Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: Mahlerlucia    17/02/2020    3 recensioni
{Sequel di ‘E ti vengo a cercare’}
Sparami addosso, bersaglio mancato
Provaci ancora, è un campo minato
Quello che resta del nostro passato
Non rinnegarlo è tempo sprecato
Macchie indelebili, coprirle è reato
Scagli la pietra chi è senza peccato
Scagli la pietra chi è senza peccato
Scagliala tu perché tutto ho sbagliato
(‘Mentre tutto scorre’ – Negramaro)
[Semi x Shirabu]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Tendo Satori
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Accetto miracoli'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico
Rating: giallo
Avvertimenti: Lime, What if? 
Personaggi: Eita Semi, Kenjirō Shirabu (Satori Tendō)
Pairing: SemiShira
Tipo di coppia: Shonen ai





 
Mentre tutto scorre
 
 
E dimmi ancora quanto pesa
La tua maschera di cera
Tanto poi tu lo sai si scioglierà
Come fosse neve al sol
Mentre tutto scorre...

 
 
Il primo giorno di scuola eri arrivato in ritardo, giusto per far intendere fin da subito con chi avrebbero dovuto avere a che fare i tuoi nuovi compagni e i professori della Shiratorizawa Academy.Ti eri presentato frettolosamente, terminando il tutto con un inchino che aveva scombinato quell’acconciatura a cui ti eri meticolosamente dedicato fino a pochi minuti prima. All’epoca i tuoi capelli erano ancora del loro biondo cenere naturale, privi di alcun intervento di ‘manutenzione’ sulle punte o quant’altro. Ma avresti provveduto al tutto di lì a poco.
Ricordi le risate di alcuni elementi della sezione uno: non fu difficile intuire che non avresti legato seriamente con nessuno di loro. Le tue amicizie più leali sarebbero nate altrove.

“Semi-Semi, non ti distrarre che fra poco tocca a te. Chiameranno prima quelli della tua sezione.”

“Una sezione di sfigati!”

“Uh, non dovresti dire così. Sono stati i tuoi compagni di copiatura per ben tre anni.”

Per quanto Satori potesse sembrare spesso e volentieri logorroico e fuori dal mondo, era sempre molto attento alle questioni che riguardavano i suoi amici più stretti, specie quando si trattava di uno fra te e Wakatoshi. Poco vi era importato di non aver potuto condividere la stessa classe, dato che ci aveva poi pensato la pallavolo ad unirvi in una lotta al titolo nazionale senza esclusione di colpi.
Non che imporsi sul quel rettangolo di gioco si fosse rivelata cosa semplice, sia chiaro. Nel corso del primo anno non eri andato oltre l’essere la riserva ufficiale di quello che allora era il vicecapitano. Il secondo anno avevi avuto le tue più alte occasioni di titolarità, seppur con alti e bassi uniti ai più svariati rimproveri – comprese accese osservazioni sui tuoi look sempre più eccentrici – da parte di mister Washijō. Ma quello si rivelò essere anche l’anno della svolta, dei nuovi arrivi, del salto di qualità e di maturità emotivo e personale: ragazzini dagli occhi smarriti e dalla voce balbettante avevano cominciato a rivolgersi a te utilizzando sovente l’appellativo di senpai. Tra di loro vi era un tipo dall’aspetto singolare e dagli atteggiamenti maggiormente fermi e decisi rispetto a quelli dei suoi pari: Kenjirō Shirabu. E guarda caso s’iscrisse al club di pallavolo della scuola spacciandosi per un setter; sì, uno dei migliori che tu avessi mai avuti la fortuna di vedere giocare dal vivo a livello scolastico.
Il terzo anno si è rivelato essere il più ‘ingarbugliato’ sotto diversi punti di vista, compreso quello sportivo e... intimo. Niente di particolarmente esaltante o fuori dagli schemi: avevi avuto un discreto numero di ragazze con le quali avevi potuto testare la tua ancora acerba virilità. A conti fatti, era proprio quello il punto cruciale della questione: non ti eri mai sentito completamente a tuo agio nei momenti più coinvolgenti di una liaison amorosa con un partner del sesso opposto. Nonostante il tuo discreto successo all’interno della Shiratorizawa Academy, non eri mai riuscito a protrarre una frequentazione per più di qualche settimana.
E in campo? Un disastro! Non che il tuo livello tecnico di gioco avesse subito gravi declini o cose di questo tipo. Molto più semplicemente, eri stato surclassato dalle nuove reclute. Più giovani, più dinamiche, meno egoiste e prive di quella frustrazione dovuta alla consapevolezza di poter – e di aver potuto – dare molto di più. I tempi per loro erano maturi, come si soleva dire; i tuoi erano letteralmente agli sgoccioli, neanche fossi prossimo al pensionamento.

