Batté
ancora sul vetro coi pugni, rimpiangendo di non avere i suoi nunchaku
per provare a spaccarlo, e intanto urlava senza sosta il suo nome con
tutto ciò che gli restava della voce, cercando un qualche
segno che
lei fosse poi davvero solo svenuta e non senza vita.
Il
corpo all'interno si mosse leggermente, e gli parve di averla sentita
mugugnare nell'incoscienza e urlò più forte,
ignorando il bruciore
alla gola.
“SAMANTHA!”
Gli
occhi della ragazza mutata si spalancarono con paura e sorpresa,
grandi laghi di confusione, e Michelangelo notò
immediatamente che
non erano neri come quelli di Melissa quando era mutata, ma grigi
lattei, tagliati da una pupilla scura a forma di fessura, come quella
di Leatherhead.
Non
capiva se volesse dire che la mutazione era andata male e se quello
comportasse rischi per Sam.
Quegli
occhi trovarono i suoi e si spalancarono un po' di più,
mentre Sam
si alzava con un po' di fatica per raggiungerlo: lei si accorse delle
macchie di sangue incrostate nelle sue mani e del rosso che ormai
aveva macchiato la sua bandana legata in vita, rendendola una copia
di quella di Raphael. Tremò impercettibilmente.
La
ragazza emise un basso lamento, graffiante, prima di rendersene conto
e bloccarsi con un singulto roco, e poggiando le mani contro il vetro
in un gesto inconscio di raggiungerlo, si accorse del loro colore e
della loro forma.
Michelangelo
assisté impotente, mentre lei si guardava con panico
crescente,
occhieggiando con quei grandi occhi grigi le squame gialle che
ricoprivano il suo corpo; le sue mani corsero verso il volto,
tastando i contorni del viso e passando senza sforzo sulla testa
liscia, sulle orecchie puntute, sui denti affilati e letali.
Aveva
iniziato a produrre un sibilo stridulo, di stress, senza esserne
conscia, a cui si aggiunse quasi subito un rauco ringhio, di rabbia.
“Sam”
la chiamò piano, cercando di vincere la sua attenzione. Si
era
accucciato dall'altro lato della teca, per cercare riposo dal corpo
bruciante, per illudersi di poterla raggiungere se fosse stato al suo
stesso livello.
Lei
incatenò di nuovo lo sguardo al suo, ma non smise di
stridere e non
smise di ringhiare. E non smise di tremare.
“Ti
porterò fuori di qui e Donnie e Leatherhead troveranno una
cura. Te
lo prometto” mormorò con tutta la calma che
riuscì a racimolare,
che non provava davvero, pur di cancellare quell'orrore che lei
provava.
Sam
rimase immobile a fissarlo, per interminabili secondi.
“Riesci
a capirmi? Ti ricordi chi sono?” le domandò
allora, temendo che
come Melissa anche lei potesse aver perso la memoria con la
mutazione.
Il
corpo giallo si sporse verso di lui, lo stridio e il ringhio
cessarono all'istante, e si poggiò contro la sua gabbia.
Erano
così vicini, c'era solo quel dannato vetro a separarli.
“C-
coso” sillabò Sam, graffiante e titubante,
sorprendendolo.
Melissa
non aveva mai parlato, nella mutazione. E anche quello gli diede il
presagio che ci fosse qualcosa che non andava, anche se non sapeva se
in bene o in male.
Tuttavia
sorrise, non poté impedirselo, al sentire il nomignolo che
lei gli
aveva affibbiato, sin dal primo istante in cui si erano incontrati.
Sarebbe
sembrato un insulto detto da chiunque altro, ma non da lei.
Lei
vide il suo sorriso, tenero, e i suoi occhi grigi scintillarono.
“Michelangelo”
disse con più dolcezza, prima di sorridergli a sua volta.
Il
cuore del mutante bruciò, avvampò, e crebbe e
crebbe, dandogli una
botta di adrenalina.
Non
seppe cosa stesse pompando ormai, sapeva che doveva aver prosciugato
ogni goccia di sangue, ma non gli importava sapere davvero per quale
miracolo fosse ancora vivo. Purché fosse servito a salvare
Sam.
“Ti
porto via di qui” esclamò Mikey, provando a
sollevarsi dal suolo,
controllandosi intanto intorno per cercare il modo di farla uscire da
quella gabbia di vetro e metallo.
Si
tirò su con un gesto deciso, ma le gambe cedettero, e lo
riportarono
in basso con un tonfo cupo. Con uno sforzo immane ci
riprovò, con
più convinzione, riuscendo a rimanere per qualche istante in
piedi,
prima di ricadere sulle ginocchia, dolorosamente.
Il
suo respiro era così corto e accelerato, come avesse corso
intorno
al mondo.
“Oh,
Michelangelo, povero Michelangelo” mormorò una
voce profonda, con
un tono fastidioso e canzonatorio.
Si
voltò a fatica e incatenò lo sguardo sull'uomo
alle sue spalle,
ritto e impettito a gustarsi la scena. Non lo aveva nemmeno sentito
arrivare, il ronzio sordo nelle orecchie era una costante ormai.
Era
alto e esile, il colorito così pallido da poter vedere il
reticolato
di vene bluastre che correva sotto pelle, perfino nella
semi-oscurità, i capelli neri radi e lunghi, gli occhi dello
stesso
cupo colore.
E
sfoggiava un ghigno soddisfatto nel viso puntuto.
Era
differente dall'ultima in cui lo aveva visto, ma non avrebbe potuto
dimenticare quell'aria folle che lo permeava.
Hersen
era tornato umano, ma c'era qualcosa, in lui, che lo faceva
rabbrividire.
Sembrava
che riuscisse a seguire ogni suo piccolo movimento anche in quella
penetrante penombra, mentre lui faceva fatica a definirne i contorni,
se non strizzava a fondo gli occhi.
“Povero,
povero Michelangelo” continuò a canzonarlo,
avvicinandosi senza
timore a grandi passi.
Mikey
sforzò il suo corpo ad agire e reagire, -se lo avesse preso
di
sorpresa avrebbe potuto battere Hersen anche se così
malconcio,- ma
benché provasse a muovere i muscoli con tutta la
disperazione
rimastagli, non si mosse di un millimetro.
Era
davvero arrivato alla fine? Non ancora. Ancora un poco, doveva
resistere ancora un poco.
