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Autore: Rei Ryugo    19/02/2020    0 recensioni
Sequel di "PSMD: le Cronache dell'Oricalco. Secondo atto: il Crepuscolo."
Team Skyraiders; team AWD; team Malia. Il tridente d'esplorazione del Centosettantesimo anno del Drago si sono riuniti nel team Oricalco, capeggiato all'unanimità dall'eroe di Brusilia Oryugo Rukio.
Gli abitanti di Crillaropoli e la salvezza di Elliot Dandelion, l'eroe di Borgo Tesoro, così come il destino del pianeta, sono nelle loro mani. Sul loro cammino, la banda criminale che detiene il predominio nell'ombra della Terra dell'Erba: le Kuroi Kiba. L'esito dello scontro può finire solo in due modi: un bagno di luce sotto le sfumature del tramonto, o un bagno di sangue tra le fauci nere di Kurokiba Sobek, un mostro nato dalla paura e dal rinnegamento.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Grovyle, Lucario
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Super Pokèmon Mystery Dungeon: Le cronache dell'Oricalco'
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cap 40

sonno bianco
e bagno di lenzuola -
è una palude


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Bentornato, mio caro lettore. Perdona la lunga pausa, ma era necessario un piccolo segmento di spazio per la mia persona reale e quella autorale, affinché questa parte di storia potesse essere narrata nel migliore dei modi. Lo so che non vedi l'ora di rientrare subito nel vivo della faccenda, dopo tutto quello che ho lasciato in sospeso la volta scorsa. Tuttavia, è necessario che facciamo un passo indietro, affinché niente, in futuro della nostra lettura, possa essere dimenticato. 

************************

Mare profondo: un bagno caldo, immerso in uno specchio d'acqua. La luce danzava in superficie, creando contrasto con il fondo nero ricolmo di oscurità. Il paesaggio era annebbiato, sfumato dal dolore e dalla consapevolezza della sconfitta: un'inguardabile faccia di palude. Inconsciamente, egli sperava che la sensazione che stava provando il suo corpo, al contatto con quell'acqua, non fosse in realtà quella del suo sangue, versato fatalmente quel pomeriggio nel villaggio di Crillaropoli. 

Barcollando ed ondeggiando, come un ubriaco che avanzava senza avere una dritta meta, attraversava una strada grigia, su un pavimento di pietra dalle rocce poligonali. Nonostante la loro superficie tagliente, egli non sentiva alcun dolore nel camminare su di esse. I suoi piedi erano talmente stanchi e doloranti che in quel momento avrebbero persino potuto staccarglieli, e lui non se ne sarebbe accorto. 

L'equilibrio lo abbandonò, facendolo cadere in un nero precipizio. Tutto intorno a lui divenne nero, oscuro come la pece. Ancora inebriato dalla sensazione precedente, non aveva abbastanza forze per rendersi conto del vuoto intorno a lui. Si sentiva male; gli girava la testa; aveva la nausea; si sentiva come sul letto di paglia, dopo una sbronza con qualche bicchiere di Talisker Storm, nella sua solitudine. Solo dopo qualche minuto, finalmente, la luce tornò nei suoi occhi, riportando finalmente la sua anima verso il mondo dei vivi, nella sua realtà. 

Centosettantesimo anno del drago. Ore 22.00. Luogo: Antro della Bestia. Sesto piano: Arena. Sdraiato sulla seconda tribuna, Rex si risvegliò dallo svenimento, confuso e disorientato. Era coperto da un leggero telo bianco di stoffa rovinata, molto probabilmente datogli per evitare un eccessivo raffreddamento del corpo, visto lo scomodo luogo di recupero. 

- Sei sveglio, finalmente.

Seduto nella tribuna sottostante, con un drappo bianco sulle proprie gambe, sentì la voce di Paride, il suo collega sottotenente. Egli si era ripreso un po' un'ora prima, rimanendo però nel medesimo stato di spossatezza. Tale era stata la gravità delle ferite infertogli, durante quello scontro nella grande piazza di Crillaropoli. 

- P-pari... de? - Chiese il Krokorok, ancora stordito.

Il pokémon Lamaffilata rimase fermo, senza voltarsi verso il paziente appena sveglio. Questo provò a rialzarsi da terra, sollevando il busto con la sola forza degli addominali, ma non riuscì a muoversi di un millimetro, nonostante fosse abituato a tale movimento. Provò ad usare le braccia, facendo piano piano, riconoscendo il suo stato indebolito, ma fallì anche con l'utilizzo degli arti, arrendendosi alla sua condizione ferita.

- Non sforzarti, - disse il Pawniard, - in questo momento, sei più vicino ad un escremento, che ad un pokémon. Beh... non che in salute tu sia qualcosa di meglio.

- Vai... all'inferno. - rispose il coccodrillo, arrendendosi al pavimento. 

Sebbene stesse giacendo sulla pietra, sulla sua schiena sentiva la sensazione del suo amato letto di paglia: non troppo morbido, ma caldo e profumato. Nonostante il pericolo di morte fosse stato scampato, i suoi muscoli si sentivano come dei budini, flaccidi e traballanti, incapaci di sostenere alcun peso. L'unica cosa che poteva fare in quel momento era pensare, e lasciare che il corso della natura facesse il suo effetto sulle sue membra. 

Nel suo scombussolamento, provò a ricordare i momenti precedenti al suo risveglio. Perché era in quello stato? Cosa aveva fatto di così pericoloso per ridursi a brandelli, a tal punto di non poter neanche più rialzarsi? Più ci pensava, più il mal di testa non faceva altro che aumentare. Non avrebbe combinato niente, se avesse fatto tutto da solo. Si arrese completamente alla sua condizione, chiedendo aiuto al compagno.

- C-cosa... è successo? - Fece Rex a Paride.

Il Pawniard non rispose subito all'appello. Mentre la sua voce parlava nel mondo reale, la sua mente era altrove, fissa come un morbo in quegli attimi passati nella piazza del villaggio. Nei suoi pensieri, il volto crudele del Frogadier occupava ancora la sua anima, assieme a quelli dei suoi compari feriti e distrutti con un semplice pugnale nero. Prima del buio riuscì ad intravvedere l'immagine dei corpi nel bagno di sangue, così come il sottile ghigno del ninja acquatico, un momento prima di perdere completamente le forze.

- Lui... ci ha annientato, - rispose infine il pokémon Lamaffilata, con un profondo tono di sconfitta.

Rex dovette impiegare qualche secondo, prima di capire appieno le parole del suo compagno. Osservò il suo volto, alla ricerca di una risposta. Un'espressione dura, iraconda e cupa: il segno di una sconfitta reale e tangibile.

- Quella... ranocchia?

Paride strinse con forza le sue mani l'una con l'altra, incendiando il suo volto con lineamenti di rabbia. 

- Già... quel lurido Frogadier... 

Il Krokorok non avrebbe mai immaginato, che quella rana, quella sensibile e piagnucolona ranocchia, disposto a rinunciare ad un combattimento, solamente per salvare la vita di un innocente, avrebbe potuto possedere una forza in grado di ribaltare le carte in tavola. 

Divora o sii divorato: questo era il mondo che Rex aveva imparato a conoscere, dalla notte dei tempi. Coloro che divoravano erano quelli che sopravvivevano, che avevano il potere sopra gli altri esseri. I più deboli erano quelli con troppi sentimenti, troppo buoni per usare gli altri come pali per scalare la vetta. Eppure, quel ninja aveva rinunciato in principio al suo diritto, per salvare la vita di un altro pokémon. Un sentimento debole, in un essere così spietato, degno di comandare sui deboli. Era impossibile, che un tipo del genere avesse stretto tra le sue zampe la vittoria. 

- Ma... l'abbiamo battuto, vero?

Un'altra domanda senza forze uscì dalla bocca del pokémon Sabbiadrillo. 

- Ha avuto quello che si meritava... giusto?

Per quanto la risposta fosse certa, la realtà di essa sfuggiva alle zampe di metallo del Pawniard: ciò che sapeva, purtroppo, era solo per sentito dire, confidatogli da coloro che non avevano partecipato allo scontro. 

Avevano vinto: il Frogadier era stato sconfitto ed era stato punito. Così gli era stato detto dal suo superiore, lo stesso che si stava occupando dei feriti con il solo ausilio del braccio sinistro. Ma, quell'attimo di temporale nero prima della perdita dei sensi, lì a Crillaropoli, aveva instillato in lui un terrore primordiale, che mai nella sua nuova vita da vincente si sarebbe immaginato di provare. Per quanto la sua testa gli dicesse di accettare quella realtà, nel suo cuore non sentiva il benché minimo tepore, nessuna calda sensazione di una vittoria soddisfacente. 

- Sembrerebbe... di sì... - rispose infine al Sabbiadrillo.

Questo, nonostante quelle parole, rimase interdetto per qualche secondo, confuso dall'atteggiamento del più arrogante e calcolatore dei sottotenenti. Egli, dall'alto della sua persona, guardava in basso verso il terreno, come mai non avrebbe mai fatto. Più che ai suoi suoni, il Krokorok diede ascolto ai suoi silenzi, unendosi in un espressione beota che doveva credere, ma non voleva.  

- E' proprio come pensi... - disse il Lamaffilata, - se non l'hai ancora capito, te lo dirò chiaramente: ha mandato al tappeto anche me...

Rex divenne pallido pallido, davanti a quella conferma. Il sottotenente d'acciaio, Katsuhi Paride (*), il più freddo e calcolatore tra i sottotenenti, nonché il più agile del trio, era ridotto in uno stato di completo annientamento, con i piedi a penzoloni a riflettere sui suoi errori. Il pokémon Sabbiadrillo divenne incredulo, davanti a quello scenario.

- Non è... possibile... ma... tu...

- I suoi movimenti... - disse il Pawniard, - non ho potuto... neanche vedere dietro il suo attacco. Prima che me ne rendessi conto, avevo già perso le forze. Non siamo stati noi... a batterlo. E' dovuto intervenire il boss, per metterlo al tappeto.

- C-come è success-

Il Krokorok, preso dal momento, si alzò involontariamente per esprimere il suo shock per poi cadere di nuovo sulla tribuna, incapace di tenersi in piedi.

- A-ihia... 

- Il tuo cervello bacato è in uno stato peggiore, vedo... è la seconda volta che ci provi...

- VEDO CHE LA TUA LINGUA FUNZIONA ANCORA BENE, EH?!?! - Sbraitò il coccodrillo. 

- Anche la tua... vedo... - rispose il pokémon d'acciaio, voltandosi dal disgusto e tenendosi la faccia destra, come a volersi coprire l'orecchio. 

- COUGH COUGH!

Rex tossì nervosamente, per colpa dello sforzo fatto. Non riuscì nemmeno a portarsi la mano alla bocca, per quanto il suo corpo fosse completamente disintegrato.

