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Autore: ToscaSam    19/02/2020    1 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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miracolo e divieto del Re Salomone

Möbius sorrise amaramente: « Neanche io ci credo a dire il vero. Ma la mia disgrazia è che mi appare il Re Salomone e, nel mondo della scienza, niente è più assurdo di un miracolo».
Martha strinse i pungi poggiati sulle ginocchia. Sembrava volersi decidere, sembrava prepararsi.
« Signor Möbius, io ci credo a questo miracolo»
« Cosa?» Möbius fissò incredulo la donna che gli sedeva accanto.
Anche lei si decise a guardarlo: lo puntò dritto negli occhi. Come sono ardenti, pensò Möbius.
« Io ci credo, se lei lo dice»
« Lei crede che mi appare il Re Salomone?»
« Si. Se lei lo dice, io ci credo»
« Anche quando dico che è Salomone a dettarmi le formule fisiche?»
« Si, anche quando dice questo. E se mi dice che le appare anche re Davide, io le crederò lo stesso. È che io so che lei non è pazzo. Certe volte finge, certe volte crede alle sue stesse menzogne, certe volte è sincero. Io le crederò sempre».
Continuava a fissarlo, con le iridi ardenti e l'espressione sicura di un giocoliere che si lancia nel cerchio infuocato.
Möbius sentì le proprie mani sorreggere quel cerchio, vide l'acrobata pronta a spiccare il salto. Ma lui gettò il cerchio a terra.
« Non voglio vederla mai più».
L'acrobata non si arrese. Prese il cerchio e se lo tenne alto da sé. Poi ci saltò dentro.
« Ma io l'amo».
Il cerchio di fuoco fece divampare un incendio nel cuore di Möbius. Tutto bruciava, in un assurdo silenzio rimbombante.
Eppure lui non poteva, non doveva guardarla.
« Lei si sta precipitando nella catastrofe»
Lei gli prese le mani.
« Non ho paura» disse. Era irriducibile.
Möbius non aveva il coraggio di guardare quella faccia bella, adorabile, a lui tanto cara. Martha ormai era libera da ogni titubanza. Non spostava la testa di un centimetro e teneva gli occhi fissi su Möbius. Le mani ferme sopra le sue.
« Signorina. Martha ...» iniziò Möbius con voce tremula. Fissò le sue mani nodose, sopra cui poggiavano quelle fresche e rosee di lei. Intrecciò le sue dita squadrate a quelle affusolate, poi le divise e poi le intrecciò di nuovo.
« Lei mi ha confessato il suo amore e la fiducia che ripone in me. Devo confessare a mia volta la verità: anche io l'amo. L'amo tanto, troppo. E non posso permettermi questo. Ci sono troppe cose in gioco, cose enormi. Lei è in pericolo, proprio perché ci amiamo».
Una lacrima sfuggì al controllo di Martha Boll: era di felicità?
Un fragore inaspettato fece sobbalzare i due, seduti sul sofà.
« Mi sono svegliato di nuovo».
Era Einstein, che ciondolava felice nel salotto. I baffi a spazzola in disordine, così come i capelli.
Martha Boll si alzò e asciugò rapidamente la lacrima sulla guancia. Raggiunse l'altro paziente e gli circondò le spalle. Quello balzellava, allegro.
« Ma come, professore»
« A un tratto mi sono ricordato»
« Ma via, professore»
« Ho ucciso Irene Strauss»
« Non ci pensi più, professore».
Einstein si liberò della presa di Martha Boll e raggiunse Möbius. Dette un lieve calcio ai frammenti di bicchieri che ancora giacevano sparsi dappertutto.
« Chissà se sarò ancora in grado di suonare il violino. Chissà se sarò ancora in grado. Chissà se saprò ancora suonare il violino. Chissà se ...»
« Lei ha già ripreso a suonare, Ernst» sbottò Möbius, cercando di fermare l'ometto baffuto. Quello, come una rana, saltava di qua e di là, accompagnato dagli scricchiolii dei detriti sul pavimento.
« Il bello è che non mi piace affatto suonare il violino. E odio anche fumare la pipa».
Möbius si alzò e lo raggiunse, scocciato. Lo afferrò per un braccio:
« E allora smetta!»
« Non posso» disse l'altro, finalmente fermandosi. Si portò un pungo sul cuore e chiuse gli occhi, solenne: « sono Albert Einstein».
