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Autore: Fanny Jumping Sparrow    22/02/2020    9 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Eccomi tornata!
Con la lentezza di una lumaca ubriaca, riesco finalmente ad aggiornare questa raccolta con una nuova shot collocata un po' più avanti rispetto alla scorsa.
Devo ammettere che in questi giorni ho riletto più volte i primi capitoli del manga in cerca di riferimenti temporali un po' più concreti, ma spesso scarseggiano.
Ad ogni modo questo ipotetico episodio, che ho interamente inventato escluso un piccolo accenno ad una scena extra dello special "Servizio Segreto", si colloca prima del caso della ragazzina ossessionata dall'oroscopo (che mi è parso di aver capito essere avvenuto circa due anni dopo l'inizio della collaborazione tra Ryo e Kaori, illuminatemi se sbaglio^.^").
E' una shot uscita fuori un po' fluffosa, spero di non aver snaturato troppo i personaggi e di regalarvi qualche sorriso.
Come sempre ringrazio anticipatamente chi spenderà qualche ritaglio del suo tempo per leggere o commentare.
Alla prossima!)


IV - Risvegli traumatici

La pensilina della fermata era gremita di gente in attesa o semplicemente in cerca di un riparo da quell’acquazzone improvviso che aveva offuscato il timido sole primaverile.
Un’umanità variegata si stringeva per ripararsi dalla pioggia battente: pazienti mamme alle prese con i loro discoli bambini in braccio o scalpitanti nelle carrozzine, gruppetti di chiassosi studenti che scherzavano tra loro parlando di compiti e insegnanti, distinti uomini in giacca e cravatta intenti a consultare le loro fittissime agende, giovani coppie di innamorati che si tenevano per mano o si scambiavano tenere effusioni, vecchietti avvolti nei loro cappotti che si trascinavano dietro carrellini pieni di sacchetti con le compre della giornata o cagnolini al guinzaglio.
Sembrava che tutti attorno a lei avessero qualcosa di importante da fare, qualcuno di speciale da amare, una meta ambita da raggiungere.

Kaori si sentì sola e inutile.

Era appena trascorso un anno dalla tragica morte di Hideyuki e poco più di una settimana dal suo compleanno. Quelle due date, per un crudele capriccio del destino, erano diventate inscindibili e lei non aveva avuto alcuna voglia di festeggiare i suoi ventun’anni, che pertanto erano passati in sordina, senza nessuno che le facesse gli auguri o le dedicasse qualche pensiero carino, com’era solito fare il suo caro fratello o qualche amica del liceo con cui aveva mantenuto i contatti in passato ma che, adesso che aveva cambiato indirizzo e vita, si era a poco a poco allontanata fino a scomparire.

L’arrivo di un autobus provocò un certo fermento tra gli astanti e alcuni ragazzini, slanciandosi per raggiungere tempestivamente le porte scorrevoli del mezzo, la urtarono facendole quasi cadere le sacche della spesa, non soffermandosi neppure a chiederle scusa per quell’irruenza.

Kaori sospirò afflitta: oltre a sentirsi sola, le pareva anche di essere diventata invisibile.

Il mese poi, era iniziato miseramente, così come si era concluso quello precedente: nessun agognato “XYZ” sulla lavagna della pur sempre brulicante stazione. Avrebbe dovuto arrabattarsi con quanto restava nel fondo cassa che aveva oculatamente predisposto per tirare avanti fino alla comparsa del prossimo ingaggio, che, si sperava, sarebbe stato sufficiente a coprire almeno le spese minime di sopravvivenza.
Gravava tutto sulle sue giovanissime ed esilissime spalle e nonostante ciò, il suo indisponente coinquilino, nonché collega, continuava a farla sempre sentire inadeguata, qualunque cosa facesse o dicesse. Neanche lei si capacitava di essere diventata tanto resistente e tollerante, anche se tutto lo stress accumulato nell’ultimo periodo sembrava essersi materializzato con gli interessi.

