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Autore: Barbra    18/02/2020    0 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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AZELF




 
Luogo sconosciuto



Quella volta, Hoopa uscì dal suo anello porgendole dei fiori gialli. Lei gli sorrise e finse di apprezzare il dono. Il Pokémon Birba, pur suscitando il sospetto del Mandato del Cielo Chingling, che non lo voleva intorno, si era sempre mostrato molto gentile con lei. Ma i fiori recisi le mettevano tristezza e angoscia, forse per sensibilità personale, forse perché a suo tempo Lysandre era come ossessionato da quel tipo di bellezza labile, di cui nulla poteva arrestare il declino.
Il povero Hoopa non ne sapeva niente e non meritava di essere rimproverato. Era solo venuto al corrente dell'usanza di regalare fiori come rituale di corteggiamento.
«Prima i dolci, e poi i fiori...» notò la donna dai capelli azzurro ghiaccio. Ormai era solo Hua, con la sua pelle bianca e i suoi occhi a mandorla. Era una teatrante talentuosa ma sconosciuta, nata in un'epoca in cui il teatro era in declino in ogni angolo del mondo. Qualche sera, quando non aveva ingaggi, cantava per pochi soldi in un pub di Galar. Era troppo difficile per lei tornare a Kalos, dove il suo vecchio volto compariva ovunque, persino sui giornali e nelle trasmissioni televisive che parlavano della sua scomparsa, e nelle reti che mandavano in onda i suoi film.
Durante la sua carriera di attrice a Kalos, come Diantha, aveva gestito ammiratori sia più insistenti sia più immaturi di Hoopa. «Hai una cotta per me, Halqa?».
Il djinn arrossì, come sarebbe arrossito un bambino.
«Ma io, per te, sono troppo vecchia» continuò tranquilla la donna.
Il demone provò ad obiettare: «Ho tremila anni...!».
«E io trentaquattro» mentì. «Ma, come vedi, li porto peggio».
«Ne dimostri venticinque al massimo».
«Bugia. E anche se fosse... sono già troppo vecchia e noiosa per te. Pensa che, andando avanti, non potrò che peggiorare!».
Contro le sue aspettative più rosee, Hoopa gettò la spugna. Chinò il capo. «Forse hai ragione, a respingermi. Io sono un djinn...».
«Un djinn? Non so neppure che cosa tu intenda. Ma, qualsiasi cosa tu sia, non dovresti considerarla un male».
«Ah, no?».
Prese un foglio di carta, e con una matita buttò giù uno schizzo in miniatura di un Hoopa Libero. Aveva i tratti di un orco, lo sguardo malevolo, i canini inferiori aguzzi e tanto sviluppati da fuoriuscire come zanne ai lati della bocca, e sei potenti braccia distaccate da un corpo massiccio vagamente umanoide.
«Le porte dell'inferno sono sette» dichiarò. E contò: «Uno, due tre...» gli anelli alle tre braccia sinistre. «Quattro, cinque, sei...» gli anelli alle tre braccia destre. «Sette» l'anello incastonato nei muscoli dell'addome forato del demone.
Hua parve a disagio. «Andando a orecchio, credo che il numero sette nella tua frase indichi l'infinito. Nel senso che... le vie del male sono infinite, e in ogni tempo si chiudono le vecchie e se ne aprono di nuove, e le nuove sono spesso difficili da riconoscere. I tuoi sono solo portali, tu sei sempre lo stesso, e quella forma ti rende fin troppo riconoscibile e spaventoso... e non lo meriti. Ma... gli altri Hoopa Liberi hanno molti più anelli. Come mai tu solo sette?».
«Mesprit ha spezzato gli altri. Spero che ti basti sapere questo».
Hua si fece pensierosa e un po' malinconica. «Mesprit è bravo a giocare con le paure e i disagi altrui. Non significa che ti creda davvero un'entità infernale. Hoopa... anche se Arceus ti avesse dato l'immagine di una creatura malvagia, sarebbe soltanto questo, un'immag...».
Il piccolo demone l'aveva interrotta posando le labbra sulle sue. La donna le serrò istintivamente, poi si rilassò e si limitò a tenerle chiuse. Non era necessario che lui si sentisse umiliato, o troppo duramente rifiutato.
«Come ho detto, hai ragione a respingermi. Io sono un djinn, e tu hai una natura angelica».
L'idea che sua madre venisse da un altro pianeta, quindi dal cielo, e fosse stata portata sulla Terra da un'entità semi-divina, aveva sollecitato la sua fantasia solo prima che la sua vita cambiasse. Dopo essere sopravvissuta al Trio Oscuro, aveva concentrato i suoi sforzi nel nascondersi, soffocando ciò che realmente la rendeva diversa e quindi sospettabile, per godere della sicurezza del gregge. Il volto amichevole e il lavoro di Diantha l'avevano aiutata.
«Io sono umana, Hoopa. Non idealizzarmi. Credo di essere persino un po' morta dentro. Da quando tre sicari mi hanno portata via da casa, pugnalata e lasciata incosciente sulla neve del Monte Corona, anche se sono passati quasi vent'anni e ho cercato di ricostruire me e la mia vita daccapo... avrei tanto voluto che Uxie mi cancellasse la memoria fin dalle fondamenta, così Yan Hua sarebbe morta davvero. Invece... mi ha dato solo un nuovo volto, perché mia madre non fosse costretta ad affrontare un lutto».