“Non
te le stai passando molto bene, vedo” constatò
leggermente, mentre
Michelangelo sentiva il suo freddo sguardo scivolargli addosso,
soffermandosi sulle macchie di sangue che imbevevano la tuta e il suo
corpo.
“È
un vero peccato, credimi, lo dico sinceramente. Ma sei comunque
riuscito a vedere la mia più grande creazione, dovresti
sentirti
onorato.”
“Liberala”
sussurrò Mikey, la voce così inconsistente e
fioca da non
sembrargli nemmeno la propria.
“Come?
Non ho capito bene.”
Lo
stava prendendo in giro, godendone perfino, e quello lo mandava
così
in bestia. Era lui che prendeva per i fondelli i bastardi psicopatici
e non viceversa.
“LIBERALA
DANNATO FIGLIO DI PUTTANA” ruggì più
forte, anche se sapeva di
star solo facendo il suo gioco. Poteva contare sulla sua mano, ed era
tutto dire per uno con tre dita, quante volte nella sua vita aveva
perso la calma e il suo stato mentale di tranquillità e
buonumore,
ma in quel momento si sentiva più Raphael di quanto Raph
stesso non
fosse mai stato, una rabbia enorme a riempire le vene al posto del
sangue.
Hersen
infatti rise, deliziato.
“No,
sarebbe un peccato. M37 bis è perfetta, perfino meglio di
sua
sorella, più stabile, intelligente, agguerrita e
potente” elencò
in estasi, spostando lo sguardo sulla ragazza mutata, che gli
mostrava i denti con ferocia.
Anche
Michelangelo si voltò con fatica per guardarla, con pena e
amore.
“Si
chiama Sam!”
“Si
chiama M37 bis” ripeté asciutto lo scienziato.
“Ed è il primo
passo per il mio futuro. Non solo mi ha guarito dalla mutazione, vuoi
vedere cos'altro è capace di fare?”
Michelangelo
si voltò con una piccola punta di curiosità,
nonostante tutto.
Tra
le mani di Hersen era apparsa una siringa piena di una sostanza di un
colore che non riuscì a definire, ma che tuttavia non gli fu
difficile capire cosa fosse.
Senza
staccare gli occhi da lui Hersen fischiò crudemente e
immediatamente
un piccolo umano mutato, blu intenso, apparve dalle stanze
provvisorie e caracollò al suo cospetto, docile e obbediente.
“Per
cominciare ho mantenuto il mio controllo mentale sugli scarti,
c'è
ancora qualcosa di coccodrillesco in me, a quanto pare. Posso vedere
perfettamente al buio e la mia forza fisica è decuplicata,
ma vuoi
vedere qualcosa di straordinario?”
Avvicinò
la siringa al mutante blu, e quello nemmeno ci provò a
ribellarsi, e
con un colpo brutale la piantò nel suo collo, spingendo il
siero
oscuro all'interno del suo corpo.
Quello
sussultò.
Il
piccolo mutante iniziò a vibrare, i suoi arti
così tremolanti da
non riuscire più a definirli, e si contorse e si contorse
ancora con
un basso sibilo che dava fastidio a lui e innervosiva Sam, a
giudicare dai colpi sordi che lei iniziò a dare contro il
vetro.
Il
mutante mutò ancora, ironicamente, il suo corpo si
allungò e
ispessì, fasci di muscoli lo rivestirono e crebbe e crebbe
esponenzialmente,velocemente.
Se
Michelangelo avesse avuto forza in corpo avrebbe approfittato di quel
momento per fuggire, perché qualcosa gli diceva che fosse
meglio non
attendere di vedere la fine della nuova mutazione, di mettere quanta
più distanza possibile tra loro e quella
mostruosità contro-natura.
Poi
il sibilo si interruppe e così l'agonia del corpo, immobile
e
ansimante al suolo per qualche istante, prima di sollevarsi nella sua
immensa statura.
Era
alto come Leatherhead, era grosso come Leatherhead, ma più
snello,
più scattante, le scaglie si erano colorate di un verde
acido e gli
occhi splendevano grigi, in cui poté vedere le pupille a
fessura
splendere come fari.
Le
file di denti sembravano più taglienti, gli artigli
sguainati con
sadica soddisfazione erano più lunghi e affilati. Un
supermutante.
Anche
il suo ringhio era diventato più roco e graffiante, e Sam
reagì con
violenza al sentire il suono, ormai lanciata contro la sua barriera.
Il
vetro tremava terribilmente sotto i suoi colpi, ma non accennava a
cedere.
Il
nuovo mutante sorrise della sua paura e si fiondò
velocemente verso
Michelangelo, afferrandolo per la gola e sollevandolo con un braccio
solo e un movimento fluido, come se non pesasse nulla.
Mikey
non riusciva quasi a respirare, figurarsi ad urlare per il dolore e
per la rabbia.
“Soldati
perfetti, forti e rapidi, leali, indistruttibili”
esclamò Hersen
come un ossesso, un'espressione di puro godimento sul viso.
“E ne
potrò creare a migliaia, grazie a M37 bis. Grazie al mio
esercito
potrò vendicarmi di Bishop. E poi chissà, le
potenzialità sono
infinite!”
Samantha
ringhiava e colpiva cercando di uscire dalla sua gabbia, gli occhi
fissi su Michelangelo e il mutante che ancora lo teneva nelle sue
grinfie: iniziò a modulare un suono gutturale ad ogni
schianto,
sempre più forte, e il supermutante si bloccò
come ipnotizzato al
sentirlo, lo sguardo più vitreo.
Michelangelo
sentì che la sua presa si allentava e sollevò un
braccio e artigliò
la sua mano, ma prima che potesse liberarsi un nuovo fischio
riempì
l'aria e le dita del supermutante lo strinsero con più forza.
Un
secondo fischio echeggiò assordante e stridulo e
Michelangelo sentì
Sam che con un tonfo cadeva al suolo, soggiogata anche lei da Hersen,
una marionetta nelle sue mani.
Tossì
nello spasmo di muoversi e aiutarla, nel provare a liberarsi e
volgere quella orribile situazione in loro favore; il supermutante
strinse appena più forte e caricò l'altra mano
indietro, gli
artigli sguainati, puntata sul suo torace.
