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Autore: Melanto    05/08/2009    6 recensioni
[Sequel di "Feels like home"] - "I tuoi occhi sono di nuovo nei suoi, e il modo in cui Genzo ti sorride quando ti guarda ricristallizza il tuo cuore."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è il sequel di "Feels like home". Per una maggiore comprensione del seguente testo, è necessario aver letto "Feels like home", mi spiace. :)

Microcosmos

“Ti prego parlami, non ti fermare
che se gli altri ci guardano
non c’è niente di male,
se prendo un po’ di te, se prendi un po’ di me.
In questa strana atmosfera serena.”

 

«L’Orsa Maggiore si vede proprio bene, guarda Dubhe come brilla!»
«Mh-h
«Ma dicono che la più bella sia quella dello Scorpione.»
«Mh-h
«Dovrei informarmi per sapere quando è visibile…»
«Mh-h
A quell’ennesimo e cantilenato ‘Mh-h’ assottigli lo sguardo, volgendoti appena per inquadrare il suo profilo. Ovviamente, come avevi già supposto, non sta affatto vedendo le stelle, anzi, resta ad occhi chiusi; la sua mano che lentamente continua ad accarezzarti i corti capelli scuri e non puoi fare a meno di abbozzare un sorriso, inarcando un sopracciglio.
«E se ci fai caso…» riprendi con una sottile ironia che lui non sembra afferrare «…si può osservare l’importantissima costellazione della Marmotta nell’atto di confezionare la cioccolata
«Mh-h
«Genzo! Non mi stai ascoltando!» ti giri di scatto, puntellandoti con il gomito accanto al suo fianco ed osservandolo dritto in viso. Solo allora, che la tua testa si è sottratta al movimento delle sue dita, apre finalmente gli occhi trovando i tuoi, divertiti, mentre cerchi di fingerti offeso, anche se con pessimi risultati.
«Ma certo che ti sto ascoltando.» afferma lui con quella nonchalance solitamente irritante, ma che ti è sempre piaciuta, perché sembra che ogni cosa possa scivolargli addosso come fosse niente.
«Ah, sì? Ma se ti ho appena detto che c’è la Costellazione della Marmotta con la cioccolata
Lo vedi valutare per un attimo la tua affermazione prima di fare spallucce ed annuire «Sembrerebbe buona.»
Gli molli un buffetto sul braccio con disappunto, mentre lui ridacchia e l’espressione che fa, quel suo arricciare il naso, trovi sia tenerissimo, ma questo non glielo dici altrimenti lo manderesti in crisi e puoi già immaginare come ti risponderebbe: “Tenero?! Ma non posso essere tenero! Sono il SGGK!”, o qualcosa del genere. Così, ti limiti a sbottare un «Ma va!» ridendo anche tu ed allungando una mano per cercare di recuperare il bastone appoggiato contro il bordo del tavolino per alzarti, ma non fai neanche in tempo ad afferrarlo che vieni agguantato per la vita e trascinato a viva forza contro di lui; il dondolo che oscilla per quella successione di movimenti ed il suo profumo, quella colonia forte e pungente che ti piace da morire, è di nuovo parte di te, del tuo respiro, in circolo nei tuoi polmoni come ossigeno. Il suo petto sotto le tue labbra, sotto le tue mani che hanno cercato un appoggio e quel soffio all’orecchio che ti mette i brividi.
«Dove vai?»
Devi fare uno sforzo sovrumano per riuscire a rispondere e non restare lì immobile, contro di lui, e lo sguardo fisso tra mento e collo.
Fai appena forza con i palmi per sollevarti quanto basta a raggiungere lo stesso livello del suo viso e lanci un’occhiata alle bottiglie vuote sul tavolino lì accanto. Ed intanto pensi che ti ha afferrato e trascinato giù con un solo braccio, come se fossi stato leggero come una piuma, e sì che non sei una silfide, ma le sue mani riescono sempre a sconvolgerti per quanto sono grandi, anche per te.
«A prendere qualcosa da bere. Vuoi un’altra birra?»
«No.» mastica morbidamente e percepisci che sta abbozzando un sorriso dei suoi. «E poi, se vuoi saperlo, la birra giapponese fa cagare.»
Tu crolli letteralmente su di lui, ridacchiando col viso nascosto nel suo petto.
«Andiamo, vengo dalla Germania, non posso mica bere questa sciacquatura di piatti, no?»
