordare tutto. Dimenticarsi di quella giornata da incubo, e quelle
precedenti. “Cazzo vuoi ancora, bastardo?”.
“Cerca di riposarti e prenderti
cura di te. Buonanotte”, mormora quello, girando sui tacchi e dirigendosi verso
l’ascensore come nulla fosse.
Già.
Lui può fare finta che non sia
accaduto nulla.
Ma per Katsuki
… niente sarà più come prima.
Chiude la porta, leva l’uniforme
attento a non toccarsi.
Anche il suo migliore amico l’ha
tradito. Ha … preferito dar retta a quella scoppiata, piuttosto che tenere fede
alla loro amicizia, al loro legame.
Non gli è rimasto più nessuno.
E’ da solo. A parte la pietà di
Faccia Tonda e del dannato a metà, che gli consiglia di “prendersi cura di sé”,
quel pezzo di … vabbé.
Cose di cui farebbe volentieri a
meno.
Tsk.
Quando torna di sotto, dopo
essersi accertato che il compagno fosse al sicuro nella camera di Momo, inclina
leggermente la schiena stiracchiandosi.
Ha chiesto gentilmente a Shoji, ancora sotto shock per la lite di quel mattino, se
poteva portargli la cartella lasciata in classe prima della lezione di ginnastica.
Aveva immaginato che sarebbe andata per le lunghe, e non voleva rischiare di
dover rimandare tutto a quando Bakugō si sarebbe
deciso a venire fuori da lì.
E ha avuto ragione.
A stare seduto lì per terra gli è
venuto un pungolo all’osso sacro, fastidiosissimo.
Ma certo non è nulla in confronto
a quel che sta passando Bakugō.
Non ha avuto cuore di piantarlo
lì da solo.
Quando Uraraka
è uscita di corsa, ore prima, ha tentato di domandarle come stesse.
Ma non si era lasciata parlare,
era scappata come avesse i diavoli alle calcagna e Shouto
non era riuscito a spiegarsene il motivo.
In compenso aveva letto “Guerra e
Pace”, come si riproponeva di fare da mesi. Per tre quarti.
Se non fosse arrivato Aizawa probabilmente avrebbe finito.
A differenza di questa storiaccia
che sembra prendere pieghe sempre peggiori, persino più di un romanzo di
milleseicento pagine, proprio come il libro che ha quasi portato a termine.
Qui invece non c’è ancora una
soluzione al casino scatenato da una causa ancora del tutto sconosciuta, e
nessuno è in grado di sapere quanto ancora durerà.
E se la pace è ben lontana da
essere raggiunta, la guerra al contrario è ben aperta, adesso.
Attende che si aprano le porte
dell’ascensore. E quando lo fanno spunta fuori giusto Ochaco.
“Ah, Todoroki-kun, ciao”.
“Buonasera a te, Uraraka-san”. Sembra un po’ impacciata nel trovarlo
nell’ala femminile, così spiega subito: “Ho appena riaccompagnato Bakugō in camera”.
“Sì? E … come sta?”.
“Fisicamente sembra così così. Ma … mentalmente credo sia a pezzi. Probabilmente
quando questa storia finirà gli servirà un periodo di riposo, oggi è stato il
colpo di grazia”.
“Già. Io … andavo da Tsuyu-chan, mi ha chiesto se guardiamo insieme un film. E
sinceramente sento proprio la necessità di staccare un po’, anch’io”.
“Ti capisco”. Poi, rammentando
che Ochaco era insieme a Yaoyorozu
prima che partisse la sarabanda, le chiede: “Sai dov’è Momo?”.
“In camera sua … cioè, quella di Deku-kun, l’ho accompagnata subito dopo … il disastro e
dopo i compiti sono tornata a vedere come stava. Era molto agitata per via di
quello ch’è successo, ma sta bene, non è stata colpita”.
“E tu, tutto
bene?”.
Uraraka abbassa piano lo sguardo, le sue
guance tonde sembrano colorirsi un po’, d’imbarazzo. “Ehhh
… sì”. Poi però cambia tono. Si fa determinata, e rialza lo sguardo colmando
tutti quei venti centimetri di differenza tra loro due. “A questo proposito …
ascolta Todoroki-kun, devo dirti una cosa. Ho cercato
di fartelo capire ieri sera, con garbo, ma … a quanto pare non sono stata
compresa. Perdona la franchezza ma … io credo tu stia esagerando. Sul serio”.