Di suo era sempre stata tendenzialmente ottimista e per niente superstiziosa, ma si ritrovò a pensare che quel giorno tutte le stelle si fossero accordate per farle andare storta ogni cosa da che aveva messo piede fuori dal letto. Già con quel fastidioso raffreddore aveva dormito ben poco, faticando a trovare una posizione agevole per non soffocare. In più le era arrivato il ciclo e così al naso che colava si erano aggiunti anche nausea e dolori addominali. Avrebbe dovuto fregarsene, una volta tanto, e rimanere al calduccio sotto le coperte. Ma non ce la faceva proprio ad oziare, aveva un senso del dovere troppo spiccato, neanche fosse un vero agente di polizia.

Perciò, ignorando lo stato di malessere generale che l’attanagliava, aveva raccolto tutte le sue forze e la sua buona volontà e si era alzata, dirigendosi speditamente in bagno, pregustando di avere un po’ di soddisfazione dal getto d’acqua calda per ritemprarsi un po’, ma già lì era incappata nel primo inconveniente: la caldaia non funzionava. Era rimasta sotto la doccia gelata non più di cinque minuti, imprecando contro il mondo intero, per poi asciugarsi in fretta e furia col phon e imbacuccarsi in svariati strati di vestiti, concedendosi una veloce colazione prima di uscire per i soliti giri mattutini che la impegnavano quotidianamente oramai da diversi mesi.

Per quanto le piacesse molto spostarsi a piedi, svagandosi con ogni più piccola o pittoresca distrazione che incontrava durante il tragitto, dai coloratissimi video proiettati sui megaschermi dei palazzi ai chiassosi venditori ambulanti di cibo da strada, dalle incantevoli fioriture dei lussureggianti giardini alle insegne dei cinema e dei teatri tradizionali, proprio quel giorno che non era al massimo del suo stato fisico era stata costretta a farlo contro la sua volontà.

Da che aveva preso la patente e aveva avuto una propria indipendenza e una propria auto, si era disabituata ai viaggi sugli affollatissimi mezzi pubblici, eppure, non sentendosi di percorrere quella distanza in quelle condizioni, si era dovuta mescolare ai tantissimi passeggeri che si ammassavano come sardine a bordo delle vetture.

Il punto in cui abitava, essendo strategico e segreto, non era poi così ben collegato col resto del quartiere, per cui avrebbe dovuto fare più soste per tornare indietro.

Appena scesa dal primo autobus, Kaori gettò in un cestino il fazzolettino con cui si era soffiata dopo l’ennesimo starnuto, e, pur temendolo, si specchiò nella vetrina di un elegante negozio di abbigliamento: aveva i capelli tutti arruffati, le occhiaie, il naso rosso e le labbra screpolate. Si sentiva davvero una schifezza! E non vedeva l’ora di potersi rintanare in casa, anche se già il pensiero di dover sottostare ai commenti al vetriolo di quell’arrogante scansafatiche del suo socio le procurava una sorta di orticaria.

Si apprestò ad attendere il prossimo mezzo in arrivo, riparandosi come meglio poté dalla pioggia che seguitava a scendere con le buste di plastica, dato che non c’era spazio sotto la tettoia strapiena di persone appiedate come lei.
Al cambiare del semaforo una berlina sfrecciò a gran velocità vicino al marciapiede, investendo una grossa pozzanghera la cui acqua sporca si sollevò in una tempesta di schizzi.

Kaori batté i denti, starnutì e con quel brusco sussulto il sacchetto con le uova s’infranse per terra, disseminando una frittata sugli altri pacchettini di alimenti in offerta che aveva acquistato al supermercato.

In quel momento si sentiva la ragazza più sfortunata di tutto il Giappone!



Emise uno sbadiglio simile al ruggito di un orso ridestatosi da un lungo letargo e si stiracchiò per bene allungandosi sul grande materasso, restando in attesa di captare dei passi svelti e nervosi approssimarsi alla soglia della sua camera e preparandosi qualche battutaccia con cui accoglierla.

