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Autore: Harriet    22/02/2020    1 recensioni
Una band metal. L'ultimo tour, l'ultimo concerto, l'ultima canzone del chitarrista.
Ma c'è qualcosa di strano e misterioso che si sta per consumare sul palco.
Un inno d'amore alla musica metal in salsa di mitologia norrena.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ragnarok Tour
 
            «Ancora non ci credo, che vuoi lasciare la band.»
            «Andrà tutto bene. Te l’ho detto mille volte. A parte che ve la cavereste anche senza di me, perché tu sei un dio, con la chitarra. Ma troverete qualcun altro e sarete ancora più bravi.»
            Amira sbuffò e scosse la testa. Anche lei glielo aveva detto mille volte, a Don: non era solo per l’abilità con la chitarra, per le idee geniali negli arrangiamenti, per la personalità carismatica sul palco. Non voleva perdere un amico. Ma Don scuoteva la testa e le rispondeva che sarebbero andati avanti, che un luminoso futuro di gloria li attendeva.
            Ecco, anche questo le sarebbe mancato da morire. Il lessico elevato di Don, che parlava davvero come se fosse stato il personaggio di un poema antico. La mitologia, soprattutto quella nordica (un classico, nel loro genere musicale) faceva spesso capolino nei testi delle loro canzoni e nell’immaginario che accompagnava album, foto e concerti. Ma Don sembrava viverci dentro. Ed era divertente, sì, ma c’erano dei momenti in cui era… Potente. Funzionava. Prima di un concerto, prima di un’intervista, prima di un qualsiasi impegno al quale arrivavano stanchi e provati. Far cozzare insieme delle lattine di birra, guardarsi negli occhi e ascoltare qualcuna delle frasi in apparenza strampalate di Don funzionava sempre. Erano anacronistiche ma piene di cuore. E così si facevano forza e affrontavano ogni cosa.
            Erano una strana mistura, i Fire Ballad Per un certo periodo si erano chiamati Students Abroad, anche se ovviamente nessuno aveva pensato di tenersi il nome. Ma era nato tutto così, da un’esperienza di studio all’estero per tutti loro. Si erano incrociati nell’accogliente Amsterdam. Ognuno aveva una strada diversa da percorrere e un tempo diverso da passare lì, ma il caso (o il Fato, diceva Don) li aveva fatti fermare tutti nello stesso posto: al Tempest, un locale famoso per la musica dal vivo, in particolar modo per l’ottimo metal. Era stata una splendida serata: c’era una band folk metal che si stava facendo conoscere, e in effetti erano molto bravi. Loro si trovavano seduti a tavoli diversi, ma il cameriere era scivolato, lanciando in aria il suo vassoio stracolmo di boccali. C’era stata una pioggia di birra e schegge di vetro.
            In cinque si erano attivati per proteggere gli altri, aiutare il cameriere e impedire ulteriori danni. Così la direzione del posto li aveva premiati con una bevuta gratis, e persino la band, che si era accorta del caos scoppiato nel locale, li aveva pubblicamente ringraziati, dedicando loro un pezzo. Erano destinati a diventare amici.
            Se ti ritrovi a vedere un concerto metal, è probabile che il genere ti piaccia, ma quei cinque non erano semplici appassionati: erano musicisti, o aspiranti tali.
            Amira, studente di Linguistica, suonava la chitarra fin dai tempi delle scuole medie e da cinque anni seguiva un corso di canto lirico. Era francese, di origine marocchina, e aveva una profonda voce di contralto, capace di dolcezza e incazzatura, e di un’infinita scala di sfumature in mezzo ai due estremi.
            Leonardo era dell’Honduras, anche se negli ultimi due anni era vissuto a Barcellona, dove studiava Psicologia. Suonava la batteria da poco, ma a quanto raccontava, aveva usato qualsiasi oggetto sonoro come percussione fin dalla culla o giù di lì. In effetti aveva un senso del ritmo mostruoso. Quando l’idea di suonare insieme aveva cominciato a serpeggiare tra di loro, quasi non ci credeva, di aver finalmente trovato un modo per sfogare il suo talento nel fare rumore.
            Gilbert era approdato in Irlanda dodici anni prima, arrivando dal Congo. Studente di Lettere, aveva uno spirito più punk, che metal, ma strimpellava decentemente qualsiasi tipo di chitarra. Una volta gli avevano messo in mano un basso e se l’era cavata anche lì. Una volta, sì, ma era bastata a eleggerlo bassista per la neonata formazione. “Sì, ma io non è che so proprio bene come si suona, il basso. Vado un po’ a caso.” “Andare un po’ a caso è pur sempre un approccio”, aveva risposto Leah. Quella era la sua risposta abituale a tutto.
            Leah aveva la nonna paterna macedone, il nonno paterno greco e la mamma israeliana, e aveva sempre vissuto in Belgio. Era la più piccola del gruppo ed era una sperimentatrice di natura. Studiava al conservatorio ed era una violinista classica pazzesca. Un violino in una band metal dalle pretese folk ci sta sempre bene, no? Certo, lei era incuriosita dal metal ma non aveva molte conoscenze al riguardo. Però disse anche a se stessa che “andare a caso è pur sempre un approccio”, e accettò l’idea di far parte del gruppo -  un po’ perché era da poco in città e non si era ancora fatta degli amici, un po’ perché l’idea le piaceva davvero, un po’ perché l’abbacinante bellezza di Elena l’aveva fatta capitolare.
            Elena era italiana, di famiglia cinese, ed era una pianista. Studiava Astronomia e i suoi voti sul libretto universitario mettevano in soggezione chiunque. Era altissima e slanciata, con dei lineamenti perfetti e mani lunghe e affusolate che danzavano meravigliosamente sui tasti. Non sapeva nulla di metal: al concerto al Tempest l’avevano portata degli amici. Ma non aveva altre occasioni di suonare il pianoforte e sentiva la mancanza della musica, quindi aveva detto di sì.
            Così avevano iniziato. Da Students Abroad erano passati a Pagan Roots, per poi stabilirsi su Fire Ballad. Il nome con cui li aveva conosciuti Don un anno dopo la loro formazione.
            Don era un norvegese alto, grosso, biondo, barbuto e ridanciano, uno che non si tirava mai indietro davanti a una birra o a una gara di barzellette brutte. Era rumoroso e un po’ assillante, ma aveva una fedeltà ferrea nei confronti degli amici e quando c’era bisogno di lui, compariva sempre, in una maniera che aveva del miracoloso. Era anche uno splendido chitarrista e aveva saputo aiutare la band a superare i propri limiti, guardando avanti, sognando in grande.
            Molto in grande.