“Semi-Semi si è diplomato e ora può andare in giro a fare il matto!”

Satori cercava di attirare la tua attenzione canticchiando scemenze e puntando entrambi gli indici verso l’alto. Non avrebbe mai voluto offenderti o stuzzicarti di proposito, desiderava solamente riportarti alla realtà di una giornata che in un certo qual modo avresti dovuto considerare tra le più memorabili della tua ancor giovanissima vita.
Ti eri voltato verso di lui e lo avevi gelato con uno sguardo inquisitorio dei tuoi, giusto per lasciargli intendere che non era di certo il momento migliore per proferire battute puerili di quella portata.

“La smetti di chiamarmi Semi-Semi? E non dimenticare che quello fuori di melone sei tu, non di certo il sottoscritto!”

“Mai dire mai, Eita-kun! Specie quando si ha il cuoricino in tumulto...”

“Non ti sta succedendo nulla di compromettente solo perché siamo circondanti da altri esseri viventi in fibrillazione per il loro ultimo giorno di scuola. Altrimenti ti giuro che avrei già sabotato le molle della poltroncina su cui hai poggiato il tuo prezioso culo!”

“Preziosissimo, prego!”

Un ragazzo seduto nella fila di fronte alla vostra si era girato tenendo un dito premuto sulle labbra. Vi stava invitando a tacere per non arrecare disturbo al discorso del Dirigente Scolastico. Cosa c’era poi di tanto interessante nello stare fermi ad ascoltare la solita pantomima? Nulla, appunto. Vi stavano soltanto introducendo il consueto filmato di fine anno nel quale erano state montate e riassunte tutte le iniziative più lodevoli a cui l’istituto aveva aderito in nome della sua fama e dal suo prestigio. Ma tutti voi eravate già con un piede oltre quelle mura che vi avevano circondati per i tre anni più importanti della vostra adolescenza.
Le classi furono chiamate a rapporto una ad una, a cominciare dalla tua. Al richiamo del tuo nome e cognome si erano inchinati tutti, come in un rituale militare. L’imbarazzo che ti aveva pervaso in quegli istanti portava con sé una carica e un insegnamento che difficilmente avresti dimenticato negli anni a venire. Mentre ritornavi al tuo posto Reon ti aveva fatto un occhiolino d’incoraggiamento e Satori aveva iniziato a muovere quelle sue braccia snodabili come a suo solito; Wakatoshi si era limitato ad abbassare appena il capo, rimanendo fedele al rigido silenzio all’interno del quale era in grado di osservare e valutare tutto, e sempre nel migliore dei modi.
In fondo all’auditorium vi erano anche gli studenti del primo e del secondo anno, venuti appositamente per salutare e complimentarsi con i loro senpai per il traguardo raggiunto.
Tra di loro c’era sicuramente lui.
 
***
 
Al termine della cerimonia era stato organizzato un rinfresco per tutti gli studenti dell’istituto. Nel momento in cui avevi percepito che Satori era già sufficientemente brillo da poter cominciare a dire castronerie a raffica, avevi deciso di allontanarti, tenendo ancora quello stupido diploma arrotolato tra le mani. Ushijima se n’era accorto, ma non aveva detto nulla per fermarti o per capire dove stessi andando in una giornata così importante da condividere con i tuoi compagni. Tra i mille pregi del capitano non poteva di certo mancare la capacità di rispettare i silenzi e i tempi altrui. Facoltà che metteva in atto soprattutto con chi, come te, era in grado di ricambiare allo stesso modo.