Gli occhi spaiati di Shouto la fissano assenti, senza capire. “Con Momo-chan. La stai davvero mettendo troppo da parte … lei
si sente ferita, capisci? Stai sempre intorno a Bakugō,
e … be’, lei … anche lei ha bisogno di comprensione.
In fondo anche lei è in questa stessa situazione”, sbotta Ochaco.
Lì per lì tace, sentendosi messo
sotto processo.
Ma il disappunto per
l’ingiustizia di quell’accusa ci mette poco a farsi sentire.
Cioè … seriamente? E’ diventato
un casino della malora, tutti hanno rimestato a casaccio, tradito amicizie,
mandato a monte relazioni e … l’unico a finire alla sbarra è proprio lui?
E no, caspita. Può anche essere
un cavaliere, ma a tenersi questa non ci sta.
Anche se è una ragazza a
puntargli contro l’indice. “Tu credi, Uraraka? Io no.
Momo è una persona intelligente e razionale. Io mi fido di lei, sa
perfettamente come controllare le proprie azioni e reazioni per non trovarsi in
difficoltà. Inoltre so che conta su di me perché mi prenda cura del suo corpo,
perché nessuno di coloro che sono in questo impiccio può utilizzare il quirk, hai visto cos’è successo prima, no? Quindi tocca a
me, farmi carico di quest’impegno verso la mia ragazza. Non posso certo
chiederlo a qualcun altro. Inoltre Bakugō è
preso su più fronti, a differenza di Momo. Sta affrontando più guai di tutti
quanti gli altri”.
“Ma …”.
“Sì, è vero. Ojiro e Shinsou
hanno anche loro la loro dose di mal di testa, ma possono sempre contare l’uno
sull’altro. Nonostante la lite, Shinsou ha protetto Ojiro dalla scossa. Jirou ha voi ragazze, Kaminari
può fare affidamento su Sero e gli altri. Bakugou
aveva soltanto Kirishima, e questo deve dividersi tra
il suo amico e la sua fidanzata. Che non è certo una persona ragionevole, e i
fatti lo hanno dimostrato”, sentenzia, in tono fermo anche lui. “Per questo non
mi sento di darti ragione. Momo lo sa che tengo a lei, ma adesso il mio dovere
è vigilare sull’incolumità del suo corpo. E sono sicurissimo che quel che tu
ritieni così grave è soltanto un momento di stress dovuto a questa assurda
circostanza. Appena torneranno ognuno al loro posto, si sistemerà tutto”. Poi,
quasi come si sia reso conto di aver messo troppa enfasi nella propria difesa,
abbozza un’espressione conciliante. “Ma credo comunque che tu abbia ragione. Andrò
da lei”.
“Bene”. Ochako,
che si era già ammorbidita, ora stira un sorriso. “Allora buonanotte, Todoroki-kun”.
“Buonanotte, Uraraka-san”.
La guarda allontanarsi lungo il
corridoio, bussare alla porta di Asui-san.
Lui entra in ascensore e scende a
piano terra,con l’intento ad andare a trovare Yaoyorozu.
Ma avverte dei rumori nel
cucinotto, e per un istante si domanda se non sia appunto lei ch’è scesa per
prepararsi un tè.
Così va a controllare. “Oh, Kirishima”.
“Ehi, ciao, Todoroki”.
Ha una faccia da funerale. Lunga
e pallida e con una piega amara della bocca sempre sorridente. “Vuoi una tazza
di latte caldo?”.
“Veramente …”. Dovrebbe andare da
Yaoyorozu, già.
Ma Kirishima
sembra davvero un’anima in pena. Pare stia sul punto di mettersi a piangere,
anche lui.
Lo hanno lasciato tutti, e non è
difficile capire perché.
Ha sbagliato. In pieno. Non è
stato l’unico, ormai è cosa risaputa ma sicuramente è stato quello che l’ha
combinata più grossa.
“Massì.
Penso che ne abbiamo bisogno un po’ tutti dopo oggi”.
Eijirō prende un’altra tazza, ci versa
dentro il latte dal bollitore. “Abbiamo rotto”.
“Ah?”.
“Io e Ashido.
L’ho lasciata”.
Todoroki sgrana gli occhi,
interdetto. “Ma … perché?”.