- Tch! Non riesco nemmeno a fare questo... eh? Come ha fatto una ranocchia qualunque a conciarci in questo stato?!

- Non era... un qualunque Frogadier...

- Uh?

Non ci fu bisogno di un discorso liberatorio, o un qualcosa d'incoraggiante, per far sputare il rospo al sottotenente. Più che un semplice rapporto dei fatti, per lui era come volersi liberare da una maledizione, un peso sullo stomaco che non se ne voleva andare via. Di tutto quello che gli era stato riferito da Bishop, solo una cosa scatenò una reazione esplosiva da parte del Krokorok: quel nome maledetto, dimenticato dal tempo, che identificava il clan più spietato di tutti i tempi, le cui membra si nascondevano sotto la maschera buona del pokémon Schiumorana.

- S-SH... SHINIKA-

- Non urlare di nuovo, - lo interruppe freddo, - sono anch'io rintronato. Ho tutto fuori posto...

Il clan degli assassini, lo stesso che infestava la terra della Nebbia, ritornò nella realtà, da quel tempo dimenticato.

- C-credevo... fossero estinti... - si limitò a commentare. 

- Già... lo credevo anch'io, -rispose il Lamaffilata, - i famigerati ninja assassini dalle tecniche letali...

Nei suoi occhi, l'immagine disturbante del Frogadier risuonò di nuovo, assieme a tutto il combattimento precedente che aveva visto loro soccombere, imponendo perdono e pietà.

- Pensare... che ne abbiamo combattuto uno....

I muscoli indolenziti del Sabbiadrillo si contrassero leggermente, per quanto concedessero a lui di poter esprimere la rabbia in maniera fisica. L'umiliazione di essere stato sconfitto, già da sola, per lui era un fardello insopportabile. Riconoscere poi che, colui che gli aveva conciati in quello stato non aveva neanche sudato, non aveva nemmeno usato tutto il suo potere per sconfiggerli, gli fece salire l'adrenalina alle stelle. Non gli importava più che il sottotenente più agile era stato sconfitto: non riusciva a sopportare l'idea di essere stato preso in giro in quel modo. 

- C-che nervi... Quel misero insetto...

- Già... un bel casino...

Di fianco a lui, la voce di Krugo si fece spazio tra i due sottotenenti. Sdraiato sulla terza tribuna, era coperto con un lenzuolo bianco, con in testa un velo che gli copriva anche il muso. Aveva la schiena voltata, con il gomito appoggiato sul marmo, tenendo la testa con lo stesso braccio. Aveva sentito l'intera conversazione a distanza, non intromettendosi mai nei loro discorsi. Sapeva quanto poteva essere difficile trattare con Rex, soprattutto in quello stato di confusione, e di quanto al Pawniard non piacesse essere parlato sopra. Sia questo che il Croconaw erano a conoscenza dei fatti, essendosi svegliati prima del Krokorok. Quindi, non c'era bisogno che due persone parlassero dello stesso argomento.

- Sei sveglio anche tu, eh? - Disse il Lamaffilata.

- Un po' difficile... dormire con questi tagli, - disse il coccodrillo blu, - e con minchioni che urlano.

Un nervo si corrucciò sulla fronte di Rex.

- EHI! NON POSSO NEMMENO URLARE DI RABB- COUGH COUGH!

- Continua, per favore, - disse Paride, - almeno ci liberiamo di te, una volta per tutte. 
Il Sabbiadrillo si stese completamente sulla tribuna, accettando irritato la sua condizione.

- Quando mi riprenderò... spero che sarai pronto ad essere preso a calci nel c*lo. 

- Lo sai bene... che non puoi fisicamente farlo. 

Invece di rispondere alla provocazione del piccolo bandito, il Krokorok se ne stette in silenzio, contemplando il soffitto nella sua ubriachezza sonnolenta, portata dal dolore e dalle ferite. Nessuno degli altri due commentò l'improvvisa sua calma, sentendosi vicino in quel frangente.

Per la prima volta, dopo tanto tempo, egli aveva preso una batosta coi fiocchi, da un pokémon che non era nemmeno uno dei suoi compagni, più abili ed esperti di lui. Divora o sii divorato: Dennetsu Rex era uno che banchettava da un lato, e veniva mangiato dall'altro. Durante il suo allenamento, era riuscito a ridurre il deterioramento del lato appetibile, facendolo diventare indigesto come il più rispettabile degli avanzi di galera. Ma quel pokémon, in una sola mezz'ora, aveva distrutto tutto quello che aveva costruito, mangiandolo in un sol boccone. Anche senza quella tecnica che gli aveva dato il colpo di grazia, non era riuscito minimamente ad avanzare verso il suo dominio, rimanendo completamente in balia dei suoi colpi. Nemmeno i suoi compagni, i pochi che rispettava al di fuori dei tenenti, erano riusciti a fare qualcosa. Solo colui che lo aveva aiutato a migliorarsi, colui con cui lottava ogni giorno per diventare più forte, al punto di poterlo considerare un senpai, forse, era riuscito a non farsi sopraffare. Il suo occhio cadde verso la tribuna rialzata, verso il Croconaw suo compare.

- Te... sei messo bene.

- Uh?

- Sei steso sul gomito a schiena piegata, - continuò Rex, - dovresti avere anche la forza per alzarti. E' una fortuna che, almeno tu, sia riuscito a fare qualco- 

- E' in che modo... sarei riuscito?

Le parole del Sabbiadrillo si fermarono a mezz'aria. Quell'affermazione di Krugo supponeva un qualcosa di inaccettabile, come il crollo di un mito davanti all'esposizione dei media. Non riusciva; non voleva; non poteva, per le più semplici ragioni. 

- Stai scherzando?! Sei il più forte di noi! - disse il Krokorok, - per forza di cose tu-

- Mi attizza, sapere che hai quest'alta considerazione di me. - Lo interruppe, sedendosi sulle tribune, - Ma, come puoi vedere...

Il primo sottotenente si girò verso di loro, togliendosi il velo dalla faccia. 

   

Il viso degli altri due sbiancò, davanti a ciò che videro: una cicatrice bianca solcava il lato sinistro del suo muso, presentando sul lato destro delle leggere cuciture, partendo dalla parte in mezzo agli occhi e arrivando fino alla mandibola, per poi continuare al di sotto della mascella e fermarsi al petto. Una coltellata normale non sarebbe mai stata in grado di arrecare tale danno esteso: più che un tentativo di omicidio, era come se un'amante gelosa avesse scaricato tutta la sua rabbia e odio sulla faccia del marito, volendo ad ogni costo cancellare l'orrenda faccia del tradimento.  

- Non ha risparmiato... nemmeno me. 

Matatabi Krugo (*) era un qualcosa di inguardabile: oltre alla cicatrice, presentava delle macchie bianche al di sotto della testa. Sembravano squame raggrinzite, pronte ad essere rimpiazzate da pelle nuova, come la muta di un serpente, ma era invece carne viva apparentemente irrecuperabile.

- Bella caciara, eh? - disse Krugo, - il signor Bishop ha detto che le squame si riformeranno da sole. E' un effetto secondario della tecnica: sarò come nuovo dopo qualche ora, se sopporterò il dolore. Per la cicatrice non può fare niente, però: dovrò tenermi sta minchiata per il resto dei miei giorni.

La vista era stomachevole e terrificante. Forte del suo sangue freddo, Paride provò a nascondere la paura con un'altra delle sue battute velenose, lasciandosi tradire però da un leggero balbettio. 

- S-sembra... che un Carvahna ha provato a baciarti... - Commentò.

 - Kreh... Apprezzo l'impegno, - rispose lui, notando l'inquietudine delcompare, - ma si vede che sei scosso. Devo essere proprio conciato. 

Fece uno sbuffo di rassegnazioni, per poi accarezzarsi il lato sinistro del muso.

 - Santo Groudon... Sarò brutto come la fame, ora. Come farò con le pischelle?Dovrò andare di forza anche con loro... 

  - E'... seriamente quello il tuo problema? - Disse Paride, straniato dalla battuta fuori contesto. 

- La vita è una, uaglione. Di che altro dovrei preoccuparmi, se non di non spassarmela abbastanza? Tanto quella ranocchia è già bella che fritta, - rispose, rimettendosi sdraiato sulla tribuna, - non possiamo avere la nostra vendetta...

- Q-quando ci saremo ripresi... - disse Rex, - andremo a fargliela pagare a quei smidollati dei Crillaporiani! COUGH!

Per l'ennesima volta, il Krokorok si fece prendere da una parola di troppo, tossendo per il troppo sforzo. Più che pensare alla propria salute, era come se il Sabbiadrillo non se ne curasse proprio. Tale era il fuoco di rabbia che bruciava nelle sue viscere. 

- Pensavo fosse ovvio... - disse il Pawniard, - smettila di dire cose che già sappiamo, se servono solo a peggiorare la tua situazione... 

- Ascolta Paride, brutto minchia di Rex, - rispose il coccodrillo acquatico, - risparmia la rabbia per quando saremo svegli. E' la prima volta che affrontiamo uno Shinikage. Non è questione di forza: l'abbiamo semplicemente sottovalutato! Ogni tanto fa bene sbattere la testa.

Nella mente del Croconaw iniziarono a scorrere i momenti della lotta, dagli inizi dello scontro ai movimenti del ninja di Neronotte.

- Ogni cosa che faceva... aveva un senso. Sembrava solo un combattimento raffazzonato, per farci stancare. Invece... ha preparato delle trappole senza lasciarci il tempo di rendercene conto; si è tenuto lontano dai membri potenzialmente più forti, ovvero noi; ed infine... ci ha rubato tutti i Revitalseme, prima di scatenarsi come si deve. Non c'è dubbio, che ci ha completamente sopraffatti. Abbiamo abbassato la guardia perché ci crediamo troppo forti. E' bastato questo, a farci schiacciare. 

L'analisi di Krugo non poteva essere più veritiera: con l'umiltà di un veterano di guerra, aveva esposto i fatti di cui loro erano stati protagonisti, quel tardo pomeriggio sotto il tramonto primaverile. Sotto i suoi termini di strada e dialettali, sapeva essere molto riflessivo, quando la situazione glielo permetteva. 

- Shinikage... - continuò il Croconaw, - credevo fosse una leggenda la loro pericolosità. Beh... Niente a che vedere con il nostro boss, comunque.

Rivolgendo il pensiero al suo capo, il suo sguardo si incupì. Un pensiero preoccupante, quanto sinistro, attraversò la sua mente come un gas silenzioso, ma che bruciava lentamente. 

- Mi chiedo... come l'abbia presa. - Disse, - in questo momento non mi stupirei, se stesse distruggendo la sua stessa tana. 

Gli altri due sbatterono gli occhi confusi, non comprendendo il motivo di quell'affermazione. 

