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Autore: Miryel    22/02/2020    28 recensioni
Peter indugiò sulla porta, non appena la raggiunse. La mano avvinghiata alla maniglia, con troppa urgenza nei gesti, di abbandonare quella stanza. Tony gli sentì evaporare via un sospiro contorto. Non seppe definirlo. «Dammi tempo», disse solo, e sapeva di una promessa che non avrebbe potuto mantenere. Ma Tony non voleva promesse, da Peter. Voleva solo che tornasse a splendergli addosso, come un sole e lui lo avrebbe seguito sempre; sarebbe stato il suo girasole.
[ Tony&Peter - lieve accenno TonyxPeter - Angst/Malinconico - WhatIf? - Tematiche Delicate - Post EndGame ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie ' It Wasn't Easy To be Happy for You'
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  [ Tony x Peter - Angst/Malinconico - WhatIf? - wc: 4955 ]  
  Everybody's Gotta Live  

and everybody's gonna die
 
«Everybody's gotta live, And everybody's gunna die.
Everybody's gotta live, I think you know the reason why.
»
Love - Everybody's Gotta Live

 

 

Epilogo


 

Quando passarono quattro settimane esatte, da quella chiacchierata con May, Tony decise che di tempo, a Peter, gliene aveva concesso a sufficienza. O almeno così aveva scelto di pensarla, dopo troppe notti passate a fissare il soffitto e una chat, su cui aveva scritto una sola parola, mai inviata.

«Parliamo.» 

Passava il tempo che precedeva le poche ore di sonno che si concedeva a pensare a quel tempo passato. Cose lontane, troppo, che offuscavano l’idea che potesse tornare tutto come prima, ma era Peter a non volerlo, o a non riuscirci. E allora se non era lui a voler consolidare quel ritorno, Tony lo avrebbe fatto per entrambi. Andava contro la sua etica, contro il suo orgoglio, contro tutto, ma lo avrebbe fatto. O non avrebbe saputo più cosa voleva dire, dormire senza pensieri, sebbene la cosa gli fosse ignota da tempo.

Quando il mattino dopo raggiunse casa Parker, gli sembrò di aver visto negli occhi di May una sorta di sollievo, nel vederlo. E quando le chiese di Peter, lei alzò le spalle, malinconica.

«È lì. Dentro la sua stanza. Come lo hai lasciato l’ultima volta.» 

Faceva male saperlo prigioniero della vita, ora che era tornata ad appartenergli. Faceva male sapere che lui aveva fatto tutto quello che aveva fatto per salvarlo, e poi non era successo davvero. Peter era come un cristallo fragile; un’anima sottile, pronta a scucirsi dal suo cuore. Come l’ombra di Peter Pan – ironico, che condividessero lo stesso nome, Spider-Man e l’eterno bambino della fiaba di Barrie. Solo che il suo Peter pareva cresciuto e aver perso quella spensieratezza che sempre lo aveva contraddistinto, anche in momenti del passato disperati e annichilenti, ma che aveva sempre combattuto con convinzione; con i suoi grandi poteri, da cui derivavano grandi responsabilità

Peter Pan era diventato un uomo, col peso del mondo sulle spalle, a disintegrarlo in minuscoli frammenti; ogni istante di più.

«Esco. Ti lascio con lui», sorrise May, poi gli posò una mano sulla spalla, e Tony si sentì spaccare in due. «Fai il miracolo.» 

E Tony lo avrebbe fatto volentieri, quel miracolo, quella magia, ma aveva bisogno che Peter collaborasse. Cosa che, a quanto pareva, non era disposto a fare.

Bussò alla porta, ma non ricevette risposta. Entrò, con la sua solita arroganza di poter fare tutto quello che voleva, anche contro la volontà delle persone – di Peter, soprattutto. Si chiuse il mondo alle spalle, intascò la mano sana e tremante e, quando piombò il silenzio, sentì un fischio soffiargli nelle orecchie. 

Peter era lì, seduto sul letto, e gli dava le spalle. Fissava solo la finestra, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e intento a tartassarsi le pellicine delle mani con le unghie, in un gesto nervoso e automatico. Si avvicinò e, senza chiedere il permesso, si sedette accanto a lui, che non lo guardò nemmeno. Non gli permise di infilare gli occhi nei suoi, in uno di quei gesti totalmente loro, che ora aveva perso di significato.