“Perché quel che è successo oggi
… è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io … oggesù,
io la amo. Ma mi sta facendo impazzire e ora come ora mi pare di non poter
sopportare più niente. Bakugō non vorrà più
vedermi nemmeno dipinto, c’è da scommetterci, e la cosa peggiore è che anche se
ti sembrerà impossibile da credere, io non ho fatto niente”.
“Non ti seguo”.
“Ieri sera, quando siamo tornati
dalla festa, no? Ho portato Midoriya in camera,
assieme a Mina”, spiega. “Lo ha spogliato, lo ha messo a letto mentre io
aspettavo fuori, quindi siamo tornati nel dormitorio maschile. E lei mi ha
chiesto se non le mancassi nemmeno un po’, se … non mi mancasse fare certe cose
con lei. Vorrai scherzare, le ho detto. Ma non potevamo certo, no? Sono giorni
che le corro dietro in lungo e in largo dappertutto per evitare che si cacci nei
guai, o che ci cacci Bakugō”. Sospira, forte. “E
così … ha iniziato a fare discorsi strani. Cioè, più strani ancora dei suoi
soliti. Su … quanto … insomma … be’ sai, no? Cose da
maschi”.
Todoroki è sempre più perplesso.
No, non sa.
Cioè, oddio, qualcosina
sì. In fondo ha una ragazza. E alcuni … eventi si verificano anche nel suo
corpo, quindi fino ad un certo punto lo comprende. “Voleva … ah. Cazzo. Scusa
Todoroki, non ci riesco a parlarne con te”.
“Non mi pare che io non sia un
maschio. Capisco che le cose siano un po’ confuse ma almeno noi due siamo a
posto”.
Kirishima stira un sorriso depresso. “Ti
sembra che siamo a posto? Vabbé che tu hai Yaoyorozu. Con lei è tutta un’altra storia, di sicuro”.
Eh già. Yaoyorozu
che dovrebbe andare a vedere come sta.
Ma … ora è vagamente curioso. Non
è nella sua natura, ma vuole vederci chiaro in quella storia.
Se Kirishima
ha detto di essere innocente, vuol dire che hanno frainteso tutti quel che ha
sbandierato quel linguacciuto di Mineta.
E a lui non piace essere
pregiudizievole. Se esiste un modo per recuperare le cose, salvarle prima che
vengano distrutte del tutto, allora è suo dovere intervenire.
D’altronde è anche per questo che
si prodiga un Eroe, no? “Tempo fa mi ha … confidato di aver girato un po’ in
rete. Così, giusto per curiosità. Ha letto che … ecco … quella roba … della
prostata, sì”. Eijirō ha la faccia in fiamme
come i capelli, pare stia annegando l’imbarazzo nella tazza.
“Mio nonno aveva la prostata”,
ribatte pronto Shouto.
Kirishima sgrana gli occhi. E malgrado
tutto ridacchia. “Non ce l’aveva solo tuo nonno, Todoroki. Ce l’abbiamo tutti,
eh. Forse vuoi dire che aveva un’infiammazione della prostata. Capita, specie
dopo una certa età. Ma quella … be’, ce l’abbiamo
tutti noi uomini, e pare sia … un po’ come il Santo Graal. Hai presente? La
devi cercare bene bene e se la trovi … BOOM. Un po’ come
il punto G delle ragazze”.
Ora è Todoroki quello in
imbarazzo.
Che lingua sconosciuta sta parlando
Kirishima? Lui non ci sta capendo quasi niente.
Chi,
cosa, dove?
No,
dove no. O sì? “Non
mi guardare così, prima di Mina anch’io sapevo solo … ecco, insomma, quelle
quattro cose in croce. Il minimo sindacale, e mi stavano bene quelle. Ma a lei
piace sperimentare, e onestamente a me pure. Solo che su certe cose ho sempre
messo il veto. Ogni tanto va tenuta al guinzaglio, sennò chissà fin dove è
capace di spingersi. A volte fa paura perfino a me”. Beve un sorso, e Shouto fa altrettanto.
Probabilmente dà per scontato che
anche lui, con Momo … abbia fatto roba.
Quanto meno quella ordinaria.
Se non altro perché stanno
insieme da tre mesi.
E c’era anche lui il giorno in
cui durante il discorso di Aizawa Ashido
si era alzata in piedi trillando: “Oh,
grazie prof! Kiri, ciccio,
quando torniamo al dormitorio ho un paio di cose da farti vedere!”.
Tutti avevano preso fuoco neanche
avesse sventagliato lui il suo mezzo quirk.