In
una frazione di secondo si rese conto che era la fine, la sua vera
fine, e che non aveva potuto fare nulla, non era servito a nulla
arrivare fin lì e raggiungerla, sarebbe morto ad un passo da
lei,
condannandola a una vita d'inferno come rifornimento personale di
quel bastardo per la creazione di nuovi mostri.
Ed
era intollerabile quel pensiero. Ed era patetico che non riuscisse a
fare più nulla per impedirlo.
Una
luce bianca splendette nel momento dell'attacco, costringendoli tutti
a chiudere gli occhi con fastidio, Hersen imprecò da qualche
parte,
il supermutante ringhiò.
Michelangelo
cadde senza peso, libero, e qualcosa di caldo e morbido lo
afferrò
prima che sbattesse violentemente contro il suolo, adagiandolo con
gentilezza, ma la luce era ancora troppo intensa per aprire gli
occhi.
Tuttavia
si sentiva assurdamente bene.
“È
tutto ok, fratellone. Siamo qui” mormorò la voce
dolce e penosa
assieme di Isabel, prima di sentire le sue labbra poggiarsi sulla
fronte.
Un
soffice formicolio gli scivolò dentro, portando benessere e
cancellando pian piano il dolore e l'ansia, sentiva il vigore
ritornare nelle membra, la forza rinascere nel suo corpo.
Ma
benché fosse meraviglioso, non era quello che voleva al
momento.
“Sam...
salva Sam” sussurrò con un filo di voce,
afferrando alla cieca una
mano di Isabel. La sentì sorridere sulla sua fronte, senza
staccarsi
dal contatto, e seppe che era tutto sotto controllo.
Hersen
assisteva impotente alla scena, incredulo, confuso su cosa fosse
successo davvero e come tutti quegli intrusi fossero apparsi
all'improvviso nel sotterraneo: c'erano le altre tartarughe mutanti,
il loro padre ratto e Leatherhead, oltre a quella giovane donna che
brillava.
Che
aveva steso il suo supermutante in un secondo, lasciandolo svenuto al
suolo.
Prima
che potesse anche solo aprire bocca, o pensare di farlo, Leatherhead
lo investì con tutta la sua furia, mandandolo a sbattere
contro il
muro alle sue spalle con un tonfo sordo.
Hersen
cadde e sentì la vibrazione dei passi pesanti del
coccodrillo
mutante galoppare ancora alla carica contro di lui: si
rialzò con un
colpo di schiena all'ultimo secondo, portandosi lontano dalla coda
che scioccava con agitazione.
Ad
un suo nuovo fischio una frotta di supermutanti irruppe da una delle
stanze ricavate dal sotterraneo e si gettò all'attacco, ce
n'erano
almeno quattro o cinque per ognuno di loro; Leatherhead
ringhiò, un
grido atavico che per un attimo interruppe i movimenti dei
supermutanti e rese i loro occhi grigi più lucidi e
focalizzati,
intelligenti.
Sembravano
indecisi su cosa fare o confusi sul perché fossero
lì.
Hersen
si lanciò contro di lui con furia e un sibilo stridulo che
riattivò
il controllo sulle sue creature e tre di loro si unirono a lui contro
il coccodrillo mutante, mentre le altre attaccavano a gruppi gli
altri.
Isabel
innalzò uno scudo con la mente, mentre continuava a curare
Mikey.
Raphael
era furioso, la presa nei Sai era spasmodica, e si faceva violenza
per non gettare al vento qualsiasi concentrazione e semplicemente
uccidere tutti quei mega-mutanti e correre da Mikey e Isabel. Tutto
quel sangue sul corpo di suo fratello gli faceva venire voglia di
spaccare e distruggere.
Quegli
umani mutati erano diversi da quelli affrontati fino a quel momento e
tutti si chiesero se non fosse un'evoluzione dovuta a Sam; erano
più
veloci e forti, e li stavano torchiando senza fatica. Donnie aveva
gettato un'occhiata veloce verso la gabbia di vetro in cui Sam
sedeva, lo sguardo fisso sul niente come una bambola senza vita:
benché sembrasse una copia identica di Mork, la povera
Melissa
quando era mutata, si era accorto immediatamente delle differenze tra
lei e sua sorella e la sua mente lavorava febbrilmente sul
perché e
il come e si chiedeva se avrebbero mai, lui e Leatherhead, potuto
creare un contro-siero per aiutarla.
Voleva
correre da lei e sincerarsi che stesse bene e possibilmente
liberarla, ma non riusciva a smarcarsi
dagli attacchi dei supermutanti.
Quelli
li sospingevano indietro, li colpivano e colpivano, procurando
lacerazioni sui loro corpi, senza lasciargli la possibilità
di
contrattaccare.
Potevano
solo cercare di difendersi con le loro armi, cercando di chiudere la
lotta il più fretta possibile.
Hersen
sosteneva lo scontro contro Leatherhead con sorprendente
facilità,
con una forza fisica mostruosa, bloccava i suoi attacchi con un
semplice braccio, colpiva con una brutalità animale e la
frustrazione del coccodrillo cresceva e cresceva.
Non
era mai stato più furioso, nessuno avrebbe potuto fermarlo
finché
non avesse ucciso Hersen, probabilmente.
I
supermutanti si mettevano in mezzo e approfittavano della confusione
per lacerargli la spessa pelle, mentre cercavano di colpire organi
importanti e vitali.
Non
sembrava che potessero vincere facilmente, e non senza far male agli
umani mutati.
Leo
bloccò un'artigliata con le lame delle spade, ma non ebbe il
tempo
di gioirne, colpito da un pugno velocissimo contro la faccia; Don si
accorse della sua momentanea vulnerabilità, così
scoperto, e si
gettò al suo fianco per proteggerlo, inseguito
immediatamente dai
suoi avversari.
Si
trovarono accerchiati. C'erano anche Splinter e Raph, e
inconsciamente i tre si tesero per proteggere il loro sensei e padre,
anche se sapevano che non ne avesse bisogno: si batteva come una
tigre, per cercare di finire lo scontro e poter controllare suo
figlio, lì al suolo ricoperto di sangue.
Isabel
lo stava curando, perciò parte del suo dolore e
preoccupazione stava
scemando, ma avrebbe combattuto finché non avesse potuto
riabbracciarlo e sincerarsi che stesse bene con i suoi stessi occhi,
con le sue stesse mani.
Nessuno
poteva toccare i suoi figli e pensare di farla franca.
