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Autore: Moonfire2394    18/02/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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SEI ANNI DOPO…

Capitolo 12 – Il vampiro anomalo

Londra, 1952
"Preparati Edna, farà un gran baccano".
Al rintocco echeggiante del carillon, la lancetta puntò a ovest.
Bighellonavo sulla sommità del Great Bell, la torre dell’orologio del palazzo di Westminster, in attesa che la caotica Londra finisse con l’essere inghiottita dall’oscurità della notte, alla vigilia dell’incoronazione della nuova sovrana d’Inghilterra. Non si poteva certo dire che fossi una ragazza a cui piacesse stare coi piedi per terra.
Trangugiando il naso nella panna liquefatta del mio cono gelato, assaporavo chiotta, chiotta, il delizioso gusto della libertà, dopo essermela data a gambe da Andromeda, il campo dei protettori della capitale britannica. Tutte quelle regole non facevano per me. Giurai a me stessa che il mio esordio come cacciatrice di vampiri avrebbe costituito il temmirio del mio valore. Se solo zio Mark lo avesse saputo, sarebbe andato di certo su tutte le furie, ma queste erano le condizioni: prima avrei mozzato qualche testa, prima sarei potuta tornare a casa, perché ero davvero stufa marcia di tutto quello sfoggio ostentato di carinerie e garbatezza da bon ton.
“Ne vuoi un po’ anche tu, eh golosona?” – domandai a Edna, che quel giorno aveva le sembianze di un gatto nero, offrendole la mia cena. Edna, la mia chimera domestica, poteva assumere qualsiasi forma animale desiderasse. Raramente mi dava retta, quella capricciosa finiva sempre col far sempre di testa sua.
“Miao” – miagolò nostalgica di punto in bianco.
“Lo so, mancano anche a me” – le risposi facendogli i grattini dietro l’orecchio.
Ormai era trascorso più di un anno dall’inizio del mio apprendistato all’estero, ottenuto a caro prezzo dopo anni di allenamento sfrenato e sudatissime carte. Al torneo degli under quattordici, soltanto i primi dieci migliori cadetti che avevano già prestato giuramento e scelto il tipo sovrannaturale in cui specializzarsi, avrebbero potuto usufruire di questa importante opportunità. Fabiano, Morgana, Ascanio, Marlena, Carlotta, Fabrizio, Caterina, Norman, mio fratello ed io riuscimmo ad occupare tutti i primi dieci seggi, classificandoci come i migliori protettori della nostra generazione. Soltanto il primo però aveva il diritto di scegliere la destinazione e l’allenatore che lo avrebbe seguito lungo il percorso di formazione. Avendo ottenuto un meritatissimo primo posto nelle discipline teoriche e un terzo posto in quelle fisiche, perché Fabiano e Gabriel mi precedevano in classifica, decisi, senza consultarmi con nessuno, di sfruttare l’occasione di partire lontano, per essere istruita dal leggendario maestro delle arti combattive: lo Zoologo, chiamato così perché in grado di riprodurre tutte le tecniche combattive ispirate ai movimenti istintivi degli animali. Non si parlava molto bene di lui ultimamente, si diceva che fosse uscito di senno (tutto vero, accidenti!), ma voletti ugualmente fidarmi della sua brillante reputazione da insegnante. Dovevo affinare le mie tecniche ad ogni costo, non potevo rimanere una cacciatrice mediocre per l’eternità, o peggio una medjai mediocre. Gabriel avrebbe dovuto appoggiarmi invece di tagliarmi fuori dalla sua vita.
Lui e lo zio mi avevano pregato di restare e sapevo benissimo il perché di tanta preoccupazione ma il campo Betelgeuse non aveva più nulla da offrirmi. Gli promisi persino che Edna avrebbe vegliato su di me e nemmeno questo fu sufficiente a tranquillizzarli, credevano che non sarei sopravvissuta a lungo, là fuori, dove i voraci cavalieri della notte avrebbero potuto stanarmi. Non avrei vissuto nel terrore, era fuori discussione, sarei dovuta diventare molto più forte di così se un giorno avessi incontrato sulla mia strada quei vigliacchi mascherati.
“Fabiano” – pronunciai il suo nome con un sospiro.