Incroci le mani su di lui, poggiandovi sopra il mento e stavolta riesci a guardarlo in quei suoi occhi neri e quasi non ti sembra vero che Genzo sia lì, o meglio, che sia proprio sotto di te – o forse che sia tu sopra di lui –, non ti sembra vero che siate sul dondolo del tuo terrazzo, quello sul tetto, quello che Takeshi ti diceva “Ma non è troppo grande?” e tu “No! Deve essere comodissimo! Ha anche la spalliera reclinabile!” ed avevi ragione, perché ci siete sdraiati in due e si sta da Dio. A dire il vero, sono fin troppe le cose che non ti sembrano vere e che hanno stravolto la linearità del tuo mondo, tanto che ogni volta che chiudi gli occhi e poi li riapri ti aspetti di scoprire che – boh! – ci sia stata una assurda congiunzione astrale e che è tutto un sogno o che un universo parallelo si sia fuso per un momento col tuo o quel che vuoi. Perché che Genzo sia gay almeno quanto te è già impossibile di per sé, se poi c’aggiungi che ti sta abbracciando proprio in questo momento, beh, saranno pure una sciacquatura di piatti, ma le birre giapponesi danno alla testa eccome. Invece, quando incroci i suoi occhi, come in quel momento, quando senti il suo petto alzarsi ed abbassarsi sotto le tue mani e le sue dita risalire dalla vita lungo la schiena e viceversa e ti rendi conto che no, non è un sogno e nemmeno una congiunzione astrale, non riesci a fare altro che sorridere e rilassarti sotto il suo tocco, contro il suo corpo e rimanere quasi paralizzato dal suo profumo come fosse veleno.
«Mamma mia, che palato fine.» lo prendi in giro.
«Intenditore, prego.» ci tiene a sottolineare con un finto tono da saputello prima di inarcare un sopracciglio «E poi, cerca di non muoverti troppo: vuoi tenerlo un po’ a riposo questo ginocchio, o no?»
Tu alzi le mani in segno di resa, cambiando un po’ la posizione in modo da tenere la gamba distesa, ma rimanendo stretto al suo petto, impossibilitato – e per nulla intenzionato – a muoverti.
«Va bene, va bene. Resto fermo.» e la brezza di Maggio, che a quell’ora della notte calda non è, vi accarezza con quel suo intenso odore di mare di cui non sapresti più fare a meno, e che ti rilassa ben oltre qualsiasi pratica antistress, e si porta via le parole lasciandovi in silenzio per un po’ e senti solo il rumore del suo e del tuo respiro ed anche se non alzi il viso per osservarlo sai che ha di nuovo chiuso gli occhi, mentre tu allunghi una mano per tirare un po’ più su quel plaid sotto il quale restate cantucciati ad osservar le stelle, o meglio, le osservavi tu, parlando fin troppo, come sempre accade quando sei in sua compagnia. Ma adesso non hai più bisogno di infarcire di inutilità i vostri discorsi, cercando di farlo rilassare e di non permettergli di pensare, perché sapevi che lui arrivava a Shimizu che aveva bisogno di tranquillità e tu eri più che disposto a dargliela; ora che l’ordine delle cose è stato improvvisamente infranto ed è risorto dalle sue ceneri come una fenice, quello che hai sempre pensato e sentito davvero e che avresti sempre voluto dirgli lo puoi esporre senza remore. Compreso ciò che ti crea disagio.
«Domani riparti.» non è una domanda perché sai bene che è così, che domani lo dovrai riaccompagnare a Narita dove l’aereo lo riporterà in Europa, dall’altra parte del mondo, lontano da te.
«Già.» le dita che continuano a correre sulla tua schiena come macchine su un’autostrada, onde sulla riva, avanti e indietro, lente. «Devo riprendere il mio posto.» e avverti quella nota carica di soddisfazione e rivalsa che, da quando aveva cominciato a farti visita a Shimizu City, sembrava come offuscata e tu te n’eri accorto, ma non gli avevi mai chiesto nulla, come sempre.