Erano
tutti schiena contro schiena, o guscio contro guscio, impegnati a
cercare di respingere gli attacchi e gli artigli, le menti che
lavoravano senza sosta alla ricerca di una qualche idea o tecnica che
li aiutasse in quella particolare situazione.
Era
un continuo rumore di metallo e legno e osso che si scontravano e
urla di dolore e imprecazioni tra i denti che Splinter si
premunì di
far finta di non sentire.
Tutto
si bloccò in un fascio di luce più potente, un
bagliore e un
crepitio intensi, prima che la luminosità ritornasse normale.
Si fermarono, riprendendo grandi respiri sollevati, le armi
già più
allentate nelle mani, gli occhi sui loro avversari bloccati in pose
statiche con espressioni di pura paura e sorpresa.
Isabel
era in piedi, un braccio teso di fronte a sé e gli occhi
bianchi e
splendenti. L'altra mano stringeva ancora quella di Michelangelo, che
si tirava lentamente su, intonso e in forze. Titubò un poco
sulle
gambe, come un cerbiatto appena nato, sostenuto senza fatica
dall'esile donna al suo fianco.
I
supermutanti si trovarono chiusi in una bolla ciascuno, impenetrabile
e indistruttibile, per quanto cercassero di forzarla; scintillavano
appena nella semi-oscurità, come globi di polvere luminosa.
Dopo il
primo momento di stupore si erano riscossi e provavano a forzarla con
tonfi poderosi, senza successo.
Hersen
emise un singulto roco, incredulo e spaventato, lui e Leatherhead
distratti per un secondo da ciò che stava accadendo.
“Tu
chi diamine sei?” urlò contro la giovane donna,
gli occhi a
fessura fiammeggianti.
Isabel
sorrise.
Michelangelo al suo fianco lasciò andare la sua mano: si
mosse in contemporanea a Leatherhead, senza averlo pre-coordinato, e
insieme si lanciarono contro Hersen in un secondo, uno dritto contro
il viso e uno contro lo stomaco.
L'impatto
fu così violento che l'uomo sbatté contro il muro
lasciando una
profonda crepa e si accasciò al suolo immobile, per qualche
istante.
Era un super-umano, ma non era possibile che non avesse risentito del
colpo,
e dallo schiocco che era risuonato nel silenzio probabilmente
qualcuna delle sue ossa si era rotta. Forse ben più di una.
I
due corsero via immediatamente, senza preoccuparsi di lui, verso la
teca, verso Sam. Leatherhead la colpì coi pugni chiusi, il
primo
colpo produsse solo una piccola crepa, il secondo lo incrinò
completamente, il terzo lo mandò in frantumi: Mikey si
gettò
all'interno mentre i frammenti ancora cadevano al suolo, scintillanti
di luce riflessa.
Sam
era ancora sotto il giogo di Hersen e li fissava con occhi appannati
e fu solo quando Leatherhead produsse un gorgoglio basso e morbido,
quasi fusa di gatto, che quelli si schiarirono e luccicarono di
vitalità, di meraviglia.
Rispose
al richiamo di suo “padre” senza esserne nemmeno
conscia, e
quello di rilassò al sentirlo, come se lei gli stesse
comunicando
che stava bene.
Michelangelo
le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, anche se in realtà
voleva
solo stringerla, abbracciarla con tutte le sue forze e sentire che
per davvero stava bene, per davvero fosse al sicuro.
“No!
No! Non la porterete via! NO!” urlò la voce folle
di Hersen,
seduto al suolo con il naso spaccato e una gran colata di sangue ad
imbrattargli la camicia bianca,
il respiro difficoltoso e rauco.
Si
era trascinato qualche metro più distante da loro,
osservando tutto
con gli occhi spalancati di rabbia e incredulità: i suoi
super-mutanti bloccati con facilità, la sua mutante che
veniva
liberata, i suoi nuovi avversari liberi di colpirlo, quello ad un
passo dalla morte vivo e vegeto e intonso e quella giovane che
splendeva e che aveva compiuto tutti quei miracoli con un battito di
ciglia.
Era
tutta colpa sua.
Una
mano stringeva un piccolo congegno nero e tutti loro tremarono,
sapendo già cosa stesse per accadere. Le fondamenta
tremarono e i
muri e il soffitto vibrarono, facendoli barcollare come ubriachi.
“Lurido
bastardo” ringhiò Raphael, immediatamente al
fianco di Isabel.
“Ha
innescato l'autodistruzione, l'ha già fatto in passato,
lurido
vigliacco” le disse a denti stretti, mentre l'afferrava e
l'ancorava al suo corpo.
Isabel
si mosse in fretta: con una flessione delle dita le bolle coi
supermutanti sparirono nella pura aria e i corpi dei suoi amici e
della sua famiglia si rivestirono di una lieve luminescenza, pronti
ad essere trasportati via anche loro.
Hersen
si era sollevato intanto e con uno sguardo malevolo verso di lei
cercava di allontanarsi, mentre le prime porzioni di muro cadevano a
terra con schianti terribili; Isabel puntò la mano su di
lui, ma
prima che potesse ingabbiarlo venne spinta via da Raphael e il
soffitto nel punto in cui si trovavano un decimo di secondo prima
crollò sollevando un polverone, facendogli tremare perfino
le ossa.
“Dobbiamo
andare via!” sentì urlare Don da qualche parte,
urgente e
angosciato.
La
luce di Isabel li avvolse con amore e in un battito di palpebre
furono tutti nella sicurezza del rifugio, solido e immobile, fortezza
impenetrabile.
Rimasero
in silenzio, sconvolti dal cambio così improvviso, dal
ventre di una
catastrofe alla dolce sicurezza della loro casa, mentre tutto gli
passava davanti agli occhi, il cuore ancora accelerato dalla paura.
Hersen
era riuscito a farla franca. Forse perito nel crollo del palazzo,
anche se nessuno ci credette davvero.
Sam
fu la prima a reagire, lasciò andare la mano di Michelangelo
e si
allontanò verso il laghetto, mogia e con le spalle curve. Il
peso di
ciò che era successo, l'orrore di ciò che era
diventata, la investì
e la pressò.
Mikey
fece alcuni passi verso di lei, ma si tenne a discreta distanza,
rispettando i suoi spazi e il suo dolore.
Il
corpo giallo tremava sottilmente, le mani strette a pugno, forte,
spasmodicamente.