- Perchè dovrebbe... distruggere la sua tana? - Disse Rex, confuso.

Krugo si voltò verso di loro, rimanendo sdraiato. Nei loro volti vide lo smarrimento, lo stesso di quello che ignorava i fatti. 

- Voi... non sapete?
Gli altri due sottotenenti si guardarono negli occhi, cercando prima di interrogarsi a vicenda su cosa intendesse il coccodrillo blu, per poi chiedere al medesimo risposte convincenti. 

- Penso... sia questo il caso. Ve lo si legge in faccia. 

Si mise una mano sul mento, dandosi un atteggiamento pensieroso. 

- E' strano... Non credevo di essere l'unico ad averlo visto...

- Visto cosa? - disse Paride, - è una cosa che dobbiamo sapere?

Il Croconaw si rigirò verso il Lamaffilata, con il viso del padre che stava per rivelare al figlio una verità scomoda. Subito dopo, però, emise uno sbuffo di rassegnazione, non crucciandosi di preoccupazioni inutili.

- Mi sto preoccupando troppo... - disse, - dopotutto... è del boss che stiamo parlando...

******************

Centosettantesimo anno del Drago, ore 22.10. Non era una stanza illuminata, né tanto meno una foresta avvolta da spire nere. In quest'immagine, però, il nero era il protagonista, accompagnato solamente da lontani sfrigolii metallici. C'era solo una piccola luce: quella era la fine del tunnel, il lembo di roccia che collegava le catacombe, il dormitorio delle Kuroi Kiba, e la grotta dell'ottavo piano, la dimora del coccodrillo cannibale. 

In questo ambiente silenzioso, Aragram Bishop procedeva a passo spedito, con il suo solito viso tagliente e serio, lo stesso di chi non aveva la minima esitazione. Aveva appena concluso il trattamento di guarigione dei soldati: nel giro di due ore, il centinaio di Kuroi Kiba feriti dal ninja di Neronotte erano stati portati fuori pericolo, grazie all'ausilio di efficaci medicazioni e della tecnica dei fili d'aura. Essendo munito di un solo braccio, tuttavia, si era dovuto fare aiutare da Dingo, per mantenere nella corretta posizione i pazienti. 

Come un danzatore sul ghiaccio, con eleganza e rapidità era riuscito a chiudere tutte le loro ferite, pulendo prima il sangue in eccesso. Per sua fortuna, il Mozart no Requiem, la tecnica di finta morte, aveva già iniziato la sua regressione, riportando il sangue paralizzato nei feriti, semplificandone ulteriormente la cura. Aveva dovuto rallentare il trattamento di un altro quarto d'ora, impegnandolo per un totale di trenta minuti, ma la ripresa degli scagnozzi era stata decisamente più rapida. 

Nonostante questi siano rimasti con dolori e acciacchi, la cura completa, forse, sarebbe stata anticipata di qualche ora, rispetto al termine del mezzogiorno. Una prospettiva allettante, a suo parere: in questo modo, avrebbero potuto assistere alla dipartita dei team d'esplorazione ancor prima del termine stabilito o, ancora meglio, sarebbero stati loro stessi a cacciarli via. 

Per questo motivo era diretto a riferire al suo capo: voleva essere il primo, a comunicargli la lieta notizia. Prima che potesse varcare la soglia del tunnel, però, una scossa tellurica colpì il suolo, facendo vibrare la terra come se stesse per esplodere. Nonostante questo, lui fu irremovibile: rimase in piedi, come se nemmeno quello fosse capace di metterlo in ginocchio. Fermatosi vicino all'entrata, il suo sguardo inflessibile posò gli occhi sull'interno della sala, potendo vedere ciò che vi era al suo interno. Prima che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo, una stella cadente blu passò davanti ai suoi occhi, schiantandosi al suolo con la prepotenza di un tuono. Quella visione, in lui, scatenò una reazione insolita, contraria al sentimento eccitato che aveva in sé: uno sbuffo di noia, dettato da una situazione non gradita al pokémon Fildilama. 

- Che seccatura... 

- U-urgh...

Davanti a lui, a sinistra, Elliot Dandelion era a terra insanguinato, ricoperto di ferite dalla testa ai piedi. I suoi occhi chiusi, troppo concentrati dal dolore provato, non avevano intenzione di rimanere aperti.

- Dopo tutto quello che ho fatto per curarlo, - disse Bishop, - l'avete già ridotto così? Non mi piace lavorare per niente...

Davanti a lui, alla sua destra, il corpo gigantesco e maestoso di Kurokiba Sobek emanava un Meisoku nero dalle sfumature rosse, cavalcando la nebbia oscura come un turbinio di saette. Il volume dell'aura ricopriva la sua figura per dieci metri, rendendo l'ombra che incombeva sul pinguino un enorme barato oscuro pronto a risucchiarlo. Sul Feraligatr non c'era il minimo cenno di ferite. Lo scontro attuale, per quanto tale si poteva definire, era totalmente a senso unico. Sopraffatto e distrutto, nonostante potesse rimettersi in piedi, Elliot rimase sul terreno, accettando la sua sconfitta come il primo dei perdenti. 

- Ho detto...

Dalla mano destra del coccodrillo si manifesto un Dragartigli color verde smeraldo, gettando uno sprazzo di luce in quella immensa oscurità. Si lanciò verso di lui a velocità dirompente, facendo tremare l'intera sala per via della sua enorme stazza.

- ALZATI!

Scagliò il Dragartigli sul terreno, spazzando di nuovo via il cavaliere del futuro. Esso finì contro la parete della stanza, sbattendo violentemente, come una mosca sul parabrezza di un auto. La durezza della pietra, incredibilmente resistente rispetto alle rocce normali, unita alla forza dell'onda d'urto, lacerarono la schiena dell'eroe, facendogli sgorgare sangue dalla bocca. Cadde di nuovo al suolo completamente inerme, come una foglia raggrinzita di un albero quasi spoglio.

In tutto quello, il Bisharp senza braccio osservò il massacro in silenzio, non lasciando che le ombre dell'incontro coprissero le sue palpebre lucide. Non era paura ciò che lo trattenne dal parlare, ma pura curiosità. In quel luogo, dopotutto, stava avvenendo lo scontro tra il Mirai no Senshi e lo Shokujin (*): l'esito di quello scontro avrebbe trascritto un segno indelebile, nella storia dell'Antro della Belva. 

Bishop si girò verso il suo capo con la calma di un tattico di guerra. I suoi occhi pulsavano come le pareti di un vulcano, in attesa della successiva scossa per liberare un oceano di fiamme sulla superficie. Lo stesso sguardo che avrebbe divorato lo spirito combattivo di ogni pokémon qualunque, non provocava la benché minima emozione in lui. Forse, dopo aver vissuto con lui per tanto tempo, come suo braccio destro, era ormai abituato a quella visione, anche se quei laghi di lava erano più colmi di rabbia del solito.

Il suo viso venne puntato poi verso Elliot, il decantato salvatore dalla Paralisi Planetaria. I suoi occhi non avevano alcuno spirito combattivo: erano vuoti, privi delle pupille, le punte di diamante dell'anima. Il suo corpo era completamente rilassato: non c'era il minimo cenno di volontà nel resistere alla furia di Kurokiba Sobek. Chiunque dei suoi colleghi, qualunque Kuroi Kiba, avrebbe detto che si era sicuramente arreso alla forza del boss, rinunciando a qualunque possibilità di fuga o di combattimento. 

Lui, invece, aveva assistito a fin troppi scontri, per giudicare quello come una sconfitta personale. No: nell'Empoleon, in quel momento, c'era molto più della semplice paura e della consapevolezza della sua inutilità davanti alla grande forza. 

Quello non era lo sguardo di un combattente sconfitto solo nel corpo: quello che aveva subito il duro colpo era il suo animo, ed era molto probabile che il suo capo fosse totalmente estraneo alla morte del suo spirito combattivo. Qualunque cosa fosse successa, era evidente per Bishop che ciò era molto più importante, per il pinguino, della sua stessa vita. 

- Tsk... Che nullità, - commentò Sobek, interrompendo il suo Dragartigli e mettendo via il suo Meisoku.

- Non funziona così... - disse il Bisharp. 

Prima di quel momento, l'enorme capo banda non aveva fatto caso alla presenza del suo braccio destro, troppo impegnato nella sua esecuzione. Si girò verso di lui, in silenzio, trucidandolo con lo sguardo: ancora una parola pericolosa e avrebbe messo fine all'esistenza del cavaliere nero. Ma nonostante ciò, il pokémon di tipo acciaio continuò nel suo discorso, con lo stesso sangue freddo che lo contraddistingueva. 

- Lei... la sua forza è indiscussa, così come le sue abilità di combattimento.

Si avvicinò a lui, non curante della situazione di pericolo che stava affrontando. 

- Dovrebbe riconoscere... lo sguardo di chi non vuole combattere. 

Stava accadendo molto, in quel momento, nella testa di Elliot: tutto ciò che era successo nella grande piazza di Crillaropoli, dallo scontro con Rukio alle azioni di Shinso, l'avevano scosso profondamente, al punto da distruggere tutte le sue certezze accumulate da anni ed anni d'esperienza, così come la delusione di Chikatomo, il suo fidato compagno. La consapevolezza di aver deluso il suo unico amico lo martoriava dal profondo, ritrovandosi il cuore sbranato come una preda in mezzo ad un branco di Lycanrock. Quello che era peggio, era che poteva incolpare solo se stesso di quegli avvenimenti: ogni causa ed effetto erano stati dettati dal suo atteggiamento, e dalla sua poca fiducia nel suo compagno di viaggio. 

Affermare a tutti i costi i suoi ideali di giustizia, infrangendoli lui stesso con le sue azioni: non poteva esserci sconfitta più grande, per l'eroe di Borgo Tesoro. L'Empoleon non diede cenno di muoversi, aspettando il colpo di grazia che non sarebbe mai arrivato, visto che era lì perché serviva a qualcuno. 

- Se vuole realizzare il suo obiettivo... - disse Bishop al suo capo, - deve avere più calma.

- Lo so... perfettamente. - disse il Feraligatr, con voce profonda. 

Il boss si allontanò dal combattimento, rintanandosi vicino ai suoi tesori. Si sedette al suolo, appoggiandosi alla parete. 

- Rimettigli... le catene. E portatelo via.

Senza rispondere o contestare, il Bisharp si avvicinò all'eroe sconfitto, in procinto di eseguire gli ordini del suo capo. 

- Non voglio vedere... questo verme. 


******************************

Ottavo piano: il luogo di dimora del boss delle Kuroi Kiba, Kurokiba Sobek. Contrariamente a quello che si pensava, non era composto unicamente dal gigantesco anfratto dove egli giaceva con le sue ricchezze. Nella parete più a Ovest, dalla parte dell'entrata, vi era un piccolo tunnel buio, alla cui fine vi era un piccolo spazio di cento metri quadrati. Solitamente questo piccolo buco nero era adibito a mettere in punizione chi, delle Kuroi Kiba, non eseguiva gli ordini del boss come ci si aspettava, se il boss era in vena buona. 