«Dimostragli ancora una volta di essere il migliore.» dici con serietà, convinto che l’Amburgo non avrà più avversari in grado di impensierirlo, perché Genzo stava finalmente per tornare tra i pali con la giusta motivazione e avrebbe infranto qualsiasi sogno di vittoria di qualsiasi rivale che si sarebbe trovato davanti. Imperatore compreso. Gli senti accentuare il sorriso come se le tue parole l’avessero caricato ancora di più e pensi che non ci possa essere risposta migliore, per te, così socchiudi appena gli occhi, rilassandoti, mentre il dondolo oscilla lievemente, cullando entrambi. Ed il lento respirare di Genzo scandisce i vostri ultimi momenti, prima che il nuovo giorno vi veda di nuovo distanti per non sai nemmeno tu quanto e, dopotutto, non vuoi chiedertelo perché vuoi goderti quegli attimi fino in fondo senza pensare a cosa sarà domani e anche Genzo sembra essere del tuo stesso parere.
«Non pensarci, mh? Parlami ancora un po’.»
Ridi, gli occhi ancora chiusi «Ma se tanto non mi ascolti!»
«Mi piace il suono della tua voce.»
Sei felice che lui non possa vederti perché sei arrossito un po’. «E che vuoi che ti dica?»
«Quello che preferisci.» sbuffa divertito «Vanno bene anche le marmotte e la cioccolata.»
Ma tu, non sai per quale motivo, non vuoi parlare a vanvera, forse perché l’hai fatto per un sacco di tempo quando le vostre vite viaggiavano su binari paralleli che, ora che si sono incrociate, vuoi dirgli davvero quello che pensi e vuoi che lui lo ascolti.
«Era impossibile non innamorarsi di te.» le palpebre improvvisamente aperte e lo sguardo vigile, puntato alla mano appoggiata sul suo petto che vedi alzarsi ed abbassarsi assieme al suo respiro che si tronca per un attimo, prima di riprendere col suo ritmo calmo e quieto.
«Ah, sì? Ma se da bambino ero insopportabile.»
«Non con me.» e te ne sei accorto solo dopo anni, quando i tuoi sentimenti per lui sono cominciati a cambiare, quando la notte vedevi solo le sue mani, nei tuoi sogni, e al mattino i tuoi occhi si puntavano su di lui senza lasciarlo nemmeno per un momento, incantato da qualsiasi cosa facesse, perché per te era perfetta. E restando ad osservarlo con attenzione e meticolosità, ti eri accorto anche dei suoi atteggiamenti che, verso di te, erano diversi. Diversi da tutti gli altri, perché eri l’unica persona per la quale avesse sempre avuto una nota di riguardo. E non ti eri mai sentito così speciale. «Perché mi hai sempre protetto, Genzo?»
Non ti risponde subito, anzi, ti sembra quasi che sia rimasto spiazzato da quella domanda, forse perché nemmeno lui se n’è mai reso conto fino a quel momento.
«Perché…» senti che è un tentativo, il suo, e che avrà bisogno di tempo per potersi dare una risposta definitiva, ma ti va bene lo stesso perché sta cercando di capire assieme a te. «…avevamo lo stesso ruolo, forse. E che, restando in panchina o andando in Germania, ti lasciavo una grande responsabilità sulle spalle. Una responsabilità di cui mi ero sempre fatto carico io e sapevo quanto potesse essere pesante. Forse per questo ho cercato di fare in modo che non ti schiacciasse.» sospira pesantemente e, se ti spostasti per osservarlo in viso, noteresti come abbia inarcato un sopracciglio con fare autocritico «Forse ho sbagliato, avrei dovuto spronare di più il tuo spirito agonistico.»
«Ma guarda che mi hai spronato.» lo rassicuri «Perché ho sempre cercato di fare del mio meglio per non deludere le attenzioni che avevi per me.»
«Quello non l’hai mai fatto.»
«Cosa?»
«Deludermi.»
In quel momento senti che il cuore si ferma per una frazione di secondo così lunga da spiazzarti prima che si decida a ripartire con una velocità e una forza che quasi ti fanno male, perché non essere all’altezza delle sue aspettative è sempre stata la tua maggior paura.
«Davvero?» ed è poco più di un sussurro, ma Genzo lo sente ugualmente ed anche se non puoi vederlo, sai che sta sorridendo.
«Davvero.»
Cercando di uscire dall’imbarazzo tenti di sdrammatizzare, agitando animatamente una mano che traccia strani disegni nell’aria senza un minimo di senso logico. «E comunque il tuo carisma e la tua abilità hanno fatto colpo su di me facendomi preferire un bel maschio forte ad una delicata principessa, quindi, è per colpa tua che sono diventato gay!» affermi, dandogli un paio di colpetti affettuosi sull’addome e cambiando leggermente posizione.
Lui si solleva sui gomiti con espressione stralunata «Che cosa?!»