L’odiosa divisa dai colori improbabili e la nostalgia che stava già cominciando a farsi largo tra i tuoi pensieri, non ti avevano dissuaso dall’idea di andare un’ultima volta nella grande palestra in cui avevi passato gran parte dei tuoi pomeriggi liceali. La porta scorrevole era aperta, nonostante l’intero ambiente fosse vuoto e perfettamente in ordine. Il cestone contenente quei palloni gialli a strisce blu aveva attirato la tua attenzione ancor più del pezzo di carta firmata che avrebbe dovuto essere il protagonista della tua giornata. Chissà, forse ci avresti dato un occhio nei giorni a venire, giusto per capire con quale valutazione avresti dovuto presentarti all’Università.
La giacca e la cravatta erano finite sulla panca sulla quale solitamente sedeva mister Washijō mentre imprecava contro la vostra scarsa voglia di concentrarvi sulla palla e sul gioco di squadra. Un’abitudine che stava già diventando un ricordo, tra le tante altre cose a cui avresti dovuto inevitabilmente rinunciare.
Avevi sollevato il pallone sopra la testa con entrambe le mani, esattamente come avrebbe fatto un neopapà con il suo erede. La tua immaginazione divagava tra gli spalti pieni, i compagni d’istituto sempre pronti ad incitarvi, l’adrenalina che saliva all’idea di dover schiacciare quella battuta fin dall’altra parte della rete, in un vortice di emozioni contrastanti e accompagnate dall’immancabile paura di fallire; ma sopra ad ogni cosa, veniva lui: l’irrefrenabile desiderio di volare insieme a quel pallone e a quel meraviglioso senso di libertà che il tuo ruolo in campo comportava. La direzione, la precisione, la coordinazione dipendevano dalle tue alzate e dall’intesa che riuscivi ogni volta a creare con l’ace presente in campo. Ed ogni volta che l’arbitro confermava il punto era sempre un tripudio di gioia e di ringraziamenti reciproci.
Che ne sarebbe stato di tutto questo... ora?

“Il prossimo anno sarà veramente dura.”

Una voce proveniente dalla porta opposta del rettangolo di gioco, oltre quella rete che avevi preso più volte come punto di riferimento per calibrare le tue schiacciate e le tue alzate. Una voce bassa e incerta, a differenza dei toni perentori e a tratti altezzosi a cui ti aveva abituato negli ultimi due anni.
Shiarabu se ne stava ritto in piede con gli occhi fissi su di te e le mani strette a pugno, lasciate libere lungo i fianchi. C’era qualcosa d’insolito nella sua espressione, come se mancasse di quella fierezza che lo aveva sempre contraddistinto. O forse era sempre stata una ‘maschera’ dietro la quale nascondere e difendere le sue emozioni più autentiche. Perché in fondo, non era davvero umanamente possibile che si mostrasse sempre così deciso e stoico, quasi ai limiti dell’anaffettività.

“Shirabu! Che ci fai qui?”

“Potrei farti la stessa domanda.”

Ah, quindi t’interessa davvero?
Il pallone aveva quasi raggiunto il soffitto per poi essere schiacciato oltre la rete; Shirabu non si era minimamente mosso, nonostante l’abbattersi di quel siluro a soli pochi centimetri dai suoi stessi piedi. Si era limitato a reclinare appena il capo solamente per accertarsi che non avesse superato la linea di fondocampo. Quando ne ebbe la certezza, annuì portandosi una mano sotto il mento, a mo’ di acuto direttore di gara. Di fatto era punto, ma non importava a nessuno. Era punto perché Kenjirō non aveva fatto nulla per arrestare la corsa di quella battuta carica di rabbia. Una delle armi più potenti  che la Shiratorizawa avrebbe potuto sfruttare negli ultimi match importanti, ma che a conti fatti, non era mai stata considerata come invece avrebbe meritato. Era quel punto che tu avresti tanto voluto realizzare per metterla in quel posto a quei corvi del malaugurio della Karasuno, a partire da quel gamberetto strepitante che di sicuro aveva un futuro già scritto.
Diversamente da chi non sapeva ancora dove andare a sbattere la testa; al contrario di chi stava già pensando di tentar fortuna in altri lidi d’interesse, sperando di trovare maggiori riscontri e, soprattutto, più proficue soddisfazioni personali.

“No, te l’ho chiesto prima io. Almeno per oggi esigo il rispetto da senpai che mi merito.”