“È
morto?”domandò con voce roca e fu per tutti una
sorpresa sentirla
parlare, a giudicare dai respiri trattenuti.
Michelangelo
si avvicinò di un altro passo.
“No,
mi dispiace. Non ho mantenuto la promessa. Ho paura che Hersen
l'abbia fatta franca anche stavolta” rispose penosamente, il
volto
chino di vergogna, sebbene lei non potesse vederlo.
Samantha
non diede segno di averlo sentito o probabilmente la rabbia che
provava non le permetteva di rispondere, di prendersela con lui
com'era giusto. Avrebbe dovuto urlare e maledirlo per non aver ucciso
l'assassino di sua sorella, per non aver vendicato la sua morte.
Per
aver lasciato un bastardo come Hersen libero di fare altre malefatte,
di poter attentare ancora alla sua vita.
Si
sentiva in colpa, per aver lasciato che lui la trasformasse. Per
averle fatto provare ancora più dolore.
Un
sibilo rauco si diffuse nel silenzio, graffiante eppure allo stesso
tempo melodico, e benché per tutti fosse estraneo,
Leatherhed
sollevò il capo al sentirlo e fu per tutti chiaro che fosse
Sam a
produrlo.
Forse
inconsciamente.
Michelangelo
si voltò confuso verso il coccodrillo amico, sollevando le
sopracciglia. Leatherhead scosse la testa lentamente, poi
modulò a
sua volta una risposta, un gorgoglio basso e rassicurante, che si
armonizzava perfettamente con la melodia di Sam.
Lei
si girò, sorpresa, e gli rivolse un lieve sorriso, niente
più che
uno stiramento di labbra.
Poi
i suoi occhi si fissarono su Mikey, e lui rimase immobile per non
spaventarla, per non pressarla.
“Cercherò
Hersen e lo ucciderò. Non mi fermerò
finché non l'avrò trovato,
finché non l'avrà pagata” le promise,
anche se lei avrebbe avuto
tutte le ragioni del mondo per non credergli, stavolta.
Sam
negò dolcemente, senza staccare lo sguardo dal suo,
accorciando la
distanza tra loro.
Allungò
le mani squamose verso di lui e circondò il suo viso.
Lo
studiò attentamente, gli occhi grigi a fessura lo scrutarono
da
sopra a sotto, in ogni lato, occhieggiando le macchie di sangue,
cercando tracce delle ferite che lo avevano quasi ucciso; lui
riuscì
a leggere pena e preoccupazione e sentì di non meritarsele.
“Pensavo
di aver perso anche te” mormorò Sam,
sovrappensiero, come se lo
stesse dicendo più a sé stessa.
“Sto
bene, Isabel mi ha guarito” disse Mikey con leggerezza,
benché la
sensazione della morte ancora gli stringesse la gola. Le sorrideva,
ma la sua premura e le sue mani calde che lo toccavano gli scaldavano
il cuore e ne acceleravano i battiti.
Gli
occhi di Samantha si spostarono per un attimo sulla donna tra le
braccia di Raphael, quasi con riconoscenza, prima di ritornare su
Mikey e sorridergli.
Un
sorriso puntuto e tutto denti aguzzi, ma Michelangelo lo
trovò
bellissimo comunque.
Sam
lo lasciò andare e lo colpì con un pugno leggero
alla spalla,
niente più che un buffetto innocuo, forse per paura di non
riuscire
a controllare la sua forza in quella forma.
Mikey
ridacchiò del gesto, per niente offeso.
“Ti
piace davvero farmi spaventare, eh, coso?”
Lui
annuì entusiasta, ridendo più forte,
finché lei non si soffermò a
guardare la sua mano, rigirandola davanti alla faccia con espressione
trasfigurata.
“Melissa
era... così?” domandò dopo qualche
istante, stranamente quieta.
“Sì,
più o meno. Melissa non poteva parlare e non ricordava
niente di sé,
probabilmente la sua mutazione era leggermente diversa” si
intromise Donatello con voce gentile.
“Ma
ricordava te. Ricordava che eri bella e ribelle, forte e
dolce”
aggiunse Michelangelo immediatamente.
Sam
si sporse verso il laghetto e si specchiò sulla sua
superficie.
“Sono
un mostro” esalò con disgusto e rabbia.
“Creato per attaccare e
fare del male. E per creare altri mostri.”
Michelangelo
l'afferrò per le spalle, la fece voltare e la tenne
ancorata, perché
non scappasse dal contatto.
“Sei
bellissima. Se pure rimanessi così per sempre, saresti
perfetta. E
se tu sei un mostro, lo sarei pure io. E ti ho già detto che
sono un
modello, o no?”
Samantha
sbuffò dal naso e lo colpì ancora una volta, con
un sorriso obliquo
e una rollata di occhi al cielo.
“Troveremo
un antidoto per te e gli altri umani” incalzò
Donnie, attirando
nuovamente la sua attenzione. “Ci vorrà un po' di
più, forse, ma
ti giuro che non riposeremo finché non ti avremo
ritrasformata in
un'umana.”
Leatherhead
le disse qualcosa con quei gorgoglii che gli altri non potevano
capire e Sam sorrise apertamente, abbassando la testa per un attimo,
quasi in imbarazzo.
“Adesso
sei davvero il mio papà” disse infine,
più speranzosa di quanto
volesse suonare.
Le
pupille di Leatherhed si strinsero a fessura di emozione repressa,
per un secondo, prima di aprirsi in un grande sorriso, il
più vero e
totale e umano che gli avessero mai visto fare; sprizzava
felicità e
tranquillità.
“Solo
se tu lo vuoi, ne sarei felice” soffiò di cuore,
mentre Sam gli si
faceva incontro, stringendola infine tra le braccia.
La
minaccia di Hersen era solo rimandata, lo sapevano tutti, che da
quell'istante in avanti avrebbero dovuto fare attenzione e cercare le
sue tracce nelle notizie più insospettabilmente innocue,
sempre sul
chi vive e a guardarsi le spalle; ma in quel momento, tutti testimoni
dell'emozionante abbraccio tra il coccodrillo senza controllo e la
ragazza mutata senza legami, nessuno riusciva a preoccuparsene.
Importava
solo Sam, importava solo riportare tutto alla normalità.
E
Isabel giurò in cuor suo che avrebbe protetto quella
ragazza, con
tutte le sue forze, come proteggeva ogni componente di quella enorme
e stravagante famiglia.