La mia mente indugiava su di lui come spesso accadeva quando rimanevo sola con i miei pensieri. Immaginai più e più volte come sarebbe stato il nostro incontro, a cosa gli avrei detto, quanto fosse cresciuto…
Fu l’unico a schierarsi dalla mia parte, insieme a Morgana, visto che anche lei non vedeva l’ora di evadere dalle quelle asfissianti mura  e dalle continue pressioni del padre che l’avevano imprigionata dalla sua nascita. Quando seppe che il suo apprendistato si sarebbe svolto nella città dell’amore, Parigi, svenne dalla gioia. Ci scrivevamo quasi tutti i giorni, non volevo perdere i contatti con nessuno dei miei amici, compresi Fabrizio e Norman.
In effetti, ora che ci riflettevo su, le parole dell’ultima missiva di Fabiano mi avevano turbata più di quello che volessi ammettere.
Cara Leona,
oggi abbiamo imparato una nuova tecnica per catturare le Silfidi. Sapevi che adorano nascondersi fra i cespugli di rose bianche? Tuo fratello si è messo a cercare fra gli arbusti e ha distrutto alcuni dei loro fiori. Le fatine si sono parecchio arrabbiate e hanno gettato un incantesimo su di lui. Adesso sta bene, ma ha vomitato carpe di acqua dolce per una settimana. Dice che gli è rimasto ancora il sapore di pesce in bocca e che per questo, Dania la sua ragazza, lo ha lasciato. Credo che sia tornato dalla sua ex, Giada, o Carola, adesso non ricordo, ho davvero perso il conto.
Ci sono nuovi sviluppi sul fronte protettori scomparsi: ho scovato una chiave cucita dentro il cuoio della copertina di “Cinquanta ricette per il tuo stufato di Troll” nella libreria di casa mia. Non ti sembra sospetto? Chissà cosa apre?
Un mese fa hanno anche vietato l’ingresso alla grotta delle impronte e al tempio dei trofei, ricordi quel luogo dove teniamo esposti i bottini di guerra? Zanne di vampiro, saliva di lupo mannaro e tutte le altre cianfrusaglie. Inizialmente pensavo che fosse per via dei lavori di ristrutturazione ma hanno finito da un pezzo, per quale motivo lo tengono ancora chiuso? Ci mancano le tue geniali intuizioni.
Comunque, prova a scrivere a Gabriel. Non lo ammetterà mai, ma gli farà sicuramente piacere. Dovrete riappacificarvi prima o poi!
Adesso devo lasciarti, Marlena mi sta aspettando per l’allenamento. Aspetto con ansia una tua risposta.
Con affetto,
Tuo Fabiano.

La tenevo proprio in quel momento dentro la tasca posteriore del mio pantalone di pelle nera. Finsi che non m’importasse più di tanto che “Marlena lo stesse aspettando” da qualche parte, loro due da soli. A dire la verità m’infastidiva e come! Dovevo immaginare che quella psicopatica avrebbe approfittato della mia assenza per potergli stare accanto e fare la smorfiosa con lui. D’altra parte però me l’ero meritato.
Dovevo darmi una mossa a tornare o lo avrei perso.
Quando la falce argentea trafisse il velo nero notturno seppi che era giunto il momento.
Edna si trasformò in una civetta e lasciai che mi sorvegliasse dall’alto mentre io aprì la mia prima battuta di caccia.
Mi assicurai che avessi tutte le armi con me e che il sacchetto con la polvere di verbena fosse traboccante. Indossai la mantellina scura, mi coprì il capo col cappuccio e nascosi il mio volto con una benda. Soltanto i miei occhi blu dardeggiavano nell’oscurità, in agguato, pronti a scorgere il nemico. Strofinavo circospetta i pomoli delle mie inseparabili kopis, alloggiate nei loro foderi lungo i fianchi, i coltelli, imbevuti di veleno, nascosti dentro gli stivali di cuoio. Ricordando gli insegnamenti dello Zoologo, dosavo ogni singolo passo come una creatura digitigrada, limitavo i respiri, acuivo i miei sensi restando in ascolto dei rumori della città e mi muovevo fra le ombre, evitando i coni di luce proiettati dai lampioni.
Passarono ore, sembrava che nessun vampiro londinese avesse intenzione di attaccare briga. Che noia mortale! Dov’era finito tutto il divertimento? Decisi di visitare il cimitero, magari lì, con un po’ di fortuna mi sarei imbattuta in qualche uccellino nascente, neonati in cerca del primo sangue, non pretendevo mica di incontrare immediatamente un Drakulia. Controllai qualche tomba ma nulla, era un vero mortorio.
