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Autore: PrincessintheNorth    18/02/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MURTAGH
 
«Devi risolvere con lei» Eragon sbuffò.
Non era mai avuto un gran senso della tempistica, lui: doveva mettersi a farmi la paternale riguardo a Katherine proprio mentre mi ripulivo dal vomito?
«Non adesso» sbuffai.
«Sì, adesso. Per quanto possa volerti bene sono stufo di averti come ospite fisso nel mio letto. Una moglie ce l’hai, ed è pure bella» brontolò. «Quindi valle a parlare e sgombera camera mia».
Sfortunatamente, quella che mi proponeva era un’impresa impossibile.
Sapevo che, quando si arrabbiava, Katie tendeva a fare qualche castello in aria, ma quella volta era andata oltre: da quelle poche, e sbagliate, parole che avevo detto, chissà come lei aveva dedotto talmente tante cose, tutte sbagliate, da poter riempire tutto il Tridente, dalle segrete alla torre più alta.
Mi era stato difficile credere che avesse davvero visto quell’ombra: dunque la ritenevo una pazza squilibrata, non la amavo più, avevo già un’altra ma non avevo ancora trovato il coraggio di mollarla solo perché era incinta. Alle solite accuse, però, se n’era aggiunta una nuova: mi prendevo cura di lei non perché stava male, ma perché volevo farmi vedere. Quando l’aveva detto mi era venuta voglia di vomitare, soprattutto per ciò che era seguito: non era per amore se l’aiutavo con i bambini, ma per apparire come un bravo padre. Era stato a quel punto che avevo davvero reagito: poteva dire quello che voleva, ma non doveva permettersi di mettere in dubbio l’affetto che provavo per i nostri figli. Se avessi voluto fare la figura del bravo padre per la corte e gli elfi avrei obbligato i bambini a vestirsi come damerini, non gli avrei permesso di sedersi a tavola con noi né di dormire con me e Kate e li avrei presi a sculacciate ad ogni minima marachella, non avrei mai permesso che Belle avesse una gattina di strada dalle zampe storte come animale domestico e nemmeno che lei e i suoi fratelli facessero amicizia con i figli della servitù.
Apparentemente, questo per Kate non contava nulla. Sapevo che l’aveva detto in preda alla rabbia, ma non era stato bello da sentire, più che altro perché sottintendeva che era lei l’unica a fare sacrifici per loro: per evitare che Galbatorix facesse del male a lei e a Belle io ero rimasto suo prigioniero, insieme ad Evan, per due anni, senza nemmeno sapere di avere un altro figlio! Due anni passati lontano da lei e dalla nostra bimba appena nata non contavano come sacrificio?
Ad ogni modo, erano due settimane, ormai, che non ci parlavamo più: ero andato parecchie volte a bussare alla sua porta per cercare di rimediare, ma non avevo ricevuto altro che insulti. Non avevo intenzione di perdere altra dignità: io avevo sbagliato, ma mi ero scusato. Lei era quella che aveva frainteso tutto e mi aveva riempito di insulti: era incinta, non malata. Poteva venirsi a scusare tranquillamente.
Ovviamente a peggiorare la situazione doveva mettercisi anche suo padre: subito dopo il litigio, avevo preferito raccontargli quanto stava succedendo: il mio sogno, i cambiamenti di Katie, tutto. Non l’aveva presa molto bene: potevo leggergli il terrore negli occhi nel pensare a cosa Katherine sarebbe diventata se Galbatorix l’avesse irretita, ma soprattutto a quanto potere lui avrebbe acquisito avendola al suo fianco. Sarebbe diventato invincibile. Era stato pochi attimi dopo che tutto era degenerato: Derek aveva sospirato e mi aveva fatto giurare di non dire a nessuno, nemmeno a Katherine, quanto stava per dirmi. Io, come un idiota, c’ero cascato, per poi ritrovarmi sulle spalle un compito insostenibile: non era vero che Belle aveva una semplice tosse, e Katherine non doveva venirlo a sapere.