Lì dentro non vi era luce se non un piccolo spiraglio dall'alto, ed era talmente umido che la notte vi era sempre un freddo pungente, capace di penetrarti nel profondo delle ossa.

Nonostante fosse tremenda l'idea di passare un solo giorno là dentro, essere relegati lì corrispondeva ad una salvezza, più che una punizione. Capiresti anche tu, mio caro lettore, se l'alternativa a questo fosse esser eliminato dal grande boss in persona. 

- U.... ngh...

Centosettantesimo anno del drago, ore 23.00. Immerso in questo piccolo covo di solitudine, Elliot Dandelion era lì, legato saldamente ad una Tenma no Kusari, rinchiuso in una gabbia altrettanto solida. Dopo essere stato messo in fin di vita da Sobek, era stato trattato da Bishop, che lo aveva bendato dopo avergli cucito le ferite, impedendogli di morire per dissanguamento.

I suoi occhi erano stanchi e annebbiati, intrappolato in quella gabbia dopo essere stato picchiato ed annientato, al punto di fargli quasi desiderare di non essere mai nato. Eppure, egli era ancora vivo: per quanto le parole d'odio rivolte a lui erano state sincere, era stato mantenuto in vita, appeso ad un cappio che non avrebbe mai strappato la sua anima dal mondo terrestre.

Era evidente che c'era un motivo per tutto quello: in qualche modo, l'enorme coccodrillo aveva intenzione di usare l'eroe del futuro per uno scopo sinistro, di cui lui non riusciva a darsi una spiegazione. Nello stato in cui era, purtroppo, non avrebbe mai potuto trovare la risposta: la sua anima, dopo tutto quello che era successo quel giorno, si era sgretolata come un castello di sabbia, inondata dalla forza delle onde marittime. 

"Perché io?"; "Come potrei essere utile?"; "Non sono meritevole, di essere trattato in questo modo"; "Perché io, invece di lui?". Invece di farsi le giuste e più oggettive domande, probabilmente erano stati questi gli assilli del pokémon Imperiale, di cui regale in quel momento aveva solo la sua nomea. 

Ridotto ad uno straccio per il pavimento, come uno schiavo di un qualche paese orientale, eppure mantenuto ancora in vita. L'eroe del futuro, che aveva salvato il mondo, allo stesso modo del piccolo licantropo, non aveva niente dello splendore che lo aveva caratterizzato. 

Sebbene fossero questa l'immagine cucibile sul pinguino, ben era lontana dalla situazione reale: tutti questi pensieri, di utilità miserabile, passarono come un attimo fuggente, perso in uno spiffero di vento. Le sue preoccupazioni, quelle vere che torturavano il suo cuore, erano ben altre in quell'angusto luogo. 

- I DIECI ANNI! QUESTI DIECI FOTTUTI ANNI, COME LI CHIAMI TU, A FARE DEL BENE! GLI ABBIAMO PASSATI INSIEME! SONO I NOSTRI DIECI ANNI! SECONDO TE E' UN QUALCOSA CHE TI PUO' DARE NOIA?! D-dove sei... cosa stai guardando, Elliot...

Confusi nella sua testa, ma velenosi come il morso di un serpente, i momenti di quel giorno si mescolarono con quelli passati, in quei dieci anni dalla sua impresa, compresa la lotta contro il vero artefice del disastro. Nella sua mente pesante i ricordi erano fotografie sbavate, macchie di colore schizzate su uno sfondo verde, in cui cercava a tutti i costi di riuscire a dare bordi e precisione a quelle rosse e gialle, i colori del suo partner. 

In nessuna di quelle immagini riusciva a scorgere distintamente il volto di Chikatomo, nonostante fosse un viso che non si sarebbe mai dovuto scordare. Non riusciva a tornare più indietro, nemmeno al giorno in cui lo incontrò la prima volta, al tramonto sulla spiaggia, colorato da bolle di sapone e piccoli arcobaleni rinchiusi al suo interno. 

Per quanto si sforzasse al massimo delle forze possibili, le foto non diventavano chiare. No: forse, in cuore suo, non voleva nemmeno farlo. Torturato dal senso di colpa, forse non si riteneva nemmeno degno, di avere salvo in sé il suo caro amico. 

Persino il tanto idrolatrato Grovyle, lo stesso per il quale aveva lottato contro Rukio, era un lontano ricordo. Per quanto cercasse di rivederlo in quell'angolo buio, il suo colore non riusciva a sbocciare in smeraldo, da quello scuro verde marcio.   

- (Quando...)

Aveva combattuto per la giustizia, per fare in modo che il sacrificio del suo vecchio compagno non fosse stato vano. Aveva svolto le sue missioni sempre in modo esemplare, in modo da assicurare il futuro dei pokémon e il suo, in modo che nessun altro provasse la sensazione di vivere infiniti momenti della vita senza la luce del sole, in un mondo senza tempo. Eppure, quello stesso futuro che aveva stretto nel palmo della sua mano in quei dieci anni, era sfuggito da lui, a causa della depressione e del senso di vuoto portato dal riconoscere l'inestinguibilità del male. Aveva perso il motivo principale, per cui faceva tutto quello. Oramai era diventata una guerra di rabbia e odio la sua, invece del perseguimento della giustizia, verso un mondo che rifiutava i suoi sforzi. Ma non se ne era mai reso conto fino allo scontro con Rukio, fino a che il suo partner Chikatomo non gli aveva tirato quel pugno di tristezza.

- (Quando sono diventato... così cieco?)

Elliot si toccò la guancia sinistra con la pinna: sebbene ormai la ferita fosse guarita, quel lato continuava a bruciargli, come se fosse stato scottato dallo stesso sole che voleva proteggere.  

- (Fa ancora male... - pensò, - nonostante quel Feraligatr mi abbia pestato fino all'ultimo colpo... Questa guancia... mi da un dolore insopportabile...)

Abbassò la pinna verso il basso, seguendola con lo sguardo. Un triste sorriso si stagliò sul suo volto, quello consapevole dei propri errori.

- (Ti ho... davvero deluso stavolta, eh?)

Il suo corpo era debole e malridotto: a fatica riusciva ad effettuare qualsivoglia movimento. Lasciandosi cadere la pinna sul fianco, continuò a pensare, cercando di rendere la sua condizione ancora più impressa nella sua mente. 

- (Anche se il mio corpo non c'è la fa... sono costretto a stare in questa posizione. Non posso nemmeno mostrarmi miserabile...)

Muovendo la testa in avanti, cercando di memorizzare nella sua testa quell'angusto luogo, sinonimo della sua oscurità, i suoi occhi caddero su un piccolo particolare che scosse il suo animo spento, andando a riprendere la vena curiosa che caratterizzava i comuni esseri viventi. Di fronte a lui, una ciotola di argilla ricolma di bacche non troppo matura stava lì, coperta dal velo d'ombra della prigione. 

- (Cibo?) - Si chiese dubbioso il pinguino, sbattendo le palpebre assonnate.

- (Allora... gli servo davvero, vivo.) 

   

Osservò con cura ciò che gli era stato messo nel piatto: una Baccapesca che, dall'aspetto, sembrava un po' secca, delle Baccastagna e delle Baccaperina. Bacche dai gusti diversi, ma che avevano tutte una cosa in comune: erano delle bacche benefiche, che avrebbero saziato il suo stomaco e, allo stesso tempo, avrebbero migliorato la sua salute. Non c'erano, tuttavia, bacche come Baccarancia o Baccacedro, che gli avrebbero fatto recuperare le forze e rimarginato le ferite più superficiali. 

- (Ha scelto... due bacche contro problemi di salute, ed una per rendere più difficile il sonno. Sembra un pasto fin troppo clemente... per un prigioniero. Ma... )

Alzò lo sguardo verso il cielo, puntando verso le pareti della caverna.

- (Le rocce sono umide... a notte fonda farà molto freddo. Le Baccaperina mi daranno un sollievo temporaneo, ma non basterà per ripararmi dal freddo. E le Baccastagna...)

Accovacciò la vista di nuovo verso il piatto. 

- (Mi impediranno di avere un sonno sereno. Per quanto... abbia voglia di dormire...)

L'eroe del futuro serviva a Sobek. Era necessario vivo, ma non in completa salute. Quel pasto era indicatore che sarebbe stato un lungo soggiorno, e che avrebbe dovuto soffrire per tutto il tempo, fino a che non sarebbe stato più utile tenerlo. Nonostante la brutta situazione, però, nella testa del pinguino vennero in mente altri dubbi, come se la sua condizione non gli desse abbastanza problemi. Aveva riconosciuto l'intento velenoso dietro a quella scelta di bacche, ma, sapendo con chi aveva a che fare, quella era stata davvero una decisione troppo gentile, a parere suo.

- (E'... strano, però. - Pensò, - sebbene l'intenzione punitiva, sono pur sempre cose mangiabili. Non capisco... avrebbe potuto darmi da mangiare... i "tributi" resi dal villaggio, se voleva punirmi severamente. Avrei patito le pene dell'inferno... in quel caso. Sono in un covo di criminali, dopotutto... pokémon che rifiutano la civilizzazione, ritenendola come la perdita della propria dominazione. Non devo considerarli diversi dai predatori del mio mondo: sono identici, ma più intelligenti. Che motivo c'è di tenermi vivo e persino in buona salute?)

La sua mente venne completamente assorbita nel suo pensiero, facendo diventare la caverna ancora più buia di prima, ai suoi occhi.

- (Non hanno bisogno di usarmi come ricatto... Se la loro esistenza venisse rivelata, l'intero corpo di soccorso Pokémon sarebbe alle loro costole. Una motivazione in più per cacciare via gli altri esploratori? Quel Sobek non è uno stupido: dovrebbe immaginarsi, uno scenario in cui, invece, questi sarebbero così folli da venirmi a salvare. Probabilmente, - pensò, chiudendo gli occhi, - stanno già pensando come fare...) 

Un sospiro triste uscì dalla sua bocca: in quel momento, nulla gli faceva presupporre di meritarsi la salvezza.

- (Sarebbe... molto più utile sottopormi a contratto e farmi uscire da qui, in modo da tenermi la bocca cucita. Ancora più semplice, sarebbe uccidermi. Quel mostro... sarebbe perfettamente in grado di farlo. Se sono qui... non c'è alcun dubbio.)

Il suo viso divenne più serio e deciso, lo stesso di chi capiva di essere in una situazione difficile.

- (Vogliono... farmi fare qualcosa. Qualcosa che, molto probabilmente, solo io sono in grado di fare. Solo qualcosa... che un eroe, potrebbe fare.)

