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Autore: killer_joe    19/02/2020    4 recensioni
Freddie non era certo di come diavolo fosse riuscito a farsi incastrare in quella situazione. Lui aveva programmato di passare il weekend nella sua villa a Malibù, sorseggiando una piña colada e prendendo il sole senza una preoccupazione al mondo. Non in un centro di ricerca con un gruppo di boy-scout a farsi spiegare come salvare il mondo. Di nuovo.
Queen + Marvel Cinematic Universe AU
SECONDA CLASSIFICATA pari merito, e vincitrice del premio “You're My Best John” al contest "Queen me like there's no tomorrow" indetto da Carmaux sul forum di EFP
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a Carmaux per lo splendido contest!
Pacchetto AU-3: MCU... con accenni Dealor 

 


QUEEN... ASSEMBLE!
killer_joe


Freddie non era certo di come diavolo fosse riuscito a farsi incastrare in quella situazione. Lui aveva programmato di passare il weekend nella sua villa a Malibù, sorseggiando una piña colada e prendendo il sole senza una preoccupazione al mondo. Non in un centro di ricerca con un gruppo di boy-scout a farsi spiegare come salvare il mondo. Di nuovo.

John Reid, quel galletto impomatato a servizio del governo, ci stava prendendo troppo gusto – nella personalissima opinione di Freddie – ad annoiarli fino all'inverosimile. E, ancora secondo Freddie, quelle pietruzze insignificanti che stavano proiettando in 3D nel centro della sala non potevano essere così vitali alla sorte dell'universo come Reid diceva essere.

Il tutto era assolutamente ridicolo. E, peccato mortale, totalmente noioso.

Reid non fece nemmeno in tempo a terminare la spiegazione che Freddie aveva già una mano alzata, chiedendo la parola. Ovviamente, cominciò la sua tirata prima che qualcuno potesse dirgli di tenere il becco chiuso.

“Sì, Reid caro, un'opinione. Sono stato praticamente rapito da casa mia, sono stato tanto gentile da rimanere fino alla fine, ho ascoltato la proposta ma... devo dire che non mi hai convinto. Quindi, se siete tutti d'accordo, io...” Freddie si alzò con eleganza dal suo posto a sedere – terribilmente scomode, le poltrone dello SHIELD, doveva fare una segnalazione – e indicò con un gesto della mano la porta. Non fece in tempo a fare nemmeno un passo nella tanto agognata direzione.

“Mercury, siediti! Immediatamente!”

Freddie alzò gli occhi al cielo, stufo marcio della situazione, ma si voltò verso Reid. Senza sedersi, ovviamente, il galletto doveva rendersi conto che dei suoi ordini a Freddie non importava un fico secco.
“La situazione è di massima emergenza. Nessuno può chiamarsi fuori stavolta, nemmeno tu”.

Quel patetico gruppo di mezze calzette vestite di spandex si girò verso di lui, e tutti lo fissarono con vari gradi di irritazione. Freddie aveva davvero voglia di incenerire tutti con un semplice movimento del polso, ma si trattenne. E solo perché tra quella improvvisata boy band c'era anche Elton, e lui non avrebbe mai volontariamente fatto del male alla sua adorata Sharon.

“Non ho mai dato il mio consenso a tutto questo! Reid, io non sono bravo a giocare in squadra” esclamò Freddie, enfatizzando per bene le sue ultime parole. Forse avrebbe dovuto capire che si era messo nel sacco da solo quando Reid, invece di recriminare, fece solo un sorriso sinistro.

“Oh, nessun problema Mercury. La missione che ho dedicato a te non prevede altro che la tua fiammeggiante personalità”.

 

*

 

“Per amor di tutto ciò che è buono e giusto, lasciami tornare indietro!”

Per quanto Freddie avesse enfatizzato, prima assertivo, poi sostenuto, poi urlando come un pazzo, che lui lavorava bene in solitaria, Reid era stato irremovibile. E per questo motivo ora si trovava nel bel mezzo del nulla, al posto del passeggero di una jeep da guerra, accanto a – rullo di tamburi: una fottuta spia! Sì, avete capito bene, una spia dell'entourage di Reid. Uno di quei tipi comuni, tranquilli e senza personalità, che però potevano ammazzarti usando una forcina per capelli.

Il tizio (che Reid gli aveva assegnato per 'tenerlo d'occhio', come se Freddie avesse bisogno di una balia) era davvero troppo giovane per fare quel lavoro.. Era un ragazzino pallido, dai capelli castani e gli occhi grigio-verdi, silenzioso come un gatto e capace, con uno sguardo, di farti sentire più insignificante di un insetto schiacciato sotto la sua scarpa. Si era presentato con un semplice 'John Deacon', e da quel momento non aveva più aperto bocca tranne che per troncare le proteste di Freddie sul nascere.
“Questa è la giusta direzione” disse infatti Deacon, John Deacon. Freddie alzò gli occhi al cielo per la centoventesima volta in due ore. Una al minuto, era un record personale.
“Sì, tesoro, ne sono consapevole. E me ne infischio, io nel fango non ci cammino. Ho addosso la mia tuta dei giorni festivi, sai com'è... si tratta di stile” commentò, lanciando nel frattempo uno sguardo disgustato al semplice outfit nero che sfoggiava il suo partner. Deacon non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

“Non serve che cammini, con quell'armatura puoi volare” sentenziò la spia, che aveva già recuperato il suo zaino dal portabagagli e si stava incamminando verso la loro destinazione, incurante del fatto che il culo di Freddie fosse ancora ben piantato sul sedile della jeep. Mercury lanciò un'occhiata incredula alla schiena di Deacon. Il ragazzino forse non aveva ben chiaro che era lui, Freddie Mercury, il supereroe qui.

Rassegnato e infastidito, Freddie si decise a levitare in aria quel tanto che bastava a non insozzarsi fino al midollo e raggiunse Deacon. La spia gli rivolse uno sguardo in tralice, sulle labbra un sorrisetto impertinente.
“Questo significa solo che non voglio lasciare un civile senza poteri in pericolo, non che te la do vinta. Chiaro, tesoro?” ci tenne a specificare Freddie. Deacon annuì due volte, piano.