Aveva iniziato a parlare, cercando di riparare al danno che sapeva di aver commesso ammontando scuse su scuse, dicendo che essendo lì nella Du Weldenvarden a stipulare il trattato Katie ed io stavamo comunque proteggendo i nostri bambini, che Belle aveva bisogno più di un medico che dei genitori, che vederla malata sarebbe stato deleterio per Katherine: avevo interrotto l’incantesimo all’ennesima scusa, troppo annebbiato dalla rabbia e dalla paura persino per parlare.
Belle era malata ed io e sua madre non eravamo lì con lei: quel pensiero, la sua malattia e l’impossibilità di dirlo a Katie mi toglievano il sonno e mi tormentavano con incubi e nausea, soprattutto quando ero obbligato a starle nei paraggi e dunque a vedere la sua disperazione. Ogni giorno, sebbene non ci parlassimo, vedevo che si tormentava per la bimba: era stato in quel modo che, grazie ad Eragon, avevo scoperto che suo padre e sua madre le stavano impedendo di vedere i bambini per evitare che Evan e Killian le rivelassero la verita riguardo a Belle. Potevamo vedere i piccoli solamente quando loro si trovavano davanti allo specchio della nostra camera, e questo Derek e Miranda lo sapevano benissimo: ogni volta che Katherine li cercava, curiosamente i bambini erano sempre da qualche altra parte.
Non è giusto quello che le stiamo facendo. Ma ormai non c’è modo di fermare questa situazione.
Le omissioni riguardo alla salute di Belle erano sorte a fin di bene, per evitare che Kate andasse in paranoia e cercasse rimedi in branche della magia dov’era meglio che non si avventurasse, ma ormai erano andate troppo in là: prima o poi saremmo tornati a casa e lei avrebbe scoperto tutto. Sapere che tutti sapevano tranne lei l’avrebbe solamente fatta sentire ancora più sola e abbandonata, e quei sentimenti l’avrebbero resa una preda facile per Galbatorix.
Ormai non c’era più nulla da fare: la menzogna era stata detta, io ero stato tirato dentro, e quando Katherine ci avrebbe scoperti avrebbe provato tutti quei sentimenti che mi ero promesso di non farle più provare.
«Nemmeno lei è molto contenta di questa situazione» Eragon proseguì imperterrito. «Siete due idioti. Volete tornare insieme ma non volete far nulla per farlo».
«Se le dico la verità riguardo alla bambina mi vorrà morto e suo padre ci farà divorziare» ringhiai. «Non c’è molto da fare».
«Derek l’ha detto apertamente?» replicò scettico.
«No, ma lo farebbe. Mi accuserebbe di non aver fatto il meglio per sua figlia e mi ucciderebbe con le sue mani».
«In ogni caso non potrebbe farvi lasciare» osservò. «Ne stavo parlando l’altro giorno proprio con mamma, che ha discusso con Derek riguardo a questa cosa del non dirvi niente riguardo a Belle. Katherine ha preso il tuo cognome, lo stesso che portano i bambini: questo pone lei e loro sotto la tutela di nostro padre, non di Derek. Non potrebbe mai farvi divorziare, perché per legge non ha più alcun potere su di lei».
Quella era una notizia inaspettata … e bella, certo. Ma conoscevo Derek: anche se non mi aveva minacciato, avrebbe potuto benissimo farlo, e perdere Katherine non era nella mia lista delle priorità. Al momento, il primo posto di quella lista era conteso tra il mollare tutto e correre a casa da Belle con Katie e il dire tutta la verità a mia moglie e tornare a casa con lei, dalla nostra piccola.
Dovresti dirglielo, Castigo commentò gentilmente. La sua coscienza, tranquilla e rassicurante, prese spazio nella mia mano a mano che parlava: mi scappò un mezzo sorriso nel rendermi conto di quanto fosse cambiato in quegli anni. Tre anni fa non mi sarei mai ritrovato a pensare che la sua mente emanasse tranquillità e sicurezza: sfortunatamente, all’epoca trasmetteva tutt’altro. Il rapporto con i suoi genitori è già distrutto, ma forse tu puoi ancora salvare il vostro dicendole la verità.
Se glielo dicessi mi lascerebbe senza pensarci due volte.