 
A Sinnoh



«Non mi interessano biologia e filosofia: i figli nascono per farti ammattire. Punto!».
«Non può essere peggio di Lysandre, hai detto...».
«L'ho detto io? Stronzate! Eccome, se può essere peggio! E Cyrus... quel rimbambito! Se lui si fosse dichiarato contrario, Hoopa si sarebbe tirato indietro! Gliel'avevo detto! E invece... lui ha ascoltato quella stupida di sua sorella! Hua è così, ci casca come una scema...!».
Era arrivata all'appuntamento già nervosa, ma parlando si era infuriata. Camminava avanti e indietro per la sala d'entrata delle Rovine di Flemminia, dove da qualche tempo lei e Silver si incontravano in segreto, con la complicità degli Unown.
«Secondo me, se anche Cyrus si fosse opposto, non sarebbe cambiato niente. Sarebbero stati solo più attenti a non farsi scoprire, come noi adesso».
«Sì, ma noi siamo solo una vecchia tornata giovane e un ragazzo veramente giovane. Loro sono un'umana e un... djinn! Non so quanto la cosa ti possa sembrare normale, ma ti assicuro che è...!».
Si interruppe, perché gli Unown curiosi che si erano avvicinati per seguire la conversazione erano volati a rifugiarsi nelle pareti. Silver si era alzato in piedi e guardava spaventato oltre la spalla di lei.
La donna si voltò con un sorriso falso e tirato. «Azelf...!» esclamò.
Come sempre, l'Essere della Volontà si mostrò gelido. Indicò il ragazzo che, cauto, si stava avvicinando a Sird. «Ti avevo detto di non incontrarlo».
«Che ci vuoi fare? Sono cocciuta!».
Silver ormai l'aveva raggiunta. Con una mano la prese per una spalla, e le accostò due dita dell'altra alla tempia.
La donna intuì immediatamente le sue intenzioni. Su suo consiglio, si era fatto “armare” dal Team Galassia. Perciò, come tutti gli altri Comandanti eccetto Terra e Oberon, aveva almeno un laser impiantato in un dito. A quella distanza, le avrebbe trapassato il cranio.
«Disgraziato...!» sussurrò spaventata.
Silver si rivolse ad Azelf. «Dammi la tua maschera e la tua pietra. O lei muore».
Ma la maschera e la pietra erano tutt'uno con lui. Azelf non temeva il suicidio, e la morte altrui lo lasciava indifferente quanto la propria, ma la sua indole gli impediva di arrendersi. Vide Hoopa uscire silenzionso da uno dei suoi anelli alle spalle di Silver, e con lui la possibilità di ottenere il massimo risultato a suo favore. Perché il ragazzo non si sentisse libero di voltarsi e tenesse l'attenzione concentrata su di lui, cominciò ad avvicinarglisi.
Ma Mesprit gli apparve davanti nella sua forma umanoide. Per adeguarsi alla tradizione del luogo, con entrambe le mani impugnava una lunga sciabola giapponese a singolo filo.
Con un colpo netto e deciso, gli mozzò la testa.
Hoopa si cacciò di nuovo nel suo anello, e non tornò più indietro.
Quando il corpo decapitato si dissolse sotto i suoi occhi, Mesprit staccò una mano dall'elsa ricurva e raccolse la maschera azzurra ormai vuota.
Sird fece un passo indietro e Silver la seguì. Senza acorgersene, le aveva stretto la mano.
Finalmente, Mesprit parlò. «Non ricamate sulla mia presunta sete di sangue. Era tanto che volevo farlo. Ma non crediate che adesso vi lascerà in pace!».
Era la prima volta che Silver lo vedeva di persona. I suoi modi rivelavano un'indole opposta tanto alla fredda determinazione di Azelf, quanto alla razionalità apatica e priva di nerbo di Uxie. Purtroppo, non era la creatura esclusivamente benevola e gentile descritta dalle leggende, e i suoi contrasti con gli altri due Guardiani dei Laghi erano ben più che scaramucce. Non era affato la parodia di Arceus, malgrado le apparenze, né il suo lato buono: con pochi freni inibitori, derivati dalla sottile influenza involontaria che ogni Guardiano del Lago esercitava sugli altri due, incarnava ogni sua emozione o sentimento, compresi odio e rabbia.
Guardò gli antichi muri che ospitavano gli Unown spaventati e, tenenedo la maschera alzata sopra la sua testa, dichiarò ad alta voce: «Ascoltate: qualsiasi cosa succeda qui quando me ne sarò andato, lasciate correre. La pietra appartiene a chi di loro agguanterà la maschera per primo».
Quando scomparve, la spada ricurva cadde a terra assieme alla maschera di Azelf, nel cui centro era incastonata la terza e ultima pietra rossa.
Sird era avvantaggiata dalle sue doti fisiche, perché avrebbe potuto raggiungere il premio con un salto. Purtroppo, per renderla più controllabile, Azelf le aveva bloccato il Dominio e tolto le armi e i Pokémon, prima di affiancarla al demone Hoopa. Hoopa non era lì.
Silver liberò contemporaneamente Feraligatr, Murkrow, Gyarados. Il gigantesco coccodrillo bipede agguantò la donna che si preparava a saltare come una cavalletta, e la tenne ferma con le sue enormi braccia, mentre il corvo e il drago rosso le chiudevano la fuga dal davanti. Di sua iniziativa, Sneasel lasciò la sfera e corse a raccogliere la maschera per l'Allenatore, lasciando a terra la katana.
Sird continuava a dibattersi, lanciando insulti a denti stretti contro il suo avversario. Per le regole decise da Mesprit aveva già perso, ma non si sarebbe fatta problemi a rubargli la pietra.
Silver lo sapeva, perciò non poteva lasciarla andare. Aveva il suo chip, e quindi il grado più alto all'interno del Team Galassia. Il computer centrale, il cervello che coordinava le azioni di tutti gli androidi, eccetto quelle della comandante Jupiter e della recluta Gabriel, ormai autocoscienti e dotati di un intelletto e di una vita propri, era al suo servizio.