Nei
giorni seguenti Don e Leatherhead lavorarono senza sosta, aiutati da
Isabel e perfino da Steve, che aveva qualche conoscenza di chimica.
Era
una corsa contro il tempo, nel tentativo di aiutare Sam a tornare
com'era il prima possibile.
Lei
vedeva i loro sforzi e li apprezzava, segretamente, e cercava di non
farsi schiacciare dalla paura che sarebbe potuta rimanere
così per
sempre.
Continuava
a vivere al rifugio, come prima, non si specchiava mai e indossava i
suoi vestiti sulle squame gialle, cercando di coprirsi il
più
possibile; l'unica cosa che le piaceva del suo nuovo aspetto erano i
suoi occhi, quelle pupille ferine che le consentivano di vedere anche
al buio.
Mikey
le stava attorno in ogni momento concesso, ma c'era anche Angel che
andava a trovarla e le teneva compagnia.
E
il sensei aveva iniziato a insegnarle il ninjitsu perché
potesse
proteggersi, e April e Casey e i loro bambini passavano spesso a
vedere come stesse.
Non
era mai sola, col suo dolore ed i suoi pensieri, ed era assurdo. Ma
non si era mai sentita così amata.
Da
una parte desiderava tornare normale, sé stessa, con tutte
le forze;
dall'altra temeva che una volta finito tutto, loro non avrebbero
più
avuto un motivo per volerla frequentare.
La
fine di Settembre era ormai vicina e il matrimonio ormai solo ad un
giorno di distanza.
Dovevano
andare alla fattoria Jones per iniziare i preparativi, ma nessuno
osava muoversi finché non avessero finito quel dannato siero.
L'agitazione
di Sam crebbe ancora, al pensiero che potessero rimandare il
matrimonio per colpa sua.
Non
conosceva Isabel e Raphael da molto, ma poteva vedere come si
amassero e quanto desiderassero stare assieme, aveva captato stralci
di conversazioni sulla loro storia e si era fatta una vaga idea di
cosa avessero dovuto affrontare per stare semplicemente assieme,
perciò capiva che quel matrimonio era importante e che non
desiderassero altro che arrivasse quel momento.
Eppure
Isabel non faceva altro che lavorare per poter trovare un antidoto
per lei e Raphael dava una mano come poteva nel dojo o battibeccava
con Michelangelo con spensieratezza, tutto per il suo beneficio e di
chi stava loro attorno, senza fare mai menzione al tempo perso e al
grande giorno che si avvicinava sempre più.
Era
tardi pomeriggio, avrebbero davvero dovuto essere già in
viaggio
verso la fattoria per addobbare per il giorno dopo, invece sedevano
tutti nella zona video, Angel e i Jones al completo, a guardare un
film appena uscito al cinema che Don aveva scaricato più o
meno
legalmente.
Sam
lo guardava mezzo distratta, sia per il pensiero che fosse davvero
tardi, sia per Michelangelo al suo fianco che continuava a commentare
le scene a mezza voce, arrabbiato contro i cambiamenti di trama
rispetto al libro.
“Perché,
tu leggi?” sussurrò sarcastica a voce bassa,
così che solo lui la
sentisse.
Mikey
si voltò a guardarla con un sorrisetto furbo, per nulla
offeso. Ed
era quello che le piaceva di lui, quel suo essere sempre pronto a
scherzare, quel non prendersi né prenderla mai sul serio.
“Certo
che sì. E scrivo anche, se ti interessa saperlo”
le confessò con
un mezzo ghigno compiaciuto.
Sam
sollevò le arcate sopracciliari, forse sorpresa, ma non
disse nulla.
Un
uragano uscì di corsa dal laboratorio, Don in testa,
Leatherhead
subito dietro e poi Isabel e Steve a chiudere la fila, esagitati ed
emozionati.
Era
strano vederli tutti col camice da laboratorio.
Capirono
tutti il perché della loro agitazione e si alzarono dai
divani in
sincrono, mentre il film scorreva dimenticato. Dal dojo emersero Leo
e Raph e Splinter, forse richiamati dal rumore.
“Ci
siete riusciti?”
La
voce di Michelangelo non esprimeva né speranza né
delusione e Sam
non riuscì a capire cosa si aspettasse poi davvero.
Donnie
annuì con vigore, con un sorriso, nonostante le occhiaie
stanche ben
visibili sotto la maschera. Anche gli altri erano visibilmente
stanchi e provati, ma i loro sorrisi illuminavano i loro volti.
“Siamo
sicuri di sì.”
Aveva
una siringa già pronta e Sam si avvicinò a
piccoli passi, senza
riuscire a staccare gli occhi dal liquido blu che lo riempiva.
Gli
offrì il braccio senza esitazione.
“Qui?
Ora? Sarebbe meglio nel labora-”
“Adesso”
lo interruppe decisa lei, protendendo il braccio con più
vigore.
La
mano di Donatello la afferrò con gentilezza, un dito
saggiò la
pelle squamosa in cerca di una vena, poi con un gesto veloce e sicuro
la punse e iniettò il liquido.
Sam
non emise un suono. Rimase a guardare mentre lui toglieva la siringa
e passava un batuffolo freddo e bagnato sulle sue squame, poi
sollevò
lo sguardo su Leatherhead e lui le sorrise con fiducia.
“Mikey,
afferrala e tienila stretta. La mutazione non sarà una
passeggiata”
sentì dire ad Isabel, con pena e un tocco di apprensione.
Michelangelo
non se lo fece ripetere due volte e con premura e dolcezza la
attirò
verso di sé e la strinse e Sam, la Sam del passato, avrebbe
protestato per quel contatto intimo; la Sam di quel momento invece,
si lasciò andare un po' contro di lui, aspettando il dolore.
“Andrà
tutto bene, finirà in fretta. E se hai bisogno di afferrarti
a
qualcosa, io sono tutto muscoli.”
Sam
ricacciò giù la risatina che le parole di Mikey
le avevano
suscitato e si tenne stretta, sentendo già che qualcosa nel
suo
corpo stava cambiando,
Sentiva
un brivido gelido spandersi nel petto, fluire seguendo il reticolato
di vene e arterie fino ad arrivare ad ogni cellula del suo corpo.
Che
iniziò sottilmente a vibrare.
La
presa di Mikey divenne più ferma, ma non soffocante.