Almeno le avresti dimostrato che tieni a lei e che non la vedi come un drago impazzito pronto a sputare fuoco sugli amici. Perché non lo è, aggiunse poi. È solo spaventata e infuriata.
Nel suo caso non cambia tanto.
Non cambierà molto riguardo al suo comportamento, ma cambia il modo in cui lo vive. Si rende conto che ti preoccupi che sia un po’ fuori di testa e questo la fa solo arrabbiare di più, commentò. Pensa se fossi tu a non sapere nulla dei tuoi cuccioli-bipedi per due settimane, senza avere nessuno con cui parlare.
Antares …
Ce l’ha con lei perché le tiene nascosta la cosa di Belle. Ad ogni modo, non ti farebbe molto piacere, fece, con la sua solita perspicacia. L’ultima volta che ti sei sentito solo, rifiutato ed abbandonato hai ucciso Rothgar.
Non c’era bisogno che me lo ricordassi.
Sì, invece, insistette. Perché dopo che l’hai ucciso hai ceduto sempre di più alle menzogne del distruttore-di-uova, sei arrivato a credere che avesse ragione. Finché non ha proposto di uccidere Nasuada eri indeciso se sostenerlo oppure no, e questo perché lo vedevi come l’unico essere umano che ti volesse davvero con sé. Ti ricordi cos’è successo dopo che sei rinsavito e hai capito che non era un bel soggetto con cui fare amicizia?
Fin troppo. Mi bastava chiudere gli occhi per rivedere la cella in cui mi aveva relegato, i muri luridi e umidicci che erano stati immobili testimoni di tanto, troppo dolore.
Katherine sa che genere di uomo è. Ha visto i miei ricordi, è l’unica a sapere tutto … lo sa che …
Lo sa. Ma potrebbe pensare che le riserverebbe un trattamento diverso.
Lui? Non lo farebbe. Anche se lei rimanesse ammaliata da lui e dalla magia nera, presto o tardi capirebbe che genere di uomo è … e a quel punto lui le ricorderebbe i voti d’obbedienza con i suoi metodi, conclusi il ragionamento, cercando di non tremare. Ricordavo benissimo a che genere di larva le torture mi avessero ridotto: non potevo permettere che accadesse anche a lei. A chiunque, ma non a lei.
Dovevo dirle tutto. Doveva sapere che, almeno su di me, poteva contare.
 
 
 
 
 
«…Murtagh?»
Oh. Quello era strano.
Katie … mi aveva chiamato. Da quanti giorni era che non la sentivo pronunciare il mio nome? Parecchi.
«Come stai?»
In qualche modo, la sua voce era piena d’apprensione ed ansia. Ormai mi ero abituato a sentirla venata solamente d’odio, rabbia e rancore.
Lentamente iniziai a riprendere consapevolezza di ciò che stava accadendo intorno a me: ero sdraiato su un letto, ma avevo la testa sul grembo di Katie e lei mi stava accarezzando i capelli: c’era qualcosa che mi solleticava il volto, qualcosa di morbido e quasi impercettibile, probabilmente le punte dei suoi boccoli. Il profumo di menta e lavanda rendevano l’aria fresca e piacevole, ma potevo sentire anche altri odori … frutta, realizzai. E pane appena sfornato: quel profumo risvegliò in me un’altra sensazione. Fame. Mi sembrava di avere una voragine al posto dello stomaco.
A quel punto aprii gli occhi: immediatamente trovai lo sguardo di Katie, colmo di ansia e preoccupazione. Vedermi sveglio, però, dovette rasserenarla, perché un sorriso le rischiarò lo sguardo.
Chissà perché era così contenta. In fondo, quelle poche volte che dormivo, mi svegliavo sempre: non è che fosse una gran cosa.
«Come ti senti?» chiese, la voce ridotta ad un sussurro.
«Che ci fai qui?»
Pensai che fosse una domanda legittima: dopotutto stavamo litigando da parecchio e vederla all’improvviso accanto a me, così preoccupata, era strano. Poteva essere legittima, ma avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa: nel momento in cui glielo chiesi, la poca felicità che c’era nel suo sguardo svanì completamente, lasciando il posto alla titubanza e a qualcosa che identificai come senso di rifiuto.