 
*




Sird, rinchiusa in una cella di lusso all'interno del covo Galassia di Rupepoli, in tutto e per tutto simile ad una bella camera d'albergo, aveva ignorato le sedie e il letto e si era accovacciata per terra in un angolo. Lì aveva tenuto il broncio e non aveva spiccicato parola, malgrado Silver insistesse a scusarsi con lei oltre la porta. Una barra di energia rosata li separava, alterando i colori e rendendo surreale il mancato dialogo. Ma già la situazione di per sé era assurda.
Saturno e Mars, superata la sorpresa, avevano espresso i loro dubbi al riguardo: tenere prigioniera la madre di Cyrus, con o senza il chip e il grado di Comandante, era contrario ai loro valori. Lui ed Eris non ne sarebbero rimasti all'oscuro.
Dopo Silver, alla porta della cella si era presentata Gong. Si era tirata dietro il Riolu dalla pelliccia nera destinato al bambino che avrebbe dato alla luce in estate. In lei, l'instabilità e la suscettibilità emotiva di una ragazza al quarto mese di gravidanza incontravano i poteri paranormali di una Dominatrice della Terra tra le più potenti e meglio addestrate del suo tempo. Vederla di cattivo umore era l'avvisaglia di un piccolo terremoto.
«Mi hanno detto che sei una persona orribile» le disse, imbronciata. «Sei cattiva come il tuo padre adottivo, immagino».
«Ci assomigliamo, sì. Mi ha cresciuta lui».
Di punto in bianco, la cieca alzò la voce, arrabbiata: «Mi hai presa in giro! Ti credevo un'amica!».
«Ti aspettavi una festa a sorpresa? Tu e Raava eravate una minaccia per l'Equilibrio Cosmico attuale, e di conseguenza per l'intero nostro Sistema di Universi».
«Parli proprio tu?! Voi Galassia volevate distruggerlo, questo Universo! Saturno me l'ha detto! Mi ha raccontato ogni dettaglio dei vostri vecchi piani!».
«Mio figlio Cyrus era senz'altro un estremista con una visione del mondo sui generis. Particolare quanto il suo carattere. Ma anche lui ha dovuto fermarsi e cambiare strada, quando la realtà gli è piombata addosso. La tua situazione, però, è diversa... giusto, Shan? Giratina ti ha portata qui. C'è lui a tramare nell'ombra, dietro alle vostre azioni. Tue e del belloccio bastardo che se n'è appena andato, intendo».
Le labbra di Gong sbiancarono. A suo modo si preoccupava anche per Silver, che considerava un alleato, ma non era lì per scoprire quanto il nemico sapesse sul suo conto. Era lì perché, per l'ennesima volta, le cose non quadravano.
«Mesprit avrebbe potuto scappare con la pietra» osservò. «Tu sai perché non l'ha fatto?».
«Certo. Non è un segreto: Arceus è una divinità guerriera. Ama le competizioni sia belliche che sportive, e tutti i suoi Avatar si comportano di conseguenza. Ha lasciato la vittoria a chiunque la meritasse. Voi vi siete guadagnati le tre pietre originali del Trio dei Laghi, perciò vi aspetta il passo successivo: forgiare la Rossocatena. Vi lascerà del tempo, ma non prendetevela troppo comoda».
Accanto a lei, da un portale circolare nato dal nulla sul pavimento, emerse la testa di un piccolo demone dalle corna a mezzaluna. Riolu lo riconobbe e restò a bocca aperta. Passata la sorpresa iniziale, si mise subito sulla difensiva. Ma l'altro non attaccò. Si levò di torno, e Sird si sporse a guardare nel suo portale. Non si vedeva niente se non una strana luce violacea, perciò il suo fu un salto alla cieca.
Quando la barriera di energia che chiudeva la cella fu disattivata, sia lei che il portale erano scomparsi.





 
Mesi dopo
Estate




Per una radicata quanto banale diffidenza verso la modernità, Gong a aveva rifiutato l'epidurale. E se ne stava pentendo. Gridava e imprecava contro tutto e tutti. Attorno a lei c'erano le tre Unità Rosse di nome Aliana, Bryony, Mable.
La monitoravano e la guidavano nel parto con lucida e innaturale freddezza.
«Aliana... di' a Saturno di venire qui subito, oppure gli faccio mangiare la placenta! Se dice di no, portalo qui e basta!».
L'unità dai capelli arancioni si allontanò senza rispondere.
Poco dopo, le urla di protesta di Saturno si unirono a quelle della sua ragazza nelle ultime fasi del parto.
Il Comandante arrivò nella stanza appena in tempo per non perdersi il primo pianto del bambino, ma si tappò le orecchie. Mentre Bryony asciugava il neonato piangente, spinto dalla curiosità, si decise a dare un'occhiata.
«Non avevi detto che era un maschio?» domandò.
«Sì. È un maschio. Si chiama Desna. Datemelo! Com'è? È bello? ».
Aveva ereditato i capelli neri e la pelle scura della madre e gli occhi blu del padre. Nel complesso, per quello che se ne poteva capire alla sua età, assomigliava a entrambi.
«Beh... pensavo peggio. Però è una femmina».
«Che cosa?!».
«Confermo» intervenne Bryony. «Il neonato è di sesso femminile».
Gong si trovò disorientata. Dando credito alle parole di Mesprit, aveva trascorso tutta la gravidanza convinta di aspettare un maschietto. Non aveva neppure chiesto a Bryony i resoconti completi delle ecografie, perché tanto non li capiva molto. Le bastava accertarsi che il feto stesse bene. Adesso, non aveva in mente neppure un nome per sua figlia. L'androide Mable fu la prima a chiederglielo. Esigeva una risposta in pochi secondi.
«Sedna» decise Saturno. «Tanto, anche lei sarà una Comandante».