«Oh, sì sì. Prenditi le tue responsabilità!» ridacchi imperterrito, agitandogli l’indice sotto al naso e forse dovresti preoccuparti quando gli vedi inarcare un sopracciglio e tendere quel ghignetto sbilenco.
«Sì, eh?» fa schioccare la lingua tra i denti e stavolta ti preoccupi davvero «Va bene, allora.». Non hai nemmeno il tempo di tentare di sgusciare via che lui è più veloce, i tuoi polsi stretti nelle sue mani in un attimo e l’attimo dopo ha ribaltato le vostre posizioni, montando a cavalcioni su di te, spiazzandoti e strappandoti il respiro dai polmoni tanto che resti immobile, non riuscendo a quantizzare il tempo; l’addome che si adagia sul tuo, piacevolmente schiacciato dal suo peso. «Me le prendo.» soffia suadente.
Riemergi da quelle iridi inchiostro, boccheggiando amenità «Ehi, guarda che ho il ginocchio fuori uso…»
«E tu non muoverlo.» ha quella voce così morbida e sensuale che ti confonde e torni in apnea mentre fa scivolare le tue braccia sul tessuto fresco del dondolo, oltre la tua testa, ed il suo viso che si avvicina, il calore del suo respiro che diventa il tuo; socchiudi gli occhi quando la sua bocca scivola sulla guancia, accarezzandola piano, e viaggia sulla tua pelle, verso il naso, vicino alle labbra. Sulle tue labbra.
E il suo sapore è buonissimo, la sua bocca ti coccola con una delicatezza che ti disarma perché non l’avresti mai sospettata e tutte le volte che avverti quella leggerezza e accortezza nei suoi gesti e movimenti verso di te è come se il cuore ti esplodesse nel petto.
Ti sollevi appena per approfondire quel bacio, che è lento come goccia su vetro e ti trascina altrove, in un altro mondo dove il tempo non scorre ma si cristallizza in attimi sospesi nel nulla.
Lasciare le sue labbra ti riporta improvvisamente a Shimizu City, sulla tua terrazza, sul tuo dondolo, con la brezza di mare ad insinuarsi tra di voi e a smuovere le lancette di quel tempo che, per un attimo, era stato diamante.
I tuoi occhi sono di nuovo nei suoi, e il modo in cui Genzo ti sorride quando ti guarda ricristallizza il tuo cuore. Sorridi a tua volta, abbassando appena lo sguardo e sospirando, e c’è una nota colpevole nella tua voce quando dici «Mamoru mi odierà.»  di cui si accorge anche Genzo.
«Perché dovrebbe?»
«Perché gli ho rubato il suo capitano. Sai quanto tiene a te.» ma come amicizia profonda e rispetto, non come te, che lo ami davvero.
Genzo annuisce, appoggiando le tue parole, ma non si scoraggia ed il labbro si tende appena verso sinistra nell’aggiungere «E lui odierà me, perché gli ho rubato il suo migliore amico.»
Anche tu sei costretto ad annuire alla sua affermazione, restando in silenzio per qualche secondo a fissare un punto indefinito della camicia che sta indossando e che lascia appena intravvedere le linee dei muscoli sotto il tessuto.
«Si sentirà tradito…» e la cosa non è che ti faccia saltare dalla gioia, anzi. Anche perché Mamoru – a parte Genzo, per ovvi motivi – è l’unico che sa. Sa che non sarà mai per una donna che batterà il tuo cuore e lo ha sempre accettato e ti ha sempre sostenuto. Ed in questo momento, che sei tra le braccia della persona che stima e rispetta di più al mondo, ti senti uno stramaledettissimo ingrato. Anche perché, sai benissimo come reagirà; si sentirà privato di entrambi, in un sol colpo, e vi odierà. «Non credo che potrà mai perdonarmelo…»
Genzo avverte il tuo disagio, tanto che ti lascia i polsi facendo scivolare piano le mani lungo le braccia e i fianchi, appoggiando i palmi sull’imbottitura morbida del dondolo, sollevandosi un po’.
Ora libere, pieghi le braccia raccogliendole al petto, accoccolandoti sotto di lui per cercare una specie di rifugio e protezione.
«Vedrai che capirà, Mamoru non è stupido.» la sua voce arriva con un tono rassicurante che cerca di alleviare il tuo senso di colpa e quando alzi lo sguardo per incrociare i suoi occhi, senti che, sì, il peso è più leggero, adesso. «E in ogni caso…» riprende Genzo, stringendosi nelle spalle con quella irriverente nonchalance che usa solitamente quando deve dire qualcosa di pessimo «…se non dovesse capire, beh… è un bel ragazzo, si potrebbe fare qualcosa a tr-…» ma non gli lasci nemmeno finire la frase che lo afferri con forza per il colletto della camicia guardandolo con occhi di brace, molto alla Caronte.