Idiota.
«Io …» mormorò. «Sei stato male e … ma se non mi vuoi intorno non …»
«Ho sbagliato a parlare» dissi in fretta, mettendomi seduto di fronte a lei. «Davvero, non … non intendevo quello che ho detto. In realtà sì, però … è che è strano averti di nuovo vicino. È una bella cosa» cercai di rassicurarla. Era una cosa fantastica, a dir la verità: ora me ne rendevo conto, ma mi era mancata più di quanto immaginassi.
Lentamente, un piccolo sorriso incerto le si fece strada sulle labbra, incurvandogliele un po’.
«Sei ancora arrabbiata?»
Lei sospirò. «Sono stanca di essere arrabbiata. Ma …»
«La storia dell’ombra ti fa ancora infuriare».
Katie arrossì: non divenne completamente rossa, le si colorarono solo un po’ le guance di quel genere di rossore che si nota solo se lo si cerca. «è che …»
«No, hai ragione. Non avevo alcun motivo di trattarti in quel modo, ma … è che trovo difficile credere a quello che mi hai detto. Non dico che non sia vero, però …»
«Lo so» mi interruppe gentilmente, appoggiando una mano sul mio braccio.
«No, non lo sai. Sono stato un idiota, perché non ho considerato che Galbatorix potrebbe aver trovato un modo di oltrepassare la barriera degli elfi e riuscire ad attaccarti. Ti ho dato della pazza quando sicuramente non lo sei e ti ho lasciata da sola e senza protezione» mi resi conto di quell’amara verità proprio mentre ne parlavo. Con il Nome dei Nomi, Galbatorix poteva fare tutto: se mia madre era riuscita a distruggere quella barriera vent’anni fa con la sola forza di volontà, come mi aveva detto qualche giorno prima, per lui, con le sue risorse e capacità, riuscire in quell’impresa sarebbe stato un gioco da ragazzi.
«Non è successo niente» Katie mormorò. «L’importante è questo, no?»
«Per fortuna» sospirai. «Mi passi un po’ di quel pane?»
«Certo» si sporse un po’ dal letto e afferrò la pagnotta: quando la ruppe, dalla mollica si levò un filo di fumo. Doveva essere stata sfornata da poco.
Mi resi conto che l’aveva fatto lei non appena lo misi in bocca: quel pane, dalla crosta così croccante e l’interno tanto soffice, l’avevo assaggiato solamente quando l’avevo raggiunta, anni prima, a casa di suo nonno: evidentemente era da lui che aveva imparato quella ricetta, unica nel suo genere.
«Oh, e prima che me ne dimentichi» fece un sorrisetto. «I tuoi genitori sono arrivati stamattina. Hanno portato una cosa che dubito disdegnerai».
Un rapido movimento di mano, un paio di parole dette sottovoce, e ciò che prima era invisibile non lo fu più.
«Non ci credo».
«Credici» lei rise divertita. «Ed è anche molto buono».
«Ma è davvero …»
«Sì. Delizioso, caldo e fragrante maiale salato».
Inutile dire che mi ci avventai su immediatamente. Ora che potevo riassaporarlo, il sapore della carne mi sembrava ancora più buono e succulento di quanto ricordassi.
«Che è successo?» domandai tra un boccone e l’altro.
«Ti ho trovato nel bosco, non so se svenuto o addormentato» replicò lei rubandomi un pezzettino di carne. «Ho provato a svegliarti, ma non c’è stato niente da fare, così Castigo ti ha riportato qui. Per la verità credo ti sia addormentato, perché mi sembri abbastanza in salute» osservò.
«Che ci fanno qua i miei?»
Kate si accigliò. «Beh, non sono stati di molte parole, ma non è che ci abbia passato molto tempo. Dovevo controllare che tu stessi bene. Comunque hanno detto che hanno litigato parecchio con i miei per una questione legata ai bambini … me l’avrebbero detto se tu non avessi iniziato a mugugnare come un bisonte. Ah, e inoltre sono molto preoccupati per te».