Aizawa compreso, che aveva tossicchiato
e borbottato qualcosa tipo un: “Ashido, siediti e sta’
zitta, per favore”.
Ed era stato … sollevato che Momo
fosse assente. Non stavano ancora insieme, tuttavia col senno di poi ci aveva
riflettuto spesso, su quell’episodio.
“Più di una volta mi ha chiesto
se … potevamo provare. A cercarla, intendo. Ovviamente riferito a me. E non ho
mai voluto, insomma, dai, cazzo. Un conto è una ragazza, tutta delicata e
profumata e via dicendo. Ma … infilare … qualcosa nel … ehm, nel fondoschiena
di un ragazzo … dai. Siamo uomini, per la miseria. Non che io abbia pregiudizi,
eh! Figurati. Non si tratta di quello. Solo … bah. Io non ce la faccio. Non ci
riesco proprio”.
“Mhmm mhmm”.
“Stavolta … ha cominciato ad
insistere. E non la smetteva, tant’è che alla fine mi sono spazientito e me ne
sono andato sbattendo la porta, sono tornato in camera mia. L’ho minacciata
dicendole che se combinava qualcosa l’avrei comunque saputo, perché non esiste
che lei faccia qualcosa e poi non si metta in piazza da sola. Possibile che non
lo capisse, santa miseria? Era il corpo di Bakugō.
Lo stesso Bakugō che siamo andati a recuperare
da quei bastardi, con cui a fatica sono riuscito a costruire un rapporto di
amicizia, con cui ne abbiamo passate di tutti i colori. Io non potevo fargli
questo, nemmeno per compiacere lei”.
Pur nebuloso, un vago pensiero si
delinea nella mente di Shouto. “Ma … voleva, per caso
…”.
“Oh, no. Quello assolutamente
mai. Ma … insisteva dicendo che in fondo poi sarebbe tornata una donna, e
allora … ecco … non avrebbe più potuto provare … se è vero o no quel che dicono”.
Si passa una mano sulla fronte aggrottata. “Stamattina mi ha chiesto scusa, ha
detto che forse tutto quel disastro di ieri sera le aveva un po’ annebbiato il
cervello, e che in fondo stava scherzando, voleva soltanto provocarmi visto che
non … ci diamo dentro da un po’, e le manco. Probabilmente non è del tutto
vero, ma non è successo niente e se quel pervertito di Mineta
ha colto qualche frase di sfuggita ha frainteso il senso di quel che stavamo
dicendo. Ma è stato sufficiente a scatenare un putiferio”.
Todoroki è un tantino scosso da
tutto quel discorso.
Ma ciò ch’è chiaro, alla fine, è
che in realtà non è successo nulla. “Dovresti dirglielo, Kirishima”.
“Sì, certo. Adesso proprio poi. Ahhh, mi ammazzerebbe. E la tua donna si farebbe trent’anni
di galera senza aver altra colpa di essere finita assieme a tutti noi in questo
casino”.
Oddio, Yaoyorozu.
“A proposito, dovrei … andare. Penso sia bene andare a vedere come sta. Anche
lei è rimasta scossa da oggi, e credo abbia bisogno di me”.
“Be’, se non altro tu non rischi
col ritrovarti di certe richieste”. Poi si pizzica il labbro. “Scusa. Sto
andando nel pallone, non so nemmeno cosa dico”.
“Ma no. Non ti preoccupare”.
Prova ad abbozzare un sorriso rassicurante, allunga la mano a posargliela sulla
spalla. Un gesto gentile per il compagno angustiato. “Dai, Kirishima.
Sono sicuro che ti perdonerà, appena avrete chiarito. Potrei dirglielo io. Male
che vada picchierebbe me, anzi quasi sicuramente”.
Eijirō fa una faccia strana. Diversa.
Quasi … contenta? “Potrebbe anche ascoltarti. Pare quasi … inizi ad aprirsi nei
tuoi riguardi. Vi ho visti … abbastanza affiatati ieri sera. E oggi ho notato
come ha reagito quando gli hai impedito di venire a fare a pezzettini me e
Mina. Di solito non ascolta nessuno, a parte me, e nemmeno sempre. A proposito,
grazie”.
“Non c’è di che. E poi … dovevo
proteggere il corpo di Momo”, mormora, posando la propria tazza quasi del tutto
intonsa, da cui manca meno di un sorso.
In effetti non è che gli andasse
granché. Avrebbe di gran lunga preferito del tè verde.