«Peter», lo chiamò, con la voce arrochita e lui rimase immobile a fissare la luce mattutina per troppi secondi vuoti, prima di sbattere le ciglia e frenare quella tortura che si stava auto infliggendo alle mani. Gli occhi rossi di stanchezza.

«Che c’è?», gli chiese, come se non vi fosse niente di cui parlare, dopotutto. 

«Sono quattro settimane che sei sparito nel nulla.» 

«Ti ho chiesto di darmi tempo», rispose, e per quanto potesse sembrare ostile, il suo tono fu tutt’altro. La cosa triste, era che Tony non sapeva definire cosa fosse. 

«Penso di avertene dato a sufficienza.» 

«A quanto pare non è abbastanza.»

«Peter, devi parlare, devi dirmi cosa accidenti sta succedendo o finirò per andare fuori di testa, se continui a fingere di non essere mai tornato indietro.» Sentì dolore al petto – dove una volta c’era stato quel foro immenso; quello stesso che gli aveva ironicamente messo il dubbio, in passato, se il cuore ce lo avesse davvero oppure no. Il dolore di ora, però, gli confermò definitivamente che sì, ne era provvisto. Il silenzio – interminabile e innaturale, che scese poco dopo, fu peggio di un taglio nella carne. Durò troppi secondi per poterli contare. Durò abbastanza da bloccargli altre parole nella gola per poi ritrovarsi a fissare la finestra, insieme a lui.

«L’ho fatto?»  

Si voltò a guardarlo, e gli occhi rossi erano ancora più visibili, ora che si era abituato alla lieve luce di quell’ambiente così affusolato intorno a loro. 

«L’hai fatto, sì», rispose, anche se non avrebbe voluto. Anche se avrebbe voluto convincersi che il suo era il tipico atteggiamento vittimista di un adolescente che ricerca solo attenzioni e nulla più. Anche se avrebbe voluto fingere che il problema alla base fosse meno doloroso e serio di quanto anche Peter potesse credere. Lo vide abbassare finalmente lo sguardo sulle proprie mani. Strinse le dita, le raccolse in pugni che poi spalancò e richiuse per un tempo infinito, mordendosi il labbro inferiore. Tutto ciò che Tony sapeva era di dover almeno tentare di abbassare il suo stato di allerta; di restituirgli quelle emozioni, quelle sensazioni, quelle scosse elettriche in grado di lasciare che Peter elaborasse quello che aveva vissuto in prima persona. Non era l'unico che stava vivendo quello stress post-traumatico, dopotutto. Tra le miliardi di persone che avevano subito lo stesso destino, scomparendo, molti non avevano retto al ritorno alla vita. Alcuni erano finiti in gruppi di terapia – come Shuri, a detta di T'Challa in una delle sue relazioni sulla situazione in Wakanda; altri avevano trovato conforto nella religione, altri nel tempo. Altri non avevano retto e avevano deciso di morire di nuovo, stavolta per sempre. Stavolta senza la possibilità di tornare indietro. Deglutì a quel pensiero, ma la parte più triste era la consapevolezza che non sapesse in alcun modo quali fossero le intenzioni di Peter. Forse non ne aveva ancora idea. Forse non sapeva ancora cosa fare, se cercare di reagire, lasciarsi andare o chissà che altro. 

Quel dammi tempo non aveva più lo stesso significato di prima, ormai. 

«Peter?», lo chiamò di nuovo, e lui sussultò. Parve aver perso la cognizione del tempo e dello spazio e di aver riacquisito la padronanza di sé, con quel richiamo. Lo guardò, finalmente, dandogli l'impressione di aver consapevolezzato in quel momento di non essere solo in quella stanza. «Mi hai chiesto tempo, e sono disposto a dartene ancora, ma devi spiegarmi che cosa sta succedendo qui dentro.» Gli puntò un dito sulla tempia, e quando gli occhi di Peter si caricarono di lacrime inconsapevoli, gli arruffò i capelli, in un gesto affettuoso quanto distruttivo. 

«Non lo so. Sono tornato ma credo che dalla morte non si torni mai davvero, sai? Non so dove sono», mormorò e smise di guardarlo. Le borse viola sotto i suoi occhi lo convinsero che non era l’unico a spendere le proprie notti insonni. «La morte non si spiega, Tony.» 

«Nemmeno il destino, eppure eccoci qua», replicò, lapidario.

«Destino?», si lasciò andare dalle labbra Peter, con lo sbuffo di una risata amarissima. «No, non esiste nessuno destino. Esiste che si muore. Una volta sola e non si torna più.» 