“Uh uh. Come no” rispose, con una evidente dose di sarcasmo.

 

La 'missione' che Reid aveva affidato loro sembrava, in teoria, abbastanza semplice. Per recuperare la pietruzza ('si chiama gemma dell'infinito, Freddie') dovevano – com'era prevedibile – affidarsi a un potere superiore che non era a disposizione dello SHIELD. Per tutte le arie che si davano in realtà non erano attrezzati a fare un nulla, quegli sfigati di agenti segreti, e l'intero fiasco di New York solo qualche anno prima avrebbe dovuto aiutarli a riflettere sul fatto che non erano abbastanza titolati per mettersi al comando. Ma Reid – così come il gran capo Fury – non erano tipi da analisi di coscienza. Ora era Freddie a doverne fare le spese, a dover tentare il tutto per tutto con questo tipo che diceva di avere poteri magici (Freddie non ci credeva nemmeno, alla magia. Era solo scienza che ancora non era in grado di spiegare, fine del discorso). E, se tutto ciò non fosse bastato, doveva anche tirarsi dietro uno dei già menzionati incapaci di agenti segreti, il quale aveva anche un caratterino insopportabile.

Dov'era andato a finire il suo rilassante weekend?

“Il posto è questo” comunicò Deacon, e Freddie si trattenne dallo sbuffargli in faccia. Non aveva mai dubbi, il ragazzino? Tutto ciò che usciva dalla sua bocca erano dichiarazioni di fatto.

“D'accordo, tesoro, ora spostati. Lascia fare ai professionisti”.

Freddie si avvicinò alla porta di quello che, onestamente, sembrava un castello medievale in rovina, con tanto di edera rampicante che copriva interamente le mura e pietre crollate al suolo. Nemmeno la guglia aveva superato la prova del tempo, e l'intera struttura sembrava ergersi grazie ad un miracolo. Il portone era di legno ormai marcio, e Freddie valutò che sarebbe bastata una singola esplosione dei suoi repulsori per ridurla in polvere. Si posizionò quindi a circa tre metri e fece fuoco.

La porta non si mosse di un millimetro. Deacon soffocò una risatina con il palmo della mano, e Freddie gli lanciò un'occhiataccia.

“E ora, professionista?”
“E ora, chiudi il becco” ripose Freddie, che ne aveva già abbastanza. Era a dieci secondi dal mollare tutto e volare a Malibù. Tentò una seconda volta con i repulsori, ottenendo lo stesso, patetico, risultato: un nulla di fatto.
“Secondo me dovremmo...” cominciò Deacon, ma Freddie non ne voleva sapere di ascoltare la sua opinione. Era già stato sufficientemente umiliato così, e avrebbe servito al castello pan per focaccia, parola di Mercury. Si riposizionò davanti all'ingresso, abbassò l'elmetto a coprire per intero il suo volto e alzò i razzi alla massima potenza. Se non si disintegrava nel nulla così...

Prima che Freddie potesse fare fuoco, John scattò in avanti e si mise prontamente tra i repulsori di Freddie e il loro bersaglio.
“Tesoro, onestamente... che cazzo stai facendo?” eruppe Mercury, con voce falsamente mielosa. Deacon gli offrì uno sguardo di sufficienza da sopra la spalla e, senza interrompere il contatto visivo, batté tre sonori colpi contro la porta.
Freddie non aveva parole: il ragazzino aveva appena... bussato?
“Già che ci sei prova con 'apriti sesamo', caro. D'altronde stiamo parlando di stregoni, qui” lo canzonò Freddie quando non accadde nulla per un minuto intero. Deacon scrollò una spalla, come a fingere indifferenza, quando il portone fece uno stridio acuto di cardini antichi, ormai arrugginiti, aprendosi davanti a loro.
Freddie non sapeva se l'espressione più ebete era la sua o quella dell'agente. Almeno Mercury aveva la benedizione del casco a mantenergli un epsilon di dignità.

“Ha... funzionato!”. Deacon si lasciò sfuggire un sorrisetto sarcastico. Si caricò lo zaino in spalla e fece un cenno a Freddie.

“Che ne dici se entriamo, professionista?”.
Freddie ebbe l'intenso desiderio di fare fuoco comunque; la schiena di Deacon diventava un bersaglio più allettante ogni secondo che passava.

*

Appena Freddie mise piede sulla prima pietra del corridoio diroccato, accadde qualcosa. Mercury non riuscì a spiegarselo, era come se stesse... viaggiando. Ma ad una velocità talmente rapida da non rendersi conto che stesse effettivamente cambiando qualcosa. Deacon, accanto a lui, aveva un'espressione preoccupata, probabilmente a causa della medesima sensazione. Era spiacevole, e Freddie sentì lo stomaco in subbuglio. Un secondo dopo il malessere svanì di colpo, e Freddie si sentì cadere in avanti. Poi, d'un tratto, si ritrovò steso per terra, su quello che sembrava essere un pavimento in parquet. Allarmato si mise a sedere, controllando che John fosse ancora con lui. La spia si stava massaggiando la fronte, ma era ancora tutto intero.

“Dove diavolo siamo?” chiese Freddie, sperando che Deacon ne sapesse più di lui.
“Siete nella mia dimora, a New York City” rispose una voce davanti a lui.

Freddie alzò veloce lo sguardo, e alzò le sopracciglia. A quanto pareva lui e John erano piombati nel mezzo di un salone, sul fondo di una lunga scalinata in marmo bianco. Al culmine dei gradini c'era un uomo, giovane, che Freddie identificò come il mago che stavano cercando. Beh, almeno l'avevano trovato, anche se...

“New York?” chiese Deacon, anticipando la domanda di Freddie. L'uomo annuì, e il suo particolare mantello rosso svolazzò dietro di lui anche se non c'era nemmeno una brezza leggera. Curioso.