 
*




Riolu non la perdeva mai di vista. Quella neonata era diventata il nuovo fulcro della sua esistenza: aveva preso molto sul serio il compito di sorvegliarla. Durante il giorno si permetteva di dormire solo quando Sedna era con la madre, e restava sveglio tutte le notti.
Una di quelle notti, quando l'estate mite di Sinnoh scivolava verso l'autunno, Riolu avvertì una strana tensione nell'aria fresca. Era come l'eco di un'aura piatta, priva delle onde carattesristiche di una personalità formata o in formazione, ma sicuramente molto diversa da quella della bambina addormentata. Al Pokémon venne il dubbio che si trattasse di quella di un androide Galassia in procinto di svegliarsi. Non era mai accaduto che uno di loro acquisisse autonomamente l'autocoscienza, ma Riolu non trovava altri termini di paragone.
Quella percezione quasi sgradevole aumentò, parve condensarsi, e nel centro di energia invisibile che si era formato apparve una piccola luce rossa, e attorno la luce la figura Azelf. La traccia spirituale della pietra rossa sulla sua fronte si spense appena lo Spirito assunse una consistenza materiale.
Si avvicinò alla culla per prendere la bambina. Riolu gli si avventò contro con un Attacco Rapido, che non riscì neppure a ferire la sua pelle grigia. I suoi successivi attacchi ebbero lo stesso risultato. Preso dalla disperazione, il piccolo Pokémon si aggrappò al polpaccio del demone grigio con i denti.
Azelf si liberò di lui con un calcio. Reggendo la neonata dormiente come se fosse un oggetto inanimato, gli disse: «Riferisci a Shan Yueguang... che sua figlia l'ho rapita io».
E scomparve, portandosi via la piccola Sedna.




 
A Johto


Gold, nella sua casa di Borgo Foglianova, se ne stava sdraiato sul divano a guardare la tv in dormiveglia. Stava per addormentarsi, quando il verso di un Pokémon agitato lo fece sobbalzare.
Pibu, il suo Pichu, fu il primo ad arrivare in camera.
La finestra era spalancata, e sul letto sfatto si era posato un uccello dal piumaggio bianco e il becco allungato. Davanti alle sue lunghe zampe sottili, sulle coperte in disordine, c'era un piccolo fagotto rosa. E visto che il fagotto non si calmava, la cicogna si trasformò in una gatta per strusciarglisi contro, poi in una ragazza vestita di bianco per cullarlo.
Ma non ci sapeva fare.
Se davvero Gold stava sognando, non si spiegava perché la ragazza del suo sogno fosse una mutaforma incinta, e avesse chiaramente rapito una neonata. Forse, avrebbe dovuto mettere gli amuleti alle porte, come ogni tanto gli aveva consigliato sua madre. Ma sua madre lo diceva scherzando.
«Ma che caspita...?! Pibu, sta fermo o le fulmini entrambe».
Il Pokémon fece un verso e una smorfia per mandarlo a quel paese. Era in grado di capire da solo come comportarsi.