«Perché?»
«Eragon … è stato lui a chiedergli di venire. Mi ha detto che non dormi da parecchio, e che quando lo fai ti svegli per degli incubi e vomiti. Credevo che quella incinta fossi io» sorrise un po’.
Fu quello a farmi ricordare tutto: la malattia di Belle, l’insonnia, gli incubi … e Katie. Dei, Katie. Era lì di fronte a me, tranquilla e sorridente, completamente ignara del problema della bimba.
Non glielo posso tenere nascosto.
«Devo dirti una cosa» dissi rapidamente. Ora o mai più, feci tra me e me. Sapevo che non avrai mai più trovato la forza di dirglielo se non avessi colto quel momento: in ogni altra occasione, avrei trovato una scusa per rimandare. «Katherine, io … c’è una cosa che ho fatto e che non avrei dovuto fare per nessun motivo al mondo, ma … mi devi promettere che non darai di matto, anche se lo farai, e che non scapperai. È importante».
«Ma …»
«Per favore» mi ritrovai a pregarla. Era sospettosa, potevo vederlo, e anche un po’ spaventata: non voleva davvero sapere ciò che stavo per dirle. Ogni cosa di lei, dalla sua postura alla sua espressione, diceva che voleva andarsene. In qualche modo, però, cedette. «Va bene» sussurrò, prendendomi la mano. «Dimmi».
Fu difficile trovare le parole per dirglielo, ma ancor più difficile fu vedere la sua reazione: gli occhi erano pieni di lacrime, anche se non se ne fece sfuggire nemmeno una, e il viso rifletteva fin troppe emozioni che mai avrei voluto provocarle: paura, rabbia, tristezza, solitudine e tradimento.
Non disse niente per un po’, ma non ci fu bisogno che parlasse: ogni suo singolo pensiero le compariva in volto.
«Katie, se avessi …»
Non appena parlai qualcosa cambiò: tutte le emozioni che vedevo dipinte sul suo viso svanirono, lasciando il posto a quella che temevo di più, non tanto per come mi si sarebbe potuta ritorcere contro, ma per il percorso a cui l’avrebbe, probabilmente condotta: l’odio.
«Hai parlato abbastanza» sibilò. «E mentito a sufficienza».
«Non ti ho mentito, ho …»
«Hai semplicemente deciso di non dirmi che nostra figlia sta morendo di polmonite a trecento leghe da qui» fece, la voce colma di risentimento. «Perché avevi paura che mio padre ti obbligasse ad un divorzio. È fantastico venire a sapere che un semplice foglio di carta conta, per te, più dello stare accanto a lei mentre è malata».
«Non è così» non appena mi accusò in quel modo mi alzai. Poteva dire tutto quello che voleva, ma non quello: non era solamente per la probabile minaccia di un divorzio che avevo fatto quel che avevo fatto. «Volevo evitare proprio questo: che dessi di matto».
«Fa un altro passo e sei morto, sappilo» ringhiò quando tentai di avvicinarmi a lei. «Solo uno».
«Kate …»
«Vediamo se ho capito bene: a quanto pare hai battuto ogni record, giusto? Insomma, in due settimane sei riuscito a darmi della pazza, della traditrice, dell’instabile e della madre incapace».
«Non è vero. Stai delirando» negai. «Non ti ho mai detto che non sei una brava madre».
«Non abbastanza brava da essere considerata degna di venire a conoscenza dello stato salute di mia figlia» rise senza felicità.
«Ti devi calmare adesso. Devi calmarti, o …»
«Che sta succedendo?!» la porta si aprì con un violento colpo: Morzan entrò rapidamente, scoccando occhiate cupe ed interrogative ad entrambi noi. Si soffermò di più su Katherine, che stava letteralmente tremando di rabbia. «Tu ti devi calmare» decise poi. «Forza, andiamo».