Feci un giro per i vicoli bui, cercai persino fra le rive del Tamigi, sotto i ponti, ma gli unici esseri che li abitavano erano per lo più vecchi ubriaconi e prostitute che si scaldavano attorno al fuoco.
“Non se ne parla brontolona che non sei altro, non me ne andrò a mani vuote stanotte, fosse l’ultima cosa che faccio” – rimbeccai Edna appollaiata sulla mia spalla.
“Dannazione, è possibile che in questa città non ci sia nessuno che abbia bisogno del mio aiuto?” – imprecai pugnalando per la rabbia una locandina affissa al palo nella luce.
La punta della lama si confisse sulla lettera “N”. Tre idioti ballavano e cantavano sotto la pioggia, con dei ridicoli impermeabili color giallo canarino.
“Singing in the rain” – lessi ad alta voce.
Non avevo mai assistito ad un musical. A dirla tutta, non avevo nemmeno messo mai piede dentro a un cinema. Potevo farne a meno pensai, anche se non ci credevo fino in fondo. La curiosità, come sempre, ebbe la meglio su di me. Chi aveva stabilito che avessi dovuto privarmi di qualsiasi esperienza umana per quanto superflua potesse essere?
“Edna, ti va una serata alternativa?”.
Lei inclinò la testa da un lato per assicurarsi che i fumi di Londra non mi avessero dato di volta il cervello. Mi rivolse tutti gli epiteti più volgari che conosceva quando la infilai nella tasca della giacca sotto forma di porcellino d’india. Mi liberai del cappuccio e sciolsi i capelli sulle spalle. Ignoravo il perché avessi il cuore così colmo di gioia quando varcai la soglia del teatro, camminare su quel tappeto rosso mi regalava emozioni sconosciute. Attraversai in fretta l’atrio inondato dall’invitante profumino di pop corn e burro di arachidi. Avevo l’acquolina in bocca. L’ultimo spettacolo era già iniziato da pochi minuti ma desideravo ugualmente entrare in sala con tutta me stessa. Guardai, angosciata, la biglietteria, non avevo una sola sterlina con me.
“Buon uomo, due biglietti per Singing in the rain, per favore” – disse il giovane davanti a me dalla voce calda e suadente. Era solo, non lo accompagnava nessuno. Perché ne aveva presi due? La sua figura slanciata, muscolosa, raffinatamente elegante, era avvolta in una giacca color kaki che gli cadeva a pennello sulle spalle larghe. I capelli bronzei, tendenti al ramato, un po’ spettinati, gli solleticavano dolcemente la nuca.
Avvicinò guardingo una banconota da cinquanta sterline e intimò al venditore di tenersi il resto.
Lui meravigliato da tanta generosità, gli fornì immediatamente ciò che gli aveva chiesto.
Il ragazzo si voltò e rimasi folgorata dalla sua inumana bellezza.
Caddi sul fondo delle sue pupille nere come il carbone arso dalle fiamme. Le folte sopracciglia e la mascella leggermente squadrata rendevano il suo viso maturo sebbene i suoi lineamenti, dritti e regolari, palesassero la sua giovane età. La sua pelle era di un bianco innaturale, pallida come quella di un cadavere. Sotto la giacca indossava una camicia azzurrina e un blazer lungo.
Mi passò accanto ed ebbi la pelle d’oca. Aveva un ottimo odore. Edna squittì agitata dentro la tasca. La mia mano la raggiunse in fretta per tranquillizzarla e mi morse un dito. Non mi sentivo più le gambe, in quel momento la mia carnagione assunse la stessa tonalità del giovane che mi osservava in tralice. Lasciai la mano dov’era e tamponai il taglietto come potei. Chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni sollevando impercettibilmente un angolo della bocca. Una piccola e incantevole fossetta gli scavò dolcemente la guancia. Era un sorriso sghembo strepitoso. Poi entrò in sala, sbattendosi la porta alle spalle. Stropicciai il biglietto che aveva “accidentalmente” fatto cadere dentro la tasca.
Il vampiro, chiaramente assetato, non era caduto nella mia trappola, non era interessato al mio sangue. Raccolsi il guanto di sfida e lo seguì. La caccia era appena iniziata.
   
 
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