Quella notte, in sogno, era successo di nuovo. Alle più spinte fantasie erotiche aventi per protagoniste donne conosciute o immaginarie, si erano sovrapposte le immagini concrete, angoscianti e feroci della guerra e aveva finito per svegliarsi di soprassalto, la gola arida e la fronte imperlata di sudore.

Anche se la sua virilità adesso torreggiava fiera da sotto il lenzuolo, rammentandogli che era ancora vivo e godeva di ottima salute, quegli incubi gli lasciavano dentro un persistente malumore che negli ultimi mesi aveva imparato a riversare sulla sua irascibile coinquilina.
Era un gioco innocente cui lei non si sottraeva, anzi gli rispondeva sempre a tono e quella sua schiettezza gli piaceva parecchio, sebbene talvolta fosse sin troppo violenta nelle sue esternazioni, e le sue ossa doloranti ne sapevano qualcosa.

Non aveva cognizione di che ore fossero di preciso, ma qualcosa gli suggeriva che quella mattina i suoi squillanti rimbrotti stavano tardando a fare capolino.
Tese le orecchie, carpendo solo l’incessante scrosciare della pioggia sui vetri.

I minuti scorrevano imperterriti. Cinque. Dieci. Quindici. Mezz’ora.

Ryo cominciò a chiedersi che cosa mai la stesse impegnando a tal punto da ignorarlo, da ignorare il suo dovere di dargli la sveglia. Non che, il più delle volte, se non si era sbronzato per bene, gli occorresse realmente: il suo organismo era regolato da un orologio biologico praticamente perfetto, e il suo infallibile sesto senso lo avvertiva se nei dintorni c’erano seri pericoli alla sua incolumità.

Oltremodo piccato, si risolse ad alzarsi da solo e presentarsi di sotto così com’era, nudo come un verme, per reclamare le sue attenzioni. Ma ciondolando per l’appartamento si rese conto che non percepiva la sua presenza. Valutò che magari fosse salita in terrazza a stendere i panni, o meglio a ritirarli, visto quanto forte stesse diluviando. La temperatura era scesa, si disse che non era il caso di beccarsi qualche accidente, perciò prima di andare a controllare s’infilò un paio di pantaloni e una maglia.
Anche lì su però non c’era nessuno, eccetto due piccioni che, bagnati e infreddoliti, si erano appollaiati nella rientranza della porta finestra.

Ridiscese al piano inferiore dove non trovò nessuno di quei bigliettini che era solita attaccare su qualche pensile per informarlo di qualche uscita prolungata o di cui non avevano discusso. Per di più in cucina non gli aveva neanche lasciato niente di pronto per la colazione, perciò forse significava che non aveva avuto intenzione di assentarsi più del consueto. Era sempre così precisa e premurosa, nonostante la sgarbatezza con cui la trattava.

Certo fuori non era ancora buio, ma comunque non era da lei ritirarsi così tardi, con quel tempaccio che stava imperversando, poi, era da pazzi restare in giro a fare chissà cosa.
Era quasi ora di pranzo, oramai. Per scrupolo verificò anche se ci fosse linea nella cornetta del telefono, constatando che funzionava perfettamente.

La situazione incominciava ad impensierirlo. La sua mentalità investigativa si mise ad elaborare una serie di scenari, più o meno preoccupanti, dal più banale contrattempo che poteva capitare a chiunque al più funesto incontro con qualche tipo poco raccomandabile. Oltre ad essere una principiante, quella ragazza era anche una vera testa calda e inoltre non gli era parso che avesse una bella cera la sera precedente.

Detestava l’idea di avercela sulla sua già sudicia coscienza.

Imbracciò la fondina e afferrò l’impermeabile dall’attaccapanni all’ingresso, cercando freneticamente le chiavi della mini. Temporeggiò ancora qualche minuto, camminando in tondo per il salone, sorvegliando dalla finestra il piazzale sottostante. La strada era deserta e allagata.

Un fulmine si abbatté sull’antenna del palazzo prospiciente, sprigionando scintille.
Ryo inspirò, rilassando i nervi che si erano subito allertati a quella stimolazione. Arrendendosi al suo giudizio interiore e armandosi di freddezza, si decise a uscire per rintracciarla.