«Grazie per l’interessamento, ma un padre ce l’ho già, anche se non ancora per molto» ringhiò. «Se proprio devi preoccuparti, ti consiglio di portare via tuo figlio prima che …»
«Piantala» le ordinò con un cipiglio terrificante. Fu l’unica cosa in grado di farla stare zitta. «Se pensi che una bambinetta incinta ed arrabbiata come te mi faccia paura faresti bene a cercarti un impiego come giullare» la presa in giro la fece arrossire di furore, ma non aprì bocca. «Se ti fossi degnata di ascoltarlo invece di saltare immediatamente alle conclusioni avresti capito che l’unico che ha sbagliato qua è tuo padre, che per inciso ha deciso di tacerti la verità riguardo a Belle per il tuo bene. Non è stato lui ad impedirti di vedere i bambini, capito? Datti una calmata e fa le valigie, partiremo domattina».
Potevi risparmiartela, sibilai. Sono in grado di gestirla, non mi serviva il tuo aiuto.
Se me la fossi risparmiata mi sarei ritrovato senza un erede, commentò laconicamente.
E senza una perdita di tempo, no?
Mi pentii immediatamente di quella frecciata: fu solo per un attimo, ma potevi vedere chiaramente i suoi occhi adombrarsi di dolore. Già l’istante dopo aveva indossato una maschera di freddezza e distanza.
Papà … mi dispiace, non …
Non ci fu verso per contattarlo. Disse solo un distaccato “gestitevela voi due” e se ne andò.
Merda.
Parlerò con tua madre, Castigo disse, cercando di trasmettermi un po’ di tranquillità. Faremo sì che si aggiusti tutto. Nel frattempo, Katherine ha cambiato un po’ umore … potrebbe tornarti utile.
Sospirai e tornai a concentrarmi su di lei: si era voltata, ma non mi servì vederla in volto o toccarle la mente per accorgermi del cambiamento del suo stato d’animo: era scoppiata in lacrime, e sebbene non volesse farlo vedere, tremava non più di rabbia, ma a causa dei singhiozzi.
Almeno le lacrime sono qualcosa che posso guarire.
«Katie …»
Non protestò quando l’abbracciai, anche se pochi momenti prima mi aveva minacciato di morte se solo mi fossi avvicinato a lei: non appena la strinsi, si aggrappò a me come se non avesse altra via di scampo.
Chissà come doveva sentirsi, per cercare aiuto proprio in chi l’aveva tradita.
«Che cosa ti ho fatto?» singhiozzò disperata. «Per meritarmi questo? Cosa?»
Quelle parole fecero più male del previsto: come poteva pensare che fosse colpa sua? In tutto questo lei era la vittima, eppure … eppure si colpevolizzava.
«No, Kate, non hai fatto niente … ho sbagliato, d’accordo? Tu non hai assolutamente nulla di cui rimproverarti, amore, davvero. Sono stato un idiota, ecco cos’è successo» cercai di consolarla. Non ottenni molto: le lacrime ed i singhiozzi non accennarono a diminuire.
«Quanto …» ansimò, in cerca d’aria.«Quanto è …?»
Quanto è grave? Questa era la domanda, una domanda di cui non conoscevo la risposta: Derek mi aveva detto che sì, era malata, ma che non era in pericolo di vita. Come facevo a sapere se quella che mi aveva raccontato era la verità?
«Non lo so» confessai. Per conservare un po’ di sanità mentale fino a quel momento avevo dato per certa la risposta di suo padre, ma nel dire la verità, ovvero che non sapevo davvero come stesse la piccola, sentii il dolore e la paura che avevo trattenuto fino a quel momento esplodere. «Non lo so …» la strinsi più forte, forse per evitare che sentisse il tremore nella mia voce: sperai solo che non si accorgesse delle mie lacrime.
«Perché non me l’hai detto?»
«Per salvarti. Ho avuto paura che Galbatorix usasse la malattia di Belle o qualche altra debolezza per piegarti al suo volere … non volevo che passassi ciò che ho passato io. Katie … ho fatto dei sogni … brutti sogni, in cui eri sua alleata ...  e poi morivi. Ho solo cercato di impedire che si realizzassero …»
Per un po’, il silenzio fu rotto solamente dai nostri singhiozzi. Fu lei la prima a dar voce all’unico pensiero che entrambi avevamo in mente.
«Voglio andare a casa».
 
 
 

 
   
 
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