«E tu sei qui che parli, ti muovi, respiri e pensi. Che vivi. Panta Rei. Il flusso vitale non è qualcosa che puoi decidere di comandare. Sei tornato e conta questo. Il resto è nel passato, vinto, sconfitto, distrutto da una guerra che per fortuna abbiamo vinto! Thanos non tornerà, se è quello che temi; così come le gemme che ti hanno portato via.» 

«Via dalla vita?» 

«Via da me», ammise, tra i denti, e fu un rimprovero per non aver nemmeno pensato a lui, in tutto quel discorso. Si alzò in piedi, senza quasi nemmeno renderse conto. 

Peter strabuzzò gli occhi, quando gli fu di fronte. Una lampadina allegorica accesa sulla testa. La speranza che avesse compreso, finalmente, che cosa aveva significato il suo ritorno. Non per lui, ma per gli altri – per Tony. Se non voleva consapevolizzare che l’aveva vinta, quell’accidenti di morte, allora lo avrebbe convinto di quanto era stata importante per lui che lo avesse fatto. Non gli interessava come, ma lo avrebbe fatto, perché Tony Stark non si fermava di fronte a niente. Non lo aveva fatto nemmeno quando quel dannato Titano gli aveva portato via tutto. Eppure quell’istante dove gli occhi di Peter sembrarono di nuovo luminosi, durò meno di un battito di ciglia. Rilassò le spalle, e fu di nuovo vinto da qualcosa che Tony non poteva capire fino in fondo e lo sapeva bene. Lui non era mai morto. Non per davvero. 

«La vita continua ad avere un senso. Anche quando torni. Il tempo scorre, e va colmato.»

«I vuoti si colmano se hai qualcosa con cui riempirli. Se l'obiettivo di vivere è spegnersi fino alla non esistenza, all’annullamento, allora che senso ha continuare a farlo?» I loro sguardi si incrociarono come avrebbero fatto un tempo, di fronte ad una delle loro discussioni nate dal fatto che – non potevano farci niente – erano troppo diversi. Solo che in quel caso la diversità non c’entrava niente. C’entrava il fatto che Tony non era in grado di convincerlo che valeva la pena combattere ancora, siccome la morte continuava ad essere un dogma, per lui. Come poteva aiutarlo ad affrontare qualcosa che non conosceva? Come poteva pretendere di diventare ancora una volta un appiglio a cui aggrapparsi, se quel dolore non era nemmeno in grado di immaginarlo? Come poteva farlo sentire al sicuro, ma soprattutto capito, se stava combattendo con qualcosa di troppo grande, troppo spaventoso, per essere raccontato? 

Capì che non c’era altro modo che morire e tornare, per farlo. Una pazzia che di certo avrebbe fatto, per Peter, ma che non aveva modo di sperimentare. E allora sentì qualcosa, in mezzo al petto, e seppe che era una sconfitta che gli strizzava il cuore con l’intento di distruggerglielo. Rilassò le spalle. Aveva perso e avrebbe solo dovuto ammetterlo a se stesso e tacere, ma era Tony Stark e lui, le parole, le usava per difendersi e per ferire. Gli riusciva sempre, immensamente bene.

«Tu non vuoi che io ti dia tempo. Tu vuoi solo che ti lasci scegliere di tornare ad essere
niente, senza che io possa fermarti. Sai che non te lo lascerei mai fare, e allora fuggi da me, perché sai che so quali sono le tue intenzioni. Perché pensi di avere un debito nei miei riguardi, ma che questo significa che se sei tornato è per colpa mia. Non me ne dai un merito, anzi, pensi che ti abbia condannato. Non è così?» Peter tacque. Abbassò ancora di più la testa e Tony inclinò la sua, per guardarlo. Piegò le ginocchia, per farlo è gli scricchiolarono dolorosamente. «È o non è così?»

«Sì, è così.» 

«E allora che cosa vuoi da me? Che cosa vuoi che faccia, per te?»

Finalmente alzò gli occhi sui suoi, pieni di frustrazione e lacrime. Un pianto silente, il suo, che lo annichilì. Doveva sapere. Doveva sapere o quella situazione sarebbe rimasta immutata per sempre o, peggio, avrebbe trovato la sua conclusione in un gesto avventato. 