Parlavi con quella punta di sarcasmo di cui necessitavi per coprire il tono accusatorio che avevi sfruttato per rispondergli, evitando di lasciarti sopraffare come tuo solito. Non che il tuo kōhai ti avesse mai realmente mancato di rispetto, sia chiaro. Eri semplicemente consapevole del fatto che l’aver preso il tuo posto da titolare in campo non gli era dispiaciuto affatto.
D’altronde, perché fargliene una colpa? Tu al suo posto come avresti reagito? Non avresti forse fatto lo stesso? Una volta raggiunto un traguardo, è giusto difenderlo e tenerselo stretto con il proprio talento, ma anche con le unghie e con i denti, all’occorrenza. Cosa c’era mai stato di sbagliato nel più naturale trai comportamenti egoistici che un ragazzino tanto giovane poteva mettere in atto? Nulla! Assolutamente nulla! Sei tu quello che si era trincerato per ben due anni dietro tutte le papabili scusanti del caso – alcune piuttosto campate in aria – per non ammettere di essere invidioso marcio della sua caparbietà in campo. La Shiratorizawa doveva avere un setter con una corretta visione di gioco, non del tuo egocentrico desiderio di rivalsa e di accondiscendenza. Per quanto i tuoi compagni negassero tutto ciò in rispetto al legame di amicizia che vi univa da tempo, la cosa era evidente a tutti.

“Ti chiedo scusa se in qualche occasione posso essere sembrato poco riconoscente nei tuoi confronti.”

“Riconoscente... per cosa?”

Shirabu era rimasto spiazzato dalla freddezza con cui avevi ribattuto a quella che in realtà non voleva essere nient’altro che un’apologia per tutto quello che era andato storto tra di voi negli ultimi mesi. Con ogni probabilità, la mancanza del tuo diretto contatto visivo era stato il definitivo colpo di grazia per le sue già flebili speranze di poter intraprendere una conversazione ‘utile’ con te.
Iniziò a camminare nella tua direzione passando sotto la rete e arrivando sino ad una mezza dozzina di passi da te. Perfettamente impomatato nella sua divisa d’ordinanza, non aveva staccato per un solo istante gli occhi dal tuo viso, per quanto tu ti ostinassi a fingere di guardare oltre le inferriate delle finestre.

“Per tutto. Per la pazienza, soprattutto.”

“Ne avevamo già parlato. È tutto ok.”

“No, non è ‘tutto ok’ dato che non ci rivolgiamo la parola da... da quel pomeriggio nello spogliatoio!”

Il ghigno che era improvvisamente comparso sulle tue labbra ti aveva aiutato a riportare l’attenzione su di lui e sulla fermezza con la quale voleva dare un senso a quello scambio di battute, anche a costo di rimetterci in salute emotiva. L’idea di essere presente nei suoi pensieri in maniera decisamente più consistente ti aveva inebriato di un certo orgoglio da cui latitavi da troppo tempo, conscio della tua costante difficoltà nel leggere le reali intenzioni di chi ti aveva circondato quotidianamente per anni interi. Persone che da un giorno all’altro non avresti più avuto occasione di frequentare per ovvie questioni legate all’inizio di una nuova vita, se così la vogliamo definire.

“Ricordami cos’è successo ‘quel pomeriggio nello spogliatoio’...”

Un attimo dopo aver preso l’azzardata decisione di sminuire quello che era stato, ti eri voltato per andare a recuperare un altro pallone. Ma non avevi fatto in tempo, dato che quello che poco prima avevi schiacciato oltre la rete si era ritrovato improvvisamente ribattuto contro il muro di fondo della metà campo nella quale ti trovavi. La velocità e la potenza con cui era stato lanciato ti aveva colto di sorpresa e spaventato allo stesso tempo. Kenjirō stava cominciando a reagire alla tua indifferenza fraudolenta. Peccato che non avesse ancora intuito quest’ultimo dettaglio. O forse l’aver recepito il messaggio lo stava tediando ancor più del previsto.

“Sei un idiota! Vuoi farmi intendere che per te non ha significato nulla?”

La sua voce tremava di rabbia mentre si stava frettolosamente avvicinando agli intrecci di quella rete che incastrò tra le dita con una palese punta di nervosismo. Forse la situazione era persino più grave di quanto potessi supporre e fare il furbo sarebbe servito a ben poco. Avresti dovuto cominciare col domandarti perché non ti trovassi di là con gli altri a fingere di festeggiare un evento che ti avrebbe allontanato dalla tua comfort-zone per il resto dei tuoi giorni. Beh, avresti potuto farti bocciare, ma il solo pensiero della reazione dei tuoi genitori ti avrebbe marchiato a vita; per non parlare della pessima figura che avresti fatto con tutti i tuoi amici, a partire proprio da Shirabu.