Ma l’ha accettata giusto per far
sfogare Eijirō. “Kirishima,
non farlo. Non lasciarla. Cioè … magari potresti prenderti del tempo, finché
questa situazione non sarà finita. Ma Ashido ha
bisogno di te, e tu di lei. Capisco che magari sia un po’ strana, ma è semplicemente
fatta a modo suo. Non è un male, anche se a volte può essere ingestibile … be’. Stare insieme è anche questo. Ci si comprende e
perdona da parte a parte. Altrimenti non ha senso. Se tieni davvero a lei, e
immagino sia così, non puoi abbandonarla quando ha più necessità del tuo
sostegno e conforto”.
Kirishima pare pensarci un po’ su. Poi
annuisce. “Hai ragione, Todoroki. Ma stasera … è meglio che la lasci a cuocere
nel suo brodo. Così magari ci pensa un attimo prima di mettermi in questi casini.
Sai, pensavo che è forse un bene, che sia finita proprio nel corpo di Baku-bro. Fosse stato … un altro … che ne so, forse alla
fin fine avrei anche rischiato col cedere a qualcosa. Cioè non che non abbia
rispetto di tutti voi altri, ci mancherebbe. Ma sai com’è. Quando il sangue ribolle, dà al cervello, e magari non riesci a rimanere
tanto saldo e lucido. Siamo uomini, no? Ardenti e virili. E in fondo non sarebbe stato diverso … dal
toccarsi da soli. Capiamoci, a tutti piace fare un po’ di lavori manuali, di
tanto in tanto. Ma non significa certo che siamo dell’altra sponda, sempre con
rispetto parlando. Mi segui, no?”.
“Ah ah”.
“Ma non avrei mai potuto far
questo a Bakugō. Per me è come un fratello. E …
quasi mi fa male che abbia potuto credere che davvero … possa averlo potuto
violare in questo modo. Cazzo, io ci ho quasi rimesso le penne per lui”.
“Dai, Kirishima.
Davvero, ci parlo io. Anzi sai cosa? Magari ci vado adesso. Se è ancora
intontito dagli antidolorifici magari è più malleabile”.
“No, dai. E’ meglio che tu vada
da Yaoyorozu”.
Ah, già. Yaoyorozu.
Cavolo. “Sì. Certo. Be’ … allora …
buonanotte”.
“‘Notte”.
Povero Kirishima,
pensa allontanandosi dalla sala comune.
Poveraccio davvero.
Entra in ascensore, sale al terzo
piano.
Le luci sono ancora accese.
D’altronde il coprifuoco scatta alle nove e mezza, il fatto che non ci sia
nessuno di sotto a parte Eijirō è solo per via
del fatto che è stata una giornata davvero da incubo, e chi più chi meno hanno
il terrore di ritrovarsi ancora in qualche altro casino.
Chissà se basterà questo, a
sgretolare la loro classe.
Si ferma davanti alla porta di Midoriya. Bussa piano. “Momo, sono Shouto.
Sei sveglia? Volevo parlare un po’ con te”.
Nessuna risposta.
Che sia sotto la doccia? O magari
si è addormentata, una volta andata via Uraraka?
Probabile. Doveva essere davvero
stanchissima.
E lui … be’.
Lui si sente sfinito. Ha aspettato per ore che Bakugō
si decidesse ad uscire dallo spogliatoio, è stato costretto a tornarsene al
dormitorio senza aver nemmeno reindossato l’uniforme,
ha ancora la tuta regolamentare addosso.
Solo per farsi mandare al diavolo
e ordinare di non azzardarsi a seguirlo a meno di cento metri di distanza.
No, non è davvero facile avere a
che fare con Bakugō.
Kirishima deve avere un sangue freddo
eccezionale per sopportare sia lui che Ashido.
O forse è solo troppo buono di
cuore.
Si reca in camera propria, chiude
la porta a chiave e tira fuori il futon dall’armadio.
Si spoglia, e dopo una rapida
doccia infila la tuta che porta in camera e si sdraia.
Accidenti, però. I discorsi di Eijirō.
Adesso che è da solo, e non deve
preoccuparsi delle proprie reazioni davanti all’amico, lo fanno arrossire.
Non avrebbe mai pensato che
alcuni tra i suoi compagni fossero tanto … scafati, per dirla tutta.