«Vorrei che non mi tenessi aggrappato alla vita.» Siccome per me hai deciso di mettere a rischio la tua, e io questo non riesco proprio a perdonarmelo, gli disse anche, con un fugace sguardo, ma senza usare parole. Con i gesti, come sempre, come era abitudine tra di loro. Tony si sentì colpevole e salvatore. Si sentì causa e miracolo. Quello stesso che May gli aveva chiesto di fare. Non c'era modo di salvare Peter, era troppo coinvolto. Troppo al centro del vortice, dove si sentiva la causa di una guerra, perché Tony aveva scelto di combatterla per riportare lui indietro. Nessun altro. E allora avrebbe dovuto agire in altri modi. Lo avrebbe fatto, se quello era l'unico modo di riaverlo con sé – come lo ricordava, quel Peter spensierato e tremolante, che aveva lasciato troppo indietro nel tempo. 

 

 

«Quant’è che ci conosciamo, ormai? Cinque o sei anni?» 

Peter sbuffò divertito. «Pe-per lei il tempo pa-pa-passa davvero in fretta, sa? N-no, è solo un anno e po-poco più.»

Tony si irrigidì e, con lui, la mente. Certe volte dimenticava. Anzi, certe volte si imponeva di farlo, perché non era semplice accettare quel fatto. Non era semplice perché, malgrado avesse ricevuto indietro ciò che aveva desiderato ardentemente, le cose erano ben lontane dall’essere esattamente come le voleva e, per uno come lui, era inconcepibile che niente stesse andando come aveva calcolato. Dopotutto era passato solo un anno – che aveva speso a tentare, in ogni modo possibile, di aiutare quel giovane a dimenticare, almeno in parte, le proprie insicurezze e superare quel problema che lo attanagliava. Qualcosa che Peter, quel ragazzo incantevole, nemmeno meritava. 

«Ho giusto sbagliato di millequattrocento giorni; più o meno», tentò di ironizzare, toccandosi il braccio sinistro in un riflesso incondizionato; si ritrovò ad addentare il suo panino, mentre Peter rideva di fronte a quella battuta, e lo inondava con quella genuina spensieratezza che, un po’ di salvezza, riusciva a donargliela.

 


 

Lo trascinò in terapia, contro la sua volontà. Il governo americano aveva stanziato dei centri appositi per chi, come Peter, non riusciva ad uscire dal tunnel del blip – così lo avevano chiamato, quell’incubo che gli aveva lasciato addosso i segni dell’altro quando gli era sparito tra le braccia, stringendolo intorno alle spalle. Segni invisibili sulla pelle, ma ardenti nella carne, all’interno. Tanto quanto gli occhi di Peter che gli mormorava quel «Mi dispiace», prima di venir spazzato via.  

Lo trascinò in terapia, sì, e a differenza di quello che aveva immaginato, lo seguì sempre senza dire una parola. Muto, chiuso in sé, gli occhi sempre più spenti, rivolti chissà dove. Risposte monosillabiche rivolte ai dottori che, giorno per giorno, non vedevano peggioramenti ma nemmeno miglioramenti. Peter era statico. Fermo, immobile in un punto solo, né lì né su Titano. Fluttuava in un universo tutto suo, aggrappato all’unica cosa che gli era rimasta: il dispiacere di deludere Tony, e di spaccargli il cuore, nel caso avesse deciso di spegnersi del tutto. Tony sapeva di essere quella fiamma ancora accesa nella sua psiche, ma così ardente che lo stava divorando fino all’ultima cellula. 

«Non vuole reagire», gli disse il dottore, alzando le spalle, quando gli chiese che accidenti stava succedendo e perché fossero ancora fermi dov’erano, da quasi sei mesi. «La richiesta d’aiuto del signor Parker non è partita da lui, ma da lei, signor Stark. Se il paziente non ha alcuna intenzione di collaborare, non vedremo mai dei miglioramenti.» Parole al vento, cose che Tony già sapeva e che quasi lo convinsero a smetterla di insistere tanto; ma ciò che gli diede la forza di farlo, furono le deboli, cupe parole che Peter gli rivolse quella sera, mentre lo accompagnava a casa con l’auto.

«Non portarmici più. Per favore.» E Tony non aveva risposto subito, ma aveva deciso di dargli retta, per una volta, mentre lui si chiudeva nelle spalle, seduto sul sedile accanto al suo, troppo impegnato a fissare il nulla oltre il finestrino.

«Ne parli come se fosse una condanna. Sto solo cercando di fartela superare», sbottò poi, ad un tratto.