“Sei tu quello che ha parlato di una prossima volta... con una ragazza. Perché dovrei dare peso a qualcosa che non interessa nemmeno a te? Ti è chiaro che io da domani non farò più parte di questo circo?”

“Questo non significa che non potremo più sentirci e... vederci.”

Non ci siamo quasi calcolati per due anni e ora... vuoi continuare a sentirmi e persino a vedermi. Vuoi far pace con quel cervellino ingegnoso, Shirabu-kun?!
Non sapevi nemmeno tu come fosse accaduto, ma ti eri ritrovato a tua volta sottorete, con le dita raccolte tra gli spazi che lui aveva lasciato liberi. Chissà, magari lo aveva fatto unicamente con quell’intento; o forse no. Fatto stava che non si era mosso e tanto meno aveva dismesso la fissità del suo sguardo dai tuoi occhi. Difatti, era bastato notare il modo in cui si stava torturando il labbro inferiore per comprendere quanto il desiderio che avesse nei suoi confronti non si fosse mai realmente estinto.
Ora che le vostre strade stavano per dividersi avevate finalmente realizzato tutto quello che c’era stato di sbagliato e inconcludente tra voi, tutto ciò che vi aveva allontanato e messi l’uno contro l’altro per la conquista di un posto che poteva spettare solamente al migliore: colui che si sarebbe dimostrato più scaltro e concentrato nel momento del bisogno.
E quello non eri di certo tu.

“E me lo dici solo ora? Se davvero vorrai continuare a rimanere in contatto con me, beh... me lo dovrai dimostrare. Non sono più disposto a giocare.”

“Spero tu non ti riferisca alla pallavolo.”

“Su quello sto meditando. Comunque è troppo comodo cambiare discorso a tuo piacimento!”

“Da quando sei diventato così stronzo?”

Stronzo.
Non aveva mai usato una parola tanto pesante nei tuoi riguardi; ma nemmeno in senso lato.
Quello fu il campanello d’allarme che ti fece intuire che sì, eri riuscito ad andare ben oltre i limiti della sua umana sopportazione e che sì, con ogni probabilità, lo avevi ferito nel profondo, non arrivando a comprendere il motivo per cui si trovava lì a stringere le bande della rete come unica valvola di sfogo accessibile.
Non potevi far altro che andare oltre quell’inutile ostacolo di stoffa e plastica che divideva il rettangolo di gioco esattamente come la vostra necessità di parlare e, soprattutto, chiarirvi. Avevi afferrato i suoi polsi e lo avevi invitato a voltarsi per poterlo guardare in maniera diretta. Una parte della sua millimetrica frangetta ricopriva il suo occhio destro e tu non eri riuscito a vincere l’impulso di affondare le dita in quei crini sottili per lasciar campo libero a quel contatto che bramavate entrambe come non mai. La sua pelle era bollente, ma non era di certo una questione influenzale. Le lacrime che ricoprirono rapidamente le sue guance te ne diedero la definitiva conferma.
Si strinse a te affondando il viso sul tuo petto e impregnando inevitabilmente la tua camicia linda con la sua emotività.

“Se sono così stronzo, perché mi abbracci?”

Di primo acchito non rispose, preferendo stringersi ancor più al tuo busto e strofinando più volte la fronte sulla tua spalla, come fece proprio quel famoso giorno. Non fu difficile intuire che quella doveva essere la sua tacita ed originale maniera per scusarsi per l’utilizzo di un termine che non gli apparteneva.
Qualche istante dopo fu lui a prendere l’iniziativa di staccarsi e d’indietreggiare di un paio di passi. La cosa ti lasciò interdetto, arrivando persino a farti pensare che avessi di nuovo toppato alla grande. Bocca larga non perde mai il vizio, purtroppo.

“Sai cosa mi ha dato più fastidio?”

Tra le tante cazzate che ho detto?! È dura scegliere...
Le tue mani si muovevano convulsamente dietro alla nuca, spettinando involontariamente quell’acconciatura di cui stavi iniziando a stufarti. Era ora di darci un taglio o di andare di tinta più scura. Non eri mai impazzito per il tuo naturale colore di capelli, sin da quando eri bambino.
Lo avevi osservato di sottecchi mentre fingevi di pensarci su. In realtà non avevi il coraggio di contestare perché sapevi bene di trovarti dalla parte più angusta del torto. Ti eri limitato a negare con un rapido movimento del capo.

“Di aver avuto la mia possibilità contro la Karasuno e di aver miseramente fallito.”