“Quando siete venuti a disturbare il mio ritiro spirituale, ho immaginato che aveste delle buone ragioni per farlo. Nevvero?” elaborò l'uomo, rivolgendo ai suoi ospiti un'occhiata severa. I due ragazzi, ancora ammassati sul pavimento, deglutirono in unisono.
“Abbiamo bisogno del suo aiuto per trovare una gemma dell'infinito” mise in chiaro John, mentre Freddie alzava gli occhi al cielo. Mercury avrebbe volentieri chiesto aiuto al mago per raggiungere Malibù più velocemente. L'uomo chiuse gli occhi con aria sofferente e, con uno schiocco di dita, li rimise in piedi.

“Allora vediamo di affrettarci. Prego, da questa parte” affermò, indicando con un gesto della mano di salire le scale e seguirlo. Freddie non si fece pregare, felice di essere tornato nella civiltà, e raggiunse l'uomo in quattro e quattr'otto.

“Quindi tu saresti il 'mago', ah? Interessante definizione che ti sei auto-attribuito. Comunque io sono Freddie, Freddie Mercury, e quello laggiù è John Deacon. Io, al contrario di te, sono uno scienziato, e in ogni caso la magia è solo una forma di scienza” sputò fuori tutto d'un fiato, squadrando il tipo dalla testa ai piedi. Era alto e slanciato, con una massa di capelli ricci lunghi fin oltre le spalle. Il tipo alzò un sopracciglio.

“Dottor Brian May. Stregone supremo” si presentò, senza smettere di camminare. Freddie affrettò il passo per stare dietro a quelle gambe così lunghe.
“Dottore in 'Arti Oscure'? Hai anche frequentato Hogwarts? Strano mantello che hai addosso... ehi, si muove! Deacon, guarda, si... ahi!”. Il mantello, infastidito da quell'ospite molesto, si difese dandogli una sonora pacca sul naso.
“Il mantello ha una sua volontà. E no, non sono un personaggio di un romanzo, grazie molte. Inoltre, sono Dottore in Astrofisica” rispose May, pacato. Freddie fece un fischio.
“Astrofisica? Impressionante. Come fai a credere ancora alla polvere di fata, allora? E un mantello non può avere una 'volontà', è impossibile che... e smettila!” Freddie dovette interrompersi per scacciare un lembo del mantello, che gli si stava attorcigliando attorno al polso. Brian fece un sospiro sconfitto.
“Parli sempre così tanto tu?” chiese retorico. Freddie fece spallucce.
“Nah, solo con quelli carini” lo provocò, con un sorrisetto sardonico. May alzò gli occhi al cielo. Non avrebbe degnato quella affermazione con una risposta.

“Benvenuti nel mio Sancta sanctorum”.
Freddie si guardò attorno, suo malgrado impressionato. Il rifugio del Dottor May sembrava un luogo d'altri tempi, pieno di libri e artefatti che non aveva mai visto in precedenza, nemmeno in fotografia. Dava l'impressione di essere un pezzo di Impero Khmer importato nella New York del ventunesimo secolo. Lo 'Stregone Supremo' (e Freddie faceva ancora fatica a trattenere una risata di scherno davanti a tale titolo, nonostante l'aver provato in prima persona i poteri magici del suddetto stregone) si mosse con precisione tra i suoi averi fino ad un'area attrezzata per gli ospiti, con un set di poltrone e un tavolino. Deacon e Freddie presero posto da un lato, il Dottor May davanti a loro. Con un gesto fece comparire tre tazze di tè, direttamente in mano ai suoi ospiti. Freddie fece un salto dalla sorpresa e, internamente, lanciò qualche improperio contro Deacon e il suo maledetto autocontrollo.

“Dunque, parlavate di una gemma dell'infinito?”
Deacon si raddrizzò sulla sedia, pronto a fare il primo della classe. Freddie alzò gli occhi al cielo.
“Sì, la pietruzza. Dobbiamo prenderla e portarla qui, sulla terra, e affidarla allo SHIELD. Nella speranza che non se la facciano rubare subito, ovviamente” sintetizzò Mercury, con aria di sufficienza. Lo stregone alzò le sopracciglia.
“Mercury ha omesso le informazioni più importanti, Dottore. Lo SHIELD ha intenzione di raccogliere le gemme, per costruire una linea di difesa contro il Titano... ci sono altissime probabilità che sia diretto qui, sulla Terra. Raccogliere la maggior parte delle gemme potrebbe essere la nostra unica possibilità, dopo la scelta di Thor di tornare ad Asgard”.
Il ragazzino terminò la sua lezioncina con uno sguardo supplicante, che sarebbe stato veramente credibile se Freddie non avesse passato 48 ore con Mr. Impassibilità. Forse doveva riconsiderare le abilità di Deacon nel suo lavoro di agente segreto. Lo stregone appoggiò la schiena alla poltrona e incrociò le mani davanti al viso.
“Ricercare i misteri dell'universo è una scelta pericolosa. L'universo potrebbe contrattaccare. Alcuni segreti è bene che rimangano tali” sentenziò May, guardando i suoi ospiti con uno sguardo penetrante. Freddie non poté non notare che aveva degli occhi bellissimi, di un nocciola intenso.
“Le parole di un codardo” rispose Deacon, con uno sbuffò leggero. Gli occhi bellissimi si spalancarono, fissandosi sulla spia.
“Le parole di qualcuno che vivrà molto più di voi, se continuerete a perseguire questo folle proposito” ribatté senza perdere un colpo. L'espressione di Deacon si irrigidì, chiaramente non contento della risposta. Probabilmente non voleva deludere Reid, che aspettava allo SHIELD, tranquillo e al sicuro tra le protezioni della base. Per Freddie, invece, le parole dello stregone erano la miglior notizia della giornata.
“Beh, hai sentito Houdini! Non si può aprire un buco nello spazio, niente pietruzza, Reid dovrà rassegnarsi. Forza, tesoro, lasciamo lo 'stregone' ai suoi incantesimi. Dottor May, è stato un piacere e ci scusi per il disturbo” Freddie si alzò in piedi, mentre la sua mente già calcolava la traiettoria migliore per volare a Malibù entro fine serata. Forse qualcosa del weekend si poteva ancora salvare.

Deacon però non sembrava pronto a dichiarare la missione un fallimento, perché si avvicinò allo stregone.
“Dottor May, dovrebbe ripensarci. Il Titano sta raccogliendo le gemme per sé... e lei, Stregone Supremo, ne ha una attorno al collo”.