«Io non la voglio superare. Io voglio solo dimenticare. Tutto qui.» E così era arrivato il momento di prendere una decisione; di fare una scelta. Di risolvere quel problema direttamente alla base; di aiutarlo veramente, senza dottori, senza sonniferi, senza antidepressivi e senza forzarlo a fare niente di niente. Lo rivoleva indietro, tanto quanto lo voleva May e quando le confidà la sua decisione, seppur riluttante e in lacrime, alla fine fu chiaro anche a lei che quella era l’unica soluzione possibile. 

 

Quando si ritrovarono nella sala d’attesa del laboratorio, Tony aveva incollato le labbra tra di loro, per nulla propenso a spiccicare una sola, cazzo di parola. Non che non avesse niente da dire, ma tirare fuori tutto era pressoché impossibile. May, seduta accanto a lui, di tanto in tanto gli tirava fuori qualche aneddoto passato che vedeva lei e Peter spensierati, a condividere il loro tempo, e di quanto queste piccole abitudini quotidiane le mancassero così tanto da sentirsi morire. Sorrideva nel raccontarle, ma aveva le lacrime agli occhi. Tony era solo fermo, nascosto dietro le lenti scure dei suoi occhiali, in attesa che qualcuno uscisse da quella stanza e gli dicesse che era andato tutto bene e che Peter era tornato a splendere esattamente come se lo ricordavano. 

Estirpare il problema alla base. Tony era convinto che mai e poi mai avrebbe potuto accettare un parallelismo tra se stesso e Thanos, ma a quanto pareva, nella mente di Peter, le due figure si erano sovrapposte e avevano creano un solo, univoco incubo: l’uomo che l’aveva ucciso e quello che lo aveva riportato indietro e ucciso di nuovo. 

Al sol pensiero si lasciò sfuggire un lungo, frustrato sospiro. May zittì l’ennesimo racconto e, posandogli una mano sul braccio sano, piegò la schiena per guardarlo. «Ehi, andrà bene! Non ti starai mica preoccupando per lui? Lo stai aiutando, Tony. Come hai sempre fatto.» Non sempre, avrebbe risposto se solo ne avesse avuto il coraggio, siamo qui perché non ci sono riuscito, l’ ultima volta. 

«Non si ricorderà più di me.» Fece schioccare la lingua, si irrigidì e strinse la mascella, collerico. May gli strinse di più la mano intorno al braccio e, piegando ancora la schiena verso di lui, lo costrinse a guardarla.

«E non si ricorderà più di Thanos ma, soprattutto, di quello che è successo su Titano. Avrà l’occasione di incontrarti ancora, in una… nuova vita che lo aspetta», incontrò il suo sorriso, e Tony si rese conto che tra i due avrebbe dovuto essere lui, quello che tentava di tirarla su e convincerla che sarebbe andato tutto bene, non il contrario. Ma dopotutto la scelta era stata drastica ma, di certo, l’unica soluzione: lasciare che dimenticasse dove e come era sparito – «Eri a casa, Peter. Non ricordi? Siamo riapparsi insieme, nell’incredulità e l’imbarazzo di quella famiglia che ha preso in prestito casa nostra¹!», gli avrebbe detto zia May, qualche ora dopo, ridacchiando e sistemandogli i capelli all’indietro in un gesto affettuoso –, dunque dimenticare che su quel dannato pianeta, contro Thanos, lui non aveva mai combattuto.

«Forse è meglio così, potessi avere la stessa fortuna, mi farei cancellare anche io la memoria per dimenticarmi. Non so quanto sia positivo il fatto che mi avrà ancora intorno», tentò di ironizzare, ma seppe di averci messo una punta troppo marcata di infelicità. Tutti quei momenti passati, il loro primo incontro, e tutto ciò che era conseguito subito dopo, nel corso di quel tempo, prima che Thanos li dividesse per sempre… li avrebbe custoditi lui nella propria memoria, senza mai poterne fare menzione con Peter. Bugie, ancora menzogne eppure, per una volta, erano solo a fin di bene.

May rise, poi gli rivolse un sorriso così dolce che Tony seppe di non meritare. «Non provare a sparire. Ha bisogno di te.» 

Ed io di lui. Lo pensò restituendole quel sorriso, mentre la porta della stanza di fronte a loro si apriva e ne usciva Bruce, con accanto Natasha. Aveva tinto di nuovo i capelli di rosso, ma aveva mantenuto quella lunghezza che le arrivava sulle spalle, raccolta in una treccia che le cadeva su una spalla e accentuava quel suo sorriso, un tentativo di rassicurarli che un po’ funzionò. Tony si alzò in piedi e May lo imitò meccanicamente, stringendosi una mano contro il petto, come se stesse cercando di tenere il cuore nella gabbia toracica. 