Quel commento su qualcosa che doveva essere già assodato negli archivi della scuola e della vostra memoria a lungo termine ti aveva colto impreparato ed incapace di fornire una risposta che potesse in qualche modo rincuorarlo. L’istinto ti portò ad accorciare quella breve distanza che lui stesso aveva creato pacificamente tra voi, a poggiargli entrambe le mani sulle spalle e ad assumere la ridicola postura di chi sembrava pronto ad appioppargli il solito sermone d’incoraggiamento. Ma tu non avevi né un discorso pronto e tanto meno la capacità d’importi su una mente brillante come la sua. Anni di amicizia con Wakatoshi non ti avevano insegnato proprio nulla, dato che avevi sempre avuto la cattiva abitudine di lasciare a lui la ‘patata bollente’ da gestire.

“Non diciamo stupidaggini. Abbiamo perso al quinto set e col minimo sindacabile. Vi rifarete il prossimo anno, ne sono certo. E non mi chiedere di più perché io le pappardelle da bravo senpai non le so raccontare. Forse è per questo che non mi hai mai filato di pezza quando ho provato a darti qualche consiglio?! In cosa sbaglio?! Nel tono?! Sembro poco serio?! Il colore dei capelli?!”

“Eh?!”

La tua prolissità stava deviando verso argomentazioni piuttosto scollegate fra loro, ma che alla buon’ora erano riuscite a tirar fuori quelle che nel corso degli ultimi due anni erano state fra le problematiche che maggiormente attribuivi al vostro rapporto claudicante. Era stato un lavoro interiore lungo e piuttosto doloroso, ma alla lunga eri stato costretto ad ammettere di non avere quel carisma che contraddistingueva un Reon o un Satori, così come la fermezza di Wakatoshi o di Kenjirō stesso. Il tuo desiderio di rivalsa in campo era prettamente egocentrico, per quanto volessi il meglio per ognuno dei compagni presenti in campo in ogni occasione.

“Voglio dire... non pensarci più e basta. Dal mese prossimo si azzera tutto e il capitano sarai tu. Conta solo questo.”

Il sorriso che s’impose sul suo viso divenne la miglior reazione che potessi aspettarti da parte sua e in quel particolare frangente. Poche chiacchiere e via con i fatti, com’era nello stile di entrambi. Forse più in quello di Shirabu, ma nemmeno tu avevi troppa voglia di perderti in discorsi all’interno dei quali ti saresti ingarbugliato con le tue sole forze.

“Va bene, ora magari torno dalla ciurma. Vieni con me?”

“Prima devo dirti una cosa.”

Il giovane setter aveva nascosto le mani dietro la schiena rivolgendo lo sguardo alla sua sinistra, senza realmente prestare attenzione a nulla che non riguardasse la tua persona. Dal canto tuo, avevi colto il palese imbarazzo che si stava facendo nuovamente largo sulle sue guance morbide. Quello che aveva in serbo di dirti non doveva essere di certo una passeggiata per averlo portato a quell’insolito stato emotivo.

“Sono tutt’orecchi!”

“Io... io non voglio che la mia prossima volta sia con una ragazza. L’altro giorno ho detto una cosa che in realtà non pensavo e che... probabilmente... non ho mai davvero pensato.”

La tua bocca si era aperta nel tentavo di controbattere con qualcosa di sensato, ma il tentavo era fallito miseramente. La tua diabolica mente aveva però cominciato a partorire un pensiero che avresti voluto urlargli in faccia, ma evitando che chiunque altro potesse sentire. Un’ipotesi che necessitava disperatamente di una sola, dannata conferma. Un’implosione che aspettava solo di essere avviata dalle parole di quel ragazzo che si vergognava dinnanzi ai tuoi occhi. Shirabu tremava e si tormentava interiormente per causa tua. Ma solamente lui poteva tirarsi fuori da quell’impasse in cui aveva deciso d’infognarsi.

“Non mi sono mai sentito attratto da nessuna ragazza. Magari... magari non ho ancora trovato quella giusta... non so.”

“Ah, sì. Probabilmente è così. Andiamo?


“Eita-san!”