La sua espressione cambiò in un cupo e spaventoso volto, cavalcato da ombre di mistero e sensazioni sinistre. 

- (No... se era una cosa da eroi... )

- Rispetto... questo pokémon.

- (Probabilmente... si sarebbe portato dietro Rukio, non me. Non sono io per quello che dicono di me. Sono io... perché solo io, posso essergli utile. E per quello... che posso fare... )

Mentre pensava tra sé e sé, ad un certo punto, la sua mente si bloccò. Come quando il proprio fratellino, senza volerlo, inciampava sul telecomando, cambiando canale, improvvisamente l'immagine davanti a sé cambiò. 

Invece di trovarsi da solo, a rimuginare sul proprio cibo, una strana figura apparve davanti a lui, come le pagine di un libro pop-up. I due rimasero immobili e in silenzio per qualche secondo: l'eroe con lo sguardo cattivo e pensante, il nuovo ospite con uno sguardo assolutamente terrorizzato. Quando l'eroe si rese conto di avere qualcuno davanti, e il piccoletto di essere stato notato, entrambi sobbalzarono all'indietro spaventati. Il primo si mosse con la serenità di un curioso bambino all'esplorazione del mondo, il secondo con il volto ricolmo di una preda davanti al proprio predatore.

- U-uh?

- UAAAAAAAAAHHH!

Il piccolo pokémon, un Totodile, per la precisione, corse all'indietro come un gambero rosso, andando a sbattere contro la parete della piccola grotta, all'angolo dell'uscita. Si guardarono negli occhi l'uno contro l'altro, interrogandosi sulle volontà di chi rispettivamente avevano di fronte. In questi interrogativi, il leggero timore dell'eroe di Borgo Tesoro svanì, lasciandosi abbandonare in un leggero imbarazzo ed inquietudine, nel trovarsi davanti ad un bambino spaventato. 

- Va... tutto bene? - Chiese con un tono annoiato il pinguino.

Il ragazzino, invece, iniziò a tremare, nella consapevolezza di trovarsi di fronte ad un pokémon che doveva considerare suo nemico.

- S-STAI LONTANO! - Urlò di getto il piccoletto, mettendo le mani avanti, - N-NON TI AVVICINARE!

- Sono... incatenato, - rispose, - come supponi... mi possa avvicinare?

I nervi del pokémon Mascellone, per un piccolo istante, si rilassarono, realizzando quella inconfutabile situazione. 

- H-hai... ragione...

Non aveva alcun motivo di essere spaventato. Davanti a lui non vi era un nemico da affrontare, né tanto meno uno da fermare a qualunque costo. Il pokémon Imperiale, in quel momento, era un malridotto prigioniero di guerra, che non avrebbe potuto fare del male nemmeno ad un Mothim. 

- (Non... si può avvicinare a me, giusto?! Quindi... sono io in vantaggio. Corretto?!)

Nel giro di pochi attimi, la paura del bambinetto si trasformò in sicurezza e forza, venendo posseduto dalla vena orgogliosa che la sua banda gli aveva donato. 

   

- GRAHAHAHAH! NON OSARE AVVICINARTI, SCHIFOSO PINGUINO! SEI NELLA TANA DELLE KUROI KIBA, ORA!

Puntò il dito verso di lui, facendo una faccia forzatamente arrogante. 

- Se oserai avvicinarti... dovrai assaggiare... LA NOSTRA FURIA INARRESTABILE!

L'Empoleon entrò in stato di Confusione, rimanendo immobile in quella situazione che di logico aveva ben poco. Vedendo la reazione del pinguino, credette ci fosse qualcosa che non andava nel suo tono intimidatorio. 

- N-NO! HO SBAGLIATO! - Disse correggendosi, - ERA "I NOSTRI DENTI"! KAAAAAAAAAAH! ASPETTA UN ATTIMO!

Si girò indietro, cominciando a confabulare da solo.

- V-va... tutto bene? - Chiese di nuovo incredulo l'eroe dal futuro.

Il Totodile ignorò completamente la domanda, rimanendo concentrato a bisbigliare tra le sue zampe. Quando terminò il travaglio interiore, riprese il suo atteggiamento minaccioso. Si voltò di nuovo verso l'Empoleon, appoggiando il dorso delle sue zampe sui fianchi, gonfiando il petto per farsi più grosso.

- GRAHAHAHAH! BENVENUTO NELLA TANA DELLE KUROI KIBA, MOCCIOSETTO!

- (Sono tipo... più alto di lui?) - Pensò Elliot, rassegnandosi alla sua situazione. 

- QUESTA E' LA DIMORA DEL POKE'MON PIU' TERRIBILE DI TUTTA LA TERRA DELL'ERBA! KUROKIBA SOBEK! ED IO SONO IL SUO PIU' TEMIBILE DEI GUERRIERI!

- (Merito... anche questo?)

- IMPLORA PIETA' DAVANTI A KUROKIBA BITE! Perché se non lo farai... 

Spalancò la bocca più che poté, mostrando tutto l'apparato masticatore.

- TI AZZANNERO' FINO ALLA MORTE! 

Dopodiché, inarcò la schiena all'indietro, alzando la testa al cielo.

- GRAHAHAHAHAHAHAHAHAH!

La faccia del pokémon Imperiale assunse il più totale avvilimento, in cui non poté nascondere, seppur il suo stato di auto-flagellazione, il profondo disgusto per ciò che stava vedendo. Il piccoletto, dopo aver concluso la risata, si mise a braccia conserte e ad occhi chiusi, in un atteggiamento fiero, da grande leader. 

- Allora... sentiamo... - riprese poi, rivolgendosi al cavaliere blu. 

Dopo quella frase, i due rimasero in silenzio per qualche secondo, in attesa che l'altro rispondesse in modo corretto, per assolvere le loro anime afflitte. La risposta del pinguino, tuttavia, non portò ai risultati sperati del piccoletto.

- Sentiamo... cosa?

- G-gah?!

Non aveva sbagliato niente al secondo tentativo: come gli era stato insegnato, aveva conseguito il motto intimidatorio in modo esemplare, senza dimenticare alcun pezzo. Eppure, il prigioniero non aveva reagito come da copione, lasciando il povero pokémon in un martoriante imbarazzo.

- E-ecco... ora t-tu... - disse tentennando, facendo toccare gli indici a vicenda.

- Uh?

- Dovresti... implorare p-p-pietà... ecco...

La faccia di Elliot divenne un misto tra la pietà per un cucciolo ferito e la rabbia di un padre davanti ai disastri del figlio. Persino per lui, che non aveva imparato bene la sua parte in quella recita, era confuso da tale impostazione. Ritenne di essere sul palcoscenico sbagliato, svuotando il suo sguardo del cardine sicuro delle pupille.

- Ma... perché?

- C-C-COME PERCHE'?!!? P-P-P-PERCHE' COSI' SI FA! - Gridò terrorizzato, - SEI LEGATO E NELLA TANA DEL NEMICO, CONTRO UN TEMIBILE CARCERIERE! 

Di riflesso, il pinguino si guardò intorno, alla ricerca del tanto proclamato strozzino. Né un rozzo e muscoloso boia, né un infido e sadico torturatore apparirono alla sua vista, lasciandolo in balia dei suoi giganteschi dubbi. 

- Chi?

Sullo sfondo del piccolo Totodile apparvero delle frecce giganti da fumetto, indicando Bite con punte arrotondate, quasi come se nemmeno loro avessero riconosciuto il loro ruolo. Su di esse, c'era scritto a caratteri cubitali "sarebbe lui", che perforarono il ventre del pokémon Mascellone come frecce da tiro al bersaglio. Bite rimase di sasso, paralizzato nel suo imbarazzo e nella sua vergogna. 

- Ah... capisco... - commentò il pinguino. 

Il sedicente cattivone cadde a terra, con il sedere sul terreno, con gli occhi ricoperti di lacrime.

- S-sono un fallimento... non sono neanche capace di incutere timore ad un pollo in gabbia...

Il pinguino mosse gli angoli degli occhi in modo disturbato, in un misto tra "voglio uscire di qui" e "non riesco a capire cosa stia succedendo". Rimasero in silenzio per qualche secondo, in una stasi portata dall'impossibilità di procedere di fronte ai propri errori.

Elliot non riusciva a darsi spiegazione, del perché tale individuo fosse lì, davanti a lui, in quel luogo, nonostante non avesse nulla a cui si potesse affibbiarne l'appartenenza.

Un piccolo pokémon piagnucolone che cercava di essere quello che non era: la visione era talmente fuori posto che, sotto sotto, rese ovvio al combattente del futuro che l'impossibilità di arrabbiarsi con lui. Una piccola carezza di pietà solleticò il suo cuore, provando quasi tenerezza per il Totodile. 

- Ehi, tu. 

Egli aprì leggermente i suoi occhi, tenendo le sue dita sulle palpebre per non mostrare le lacrime. 

- U-uh?

- Perché... sei qui?

Quella domanda suonò quanto strana quanto facile ma, nello stato in cui si trovava, il piccoletto non capì la motivazione dietro di essa. 

- P-perché? N-non è ovvio? Io... s-sono... 

Non riuscì a dire "la tua guardia", ovvero colui incaricato di tenere d'occhio il prigioniero. Il boss delle Kuroi Kiba aveva imposto al debole e fragile Kurokiba Bite, il nuovo arrivato, di tenere sotto controllo l'eroe di Borgo Tesoro. Il capo era conscio che, in termini di forza fisica, non era certamente il più adatto. Ma, valutando la condizione del pinguino e la sicurezza della sua sistemazione, aveva trovato l'incarico alla sua portata, soprattutto per dargli un po' di esperienza, con una vittima facile. Tuttavia, da ciò che era successo era evidente che il piccoletto non era ancora pronto, mostrandosi al cavaliere blu in tutta la sua fragilità.

- I-il grande Sobek... mi ha chiesto di portarti... il cibo, - disse invece, manifestando l'altro compito. 

Indicò la ciotola vicino ai suoi piedi, riportando lo sguardo del cavaliere verso quella che sarebbe stata la sua cena. 

- Capisco...

- S-sono arrivato e... m-ma ho visto... che eri sovrappensiero... e non ti volevo disturbare. P-poi hai fatto... q-quella faccia terrificante... e...

La faccia del Totodile non era di un crudele carceriere, né di un bulletto che voleva intimorire. Era quella di un povero bambino spaventato, alla ricerca di un significato nella propria esistenza, difendendosi dai pericoli del mondo. 

- H-ho pensato... mi volessi attaccare.

Il cuore del pokémon Imperiale si calmò definitivamente. Capì di trovarsi ad un pokémon dal cuore buono, nonostante il luogo in cui si trovava. Fece un respiro profondo, cercando di assumere un atteggiamento familiare, che non avrebbe condizionato negativamente il piccolo sperduto.