«Sta bene, si è appena svegliato. È un po’ spaesato. Gli abbiamo detto che è svenuto e che lo hanno portato qui per degli accertamenti. Gli diremo che è solo stress, poi domani potrà già uscire», comunicò Banner, passando lo sguardo prima sulla zia apprensiva e poi su Tony, arricciando le labbra, dispiaciuto. 

«Vi ha riconosciuti?» 

«No. La soppressione parziale della memoria ha funzionato e pare non aver causato danni. Ha qualche difficoltà a parlare, ma credo sia normale. Deve riempire dei vuoti, ma siamo certi di poter contare su di voi, in questo caso. Soprattutto su di te, Tony. I tuoi metodi diretti e poco convenzionali di solito funzionano», scherzò Natasha e Tony incassò il colpo con un sospiro, fingendosi indignato, ma dentro di sé sentì qualcosa appassire. Ricordi che, invece di sbiadire come avevano fatto con Peter, ardevano più forti. Poi tutto il resto, che giorno per giorno ammassava ricordi che costruivano un percorso che era stato destinato poi a bloccarsi lì, davanti a una scelta difficile, ma necessaria. 

Rimanere insieme e soffrire o dividersi e salvare Peter?

Faceva male, ma non ci aveva messo molto, a capire quale fosse la scelta più giusta per entrambi. E si sentiva uno schifo all’idea che Peter non fosse nemmeno stato interpellato, e che non gli fosse stato chiesto cosa ne pensasse ma… dopotutto aveva senso chiedere ad un guscio vuoto cosa preferisse tra il vivere e il morire dentro? 

«Possiamo entrare?», chiese May, e Banner annuì, spostandosi dal ciglio della porta per far loro strada e la donna si precipitò dentro, immediatamente. Tony si bloccò sulla soglia e Nat gli posò una mano sulla spalla, che un po’ gli bloccò il tremolio alla mano sinistra, quella sana. Quella che somatizzava ogni bruttura della vita, vibrando.

«Tony, sta bene, ma ha una disfluenza verbale piuttosto grave.» Tony alzò un sopracciglio, e il viso di Bruce vibrò. «Non guardarmi così, perché a parer mio, può migliorare col tempo e un po’ di allenamento. E qualche terapia da una logopedista», spiegò, e lui sentì una palla amara in fondo alla gola.

«Balbetta?», chiese conferma, monocorde, con quella vena di frustrazione e panico che seppe di non aver saputo celare completamente.

«Sì», rispose l’altro, poi sospirò e guardò altrove, «Ha dimenticato tutto: Thanos, Titano, la guerra, noi e te… ma il trauma è lì, da qualche parte, che preme. La psicologia è più complessa di quanto si possa credere e sapevamo che ci sarebbe stato un effetto collaterale. Lo sapevi anche tu.» 

«Sì, lo sapevo, ma non pensavo che avremmo dovuto combattere con un disturbo del linguaggio dato dal trauma di una cosa che nemmeno ricorda! Gli abbiamo cancellato la memoria per aiutarlo ad andare avanti!», si ritrovò a sbraitare, indicando la porta con un gesto meccanico, e quando Bruce gli fece cenno di abbassare la voce, Nat si avvicinò posandogli una mano sul petto per allontanarlo dall’altro, nel tentativo di bloccare la nascita di un’accesa discussione. Tony le fu quasi grato, che stesse mantenendo la calma per lui. 

«È l’effetto collaterale minore. È tornato tra noi e vedrai da te che il peso di quei ricordi lo ha già abbandonato, non appena lo guarderai negli occhi. Ci sono cose che si risolvono col tempo. Ha bisogno di te, anche se non lo sa ancora», sorrise lei e la stessa mano che lo aveva bloccato, si posò di nuovo sulla sua spalla, con un’amichevole delicatezza che ebbe il potere di rinfrancare un po’ la sua anima oscura. «Nessuno si salva da solo²», sorrise, infine. «Ora, per favore, vai. Non sa che vi conoscevate già ma sei ancora il suo mito. Immagina quanto possa renderlo felice, sapere che Iron Man è andato a trovarlo in ospedale!»