Il
gelo venne sostituito in fretta da una colata di calore e bruciore e
si morse il labbro per non urlare, ma non riuscì a fermare
il sibilo
che la sua forma mutata produceva.
Don
bloccò Leatherhead con un braccio, fermando il suo slancio
verso la
figlia, visibilmente sotto stress e dolore.
Sam
iniziò a mutare, sotto i loro occhi: le squame assunsero una
colorazione rosea e carnale, prima di trasformarsi in pelle soffice
sul corpo e a svanire sulla testa lasciando che i capelli
ricrescessero in lunghi boccoli morbidi e dorati.
Il
suo viso era nascosto nel petto di Mikey, ma sperarono e pregarono
che anche lì stesse tornando come prima.
Michelangelo
sentiva il dolore scuoterla e irrigidirle gli arti ad ondate, e
cercò
di essere di sostegno e conforto, per quanto potesse. Sperando che
bastasse.
Rimase
immobile, a cullarla sottilmente mentre le diceva tenere e buffe
sciocchezze sottovoce, finché non smise di vibrare e rimase
a
prendere grandi respiri sofferti, ancora contro il suo petto.
Aspettarono
tutti che Sam, di nuovo umana, si scostasse e si facesse vedere..
Ma
lei rimase stretta nell'abbraccio, finché il respiro non
tornò
normale, appena percettibile. E poi, benché fosse tutto
finito, non
diede segno di volersi scostare.
Forse
per paura.
“Capisco
che abbracciarmi deve essere un sogno per te, ma potrei pensare male,
se non mi lasci andare” disse Michelangelo a voce abbastanza
alta,
perché tutti potessero sentirlo.
Sentirono
la risatina soffocata di Sam e poi lo strillo di Mikey quando lei lo
pizzicò sulla spalla, prima che lui si scostasse per poterla
osservare, permettendo anche agli altri di vederla: il suo viso a
cuore di nuovo contornato dai bei boccoli, il naso a bottoncino, i
bei zigomi e la bocca piccola. Tutto come prima.
Come
gli occhi grigi che risposero al suo sguardo, prima di osservarsi con
scrupolo le mani e ogni altra parte del corpo, di passarle nella
cascata di boccoli biondi e per finire di mettere la testa un attimo
dentro la maglia per controllare che anche lì fosse tutto ok.
La
sentirono sospirare di sollievo e scappò più di
una risatina. Erano
tutti euforici in fin dei conti.
“Sono
a posto” annunciò, come se loro non lo vedessero.
Si
voltò verso Leatherhead e scrutò nel suo sguardo
se potesse esserci
delusione, ma il coccodrillo mutante le sorrise e annuì
piano,
felice, gorgogliando con soddisfazione.
Si
accorse con stupore che riusciva a capirlo, ancora, nonostante fosse
di nuovo umana.
“Allora
possiamo curare anche gli altri umani mutati e rimandarli a
casa!”
esclamò fuori di sé Don, lasciando andare un
sospiro di sollievo e
un grido di esultanza che la sorpresero.
Ritornare
a casa. Anche lei avrebbe dovuto tornare in superficie, a
“casa”,
ma non c'era nessun posto che lei sentisse casa più di
quella
assurda famiglia.
Ovunque
loro fossero.
E
benché volesse esternare quell'affetto e dire loro che li
amava,
tutti, e che voleva rimanere con loro ed essere parte della famiglia,
il suo orgoglio e la paura di essere rifiutata, ancora, fecero morire
le parole nella sua gola.
Non
voleva risultare patetica ai loro occhi, non voleva che provassero
pena per lei.
“Dovrei
andare anche io a casa, allora” mormorò
sottilmente, senza
guardare nessuno in viso, iniziando ad allontanarsi da loro.
Ci
furono un paio di bruschi respiri, prima che la voce di Isabel
sbottasse:
“Cosa
stai dicendo? Tu sei già a casa!”
Samantha
sollevò lo sguardo e la guardò, timorosa, e
Isabel le sorrideva con
fare saputo e anche gli altri le sorridevano contenti, quando i suoi
occhi scivolarono intorno per cercare altre conferme.
“Beh,
loro sono la tua famiglia, ma non io” disse Michelangelo, con
tono
stranamente incolore, sorprendendo tutti.
“Io
invece voglio essere il tuo spasimante-barra-ragazzo, ma ovviamente
prima devi accettare di uscire con me e quindi io prima devo
chiedertelo e questo mi sembra il momento giusto: Sam, vuoi uscire
con me? Mi sono innamorato di te da praticamente subito, e ormai ho
bisogno di te, sarebbe crudele da parte tua dirmi di no!”
Lo
aveva detto tutto d'un fiato, con la sua solita parlantina e
scioltezza, con un mezzo ghigno in volto di spavalderia che tutti
sapevano non provasse davvero, non in quel momento.
Attesero
col magone, anche se sapevano di essere di troppo e che sarebbe stato
più decente lasciarli da soli in quel frangente, ma nessuno
si
mosse; Michelangelo non sentiva nemmeno più le gambe, e
doveva aver
smesso di respirare alla fine della sua confessione.
Samantha
si voltò con calma calcolata, osservandolo con quella sua
espressione di scetticismo e sarcasmo, altera.
A
Mikey ricordò la prima volta in cui l'aveva incontrata,
nascosta
sotto quella felpa enorme e il capellino stinto.
La
videro lasciare andare un sospiro.
Separò
la distanza tra lei e il mutante con la benda arancio in un attimo,
più veloce di quanto credessero fosse capace,
afferrò il suo viso,
si sporse verso l'alto e lo baciò, in un unico gesto fluido.
Michelangelo
ci mise almeno dieci secondi prima di capire che stesse succedendo
davvero, stringendola poi a sua volta con così tanta foga da
sollevarla dal suolo.
Qualcuno
lanciò un fischio di ammirazione, qualcun altro
esultò, c'erano
perfino degli applausi in sottofondo ed esclamazioni di
felicità.
E
lui sentiva di stare toccando il cielo con un dito.
Neppure
quando era stato Aria coi poteri di Isabel si era sentito
così
leggero e senza peso, capace di volare, perfino.
Il
bacio finì quando Sam si staccò con una dolcezza
di cui nessuno la
credeva capace, fissando poi il suo sguardo in quello di Mikey.