- Non era per te... - disse il pinguino. 

- A-ah no?

- E' come hai detto tu: stavo pensando per i fatti miei, con le mie preoccupazioni. Non ho neanche... fatto caso a te. 

Anche il piccolo Totodile si tranquillizzò un po', sentendosi sollevato dal tono cordiale dell'eroe.

- C-capisco...

Ci fu un piccolo silenzio in quel frangente, scandito semplicemente dai battiti del cuore del pokémon Mascellone. Era una situazione incerta, colorata da una poca familiarità tra i due in quelle posizioni: l'eroe di Borgo Tesoro, prigioniero in catene indistruttibili, ed il piccolo Kuroi Kiba, guardiano senza crudeltà. Non si potevano incontrare, né capire l'un l'altro: nemmeno nel rapporto tra guardia e recluso, tra secondino e criminale. L'eroe con i suoi problemi, Bite con la sua timidezza: in quella cella buia, vi erano davanti acqua e olio, volenterosi di andare l'uno verso l'altro, ma incapaci di mischiarsi. 

Nonostante questo, però, il debole carceriere provò a fare un passo avanti: il lui nacque il desiderio di porre una domanda insolita da fare, soprattutto in quella situazione. Poteva sembrare a primo pensiero qualcosa di irrisorio, da punti di vista diversi. Tuttavia, il Totodile non aveva la minima idea che, invece, quell'azione avrebbe cambiato per sempre il Mirai no Senshi. 

- E'... è vero, quello che dicono?

Il pinguino socchiuse la bocca in segno di inquietudine. Quella domanda poteva significare tante cose ma, sicuramente, un sentimento di avvicinamento avrebbe potuto prenderli. Nel suo stato di depressione, però, Elliot non era convinto di fare quel passo.

- Tu sei... Elliot Dandelion? L'essere umano? I-il famoso eroe?

La conferma della vicinanza arrivò rapida e dolorosa. Una nota malinconica attraversò il volto dell'Empoleon, intristendo il suo cuore già malridotto, al suono di quelle parole.

- Sull'ultima parte... non ne sono più convinto, - rispose, - ma... Sì. Il mio nome è Elliot Dandelion.

Il volto del pokémon Mascellone si illuminò improvvisamente, mettendo in un misto di imbarazzo ed incertezze il cavaliere blu. Nonostante fosse dall'altra faccia della medaglia, era evidente che nell'animo suo si celava profonda ammirazione, nei confronti del capitano del team Poképals.

- (Non capisco... - pensò il pinguino, - chi è... questo ragazzino?)

- S-STUPEFACENTE! -Urlò all'improvviso, spiazzando lui.

- SONO DAVANTI AL MIRAI NO SENSHI!! CHE FIGATA!! 

Nessun dubbio o piccolo dispetto proveniva dal Totodile: la faccia del cavaliere divenne puro imbarazzo.  

- E' VERO?! CHE HAI COMBATTUTO CONTRO DIALGA?! CHE VIENI DAL FUTURO E TUTTO QUANTO?!

- S-sì... - rispose di riflesso.

- F-FANTASTICOOOO!!!

Il piccoletto fece una capriola all'indietro, urlando di gioia. 

- OGGI HO INCONTRATO UN EROE! E' IL GIORNO PIU' BELLO DELLA MIA VITA!!

Saltando su un piede, si mise a danzare per la stanza, cambiano piede ad ogni mossa. Il suo viso era cavalcato da pura gioia, scorrazzando liberamente per immense praterie. Aveva incontrato un eroe: un guerriero della pace che faceva del bene; un pokémon leggendario decantato nel mito. Per il piccoletto, una sensazione più bella non si poteva provare. Un sentimento che sarebbe dovuto essere strano, ad un membro della banda più famigerata del territorio di the Hills.

- (C-che problemi ha?! - pensò il pinguino, - prima cerca di farmi paura... poi esulta della mia presenza. Questo ragazzino fa sul serio?! E' come un bambino in un parco giochi!)

All'improvviso, un rumore angusto ma familiare risuonò nella grotta, simile al ruggito sommesso di una belva. Il piccoletto distolse lo sguardo verso destra, facendosi prendere dall'imbarazzo. 

- S-scusami... - disse Bite, - oggi... non ho mangiato molto. E' normale... che abbia un po' di fame. 

Un secondo brontolio più preponderante si fece largo nella grotta, facendo sentire il coccodrillo più piccolo di quanto già non era.

- (Un po'... eh?)

- C-CHIEDO SCUSA! N-NON E' COLPA MIA! O-oggi avevano... poco. Ho dovuto arrangiarmi! 

- Perché ti stai giustificando? - Disse il cavaliere, - non ho certo esigenze nel punirti per questo. E poi... Dove sarebbe il problema? Non credo voi abbiate problemi di cibo.

Le Kuroi Kiba, con tutto quello che riuscivano ad arraffare, non potevano avere in alcun modo scarsità di viveri.

- Avete il controllo di tutta la zona di The Hills. Senza contare i tributi che voi ricevete da questo villaggio. Fate davvero fatica a reperire cibo?

- N-non è... quello...

Ancora una volta, il viso del Totodile si staccò da quello del cavaliere, preso in timidezza e sentimento di nullità.

- A-abbiamo... un sacco, di quella roba, ma... 

Il suo sguardo si puntò verso il basso, esponendo ancora una volta la sua debolezza al mondo.

- Io... non voglio... mangiarla. 

Nonostante facesse parte del team criminale, il Totodile non riusciva in alcun modo a prendere le cattive abitudini dei suoi compari. In particolare, era ancora riluttante all'idea di mangiare carne di altri pokémon, sebbene questo fosse in parte necessario alla sua sopravvivenza, e alla completa accettazione da parte del gruppo. Era rimasto fedele alla sua alimentazione di sole bacche, come un debole pokémon civilizzato. 

- Lo so... che non dovrei farmi problemi, disse Bite, - Sono una Kuroi Kiba, dopotutto! - Esclamò, riguardando in faccia l'Empoleon e cercando di darsi coraggio, per un momento. Ma poi, girò di nuovo la testa, quando riprese a parlare.

- Però... se penso che qualcuno... ha sofferto, per quello...

Si toccò gli indici ancora una volta, abbassando il tono di voce come un figlio che non voleva ammettere al padre qualcosa come "sono stato io". 

- N-non mi sembra... giusto, ecco. Non voglio... mangiare altri pokémon...

L'Empoleon rimase in silenzio davanti a tale affermazione. Il Totodile era un pokémon debole, senza la benché minima forza nel suo spirito e nel suo corpo: anche resistere solo alla fame rappresentava un qualcosa di impossibile, per uno come lui. Eppure, avere la risolutezza di non mangiare la carne degli altri pokémon, al costo di non cibarsi ed essere visto in malo modo dai colleghi, mise in una luce diversa Kurokiba Bite, facendo intristire il cavaliere ancora di più. Un'ombra apparì sul suo volto, rendendo impossibile determinarne rabbia o compassione.

- M-MA NON DIRLO AL BOSS! - Esclamò di nuovo, - N-NASCONDO IL CIBO NEL MIO LETTO E LO DO A REX! S-SE VENISSE A SAPERLO, SAREI FRITTO!

Ci fu un secondo di silenzio, per poi lasciare spazio ad un onda di paura, sulla pelle di Bite.

- GHIAAAA!!! NON DOVEVO DIRE NEANCHE QUESTO! COSA C'E' CHE NON VA IN ME?!

Si mise le mani sulla testa, accucciandosi al suolo. In lui, la disperazione di doversi ritrovare punito per il suo sgarro era qualcosa di incontrollabile. Era completamente terrorizzato, soverchiato da tale peccato nei confronti dei suoi superiori. Di fronte a quello, Elliot si lasciò andare in uno sbuffo di rassegnazione, accettando ciò che quella situazione avrebbe portato lui a fare. 

- Se vuoi...

Non era ancora chiaro il significato di quelle parole, ma, dopo averle pronunciate, i tremori del Totodile si fermarono per qualche secondo, concentrando la sua persona su ciò che aveva da dirgli il cavaliere. 

- Puoi prendere le mie.

- E-eh? - rispose rantolando, aprendo gli occhi, uscendo dall'espressione disperata.

- Non farmi "Eh"... - riprese il pinguino, - Non hai capito? Ti sto dicendo che puoi prendere le mie bacche.

In lui, la realtà di quelle parole non riuscivano trovare un senso. 

- D-davvero? - Chiese di nuovo, con la bocca tremante. 

Un piccolo sorriso si fece largo tra il becco dell'Empoleon. Dopo tanto tempo, dopo innumerevoli anni passati a trascinarsi per un senso del dovere non corrisposto dal mondo, Elliot sentiva di nuovo il bisogno di rassicurare qualcuno; di fare davvero del bene, ad un pokémon che aveva bisogno d'aiuto.

- Sarai anche la mia guardia, - disse, - ma non posso certo ignorare un ragazzino affamato davanti ai miei occhi. E poi, non sono io a dovertelo dire. Non posso impedirti di fare niente, io.

Il Totodile si sentì in colpa a dover richiedere la grazia del suo stesso prigioniero, per via di quella fame che, ormai, lo affliggeva da settimane. Guardò con sguardo famelico la ciotola destinata ad Elliot, come se stesse guardando una coscia di Stantler. Nessuno dei suoi compari lo sapeva, ma aveva un rapporto speciale con la Baccapesca: era la prima bacca che aveva messo sotto i denti, e quella che provocava piacere nelle sue papille gustative. Però, il motivo principale era che il suo profumo le ricordava molto sua madre, che era solita masticarne le foglie per profumarsi l'alito. 

Era un po' strano provare fame in associazione con colei che l'aveva messo al mondo, ma non era un sentimento insolito tra pokémon di natura carnivora. Di fronte a quel banchetto, della bava brillante cominciò a sgorgargli dalla bocca, ipnotizzato da quel piatto che non osava addentare, per rubare il cibo di un altro.

- CHE C**ZO STAI ASPETTANDO?!?! - Gridò il prigioniero, - MUOVITI E MANGIA! NON FARE FINTA DI RESISTERE SE SEI PALESEMENTE AFFAMATO.

- O-OK! - replicò nervoso il piccoletto. 

Come se avesse ricevuto l'ordine da un superiore, afferrò una Baccapesca e la strinse tra le sue mascelle, spremendo il delizioso succo direttamente nella sua gola. La gioia della sua bacca preferita, unita alla fame, alleviarono il senso di colpa, rendendolo leggero come una piuma. Mano a mano che mangiava, esso si affievolì sempre di più. 

Una bacca, due, quattro : iniziò ad ingozzarsi come un Gabrodor, ingurgitando quasi senza masticare. Sembrava avesse potuto spazzolare l'intera ciotola, ma essa era talmente piena che sembrava non finire mai. 