Disperata, la ragazza parve ricorrere alla magia. Accarezzò il viso della neonata con una mano, e lei si chetò. Finì per addormentarsi, con un respiro regolare e un'aria tranquilla.
«Chi sei?!» le domandò il padrone di casa.
«Sono Luna. La vostra Luna».
«Luna... la Cosmog?! Piacere, io sono un Typhlosion».
«Spiritosion! Io non sono più un Cosmog... perché da diecimila anni sono una Lunala».
Gold faticava a crederle. «Tu sarai pure una Lunala, ma la nostra Luna è morta. Yveltal l'ha ammazzata. Abbiamo trovato la carcassa».
«Dimmi un po' se non ti viene il dubbio che io abbia un piede nell'oltretomba!».
Cominciò a trasfigurarsi. La stanza era piccola, occupata dal letto e dai mobili, perciò la Pokémon finì per trovarsi stretta un po' rannicchiata. Sembrava uscita da una festa di Halloween. Le ossa delle sue grandi e sottili ali blu erano in parte scoperte, e così la sua cassa toracica bianca. Fortunatamente per lei, il suo muso dagli occhi di luce non era poi tanto simile a un teschio. Il riferimento ai piedi era metaforico, perché il suo corpo terminava in una coda a mezzaluna placcata d'oro. La rotondità del suo ventre gravido era appena accennata.
«Sarai pure morta, ma vedo che sei incinta...».
Luna tornò umana. Seduta sul letto, sorrise compiaciuta. «Sì... buffa storia! Avevo già l'angoscia di non aver portato a termine la precedente gravidanza, ma poi sono andata in crisi quando ho saputo di... questa bimba qui, Sedna».
«E chi sono i suoi genitori?».
«Ma perché me lo chiedete sempre?!».
«Perché siamo tutti ficcanaso. Chi sono, i genitori? Da dove viene?».
La ragazza si trasformò in una piccola lucertola bianca. Zampettò sulle coperte, saltò giù dal letto e si diresse verso la finestra aperta, mentre la sua voce telepatica pareva risuonare nella stanza come quella di una donna. «Non te lo dico!».
Ignorando la finestra, troppo in alto per lei, attraversò il cemento solido del muro. Poi tornò indietro, nella forma di un serpente bianco. La sua voce era immutata, ma il tono era serio: «Lei è viva perché Azelf non ha avuto bisogno di eliminarla, per raggiungere il suo scopo. L'ha lasciata dove gli è capitato, e così abbiamo potuto recuperarla. Ma se tu rintracciassi i suoi genitori, anche senza riportarla da loro, Azelf potrebbe scoprirlo e concludere che un rapimento non sia la soluzione corretta. Capisci?».
Si trasformò in una volpe. «Quindi ti conviene raccontare in giro che è un'orfana e che te l'hanno lasciata davanti alla Casa del Pokémon con un biglietto, almeno finché le acque non si saranno calmate. Credimi... hanno ancora da agitarsi!».
La volpe si trasformò in un pipistrello bianco e volò in cerchio a una spanna dal soffitto. «Dies irae...! » gridò.
Con quell'incipit teatrale, scappò via dalla finestra aperta.