«Genzo. No.» sillabi adagio «Non dirlo, non pensarci e non provarci neppure. Chiaro?»
Lui fischia, divertito «Geloso?»
«Sì.»
Gli vedi assottigliare lo sguardo, che sembra come brillare sotto il riflesso delle luci soffuse della terrazza, nel mormorare. «Buono a sapersi. Anch’io.» ed ha quella maledetta abilità di farti arrossire che non ti sai spiegare, ti rendi solo conto di avere per l’ennesima volta il viso in fiamme e ringrazi la brezza di Maggio che quieta piacevolmente il calore. La stretta alla sua camicia si allenta, tramutandosi in un tocco leggero sul suo petto mentre l’espressione decisa che avevi poco prima scompare del tutto, virando in un sorriso. Genzo sa di avere sempre l’ultima parola con te, lo vedi dall’espressione che fa, che è quella di chi si diverte a stuzzicarti per vedere le tue reazioni e poi farti sciogliere nelle sue attenzioni. Ed è un po’ quello che succede quando gli vedi avvicinare il viso al tuo, facendo scivolare le labbra verso l’orecchio. Perché il modo di sfiorarti che ha ti liquefa come fossi burro e lui un fuoco avvolgente.
«E poi, credo che Izawa mi prenderebbe a calci nel culo se glielo proponessi!»
Non riesci a trattenere una risata forte e limpida, di quelle che lui ama sentire da te, che si infrange nel suo collo e pensi che abbia maledettamente ragione, dopotutto.
Sentendoti più rilassato aggiunge «Meglio, ora?». In quel momento capisci che ha sdrammatizzato affinché tu non fossi così preoccupato per un qualcosa che, ora ne sei più convinto, si risolverà sicuramente bene.
«Sì, grazie.» gli lasci un bacio leggero su quella striscia di pelle che le tue labbra stanno sfiorando, prima di sentirlo di nuovo schiacciarti sotto di sé con tutto il suo peso in quella pressione piacevole che ti provoca un leggero brivido; le sue mani, ancora, a chiudersi sopra la tua testa ed i suoi occhi nei tuoi.
«Adesso ho finalmente la tua attenzione?» un piglio fintamente offeso che ti fa sorridere.
«Assolutamente sì.» sospiri soddisfatto, lasciando scivolare le mani lungo il petto di cui senti ogni forma perfetta sotto le dita, fino a scavalcare i contorni del torace per potergli abbracciare la schiena ampia.
Il suo respiro ti solletica delicatamente le labbra che sfiora con le sue l’attimo seguente. E l’attimo seguente ancora. E quello ancora dopo. Carezzandole, lambendole fino a che non le schiudi e lo sfiorarsi diventa un bacio vero, profondo, appassionato. Un bacio che esclude l’universo intorno a voi e fa muovere i vostri corpi in autonomia, tanto che le tue mani lo stringono senza che tu te ne accorga, tanto che il suo bacino comincia a muoversi lentamente contro il tuo, ed i vostri respiri sono più pesanti, più incalzanti, più forti.
Il mondo non esiste, siete solo voi e le sue labbra, voi e le tue mani. Voi. E vorresti fosse in eterno, ma la realtà riesce ad insinuarsi tra i vostri corpi e i tuoi pensieri facendoti aprire gli occhi di scatto ed interrompere quel bacio che è troppo per il luogo in cui siete: ancora sulla terrazza, all’aria aperta, in bella vista.
«Genzo… aspetta…» borbotti visibilmente accaldato e lui trattiene un sospiro carico di frustrazione.
«Cosa?»
«Ecco… » ti guardi intorno con preoccupazione «…forse è meglio rientrare… ci potrebbero vedere… i vicini…»
Lui si solleva un po’; sguardo a destra, sguardo a sinistra, stretta di spalle e nessuna intenzione di smuoversi da sopra di te. «Lascia che guardino.» sancisce tornando a baciarti come e più di prima e tu non riesci a trattenere una risatina tra le sue labbra, perché tanto sai che non ci saranno più ‘ma’ che terranno e che potranno distrarlo da ciò che vuole e visto che quel che vuole sei tu, ti abbandoni completamente alle sue attenzioni, lasciando che ogni cosa di te si perda in quel vostro meraviglioso microcosmo.