Era arrivato a scendere la seconda rampa, quando dalla tromba delle scale gli giunse l’eco di alcune suole inzaccherate in avvicinamento accompagnato dal risuonare di starnuti e lamenti che riuscì facilmente a collegare alla sua recalcitrante aiutante.

Come punto da una tarantola, batté in ritirata, sfruttando tutta la sua comprovata abilità nell’essere silenzioso e sapersi muovere con estrema velocità per rientrare, senza farle scoprire che stava per gettarsi alla sua ricerca.
Corse verso la sua camera e si spogliò, optando per un abbigliamento più casalingo che non le destasse il sospetto si fosse svegliato da molto. Guardandosi allo specchio si spettinò un po’ il ciuffo e si diede dei pizzicotti sulla faccia per farla apparire sgualcita.


Intanto la porta di casa si aprì e si richiuse con un gran tonfo, così scese per andarle incontro, stropicciandosi le palpebre e grattandosi le parti basse.
La ragazza, alle prese con le pesanti sacche della spesa, non si accorse neanche della sua sagoma ritta sulle scale che la osservava, lui invece notò quanto fosse tutta tremante e gocciolante.
Seguì il tracciato delle goccioline che disseminava sul parquet fino a raggiungerla in cucina, ritrovandola a sistemare barattoli e confezioni tra il frigorifero e le dispense.

«Kaori! Dove diavolo eri finita? Vuoi farmi morire di fame?!», la richiamò con insolenza, accorgendosi allora del suo intenso pallore. Faceva quasi spavento.

Lei gli rivolse due occhi velati e mogi, estraendo un fazzolettino di carta inzuppato dalla tasca del giubbotto e tamponandosi il viso sciupato: «Ho bucato una gomma ed ho dovuto lasciare l’auto a chilometri da qui. Mentre attraversavo un incrocio mi si è rotto l’ombrello, il terzo autobus che ho preso ha subito un tamponamento e per finire uno stronzo col bolide mi ha pure fatto il bagno!», frignò esacerbata, sturandosi il naso.

L’espressione di Ryo si rasserenò impercettibilmente, apprendendo che non le fosse capitato niente di grave. Si sforzò di tacere e restare serio, ma quella sequela di disavventure che gli aveva raccontato era troppo esilarante: «Sei proprio la regina degli sfigati!», non riuscì a trattenersi dal commentare, scoppiando a sghignazzare indelicato.

Un lampo d’irritazione contrasse i lineamenti già alterati di Kaori: «E tu il re degli antipatici! Brutto egoista insensibile! Non t’importa niente di me!», s’imbizzarrì, rincorrendolo con un martello di medio tonnellaggio, che all’evenienza era comparso tra le sue mani.

Lui, avvantaggiato dalla sua insolita lentezza e imprecisione nei movimenti, schivò diversi assalti, e quasi stava per farla vincere, quantomeno per non sentirla più strillare, al che la ragazza, giunta al centro del salone, si fermò barcollando e ricadde a gambe all’aria, sotto il peso di quell’arma impropria.

Ryo rimase in guardia, sospettando che stesse fingendo per sferrargli un attacco a sorpresa. Esitò qualche secondo nel considerare l’ipotesi di lasciarla lì in mezzo, a macerare nel suo brodo, o forse sarebbe stato più corretto dire nel suo muco, visto quanto era raffreddata.
Ma alla fine il suo buon senso prevalse: non era mica così cattivo come lo dipingeva lei!

Le si accostò, accovacciandosi cautamente al suo fianco, dandole dei colpetti su una spalla con la punta delle dita, sollecitazione a cui lei non reagì, gemendo appena, la bocca socchiusa e gli arti scomposti. Sembrava proprio svenuta. Calibrando ogni gesto affinché risultasse quasi impalpabile, si azzardò a far scorrere un braccio sotto la sua nuca madida che gli bagnò la manica della felpa, mentre con l’altra mano le tastò delicatamente la fronte, appurando che scottava, a differenza del resto del suo corpo, che, seppure infagottato in quei vestiti grondanti, era congelato.