Freddie, che era già ad un passo dalla porta d'ingresso, girò sui tacchi per fissare la scena. Non riusciva a credere all'insolenza del ragazzino... aveva appena minacciato l'autoproclamato 'Stregone Supremo'? Mercury sentì le labbra stirarsi in un sogghigno divertito, il ragazzino aveva fegato.
Il Dottor May dal canto suo si era limitato a guardare Deacon dall'alto della sua impressionante altezza.
“Stia certo, signor Deacon, che sono perfettamente in grado di badare a me stesso e alle mie proprietà. Se non le dispiace, quella è la porta”.
Beh, la spia aveva avuto la sua risposta. Non che Freddie ne fosse particolarmente dispiaciuto, per ovvie ragioni. Prossima destinazione... Malibù.

Ultime parole famose.

Lo Stregone Supremo aveva appena finito di parlare che l'intero Sancta sanctorum fu scosso da un terribile boato.
“Cos'è stato?”
John, il primo a riprendersi dallo shock, stava già correndo verso il luogo colpito dall'esplosione, che era stata di una magnitudine tale da creare una voragine sul muro del Sancta Sanctorum. Freddie abbassò la visiera del elmetto e preparò i repulsori: una deflagrazione così non arrivava mai sola. Infatti, come a dargli ragione, dall'apertura entrarono tre alieni, due dei quali erano sicuramente dei Chitauri, la stessa razza che Freddie aveva già avuto il dubbio piacere di combattere qualche anno prima. Senza una parola, Mercury si alzò in volo per avere una mira migliore e fece fuoco.
“Mercury, dobbiamo allontanarli da qui!” gridò Deacon, che aveva estratto le sue pistole ed era impegnato a prendere a calci il terzo alieno, quello che sembrava essere al comando della brigata. Freddie rispose con un cenno di assenso, era d'accordo con la spia. Più fossero stati lontani dalla gemma dell'infinito del Dott. May, meglio sarebbe stato per tutti.
“Allontanatevi, ora!” tuono in quel momento lo stregone, e Mercury fece appena in tempo a togliersi di mezzo che tre fasci di luce dorata colpirono in pieno gli alieni, immobilizzandoli. Freddie era già pronto a festeggiare quando il leader della squadra estrasse un aggeggio mai visto prima dalla razza umana e, in pochi secondi, liquefò le spire magiche che lo tenevano ancorato a terra.
“Stregone... quello è normale?” si premurò di chiedere Mercury, quasi soddisfatto di far notare una falla nel mumbo jumbo di May.
“Non ho mai visto una cosa simile prima d'ora” mormorò Brian, sconcertato.
“Beh, non state lì impalati!” sbraitò John, che con una mossa da acrobata del Cirque du Soleil si piazzò a mo' di scudo umano tra i loro avversari e lo Stregone supremo. Nel frattempo anche gli alieni gregari avevano sfoderato i loro personali aggeggi sciogli-tutto, e sembravano pronti a riprendere la battaglia. Freddie fece un ghigno da dietro la sua visiera, e azionò i repulsori.

Ora si faceva sul serio.


 

 

A Freddie avevano affidato uno dei Chitauri, grande come un armadio e resistente a tutto. Era almeno un'ora che Mercury lo colpiva con la potenza massima dei suoi laser ma quello, miracolosamente, era ancora in piedi. Con la coda dell'occhio Freddie verificò che le cose non si stessero mettendo male per i suoi compagni di squadra: il Dottor May stava tenendo a bada egregiamente il suo Chitauro, ma era una sfida alla pari. Tutte le diavolerie fatate che Brian lanciava verso l'alieno, questo le neutralizzava con lo sciogli-tutto. Alla sinistra di Mercury, John era impegnato in un corpo a corpo senza esclusione di colpi con il leader della banda, anch'esso munito di aggeggio malefico. Freddie rimase senza parole dalla tecnica di combattimento della spia. Quelle cosce erano letali, letteralmente.

Distratto dai combattimenti dei suoi alleati, Freddie non si accorse che il suo Chitauro era riuscito a metterlo sotto tiro del suo sciogli-tutto.

“Mercury, attento!”

Deacon si gettò verso di lui, pronto a spingerlo fuori dalla traiettoria. Allo stesso tempo May fece uno strano movimento con le mani e davanti a lui comparve un cerchio dorato, che lo stregone lanciò contro l'alieno armato.
Freddie sapeva quale effetto fosse quello del cerchio magico, ma non era certo di potersi fidare troppo di questa fantomatica 'magia'. E certamente non ci avrebbe scommesso la vita di Deacon, per quanto il ragazzino fosse per lui letteralmente una palla al piede. Diede potenza ai jet e fece un salto, parandosi tra Deacon e l'arma pronta a sparare, deciso a prendere di petto l'attacco. Quello che non si sarebbe mai aspetto era di entrare, di testa, nel cerchio magico di May.

Nemmeno i repulsori furono in grado di spararlo fuori dal portale e, in un secondo, il cerchio si chiuse, portando Fahrenheit con sé.
Deacon avrebbe volentieri mollato la battaglia per inseguire il supereroe che gli era stato affidato, ma non c'era tempo per meditare sulla sorte di Mercury. Al momento aveva altre priorità, come ad esempio aiutare il Dottor May a liberarsi degli assalitori. Cercando di non distruggere mezza New York nel frattempo. Dio, John non sapeva quando la sua vita si fosse trasformata in uno sci-fi di serie B, ma gli mancava il suo 'semplice' lavoro di agente segreto contro la criminalità organizzata. Con un sospiro nostalgico John tirò fuori le sue pistole e si gettò nella mischia, riuscendo a colpire uno degli alieni in mezzo agli occhi, e ferendo un secondo alla gamba. Lo stregone supremo, intanto, aveva efficacemente bloccato il terzo alieno a terra, gli arti della creatura legati insieme da fasci di energia. In pochi minuti i due, spinti dalla disperazione, ridussero gli alieni alla sottomissione.