Era una triste verità, ma forse non così tanto. Tony aveva il cuore che gli batteva così forte che quasi ebbe paura potesse esplodergli da un momento all’altro. Si voltò a guardare l’interno della stanza, dove in fondo, vicino alla finestra, May era già seduta al capezzale di un nuovo Peter Parker, e da quella visuale riuscì a scorgere un sorriso confuso, ma talmente genuino che gli entrò nella carne. Avrebbe voluto ringraziare Banner, ma non ci riuscì. Non era mai stato bravo, con le parole, ma sapeva che tutti erano a conoscenza di quel suo lato maldestro, incapace di esternare nient’altro che arroganza e sfacciataggine, e che nessuno gliene aveva mai fatto una colpa. 

Quando entrò dentro, si chiuse la porta alle spalle. L’odore del disinfettante e delle lenzuola pulite gli entrò nelle narici; gli pizzicarono. Storse il naso e fece un passo avanti, deglutendo aria. Quando May alzò lo sguardo, Peter fece subito lo stesso. I loro occhi si incrociarono e, per un solo istante, parvero entrambi senza fiato. Tony per aver avuto modo di rivedere quegli occhi brillare di nuovo, Peter perché aveva riconosciuto il suo eroe, il suo punto di riferimento, che nella sua nuova mente aveva solo visto attraverso la tv o sui giornali. Un Peter che non aveva ricordi di nient’altro che ammirazione e utopici sogni di incontrarlo, quando tra loro c’era stato molto più che un sorriso; c’era stato amore. 

Peter aprì la bocca, e si agitò. Strinse le mani intorno al lenzuolo che gli copriva le gambe e sembrò sull’orlo di un’autocombustione. Boccheggiò frasi spezzate, date dall’emozione e dalla balbuzie che lo aveva colpito, a causa di un trauma che nemmeno ricordava.

Tony si impose di sorridere spavaldo; cercò di ricordare com’era stato il loro primo incontro a casa Parker, tentando così di replicarlo. «Peter Parker, vero?», esordì e lui annuì, rosso come un pomodoro. «Ci lascia un attimo soli?», continuò, rivolta a May, che acconsentì e si dileguò, non prima di aver regalato al nipote una carezza sulla guancia. Quando la donna sparì, decise di avvicinarsi, un passo dietro l’altro verso il letto, dove si sedette – come sempre, senza chiedere il permesso. Lo guardò, e Peter gli restituì lo sguardo, visibilmente emozionato. «Conosci lo Stark Internship, vero?», gli chiese, diretto.

Peter annuì di nuovo, lentamente, con quegli occhi carichi di troppe cose, tra cui l’emozione e l’incredulità; emozioni che non gli vedeva addosso da tempo. 

«Oh, adorerai farne parte! Mi hanno detto che non te la cavi male nel mio campo e che sei un nerd di prima categoria. Appena esci di qui, aspettati una lettera di reclutamento, Spider-Man!», concluse e, lasciando Peter muto, incapace di esternare la sua sorpresa e il fatto che lo avesse spiazzato rivelandogli che conosceva quel suo segreto, Tony iniziò a parlare. Lo fece anche al posto suo. Cercò di costruire delle basi, stavolta cercando di non commettere gli stessi sbagli in cui era incappato in passato; non a tutti era concessa una seconda possibilità e lui, quel fatto, lo vedeva come un onore che forse nemmeno meritava, ma che avrebbe sfruttato solo per il bene di un futuro non più così incerto.

 

 

«Avevo quasi pensato volessi propormi una di quelle cose assurde che vedi in quei film trash che tanto adori, e invece, per una volta, mi hai quasi stupito, Peter!», esclamò, mentre apriva il portafogli e lasciava una banconota da cinque dollari sul tavolo, facendo cenno alla cameriera di tenere il resto. Questa masticò un paio di volte, poi fece scoppiare una bolla di chewing gum e sorrise leggermente. Tony avrebbe voluto attaccarle quella gomma da masticare sulla fronte, se avesse potuto. Alzò gli occhi al cielo e si infilò la giacca. Peter lo aiutò a farlo, siccome aveva ancora difficoltà ad usare il braccio destro.

«S-sto imparando, ha vi-visto?», ironizzò il giovane e poco dopo lo affiancò fuori dal bar. Tony annaspò l’aria fresca di quella giornata, infilando le mani nelle tasche del cappotto aperto e allargando le spalle. Il sole gli baciò il viso e, quando sentì due occhi bloccati sul suo profilo, si voltò. «Sa, qu-quando ho ricevuto la sua lettera di am-ammi-ammissione alla Stark Internship ho quasi avu-avuto un infarto, per quello cerco di non essere tro-tro-troppo molesto. Ho paura che mi ca-cacci via perché le fa-faccio paura.» 