Aprì gli occhi e sorrise scioccamente rivolgendosi prima a Möbius, poi a Martha. L'irritazione era ben visibile sui volti di entrambi.
« Sbaglio … o le mie vecchie orecchie hanno sentito che vi amate?».
Martha Boll, rossa in viso, si accomodò una ciocca di capelli biondo cenere dietro l'orecchio. Disse, sicura:
« Ci amiamo».
Com'era bella. Com'era decisa, capace, sicura. L'animo più nobile all'interno di quel luogo. La donna più forte che Möbius avesse mai conosciuto.
« Che cosa commovente. Sa? Anche io amavo Irene Strauss e lei amava me»
« Via, professore. Vada a stendersi»
« È così. Mi amava. Diceva che avevo un accento russo, che avevo un'aria dell'est. Ero esotico, per lei. E lei era così cara, così dolce. Poi mi ha detto che voleva sposarmi e che voleva portarmi fuori dalla clinica. Voleva chiedere il permesso alla Von Zhand, voleva andare a vivere in campagna. E così l'ho strangolata»
« Dia retta a me, professore. Lei deve stendersi»
« E lei dia retta all'uomo che ama: se Möbius le consiglia di dimenticarlo, lo faccia. È meglio per tutti e lei sarà salva. Colga l'occasione del trasferimento e si scordi di noi. Altrimenti per lei è la fine».
Se ne andò, teatralmente, chiudendosi la porta di camera alle spalle.
« Poveretto. Come vaneggia» sussurrò Martha.
« Martha, stia bene a sentirmi. Agli occhi del mondo lei ama un malato di mente. Abbandoni la clinica e mi dimentichi. E’ meglio così... per tutti e due».
Gli occhi dell'infermiera si riempirono di lacrime che stavolta non si preoccupò di trattenere. I capelli erano sfuggiti al controllo dell'elastico e cadevano in ciocche disordinate sulla sua spalla. Lo fissò, piangendo, perdendo ogni dignità e ogni pudore: era rossa, rosea, sconvolta e ferita. Una ninfa dei fiumi travolta da un uragano. Möbius pensò che fosse bellissima.
« Johan. Tu … mi desideri?»
Passò al tu, gli si fece vicino, lo guardò negli occhi con quello sguardo pieno di lacrime e sentimenti. Möbius sentì le forze venire meno. Si obbligò a non guardarla.
« Ma perché mi dici cose simili?»
« Voglio venire a letto con te. Ti voglio. Voglio dei figli da te. Voglio essere tua, la tua donna, la tua compagna. Lo so che parlo come una svergognata. Ma perché non mi guardi in faccia? Non ti piaccio proprio per niente? Ora voglio sacrificarmi per uno solo, e non sempre per tutti quanti! Voglio esser lí per l'uomo che amo. Per te. Farò tutto quello che vorrai tu, lavorerò per te giorno e notte, solo non devi mandarmi via! Anch'io non ho più nessuno al mondo, all'infuori di te! Anch'io sono sola! Tu non mi ami proprio per niente, allora!».
Möbius si voltò, colmo di pietà e sofferenza. Sentiva il cuore che traboccava, le mani che tremavano e gli occhi pieni di tenebre e luce insieme.
« Io ti amo, Martha. Ti ho amata da poco dopo che mi avevi preso in cura. Sei una donna meravigliosa e forte. Ma io mi ero promesso di tenere il mio amore segreto. Non possiamo amarci. Non possiamo! È troppo pericoloso»
« Perché dici che è pericoloso? Cosa può succedere?»
« Il Re Salomone! Lui mi ucciderà se commetto errori. Non posso!»
« Non c'è nessun errore. Tu non sei pazzo. Salomone non può farti del male. Te lo prometto, Johan. Te lo prometto quanto è vero che c'è il mondo».
Möbius la guardò e fu un grande errore: lei lo prese e lo baciò con trasporto.
E lui si fece baciare, si beò di quella breve finestra di luce sul suo mondo buio.
Va bene, pensò. Finché rimarrà qui godrò del suo amore. Finché non sarà costretta a lasciare la clinica non mi priverò del raggio di sole primaverile che riscalda il mio inverno.
L'amava, ma Salomone era più potente, persino dell'amore.
È una cosa temporanea, si ripeté Möbius. Andrà tutto bene.
Ma si sbagliava.
  
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