 

“Ho allertato lo SHIELD. Arriveranno a ripulire la zona” disse Deacon, rivolgendosi al Dottor May. Lo stregone aveva recuperato il suo mantello e si guardava attorno, assorto, con una mano attorno al suo ciondolo che conteneva la gemma dell'infinito.
“La minaccia è più vicina di quanto mi aspettassi” commentò May, e Deacon sentì un briciolo di soddisfazione. Forse ora lo Stregone supremo avrebbe acconsentito a collaborare con loro. Ma prima...

“Beh, ora puoi riportare qui Mercury. Fahrenheit sarà utile in una battaglia contro l'ignoto” disse John, guardando speranzoso verso May. Il riccio fece una smorfia che non faceva presagire nulla di buono.

“Ecco, riguardo Mercury... temo che la situazione sia un po' più grave del previsto” cominciò, passandosi una mano tra i ricci scomposti. Deacon deglutì a vuoto.

“Nel senso?” chiese, allarmato. May si schiarì la gola.
“Potrei... potrei averlo spedito via. Via... nello spazio” confessò in un sussurro. John, onestamente, dovette prendersi un secondo per assorbire la notizia.

“Che cazzo vorrebbe dire, 'nello spazio'?” esclamò, non riuscendo a trattenere una nota di isteria nel suo tono, di solito perfettamente controllato.

“Esattamente quello che intendo, cioè lo spazio! Cosa c'è da fraintendere nella parola spazio?” ribatté May, ma anche lui sembrava più nervoso che arrabbiato. Inoltre, John sapeva che urlarsi addosso non avrebbe risolto nulla. Chiuse gli occhi e contò fino a dieci. Per due volte.

“Okay, va bene. Puoi rintracciarlo?” chiese, il 'vivo' alla fine della frase sottinteso ma pregnante. Sperava solo che Mercury fosse abbastanza fortunato da capitare in un luogo provvisto di ossigeno, sufficiente a mantenerlo in vita fino all'arrivo dei soccorsi. Come fosse possibile trovare ossigeno nell'universo... John preferì non soffermarsi sulle implicazioni. Meglio concentrarsi su qualcosa di operativo.
“Posso tentare di leggere i residui energetici che ha sicuramente lasciato nel momento in cui è passato attraverso il portale interdimensionale. Ho lo strumento adatto nel sancta sanctorum. Andiamo, non c'è un minuto da perdere!”

Il dottor May fece dietrofront e si avviò verso il suo laboratorio, con Deacon che lo seguiva a ruota. John finse di aver capito di che diavolo lo stregone stesse parlando, ma non aveva altra speranza se non affidarsi a May per ritrovare Fahrenheit tutto d'un pezzo.
Cercò di non pensare alle grida di Reid nell'ipotesi di un suo ritorno allo SHIELD... senza gemma e senza Mercury.

 

*


Freddie poteva dire con certezza che non era un fan del teletrasporto. Dopo averlo provato per due volte nell'arco di una sola giornata gli sembrava di aver fatto un giro in una centrifuga da laboratorio, o un round contro Hulk, ed era convinto di avere lo stomaco al posto delle ginocchia.
Maledetta magia.

“Woah! Ehi bello, da dove diavolo sei sbucato?”
Oh, favoloso. A quanto pareva la brutta copia di Gandalf l'aveva spedito in un luogo abitato. Ora avrebbe anche dovuto giustificarsi per una apparizione fuori programma. Per fortuna Freddie aveva addosso l'armatura di Fahrenheit; quella era una garanzia di buone intenzioni, e gli avrebbe evitato spiacevoli conseguenze... o almeno sperava.
Freddie fece per alzarsi in piedi, ma non ne ebbe l'occasione.
“No no, amico, stai fermo dove sei o ti apro un buco in mezzo agli occhi”.
Freddie, saggiamente, decise di rimanersene zitto e buono sul pavimento, cercando di analizzare quanto pessima fosse la sua situazione. La superficie dove si era spiaccicato, cadendo a peso morto dal cerchio magico del Doc May, era metallica; probabilmente si trovava in un veicolo, un camion considerando l'ampio spazio di manovra, o un aereo. No, forse un aereo no... May non era un tipo così sconsiderato da spedirlo in aria aperta, giusto?
“Okay, uh. Primo, chi cazzo sei? Secondo, come cazzo sei arrivato qui? Anzi, no, ripensandoci: rispondi prima alla seconda domanda”.
Il suo non entusiasta ospite aveva, se Freddie doveva essere sincero con se stesso, posto delle domande ragionevoli per qualcuno che si era visto comparire davanti una persona letteralmente dal nulla. Tuttavia, la sua precedente minaccia di sparargli addosso non andava presa alla leggera. Freddie era comunque abbastanza sicuro che il possessore di quella voce, acuta e rauca allo stesso tempo, fosse l'unica persona presente nel veicolo. A parte la sua voce Mercury poteva sentire solo il ronzare di quelli che aveva identificato essere motori, probabilmente molto potenti ma anche datati. Lentamente Freddie alzò le braccia sopra la testa e aprì le mani, per mostrare che non era armato. Beh, ad essere sinceri i repulsori su i guanti erano molto più efficaci di qualunque tipo di arma da fuoco disponibile sul mercato, ma non era il caso di comunicarlo al chi lo stava tenendo sotto tiro.

“Tesoro, cerchiamo di calmarci okay? Non ho chiesto io di essere spedito qui, onestamente non so nemmeno dove sia 'qui'. Prima di fare le presentazioni, potrei alzarmi? Non sapere che faccia ha il mio interlocutore mi lascia irrequieto...”.
Freddie prese il silenzio del suo 'ospite' come un assenso, e lentamente si issò in piedi. Fissò lo sguardo nella direzione da cui proveniva la voce e spalancò gli occhi.

Era un ragazzo, sicuramente di qualche anno più giovane di lui, con capelli biondi, disordinati, e brillanti occhi blu. Portava una tuta futuristica e aveva in mano una pistola dalla foggia mai vista, almeno da Freddie. Mercury non poté non notare che era davvero bellissimo.

“Okay, ora che sei in piedi... mi dici chi cazzo saresti?”