“Che cosa non darei, fermare adesso tutto;
che cosa non farei, per dirti che ti sento.
Ti sento.”

Pino Daniele – Mal di te

 

FINE

 

…si può venire a patti con una fanfic?
Ho appena scoperto di sì. La maledetta che avete appena finito di leggere era stata cominciata quasi subito dopo aver finito “Feels like home” e procedeva tranquilla, tranquilla nei binari che IO avevo scelto. Poi, all’improvviso, ha cominciato a fare il cazzo che voleva XD. Ma proprio TANTO. Andava per i fatti suoi, si imbucava in vicoli in cui NON volevo andare, mi faceva scrivere cose che NON volevo scrivere, tanto che, per la disperazione, l’avevo lasciata perdere per un po’. O_O
XD temo si sia offesa per questo. XD
Poi ho deciso che no, non poteva averla vinta lei! Ecchediamine! O_O
Rimboccata le maniche (alla Kojiro), hachimachi attorno alla fronte (alla Hikaru) e ho riaperto il file. Alla fine sono riuscita a correggere il tiro, ma ad una condizione, '_' che ne seguisse una terza, di storia. Ho strenuamente lottato perché ciò non avvenisse, ma più di questo non ho potuto fare -.-
E quindi mi toccherà trattare anche dell’incontro Yuzo-Mamoru. Anche le mie fic cominciano a ribellarsi, la cosa è preoccupante XD
Vaaaaa beh.
Ciarle a parte: QUESTO è il dondolo-biposto con sedilO ribaltabilO XD, semplicemente, abolite quella copertura che fa molto baldacchino XD, grazie.

Angolino del “Grazie, lettori, grazie!” XD: (XD sì, ringraziamenti anticipati!!!)

*_* questa storia è dedicata a Releuse-tessssssssora che aveva apprezzato moltissimo “Feels like home” e senza la quale questa storia non sarebbe mai nata :**** Grazie, cara!!!
Un ringraziamento speciale anche a tutte le altre ragassssuole che hanno letto e commentato “Feels like home”: Giulietta e Nene (su EndlessField); Kara e Eos (XD ovunque!); Melisanna e Kianeko (su EFP) e Graffias (su Fanworld).

   
 
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