            Dieci anni dopo quella serata in cui erano piovuti birra, vetro e opportunità, i Fire Ballad erano una delle band folk metal più conosciute d’Europa, con un buon seguito anche negli altri continenti (per esempio, in Honduras erano tutti pazzi per il loro connazionale e la sua batteria.) I ragazzi avevano terminato i loro studi, ma poi avevano scelto la musica, che era diventata il loro mestiere, la loro casa, la loro vocazione. E tra loro era nato un intreccio di relazioni complesse, difficili ed esaltanti come un brano ben orchestrato, uno di quei pezzoni che durano quindici minuti e ti lasciano senza fiato.
            Solo che ora qualcosa stava per cambiare. Don aveva detto che quello era l’ultimo tour. L’ultimo.
            Ultimo. Che parola strana.
            L’avevano chiamato Ragnarok Tour, sia in onore della mitologia norrena che li accompagnava fedelmente, sia per celebrare il crepuscolo e l’addio del loro chitarrista.
            «Non voglio che te ne vada» gli avevano detto tutti, in momenti diversi. E lui, senza mai smettere di sorridere, aveva sempre risposto: «Non vi lascio certo soli.» Strana risposta. Ma quello era Don, no?
            Era difficile immaginare un futuro senza di lui, ma come diceva uno dei pezzi più di successo della band, your love dies if it’s not free, e per amore di Don, avrebbero accettato la sua scelta.
 
            L’ultimo tour di Don. L’ultimo concerto. L’ultima canzone.
            Quando aveva già pianto, durante quella serata? Amira aveva l’impressione che tra poco si sarebbe esaurita, disfatta, sfaldata in una nuvola di polvere, prosciugata dalle troppe lacrime.
            «Amici, questa è l’ultima canzone che suonerò su un palco, ma in realtà la mia musica non finirà mai! Io sarò in tutte le canzoni che avete ascoltato. Sarò in ogni nota, quando i nostri brani spaccheranno il rumore e conquisteranno la vostra solitudine. Vibrerò con la mia chitarra e veglierò su ogni corda, ogni assolo, ogni nota che viene lanciata verso il cielo fino alla fine dei tempi!»
            Un uragano di applausi, urla, voci che si levavano in alto, frammenti di canzoni. Un pubblico smisurato (o così appariva agli occhi inondati di lacrime di Amira) rendeva omaggio al loro chitarrista, un attimo prima che le dita di Don dessero vita all’intro della canzone.
            Quest for glory. Aveva scelto lui di concludere così, e a loro era sembrata perfetta. E così, in un trionfo di gloria, Don consumò la sua ultima canzone.
            Sull’ultima, lunga, potente e vibrante nota di chitarra, successe qualcosa.
            Un lampo accecò i presenti, seguito da una scarica di tuono. Una luce si accese, fiorendo dal nulla, e galleggiò sulle teste del pubblico. Come un fiore di luce tremula, che invase anche il palco. Era tutto bianco, bianchissimo, e i contorni delle cose erano sfumati.
            Poi sparì, così com’era arrivata. Quando gli occhi di tutti tornarono a vedere, Don era sparito.
 
            Nessuno della band lo vide mai più.
 
            «Allora, sei tornato dal tuo viaggio?»
            L’essere che dagli uomini era stato chiamato Thor, abbandonato il travestimento mortale era ora ricomparso nella sua dimensione. Fu accolto dalle voci di coloro che con lui condividevano quel mondo oltre tutte le cose.
            «Sono tornato.»
            «Ne è valsa la pena?»
            «Sì.»
            «Era così importante andare lì, a toccare con mano come vengono ricordati i nostri nomi?»
            «Sì, lo era.»
            «Raccontano ancora la nostra storia?»
            «Oh, se la raccontano! È uscita dai confini: la cantano voci di tutto il mondo. La narrano e la suonano, con una potenza che raggiunge il cielo! È una storia che non finirà mai.»








***
Partecipa al COW-T di Landedifandom. Missione 2 "Tramandato per l'eternità". Prompt: mitologia norrena.
Questa storia è dedicata a due delle cose più importanti della mia vita: il metal e il multiculturalismo.




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