Il perfetto stereotipo del principe azzurro che impreca come un marinaio. E Freddie che pensava di averle viste tutte... comunque sia, quella domanda era un insulto! Freddie indossava la sua armatura dopotutto.
“Beh, tesoro, non so dove tu abbia vissuto fino ad oggi ma dovresti riconoscermi. Sono Fahrenheit” si presentò Freddie, allargando le braccia per mostrarsi in tutta la sua potenza. Il ragazzo inclinò la testa di lato, mentre sul suo bel faccino si dipingeva un'espressione confusa.
“Uh... dovrebbe dirmi qualcosa?” chiese, e la domanda era stata posta con tono così innocente che Freddie era addirittura tentato a credergli. Ma era impossibile che non l'avesse mai visto prima, giusto? Fahrenheit e le sue imprese erano su tutti i notiziari una volta ogni due giorni...
“Fahrenheit, tesoro. Freddie Mercury. Miliardario, genio, playboy, filantropo, salvatore del mondo più di una volta? Padrone delle Mercury Industries? Uno dei più potenti eroi della Terra?” tentò Freddie, elencando i vari titoli di cui era orgoglioso di fregiarsi. Il ragazzo, che non dava segni di riconoscimento, ebbe una scintilla di comprensione alla parola 'Terra'.
“Aaah, ora è tutto più chiaro” sorrise, sfoggiando dei denti bianchissimi. Freddie aggrottò le sopracciglia, senza capire. Il biondo mise da parte la pistola, probabilmente avendo deciso che Freddie non era una minaccia, e fece segno a Mercury di avvicinarsi.
“Certo che sei lontano da casa tua, ah?” commentò, indicando con un gesto la poltrona accanto a quella dove stava seduto. Freddie aggrottò la fronte, confuso.
“In che senso? Quell'idiota di un mago mi ha spedito fuori dagli Stati Uniti?” chiese, sedendosi con eleganza sul posto offertogli. Sentiva un vago senso di malessere, come se ci fosse un enorme malinteso di cui non aveva ancora colto le implicazioni più importanti. L'espressione di compassione sul viso del biondo non lo aiutava certo a tranquillizzarsi.
“Uhm. Non so come dirtelo, ma temo che ti abbia spedito fuori... dal pianeta”.
Il biondo indicò con un dito quello che Freddie pensava fosse il parabrezza del veicolo, invitandolo a guardare fuori. Freddie girò la testa e.... cacciò un urlo.
Davanti e attorno a lui c'erano... galassie. Stelle. Nebulose.
Si trovava in una cazzo di astronave!
Freddie voltò la testa verso il biondo, che lo stava guardando con un sorriso imbarazzato. Poi prese un lungo sospiro. E poi esplose.

“QUELL' IDIOTA MI HA SPEDITO NELLO SPAZIO?!”

 

*

 

“Ho una corrispondenza”.
John, stravaccato sul divano di fianco a Brian, si limitò ad alzare pigramente la testa.
“Il disco si è aperto nella galassia Sestante A, all'incirca 4 milioni di anni luce dalla Terra. Ora dobbiamo solo sperare che Mercury non si sia mosso da lì” continuò il Dottor May “... e riportarlo indietro”. Più facile a dirsi che a farsi.
Oh, finalmente qualcosa di operativo. John si alzò in piedi in un istante, la sonnolenza che l'aveva intorpidito ormai svanita.
“Ottimo, che aspetti? Portalo sulla Terra!” esclamò la spia, rinfrancata. Sperava che quell'armatura ipertecnologica avesse anche una riserva speciale di ossigeno, per il bene di Mercury... e per il suo.
“Purtroppo non è così semplice. Ad una distanza così elevata sarà necessario andare di persona” comunicò Brian, che si era già spostato nel centro della stanza.
“Ok allora, che stiamo aspettando?” ripeté Deacon, a cui un viaggio fuori programma nello spazio profondo non faceva né caldo né freddo. Brian alzò le sopracciglia, impressionato.
“Ci vorrà solo un momento” mormorò, alzando i palmi delle mani aperte verso John. L'Occhio di Agamotto si illuminò di una luce dorata, che si dispose in un cerchio perfetto attorno allo Stregone e al suo compagno di viaggio. Un secondo dopo il cerchio si chiuse, lasciando il Sancta Sanctorum deserto.


 

'Gli umani sono strani' pensò Roger, intento ad osservare come quell'ospite capitatogli letteralmente dal nulla stesse dando sfogo alla sua frustrazione, sbraitando come un ossesso contro spie, pietruzze e quella maledetta magia.
“Uhm... posso offrirti qualcosa?” provò ad attaccare discorso Roger, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di farlo smettere, non esclusa l'opzione di espellerlo dall'astronave. Dio, era una vera lagna.
“No tesoro, grazie dell'interessamento. Ma a meno che tu non abbia un po' di polvere di fata o, meglio ancora, una macchina per il teletrasporto che ti avanza... non puoi offrirmi nulla che mi serva!” Freddie, che aveva cominciato la frase con un tono melenso, la terminò con un grido. Roger digrignò i denti. Poteva capire che trovarsi dall'altra parte dell'universo rispetto a casa fosse quantomeno destabilizzante, ma perché quel tipo se la stava prendendo con lui?
“Aspetta solo un minuto...” Freddie, improvvisamente calmo, si girò verso Roger con un luccichio speranzoso negli occhi. Roger deglutì in sonoro, non gli piaceva quello sguardo.

“... tu hai un'astronave!”. Mercury fece un giro su se stesso, aprendo le braccia. “Quanto veloce può andare questa bellezza?”.

E no. Questo era troppo.