 
Nel Mondo Distorto


Gong aveva smesso di piangere, ma aveva gli occhi gonfi e arrossati. Da quando Riolu era balzato sul suo letto per condurla alla culla vuota, non aveva più chiuso occhio. Per spiegarle cosa fosse successo, il Pokémon aveva disegnato la maschera stilizzata di Azelf. Azelf era apparso nella cameretta e aveva portata via Sedna.
Gong aveva dato di matto, se l'era presa con Saturno perché era lì con lei, l'aveva spinto contro il muro e poi era corsa a ritirarsi in meditazione.
Da lì era scesa nel Mondo Distorto.
Giratina sembrava poco meno malconcio di lei. Si era isolato e reso introvabile persino dalla sua pupilla Valerie. Da quando aveva saputo del paradosso temporale che legava la lua vecchia alleata Lunala alla Cosmog Luna, il suo umore era crollato di nuovo.
Ma la caccia e le urla di Gong lo avevano stanato.
«Avevi ragione tu» concluse la ragazza, dopo un breve racconto. «Abbiamo temporeggiato e lui ha perso la pazienza. Dobbiamo muoverci, se non vogliamo che sfaldi le nostre vite pezzo dopo pezzo. Non importa quanto sia rischioso. Anche se, forse... per la mia bambina è troppo tardi».
«Azelf non conosce né l'empatia né il sadismo, né tanto meno la compulsione omicida. Una neonata umana non può sfuggirgli, non può neppure tentare di farlo, quindi è probabile che lui non l'abbia uccisa, e che almeno un Pokémon l'abbia trovata».
«Pensi che...?!».
«Non la cercare» la interruppe il demone. «Ovunque lei sia, non suggerirgli di dover tornare a eliminarla».
Gong deglutì, tirò su col naso e cercò di soffocare le lacrime. «Va bene... ma tu devi aiutarci a forgiare la Rossocatena».
Giratina si era chiuso in un lungo silenzio. Il suo sguardo era perso nel vuoto, come se fosse spaventato e preoccupato.









 
 


 






AUTRICE:


Io scrivo questa cosa un po' così (su questo capitolo poi ho più dubbi del solito) mentre il lavoro nel mondo reale si accumula mettendomi ansia... O_O
Se tutto va bene, anche se forse ho pasticciato e fino ad ora non s'è capito niente, il prossimo capitolo sarà l'ultimo.
PS: si è fritto di nuovo il correttore, chiedo scusa per le conseguenze.
   
 
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