Lui
sussultò impercettibilmente, al vedere le sue pupille per un
secondo
a fessura, spilli scuri contornati dal grigio, prima di tornare
normali.
Era
rimasto qualcosa di coccodrillesco in lei, a quanto pareva.
“Non
hai saputo resistermi perché sono troppo carino,
vero?” soffiò
ancora ad uno schiocco di labbra, più ardito e baldanzoso di
prima.
Non
stava nemmeno toccando il suolo dalla felicità e si accorse
con
stupidità che ancora la teneva sollevata e benché
riluttante la
poggiò al suolo, senza lasciarla però andare.
Non
ne sarebbe stato capace.
“Continua
a crederci, coso” rispose lei, sollevando un sopracciglio.
Mikey
rise dal cuore, prima di baciarla ancora, con trasporto e passione,
ignorando tutte le risatine e i commenti in sottofondo, ogni fibra di
sé e della sua mente solo sulla splendida giovane donna che
rispondeva al suo bacio senza disgusto, con la stessa passione; con
lo stesso amore?
“Non
riesco a credere che Mikey sia stato davvero il secondo a trovare la
ragazza. Non ce lo farà mai dimenticare” disse la
voce fintamente
seccata di Raphael, seguita da uno scappellotto della sua fidanzata.
Michelangelo
si staccò riluttante da un altro bacio, giusto il tempo di
chiedere
velocemente: “Questo era un sì, giusto? Alla mia
proposta,
intendo. Sai, per esser sicuro.”
Sam
ridacchiò sulle sue labbra, ma non gli rispose davvero,
preferendo
continuare a baciarlo piuttosto che parlare.
“Ragazzi,
è tutto magnifico, sul serio, ma ora basta pomiciare davanti
a
tutti! Abbiamo un matrimonio in meno di ventiquattro ore” li
rimproverò senza cattiveria Don, dopo parecchi minuti in cui
non si
decidevano a staccarsi uno dall'altra.
Il
fratello lasciò andare Sam, infine e guardò
Donnie con uno sguardo
furbo e scintillante.
“No,
non il vostro matrimonio! È decisamente presto per
quello”
aggiunse il genio, ciondolando la testa di qua e di là,
sospirando
con forza.
Michelangelo
mise su un finto broncio offeso, prima di spalancare gli occhi come
fulminato da un pensiero e voltarsi in fretta verso Leatherhead: il
coccodrillo lo osservava con gelido silenzio, e benché i
suoi occhi
fossero diventati a fessura non dava segno di volerlo attaccare.
“Ehi,
uhm, Leatherhead... nulla in contrario se esco con tua figlia,
giusto?” domandò con un po' della baldanza che
andava via,
leggermente in soggezione.
Il
silenzio divenne totale, gli occhi di tutti ormai calamitati verso il
coccodrillo mutante in attesa della sua risposta, alcuni di loro un
po' preoccupati dall'aura di severità e disapprovazione che
sembrava
emanare.
Isabel
sentì Raphael che si irrigidiva al suo fianco, forse pronto
ad
intervenire se l'amico avesse deciso di attaccare suo fratello.
Leatherhead
non aveva nulla in contrario, ovviamente, ma si stava godendo quegli
istanti per tenerlo sulla corda, per una volta che aveva la
possibilità di prendere in giro Michelangelo.
Sam
intuì facilmente i pensieri del padre e ridendosela tra
sé e sé
emise un sibilo leggero, sorprendendo lui e gli altri, comunicandogli
qualcosa che gli fece cadere la maschera di severità e lo
fece
sorridere, facendolo scoprire. I suoi occhi tornarono all'istante
normali.
“Michelangelo,
mio buon amico, certo che non ho nulla in contrario. Tuttavia
gradirei che pomiciaste, come ha detto Donatello, in momenti
più
consoni. Magari non sotto il mio muso, ecco.”
Sam
gorgogliò, e capirono tutti che stava sgridando Leatherhead,
anche
perché lui rise in imbarazzo, e Mikey si unì alla
risata,
stringendola forte e scoccandole un bacio sulla guancia.
“Saremo
l'esempio della castità, papà Leatherhed,
promesso. Almeno finché
ci sarai tu.”
Sam
gli mollò un pugno contro il braccio, prima che Mikey la
stringesse
ancora una volta, nascondendo il viso tra i suoi boccoli dorati: le
disse qualcosa che la fece arrossire, ma anche sorridere apertamente.
Ed
era bello vederla così felice. E sapere che Mikey era la
causa e
beneficiario di quella felicità.
Lei
si divincolò e gli scoccò un casto bacio a fior
di labbra.
“Ok,
per adesso basta, coso. Dobbiamo pensare al matrimonio, o brontolo
lì
potrebbe dare di matto” disse indicando Raphael, che mise su
un
mezzo broncio offeso, soprattutto perché Isabel era
scoppiata a
ridere più forte degli altri al suo soprannome.
In mezzo alle risate e all'euforia, alla fin troppa felicità, tutti si mossero e si organizzarono, tra chiacchiere e corse contro il tempo, chi curando poveri umani mutati che poi vennero accompagnati in ospedale perché se ne potessero prendere cura e potessero riportarli alle loro famiglie, chi inscatolando e imballando tutte le cose e gli ingredienti che sarebbero serviti per l'indomani, chi organizzando e chi godendosi i primi felici momenti nello stringere nelle braccia la persona che amava. Che lo riamava.
A sera inoltrata, tre furgoni pieni da scoppiare di chiacchiere e sorrisi, e stanchezza, anche, partirono dal garage abbandonato tra la Eastman e Laird, in direzione Nord, verso una fattoria immersa nel verde, riparata e intima, perfetta per scambiare promesse eterne.
Note:
Salve!
la mini-storia di Mikey è finita,
e abbastanza bene direi. Più avanti, nella quarta storia, si
vedranno stralci della sua relazione con Sam, per adesso sappiamo che
lei ricambia il suo interesse ed è una molto diretta, gli
è saltata praticamente addosso.
Adoro che Leatherhead l'abbia praticamente adottata, e che lei abbia
ancora qualcosa di coccodrillesco, anche una volta tornata umana. Adoro
Sam e la sua relazione con Mikey, li trovo perfetti assieme.
Questo era il penultimo capitolo, arrivederci al prossimo, l'ultimo di questa storia, il matrimonio tanto atteso.
Un abbraccione fortissimo a chi è arrivato fin qui.
Grazie