“No, no e poi NO! Non porterò Alfa fino alla Via Lattea, è fuori discussione!” chiarì Roger, con la grazia che lo caratterizzava: pari ad un elefante in un negozio di cristalli. Freddie alzò un sopracciglio.
“Alfa?” domandò confuso.
“Alfa Romeo III, per la precisione” sbottò Roger, che alla sua astronave ci teneva come fosse la sua bambina.
“Alfa Romeo... come la macchina?” Nah, Freddie si strava sbagliando, non poteva essere.
“Come la macchina, sì” pronunciò Roger, scandendo bene le parole come si fa con qualcuno particolarmente lento di comprendonio.
“Ma perché?”. Secondo Freddie, era una domanda legittima.
“Perché no?” Roger rispose alla domanda con una domanda, gli occhi assottigliati con aria di sfida. Anche solo una parola contro Alfa, e Freddie vinceva un biglietto di sola andata per l'espulsione.
Il supereroe sbatté le palpebre. Detta così aveva una sua logica.
“Beh, in ogni caso tesoro... accendi i motori della bimba, perché il viaggio è lungo!” esclamò Freddie, decidendo di ignorare bellamente le recriminazioni del biondo. Roger sentì le mani pizzicare dalla voglia di prendere il moro a schiaffi.
“Cosa ti sfugge del concetto 'non se ne parla'?” chiese il biondino, nascondendo l'irritazione dietro un sorriso melenso. Freddie incrociò le braccia al petto.
“A meno che tu non voglia avere un passeggero clandestino a bordo della tua preziosa Alfa, devi riportarmi sul mio pianeta” argomentò Mercury con veemenza. Non c'erano altre opzioni.
“Posso sempre spararti fuori”.
Ecco, a quella opzione Freddie non aveva pensato.
“Non puoi farlo! Non sarebbe un comportamento da eroe. Gli eroi” Freddie enfatizzò per bene la parola, “aiutano le persone in difficoltà”.
“Io sono un ladro” ribatté Roger senza perdere un colpo. Non l'avrebbe davvero condannato a morte per espulsione ovviamente, non era un mostro. Però vedere lo stato di panico dell'umano era la cosa più divertente che gli fosse capitata da un bel po'.
“Tesoro, ascoltami bene. L'intero universo è in pericolo, e io...” Freddie non fece in tempo a finire la frase. Davanti agli sguardi stralunati dei due litiganti si aprì un cerchio di luce dorata.

 

“Freddie! Grazie al cielo...”. John tirò un sospiro si sollievo al vedere il supereroe vivo e vegeto.
“Dove ci troviamo?” chiese Brian, guardandosi intorno incuriosito.
“Fantastico. Altri umani” sbuffò Roger. Quella, chiaramente, non era giornata. I nuovi arrivati si girarono verso di lui, e Deacon strabuzzò gli occhi. Un ragazzo così bello non l'aveva mai visto.

“E tu chi saresti?” domandò Brian, un po' sospettoso. Roger sbuffò per la seconda volta.
“Dovrei essere io a chiederlo. Comunque, sono Star-Lord”, rispose Roger, gonfiando il petto con orgoglio.
“Star-Lord” ripeté Brian, interdetto. “E un nome normale non ce l'hai?”. Roger fece una smorfia, umani e pure antipatici. Tutte a lui le fortune.
“Simpatico. Sì, Roger Taylor” si decise a rispondere, squadrando l'uomo dall'alto al basso. Il riccio inclinò il capo a mo' d'inchino.
“Dottor Brian May, Stregone supremo” si presentò, allungando una mano verso il biondo.
“E poi insulti il mio nome d'arte... da che pulpito” borbottò a mezza voce Roger, che ignorò completamente il braccio steso verso di lui. Brian decise di non raccogliere la provocazione.
“E tu invece?” chiese Roger, rivolto all'ultimo membro di quella bizzarra compagnia. John, nell'avere quegli occhioni blu puntati su di lui, sentì le guance diventare di fuoco.
“John... John Deacon” balbettò, in uno sfoggio di timidezza totalmente fuori carattere. Roger ghignò, ben cosciente di quello che stava succedendo, e fece spettacolo nel dare alla spia una squadrata dalla testa ai piedi.
“Carino” commentò, facendo diventare il povero John rosso come un peperone, “Alter-ego? Sembra che tutti ne abbiate uno” chiese poi, per poter continuare a parlare con quel ragazzino così interessante.
“Non farti ingannare dalle apparenze, tesoro” si intromise Freddie, “questo tipo è un agente segreto. Un assassino letale. È per questo che l'abbiamo soprannominato... Cobra reale!” sputò fuori, dicendo il primo animale pericoloso che gli era venuto in mente.
“Cobra reale?” ripeté Roger, senza riuscire a trattenere una risata. Ma che cacchio di nome era?
“Cobra reale?” chiese John stesso, stupefatto e un po' offeso. Ma che diavolo?
“Beh, perché sei veloce e pericoloso, e hai la lingua biforcuta” difese la sua proposta Freddie, con pochi argomenti ma tanta convinzione.
“Se è per questo, preferisco... Vedova nera” affermò John con un sorriso sardonico dipinto sulle labbra. Nessuno, davanti a quell'espressione, ebbe il coraggio di commentare.
“Uhm... ora che tutti abbiamo un nome accettabile, potremmo...” cominciò Brian, schiarendosi la gola. Non ebbe occasione di dire nulla di più.

“TU! Razza di incompetente! Mi hai spedito in un'altra GALASSIA!” esclamò a quel punto Freddie, puntando un indice accusatorio verso lo Stregone che ebbe la decenza di arrossire.
“A voler essere precisi, non avevo intenzione di mandarci te...” mugugnò, poco convinto. Freddie gli ringhiò contro.
“Aspetta un secondo. Quindi basta un semplice 'abracadabra' da parte tua e... puff, ve ne tornate da dove siete venuti?” chiese Roger, sollevato di non dover più scarrozzare Freddie dall'altro lato dell'universo.
“Sono costernato, ma dovremo approfittare ancora della tua squisita ospitalità” rispose Brian con una buona dose di sarcasmo. “Aprire un varco nello spazio per due persone fino a Sestante A ha prosciugato le mie energie, e l'Occhio di Agamotto non può funzionare senza l'impulso del portatore”.
“Galassia Sestante A... l'ho già sentita” mormorò a qual punto Deacon, assorto. Ignorando gli sguardi confusi dei tre ragazzi, la spia estrasse da una tasca invisibile il suo tablet, borbottando a mezza voce.
“Aha! Avevo ragione!” esclamò dopo pochi minuti John, brandendo il tablet come fosse l'ultima scoperta del secolo, “siamo vicinissimi all'ultima posizione registrata della Gemma del Potere!”. Era fantastico, sarebbero riusciti a recuperare un'altra gemma. Reid sarebbe stato soddisfatto.
“Un'altra pietruzza? Dio, sono ovunque” si lagnò Freddie, che aveva ufficialmente accetto il fatto che il suo weekend a Malibù era andato a farsi benedire. Quella giornata era iniziata male, e stava proseguendo sempre peggio.
“Sì! Se inseriamo le coordinate nel sistema di navigazione dell'astronave...”