Certo non tutti arrivavano ai
livelli di quei due. Ma … il delirio scoppiato dopo mensa lasciava intendere –
e neppure velatamente- che bene o male avessero un po’ in tanti le mani in
pasta in certe faccende.
Si volta sul fianco, ritrovandosi
a fissare la finestra. Fuori è buio.
E si domanda se non ci sia
realmente qualcosa di sbagliato in lui.
La sera precedente Bakugō l’ha ripreso più volte perché stava guardando
il décolleté della sua fidanzata. E la cosa bella è che lui stesso non se n’era
neppure reso conto, solo … lo sguardo correva lì e lì rimaneva, dopo che
l’aveva sfiorato per caso nell’impedire a Bakugō
di cadere.
E quel giorno, quando gli era
finito addosso, e poi l’aveva ripreso per evitare che corresse a scannare Kirishima, lo aveva addirittura sentito contro di sé.
E gli aveva fatto un’impressione
strana.
Ma … pensare di … provare
consapevolmente a toccarlo … lo faceva sentire come se stesse compiendo
qualcosa di riprovevole.
Eppure è la sua donna. Una
bellissima donna.
Persino suo padre lo ha notato.
Aveva caldamente approvato.
Anche se in fondo … a lui non frega
poi granché.
E’ per Momo che ci aveva tenuto
tanto. Perché sapeva com’è fatta, lei avrebbe avuto un colpo al cuore, se Enji non l’avesse considerata all’altezza di suo figlio.
Ma tanto aveva i tacchi.
Oh,
guarda, una battuta.
Forse avrebbe soltanto dovuto
impegnarsi un po’ di più. Quando la guarda vede una brava ragazza, di buona
famiglia, e le sarebbe parso di farle uno sgarbo se solo avesse azzardato
qualcosa di meno che educato.
In effetti solo da quando c’è Bakugō la tocca senza avvertire quel senso di
angoscia.
Forse perché appunto sa che lui
si sarebbe incazzato ma solo perché già nel suo corpo detestava i contatti e li
evitava sempre.
E poi perché appunto è un uomo.
E inoltre, Todoroki gli sta sulle
scatole.
Shouto si morde il labbro. E’ vero quel
che ha detto Kirishima? Che inizia forse … ad aprirsi
un po’, con lui?
Magari potrebbe essere un buon
modo per cominciare ad instaurare qualche sorta di legame.
Chissà.
Il mattino dopo, in classe,
trovano una sorpresa.
Melissa, la figlia di David Shield, è accanto ad All Might.
Sono tutti sbattuti come uova
alla piastra.
Momo è torva. Nessuno ricorda di
aver mai visto sul faccino puccioso, lentigginoso di Midoriya un’espressione tanto cupa e tempestosa.
Un altro po’ e sembra più Bakugō. Che in compenso pare assente, c’è col corpo –
ma non con la mente. Ha lo sguardo vitreo, le palpebre gonfie e sembra che
abbia trascorso la notte in una stazione degli autobus, in pieno Dicembre. Non
spiccica verbo, da quando è entrato si è seduto e tiene lo sguardo fisso
davanti a sé senza vedere nulla sul serio, però.
O almeno questa è l’impressione
che dà.
Midoriya di tanto in tanto viene assalito
da un tic. Ashido non osa alzare lo sguardo dal
banco, e fa impressione vedere Bakugō a capo
chino con l’aria di chi non sa neanche cosa dire.
Quelli che sembrano passersela un filo meglio sono i restanti tre. Ojiro- cioè Kaminari- scocca di
tanto in tanto occhiate a se stesso, avvampando.
Lui, Kaminari
– cioè, Kyoka – stira un sorriso timido, affondando
con le spalle.
Anche Mashirao sembra in forma.
Con Shinsou dev’essere tornato il sereno, le occhiaie
di quest’ultimo sono meno scavate. Di tanto in tanto sorride a labbra chiuse,
poi si volta verso Kaminari e gli scocca qualche
occhiata poco convinta, ma molto meno minacciosa.
“Allora, ragazzi. Il professor Shield purtroppo non può raggiungerci, è impegnato in un
progetto della massima importanza. Ha però dato istruzioni chiare a me e a sua
figlia, Melissa-san, che si trovava già a Tokyo”.
“Siccome
è necessario conoscere i dettagli di quel che vi ha scambiati di corpo, per
poter attivare il procedimento inverso, ora vorrei che qualcuno di voi mi
spiegasse con calma cosa ricordate dei momenti immediatamente precedenti lo
scambio”.