Tony alzò le sopracciglia, di fronte a quell’ammissione, poi reclinò la testa all’indietro e scoppiò a ridere; gli scaldò il cuore vedere Peter fare lo stesso, subito dopo, in modo così genuino.

«A proposito, Parker. Domani sera c’è la maratona Ritorno al Futuro al Cinema Village. Ho due biglietti gratis, se non hai di meglio da fare – il che mi sembra assurdo, visto che si tratta di un cult – potremmo andare a vederlo, che ne dici?» 

Peter sussultò sulle spalle, preso in contropiede. Fu adorabile vederlo alzare le spalle e incrociare le braccia al petto, come se volesse reprimere, in qualche modo, qualcosa di così grande da non riuscire a contenerlo. 

«S-sì, perché no. No-non ho altro da fare, do-domani. Va be-bene», rispose, palesando un’indifferenza fasulla; come se davvero, dire sì o no, potesse essere lo stesso. 

«Bene, allora ti passo a prendere alle cinque?» 

«Sì, va bene! E… si-si-signor Stark?», esordì poi, mentre Tony aveva cominciato a camminare, lui gli si affiancò immediatamente.

«Dimmi.» 

«Que-questo qui è… una… una specie di app-app-appuntamento?» 

Tony rabbrividì e, tutto ciò che riuscì a fare, fu lasciare che i ricordi gli riempissero la testa. Non c’era mai stato un vero e proprio periodo tranquillo, prima di Thanos. Non c’era mai stata una vera e propria occasione di crearselo, un primo appuntamento, sebbene Tony non facesse nemmeno caso a certe cose, ma Peter era pur sempre Peter. Giovane, puro e che stava cercando inconsapevolemente di riscattere tutto ciò che non aveva avuto, per colpa della vita che lo aveva da sempre obbligato a bruciare le tappe, ma ora le cose erano cambiate. Ora avrebbe fatto di tutto, pur di fargli vivere ogni cosa come avrebbe dovuto essere, sebbene si sentiva come se stesse barando ma… se non avesse mai fatto quello che aveva fatto, avrebbe più rivisto quelle costellazioni brillare così intensamente, nei suoi occhi?

No, probabilmente no. Sorrise, e sotterrò i sensi di colpa, guardando Peter. Godendosi, per un interminabile secondo, qualcosa che credeva non avrebbe più vissuto e che invece, a quanto pareva, era parte del suo destino. Per una volta – una sola nella vita, gli fu grato.

Gli fece l’occhiolino e alzò le spalle. «Lo scopriremo domani.»

 
 

   

Fine

 


 
 

 

♥ Note Autore ♥


 
Buonasera/Buongiorno a tutti! Ebbene sì, vi ho bugerati! No, la verità è che qualcuno ci era anche arrivato che le parti dove Peter balbetta erano nel futuro, ma con spiegazioni troppo lontane dalla realtà dei fatti, ovvero che Peter non stava accettando quel fatto e che, l'unico rimedio per non permettergli di vivere una vita appeso all'idea di deludere Tony – perché no, Peter non avrebbe mai fatto quel gesto, ma altruista com'è avrebbe continuato a soffrire e a spegnersi pur di non distruggere Tony, convinto comunuqe che pur avendolo riportato alla vita senza uno scopo, lo ha comunque salvato. 
Il ritorno dalla morte è sempre un tema che amo affrontare, e con loro è sempre pieno di spunti di riflessione. Probabilmente questa non sarà l'ultima storia in cui lo farò, anche se per ora voglio dedicarmi ad affrontare altro, sperando che voi decidiate di seguirmi in questo percorso lungo, infinito, dove loro sono parte di me e non posso, io NON posso smettere di scrivere di loro. Devo ancora raccontarveli in altre 3000 salse ♥
Scusate se, a modo mio, ho cercato di dirottare chi aveva capito dell'evento futuro, ma mi serviva depistarvi, in modo che il finale fosse chiaro e che le due linee temporali si intrecciassero dove volevo io. Sono una persona mala, lo so, e vi chiedo scusa ♥
Grazie a tutti per averla seguita e a chi l'ha listata, recensita, mipiacciata e, magari, amata! Tornerò presto su questi lidi, non so con cosa, ma so chi saranno loro. E lo sapete anche voi, ormai ♥
Un abbraccio
A presto,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.
 
 
 
   
 
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