Fermi tutti! Eita-san? Mi ha chiamato per nome dopo avermi detto di non sentirsi attratto dall’altro sesso? E cosa aspetto a fare qualcosa?! Stupido cervello bacato, ti attivi? Vuoi funzionare a dovere una volta tanto?
E tutto quello che riuscirono a mettere assieme le tue confuse facoltà mentali ti indusse ad avvicinarti a lui, portarlo ad incrociare nuovamente il tuo sguardo e sorprenderlo con un bacio del tutto improvvisato. Fino a quale profondità lo si volesse far arrivare lo avrebbe deciso lui. La tua ‘prossima volta’ era a sua completa disposizione.
La sua reazione non si fece attendere e, dopo qualche fugace secondo di titubanza, prese l’iniziativa di prolungare quel contatto mordendo le tue labbra e cercando la tua lingua. Si sollevò ancora una volta sulle punte e poggiò entrambe le mani sulle tue spalle. Tra un gemito e l’altro, Shirabu pronunciò diverse volte il tuo nome, a tratti con disperazione, come se non avesse voluto lasciarti andare per niente al mondo. Non che tu avessi piani differenti dai suoi.

Poi un rumore improvviso. La porta scorrevole era stata spalancata con una certa veemenza.

“Semi-Semi! Finalmente ti ho... ehm... oh, scusate!”

Lo sguardo con cui avevi fulminato Satori lo spaventò al punto tale da indurlo a scendere all’indietro e a mani alzate i tre gradini che conducevano all’interno della palestra. Lo vedeste affacciarsi un’ultima volta alla finestra mentre canticchiava qualcosa tipo ‘Semi-Semi e Shira-bù fan cose che non puoi immaginare nemmeno tu! Viva l’amore!’.
Il desiderio di inseguirlo e prenderlo a badilate in testa non era di certo facile da tenere a bada, ma fu lo stesso Kenjirō ad invitarti a lasciarlo perdere.

“Ricordati che è l’ultimo giorno di scuola anche per lui.”

“Sì, è vero. Hanno sprecato un diploma anche per lui.”

“Dai, povero Tendō-san. E poi sai una cosa? Può parlare quanto vuole, io non mi vergogno!”

Ed ora era il tuo turno per la dose giornaliera d’imbarazzo e senso d’inferiorità. Perché quello che aveva appena detto il piccolo setter era tutto ciò che avresti voluto sentire dopo quello che era accaduto. Nient’altro.

“Io neppure.”

E non finirà qui.










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia piccola one-shot! :)

Torno alla riscossa con un sequel che mi è stato richiesto da più parti (grazie ragazze! <3). E sequel dalle mie parti significa creare la dovuta serie di contorno, in modo da poter proseguire con il salto temporale che vedrete nella prossima puntata (ebbene sì, è previsto un sequel del sequel). Il titolo della serie è ‘Accetto miracoli’, tratto dall’omonima canzone di Tiziano Ferro.

Secondo episodio. *inforca gli occhiali*
Non si discosta molto dal primo, dato che siamo andati avanti solo di qualche giorno. Ci ritroviamo alla consegna dei diplomi nell’auditorium della Shiratorizawa Academy e, considerato il contesto, non potevo non inserire ancora Tendou e fare qualche piccolo cenno agli altri senpai in dirittura d’arrivo con le loro vite da liceali.
Nella seconda parte, sotto l’occhio attento di capitan Ushijima, Semi-Semi si allontana in preda ad un ‘momento’ di sconforto che si trascina praticamente dal giorno in cui sono accadute determinate cose con una certa persona all’interno dello spogliatoio (leggasi precedente shot). Pensa di starsene un po’ in pace calpestando per l’ultima volta quel campo su cui ha buttato sudore e ‘sangue’, ma viene raggiunto da chi meno si aspetta di vedere lì e proprio in quel momento. E quindi via di ennesimo battibecco, angst a profusione e puccioserie finali. Perché per quanto abbiano entrambi capito di piacersi e volersi, ancora faticano a realizzare la cosa e a lasciarsi completamente andare. Teneri, loro! **
Se volete sapere come son cresceranno questi due pischelli vi consiglio di leggervi prima gli ultimi capitoli del manga e poi – se vi va! – la prossima shot che suppongo (?) completerà questa breve serie.
Stay tuned! ;)

Il testo è scritto in seconda persona (dal pov di Semi) e al tempo passato.
Il testo della canzone che riporto sia nell’introduzione che nella prima parte del testo è ‘Mentre tutto scorre’ dei Negramaro. Dal titolo del brano ho ricavato anche il titolo della storia.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

A presto,


Mahlerlucia
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Mahlerlucia