“Alfa Romeo III” recitarono in coro Roger e Freddie. John si interruppe, e storse il naso.
“Perché...”
“Alfa Romeo come la macchina, perché !” tuonò Roger, che di questi ospiti molesti aveva le scatole piene già da un po'.
“...III?” chiese titubante John. Il biondo aveva un carattere esplosivo, ma la cosa alla spia non dispiaceva affatto.
“Non vuoi sapere che fine hanno fatto I e II” commentò Roger con una smorfia. Per quanto amasse le sue astronavi, non poteva dire di averle sempre trattate con il riguardo che meritavano. Deacon decise saggiamente che non voleva sapere.
“Uhm. Se inseriamo le coordinate nel sistema di navigazione di Alfa Romeo secondo i miei calcoli non dovremmo metterci più di mezza giornata. Questo dipende da quanto possiamo andare veloci, ovviamente, dalla quantità di carburante e...” riprese John, eccitato. Forse questa missione non si sarebbe trasformata in un completo disastro.

“... e dalla effettiva volontà del capitano di volerci andare, da questa fantomatica gemma” terminò Roger, piccato. John chiuse la mascella con un suono secco.
“Ma... dobbiamo farlo. Il destino dell'universo dipende da questo! Da noi!” spiegò John. Con suo grande rammarico, non riuscì a dare alle sue parole il solito tono assertivo che non ammetteva repliche. Ogni volta che incrociava quegli occhioni magnetici sentiva lo stomaco riempirsi di un turbinio di farfalle.
“E poi è nostro dovere. Siamo eroi!” si intromise Freddie, con una posa drammatica a coronare le sue parole intrise di sentimento. Roger sbatté le palpebre, più volte. Erano seri?
“Ora ne ho abbastanza! Tutti gli umani, fuori dalla mia astronave!” sbraitò, infuriato oltre misura. Il destino dell'universo dipendeva da questi tre? Allora erano già spacciati.
“Ma... non sei umano anche tu?” fece notare Brian, che non perdeva mai l'occasione di sfoggiare la sua pignoleria. Roger si zittì, riflettendo sul fatto che la sua madre umana lo faceva rientrare, almeno parzialmente, nella categoria.
“Tutti i terrestri, fuori dalla mia astronave” concesse, rivolgendo al terzetto il miglior sorrisetto sarcastico del suo repertorio.
“Oh, non essere ridicolo tesoro! E poi, cosa ti costa?” recriminò Freddie, mettendo il broncio. Roger si limitò a lanciargli uno sguardo inflessibile.
“Noi... è davvero importante” disse John in un sussurro.

Roger squadrò i tre tizi che gli avevano invaso l'astronave, e i loro sguardi speranzosi e supplicanti. Capaci di percorrere milioni di anni luce in un secondo. Pronti a mettere in pericolo le loro vite per il bene superiore. Se ne sarebbe pentito, già lo sapeva, ma non poteva negare loro il suo aiuto.

“D'accordo, avete vinto! Datemi quelle maledette coordinate” sbuffò, maledicendo internamente il suo buon cuore. Si finse infastidito dalle esclamazioni di gioia dei suddetti eroi, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Strambi, gli uma-terrestri, ma in fondo non erano così male.
“Posso sedermi qui?” chiese John, indicando la sedia accanto a Roger. Il biondo annuì, offrendogli un sorriso smagliante. John avvampò per la terza volta.
“Dobbiamo scegliere un nome” proclamò Freddie, che aveva preso possesso della terza poltrona disponibile.
“Un nome? Di cosa?” chiese Brian, appollaiato sul bracciolo di Freddie.
“Basta che non lo scelga Roger” dichiarò John, con un sorriso furbetto diretto al biondo.
“Oi, calmino, che il timone ce l'ho io” finse di minacciarlo Roger, tradendosi con una risata.
“Smettetela di flirtare, voi due, e pensate ad un nome per il gruppo! Deve essere qualcosa di potente, capace di rappresentarci” li richiamò all'attenzione Freddie con uno schiocco di dita.
“Con la tua inclinazione per il melodramma, direi 'le donzelle'” propose Brian, ironico. John soffocò una risata con il palmo della mano.
“Pff, Brian, non siamo semplici popolani. Come minimo 'le duchesse'” gli tenne bordone Roger, che suo malgrado di stava divertendo un mondo.
“Perché non 'le regine'?” chiese Freddie, assorto. Brian rise, ma la sua allegria si smorzò presto quando si accorse che Mercury non stava scherzando.
“Le regine? Sei serio?” borbottò Roger. Non era affatto convinto.
“E' maestoso, regale e spudorato. È perfetto!” esclamò Freddie, entusiasta. Brian e Roger si scambiarono uno sguardo esasperato.
“Queens, come il quartiere? E' un po' forviante” commentò John, storcendo il naso. Lui era un orgoglioso uomo di Brooklyn.
“Allora Queen, al singolare. Suona ancora meglio!”.
Non c'era molto da fare quando Freddie si impuntava su un'idea, se non dargli ragione.
“E Queen sia” decretò Brian. Un miliardario dall'armatura ipertecnologica, uno Stregone con una gemma dell'infinito, una spia capace di uccidere con una forcina per capelli e un mezzo-alieno con un'astronave. Strano assortimento, ma poteva funzionare.
“Signori, siamo pronti a partire” disse Roger, facendo ruggire i motori di Alfa. Freddie si alzò in piedi con un sorriso smagliante.

 

“Ho sempre sognato di poterlo dire... Queen: Assemble!”
 

   
 
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