Il cavaliere riconfermò il suo pensiero: Sobek era stato fin troppo gentile con quel pasto. Fu evidente per l'eroe del futuro che il piccoletto stava patendo sofferenze atroci, per quanto riguardava lo stomaco: più che da giorni, egli sembrava non aver mangiato nulla di decente da settimane. Come poteva, un pokémon come lui, rimanere con il suo senso di giustizia anche in quella tana di carogne? 

- Ehi. 

Dopo che egli era arrivato alla ventesima bacca, il cavaliere rivolse una domanda alla sua guardia, interrompendo la sua abbuffata. 

- Uhm? Cofa? 

- Perché... perché sei qui?

A quella domanda ripetuta, Bite squadrò l'eroe di Borgo Tesoro. Era ben conscio di dare l'impressione di essere una nullità, e sapeva di non ci poteva fare niente. Ma, se poteva riconoscersi una qualità, sarebbe stata certamente avere un buon udito.

- Ho... già risposto a questa domanda, no? - Rispose il piccoletto, facendo uno sguardo piccolo da indispettito.

- No. Non intendevo quello. 

L'espressione del coccodrillo divenne meno dura, lasciando spazio alla curiosità e all'inquietudine, tipica di chi subiva una domanda importante.

- Non sto chiedendo riguardo alle tue mansioni e i tuoi doveri. 

La postura eretta del cavaliere fece presupporre davvero l'importanza della sua domanda, invitando la Kuroi Kiba alla riflessione.

- Ti sto chiedendo... che ci fa qui, in questo luogo... un ragazzino come te.

Rimase in silenzio, davanti a quel presupposto. Era quello il vero dubbio che affliggeva Elliot Dandelion, il Mirai no Senshi. I suoi occhi divennero più leggeri, mentre le sue palpebre si appesantirono. 

- Non intendevo offenderti... - Disse il pinguino, - volevo dire... mi sembri... un bravo ragazzo. Hai un cuore gentile... e puro. Provi paura e porti rispetto al prossimo. E... non mi sembri, molto forte. 

Non era possibile nasconderlo: un pokémon come Bite, in quel luogo, non ci sarebbe mai dovuto essere. Era di buon cuore, come aveva detto Elliot, e, in circostanze normali, probabilmente, non avrebbe mai fatto del male, figuriamoci delinquere come quelli che, a malapena, il cavaliere riusciva a riconoscere come suoi soci. Il piccolo coccodrillo distolse lo sguardo, non riuscendo a reggere quello dell'Empoleon. 

- Non sei un criminale. Non sei... come i tuoi compagni. Tu... questo non è il tuo posto. Perché sei qui?

Calò il silenzio tra la guardia e il prigioniero. Un non suono di consapevolezza, un senso di non appartenenza che diede un leggero freddo pungente al piccolo Bite. In lui, nel suo povero cuore, il ricordo della motivazione che aveva spinto, diversi mesi fa, ad entrare a far parte delle Kuroi Kiba, risuonò di nuovo debole, come il canto di un usignolo in mezzo ad una tempesta. Se ne avrebbe potuto fare a meno, probabilmente, non sarebbe mai stato lì, come aveva detto il cavaliere: non avrebbe mai voluto a che fare con tali brutti ceffi, se ne avesse avuta la possibilità. Eppure, nel nero della disperazione, la risposta che tanto sottile era, quanto lampante, arrivò con un sorriso, sul volto del coccodrillo. Un sorriso di rassegnazione a quello che era il suo destino. 

- Io... non avevo altro posto dove andare. 

Elliot non mosse un solo muscolo della faccia, a quella rivelazione. Rimase in spirito solenne e rispettoso, lasciando che Bite finalmente parlasse. 

- Non ho... una famiglia con cui stare. Non più, almeno... Sono... solo. E... debole. Ho provato... ad allenarmi, ma le tante sconfitte rendevano più difficile riprendermi e continuare a cercare cibo per me, così ci ho rinunciato... Ho passato... la vita a fuggire e nascondermi. Mangiavo... ciò che nessuno voleva. Dormivo... dove nessuno voleva. 

Una nota malinconica attraversò il pinguino, penetrandogli fin nel cuore, da lui creduto ormai di pietra. Più di chiunque altro, egli sapeva perfettamente cosa volesse dire scappare senza una meta per la paura di essere preso, nel terrore di essere ucciso e di perdere tutto ciò che aveva più caro. Lo aveva fatto nel futuro, durante la Paralisi Planetaria; lo aveva fatto di nuovo, con Grovyle e Chikatomo, quando era stato di nuovo catturato da Dusknoir. Il non poter essere al sicuro, il terrore di essere raggiunto: tutti questi flashback attraversarono la sua mente, avvicinandosi a quello che era il triste Kurokiba Bite. 

- Però... dopo due anni, non ce la facevo più. 

- Due... anni? - Si chiese il pinguino, stupendosi di tale traguardo raggiunto da quel piccolo pokémon.

- Ero disperato. Il freddo, la terra sporca e pokémon Coleottero ronzanti la notte; la fame e il mal di pancia, così come la nausea e la solitudine. Sapevo che c'era un covo di criminali a cui nessuno avrebbe mai dato fastidio. Decisi che... come ultimo tentativo, di unirmi a loro. Era da tante settimane che mi sentivo male. Mi sarebbe bastato un giorno in più... uno solo felice.

Non c'era da stupirsi, se quel piccoletto era con loro: tale era la condizione senza via d'uscita di Bite, arrivato a diventare un delinquente per poter sopravvivere. 

- E... loro mi hanno salvato. 

Nel tono suo, una diversa nota apparve in quella di tristezza rassegnata. In quell'affermazione, in quella piccola frase, trasparì una nota di rispetto e serenità, cosa che non sarebbe mai stata sentita in circostanze normali. 

- A me... bastava un giorno solo. Il boss mi ha offerto invece la sua protezione. Mi ha ridato la vita: mi ha fatto unire alla sua famiglia, e mi ha fatto diventare uno di loro! 

Non ci fu il minimo dubbio nelle sue parole: nel discorso di Bite, Elliot estrasse la riconoscenza e la gratitudine del Totodile nei confronti di Sobek, il mostro senza pietà che terrorizzava la Terra dell'Erba. 

- All'inizio... ero molto spaventato, - continuò lui, abbassando lo sguardo - nonostante avessi superato la sua prova... ero spaventato dal resto del gruppo. 

Si tenne la cicatrice sul braccio sinistro con la mano destra, come cercando di abbracciarla.

- Ero disposto a sopportare, ma la paura di quello che mi aspettava si era fatta sentire. Eppure...

Sebbene diminuito, il tono sereno non cessò di battere nelle sue labbra. Trasparì anche da quel segno, che non provava alcun odio, verso i suoi colleghi. 

- Non mi hanno mai... trattato male. Sono irruenti, brutali e aggressivi... soprattutto con gli insulti. Ma... nessuno di loro ha mai alzato un dito contro di me. Alcuni di loro mi hanno insegnato tante cose, ed anche a come difendermi meglio. E quando bevono quello strano liquido in quei cosi di legno... mi invitano sempre a ballare e a cantare con loro. Lo chiamano... "fare baldoria"! Anche se la maggior parte delle volte non capisco il motivo della loro allegria, è divertente vederli così felici! E poi...

Bite, preso dal discorso, iniziò a parlare vivacemente, con un sentimento felice e contento. Non stava raccontando di gente estranea in una classe, con cui doveva andare d'accordo per forza per non finire nei casini: stava raccontando di amici, di cugini, di fratelli addirittura. Ogni commento suo erano note positive nei confronti delle Kuroi Kiba, e il suo entusiasmo nel parlare di loro spaventò l'eroe dal futuro. 

- (Che cosa... sta dicendo? - Pensò il cavaliere blu, - questo ragazzo... sono banditi di cui stiamo parlando. Posso capire se la sua situazione l'ha costretto a ritrovare rifugio qui, ma... quegli occhi... lui... è sinceramente contento di stare con loro.)

Il suo volto divenne serio, ma di quello preoccupato.

- (Lui sa... cosa sono in grado di fare? Io gli ho visti con i miei occhi: sono malvagi, senza ombra di dubbio! Fanno parte della feccia di questo pianeta! Come può...)

- ... Però bisogna stare attenti al tenente Dingo! Non mi hanno spiegato perché, ma dicono che sia meglio non farlo arrabbiare! Una volta...

- (Hanno messo in ginocchio un'intera città! Li trattano come pezzi da piedi e, quel che è peggio, li mutilano per avere cibo. Come può... questo Totodile... Come può, questo ragazzin-)

- So molto bene... cosa fanno. 

La consapevolezza di Bite fece sobbalzare Elliot, riportandolo alla realtà della conversazione, invece che alla chiusura del suo pensiero. 

- Fanno delle cose crudeli... agli altri dungeon. Loro dicono che è "per farsi rispettare e incitarli a pagare i tributi normali", ma... è... troppo. Lo so. 

Vedere in lui il sapere con chi stava passando la sua vita, e nonostante tutto continuare a vivere con loro, con il cuore buono che si ritrovava, non riusciva a dare una conclusione logica, la benché minima pace, alla mente del cavaliere blu. 

- Però... non tutti qua sono così. Se dovessi fare un esempio... il sottotenente Krugo è conflitto, rispetto a questo. 

- Se mi sento male? Munch munch... Probabile... Purtroppo, questo mondo non ti concede il lusso di seguire la via giusta. Almeno, così lo è per me. Ero come te... in principio. Mi sono semplicemente adattato. Io... penso sempre che, se non lo faccio io a loro, lo potrebbero fare loro a me. Ti abituerai anche tu.

- Anche... se sono banditi... Con me... sono gentili. Mi hanno accettato, anche se sono banditi. Mi hanno... salvato...

Le parole successive, la fine del discorso di Bite delle Kuroi Kiba, fece germogliare un seme che era già stato piantato, nel cuore di Elliot Dandelion, senza che lui se ne rendesse conto. Un qualcosa di benefico, che avrebbe riunito le giunture del suo cuore spezzato. Quello stesso seme che era stato nascosto in lui quel giorno; in quella piazza; in quella città chiamata Crillaropoli.

- Penso davvero... che non siano completamente cattivi, in fondo. 

- anche uno stronzo diabolico è in grado di provare qualcosa come pietà e affetto. 
[...]
- Il bene e il male sono due faccie della stessa moneta.


- Ed io...   

Abbracciò se stesso, unendo ad esso un viso malinconico, emanando tutta la sua solitudine.   

- Voglio solo... qualcuno vicino a me. Qualcuno... che mi voglia bene. 

A lui non importava se erano ritenuti criminali, se passavano per banditi, se il cielo non li avrebbe mai perdonati per i loro peccati: per lui, la pietà di Sobek e le Kuroi Kiba erano la cosa più bella che gli fosse mai capitata in tutta la sua vita. 

Libero dalla sofferenza della solitudine, libero dalla preoccupazione del futuro. Una tana accogliente, un letto caldo, amici che gli insegnavano a vivere e si prendevano cura di lui, come se fosse un loro compagno da anni e anni. La clemenza ricevuta da loro, non l'aveva mai avuta da nessuno, nel mondo là fuori. 

Tutte le certezze di Elliot, tutte le convinzioni che aveva, crollarono sulla sua schiena come una frana di montagna. Anche se erano dei criminali, questi erano in grado di azioni di buon cuore, di qualcosa che lui, non riusciva a capacitarsene. 

Il piccolo licantropo aveva ragione: procedere dritto per dritto, senza sapere nulla di chi si aveva di fronte, non era il giusto cammino per la pace e la giustizia. Se loro erano il male, doveva riconoscere che l'azione da parte di Sobek di accogliere Bite, un poveretto senza casa, doveva essere per forza anche quella un azione malvagia. E ciò, per motivi evidenti, non poteva esserla in alcun modo. 

- Tu... non hai qualcuno a cui tieni?

Il volto del pinguino si  spalancò all'improvviso, come se avesse visto davanti a sé lo spettro di un vecchio caro scomparso.

- Qualcuno... che farebbe di tutto, per te. Se ti dicessero di stargli alla larga, ma tu sai che lui farebbe di tutto per te, lo allontaneresti? Quando lui... è stato il primo, a credere in te? O anche tu... faresti di tutto per lui?

   

L'Empoleon abbassò lo sguardo, riuscendo a provare tristezza in quel viso secco, che era stato privo di emozioni al di fuori della rabbia, per tutto quel tempo. In lui, i ricordi della grande fuga, il momento in cui ritornò al presente di dieci anni fa, di quel tempo in cui non poteva contare su nessuno se non su sé stesso, iniziarono di nuovo a sgorgare in lui. 

Quando scapparono dai Sableye; quando andarono a cercare gli Ingranaggi nel Tempo; quando si era chiesto se la sua vita fosse importante, a discapito degli altri, quando un mostro travestito da angelo lo aveva convinto di stare rovinando il pianeta con la sua esistenza; quando Palkia aveva voluto eliminarli dalla faccia della terra. Quel pokémon, quella scimmia frivola a caccia di guai: egli era sempre stato lì, sostenendolo nei momenti più bui. Conservando nel cuore troppo strettamente il sacrificio del compagno che non c'era più, si era dimenticato di colui che gli era ancora vicino, sentendo una solitudine che non gli apparteneva. 

Procedendo a passo spedito verso la sua meta, scordandosi che, dietro di lui, vi era un pokémon che teneva tanto a lui più di quanto lui tenesse a sé stesso. Nel seguire ciò che era giusto, aveva dimenticato cosa fosse giusto per lui, rendendosi incapace di inseguire i suoi ideali. 

- Faresti di tutto... per stare con lui. Giusto? 

Il suo anfratto di pietra quasi sbriciolato cominciò a battere di nuovo, riscaldando il suo animo di ricordi preziosi ed avventure passate, come la calda mano del suo migliore amico, sempre pronto a tirarlo su di nuovo. Essi erano furenti; essi erano brucianti. Quel dolce sentimento prezioso di fratellanza strinse il suo cuore in una morsa violenta, provocandogli un dolore tramandabile agli inferi. Non era stato l'essere cieco il simbolo del suo peccato: la vera colpa, era aver distolto il suo sguardo dal pokémon che contava di più, per lui. 

Il suo becco digrignò; le sue piume si irrigidirono. Il volto del suo migliore amico, smarrito nei suoi ricordi, ritrovò di nuovo la luce, inumidendo i suoi occhi con lacrime leggere. 

La visione di sofferenza del Mirai no Senshi fece sussultare la piccola guardia. Vedere lo stesso pokémon, che era in grado di fare quella faccia pericolosa e ricolma di terrore in quello stato di debolezza, fecero tornare in lui i sensi di colpa che aveva provato precedentemente nel privarlo del suo cibo. 

- EH?!?! S-SCUSAMI! - Gridò, - N-NON VOLEVO-

- Non c'è... bisogno di scusarsi.

Riuscì a trattenere il pianto, riassumendo il suo animo fiero ed arrogante che lo riteneva di essere dalla parte del giusto. 

- Non sei tu nel torto... piccolo Bite. 

Il piccolo Totodile rimase paralizzato con la bocca semiaperta, nell'espressione di chi voleva dire qualcosa ma non sapeva come rendersi utile.

- Non sei... tu. 

Concluse così il discorso l'eroe del futuro. In lui non vi era alcuna forza di continuare, né vi era alcun senso secondo il suo pensiero. Il pentimento per le sue azioni lo rese una foglia secca in balia del vento, pronta a lasciarsi portare via il più lontano possibile dal suo albero madre. Non vi era desiderio di cadere, né di continuare: avrebbe accettato qualunque cosa il destino gli avrebbe riservato. 

Il piccolo Bite perse l'appetito di fronte a quella scena. Si sentì in colpa per quello che era successo in quei piccoli secondi nel parlare con l'eroe del futuro. Un pokémon decantato nelle leggende, la cui volontà era irremovibile, ora era in quello stato catartico, per un commento di troppo uscito dalla sua bocca. Preso dal sentimento di pietà che prima aveva colpito Elliot, egli abbandonò definitivamente la ciotola, restituendo al prigioniero la sua cena.

- Non ho... più fame. Il resto... lo puoi mangiare.

Rimise a posto il piatto, nello stesso punto in cui l'aveva lasciata prima. Nel cavaliere il desiderio di vivere non era ancora tornato completamente in lui: se non altro, la foglia secca era intenzionata a non lasciarsi sbriciolare dal vento in piccoli pezzetti. Anche se in quello stato, tuttavia, un piccolo frammento di vita batteva ancora nel suo animo affranto. Un piccolo seme di speranza fece un piccolo passo per germogliare, rompendo le pareti del suo stesso guscio.

- (Partner...)

L'Empoleon alzò lo sguardo verso il suo strozzino, come quello di un cane bastonato che cercava conforto.

- Potresti... avvicinarla? - Chiese gentilmente il cavaliere, - Non credo di riuscire... a raggiungerla, nella condizione in cui mi ritrovo.

Era incatenato dalla testa ai piedi: muovere un solo passo, in quella situazione, era impossibile anche se il suo corpo sarebbe stato in condizioni migliori. Era una richiesta più che plausibile, quella del Mirai no Senshi di essere aiutato. Un pokémon dal cuore puro come Kurokiba Bite, criminale o non criminale, avrebbe sicuramente aiutato il povero Empoleon.

- No.

Il Totodile si alzò invece in piedi, rispondendo alla richiesta con un rifiuto secco. Il cavaliere guardò stupito negli occhi di Bite: in lui, una nuova determinazione ed un nuovo spirito prese il sopravvento, scrollando di dosso il suo animo innocente. 

- Non posso farlo.

L'Empoleon rimase in silenzio, intimidito da quell'espressione severa. Il piccoletto distolse lo sguardo verso destra, continuando a parlare.

- N-non mi fraintenda... non che non la voglia fare mangiare... se devo dirla tutta... sono stato io, a suggerire al capo di darle delle bacche. Sapevo che non avrebbe... mai mangiato... "quelle cose"...

L'espressione del cavaliere tornò seria. Il cruccio che lo aveva tormentato, finalmente, aveva avuto la sua risposta.

- Però... ho avuto degli ordini precisi. Avrei dovuto portarle la cena, ma lasciare la ciotola fuori dalla gabbia. Potrei anche dargliela comunque. Nessuno controllerebbe, ma...

Negli occhi di Bite brillava una luce. Non era crudeltà, non era cattiveria ciò che lo spingeva a non semplificare la vita al prigioniero. In lui non vi era niente di tutto ciò. Il sentimento che lo muoveva, nei confronti del boss, era ciò che lo stava condizionando a mantenere il suo voto. 

- Lui... mi ha dato la sua fiducia. Non ho... intenzione di tradirla. 

Fedeltà: era questo ciò che vide negli occhi del Totodile, l'eroe dal futuro. Piuttosto che disobbedire a colui che gli aveva salvato la vita, egli avrebbe rinunciato anche a rendere un favore a qualcuno che ammirava. 

Dopotutto era la decisione più sensata: non aveva senso aiutare un estraneo, schiacciando così il gesto di solidarietà che gli aveva permesso di poter vivere ancora. Fu quello ciò che l'umano percepì dal suo spirito, da quello stesso debole cuore da bambino, la cui forza venne alla luce più splendente che mai. 

Elliot, nel suo rispetto, non si azzardò ad insistere nel chiedere di nuovo se gli potesse porgere la ciotola: decise di utilizzare le sue sole forze per poter mettere qualcosa sotto i denti, come un predatore a caccia di rifornimenti. Fece qualche passo avanti, rendendosi però conto di avere i piedi legati. Insistette ancora di più, facendo forza con il petto. Infine, cadde in avanti violentemente, toccando con la testa le pareti della gabbia. Non poteva muovere i piedi, ma se avesse allungato il suo corpo, strisciando sul pavimento della grotta, avrebbe potuto afferrare con il becco il cibo offertogli.

- Ora capisco... - disse il pinguino. 

Poteva muovere le pinne, ma non i piedi. Il corpo si poteva allontanare dalle pareti della gabbia, ma solo per un certo tratto. Capì perfettamente perché Sobek aveva acconsentito nel cambiargli la dieta, sotto suggerimento del Totodile: la punizione, la tortura per il Mirai no Senshi non aveva cambiato binario dal suo scopo principale, ciò che si meritava per qualche strana ragione.

Umiliazione: il pinguino, per potersi cibare, doveva strisciare sul pavimento, come un Caterpie in fuga da un Pidgeot per la sua salvezza. Raggiunse con il becco la ciotola, scontando la pena che lo Shokujin aveva inflitto su di lui. 

*******************************NOTE DELL'AUTORE*******************************

 - Explaining:


- Legenda:
Katsuhi (割火): Tagliafiamma, flame cutter.
Dennetsu (傳熱): rabbia tramandata, Pass Down Rage.
Matatabi (股旅): Viaggio al galoppo, Crotch trip.
Shokujin (食人): cannibale, Man-eating.

-F.A.Q.

- Curiosità

Il secondo nome "Matatabi" vuol dire in traduzione letterale "Viaggio al galoppo", ma è un espressione usata in giapponese per indicare il modo di vivere di un avventuriero d'azzardo, ovvero "vita da giocatore d'azzardo". Il gioco di parole per descrivere la filosofia di Krugo è data da "matata", derivante dal celebre "Hakuna Matata", l'espressione swahili che viene tradotta come "senza pensieri". 


   
 
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