«Stupida testona», bisbigliò seccato, ma anche ammirato dalla sua cocciutaggine. A volte si comportava proprio come una bambina sfrontata, credendo di essere invulnerabile, e invece adesso stava combattendo contro un subdolo e microscopico nemico interno che forse aveva sottovalutato.

Malgrado cominciasse a divincolarsi, la sollevò in quattro e quattr'otto dal pavimento e si affrettò ad andare a depositarla in un luogo più comodo e asciutto.


Una piacevole e rassicurante sensazione di tepore le avvolgeva le membra, che sentiva molli e pesanti, rendendola incapace di muoversi. Era leggermente accaldata e sudata, soprattutto dietro il collo, sotto le ascelle e tra i seni. Provando a rigirarsi per cambiare posizione e cercare tastoni sul comodino un bicchiere d’acqua per sciacquarsi il palato asciutto, avvertì di avere le articolazioni tutte intirizzite.

Una fastidiosa emicrania rendeva i suoi sensi confusi e ovattati, ma era abbastanza lucida da riconoscere di trovarsi nella sua stanza e nel suo letto. Bevuti due sorsi abbondanti, anche la sua memoria si schiarì: complice la febbre alta, doveva aver fatto un sogno abbastanza realistico e alquanto snervante, in cui gliene capitavano davvero di tutti i colori!
Era stato stancante anche solo sognarle certe situazioni assurde e scalognate, e ora non aveva proprio voglia di uscire da quella bolla di tranquillità e riservatezza per affrontare un’altra giornata che sarebbe stata sicuramente impegnativa. Si sentiva ancora uno straccio strizzato.

Stava lasciandosi tentare dalla tentazione di rimandare i doveri che la aspettavano, che subito un discreto ma deciso bussare alla porta fece sfumare quella prospettiva.
«Avanti», borbottò di riflesso, anche un po’ stranita.
Dallo stipite si affacciò adagio il profilo alto e dinoccolato del suo coinquilino.
Kaori strabuzzò gli occhi: «Ma … Ryo! Avevamo fatto un patto, che non saresti mai entrato in camera mia!», gli rammentò paonazza.

«Hai detto “avanti”», annotò semplicemente lui, infilando una gamba, ma restando ancora a metà tra l’uscio e il corridoio.
La ragazza scivolò giù, tirandosi le coperte sul naso: «Beh, non potevo sapere che fossi tu».
«Stai delirando? Chi ti aspettavi? Siamo in due in questa casa!», la fece sentire ancora una volta sciocca lui, sebbene in quel caso avesse ragione a canzonarla.

Si rimise a sedere, sempre stando attenta a mantenere la trapunta fin sotto il mento, davanti a cui lui le piazzò una scodella, che prima di entrare aveva occultato dietro la schiena.
«Ecco. Mangia che sei deperita», la esortò spiccio, piantando un cucchiaio dentro quella specie di pappone. «Ma non ti ci abituare» la avvertì drizzando un indice, col tono di chi stesse dialogando con un animale.

Kaori allungò le braccia per raccogliere quella ciotola che scoprì essere ripiena di riso in bianco, rimescolandolo e trovandolo scotto e tutto attaccato: «Non basterebbe una vita intera ad abituarsi alla tua pessima cucina», lo screditò, stizzita ma in fondo anche un po’ colpita da quel suo inedito slancio di compassione nei suoi riguardi.
«Ha parlato la chef stellata!», sbottò schifato lui, incrociando le braccia, «Fortuna che io ho uno stomaco forte, sennò sarei ogni giorno all’ospedale a fare le lavande gastriche», blaterò con spocchia e ostentato vittimismo.

Lei deglutì un boccone insapore, sbirciandolo di sbieco. Non conosceva alcuna decenza nell’esibire certi comportamenti da depravato anche davanti a degli sconosciuti, eppure sembrava che ammettere di aver compiuto un piccolissimo atto di gentilezza per lei, con cui oramai conviveva da un anno, lo imbarazzasse.
«Grazie», gli sorrise allusiva, continuando a centellinare quei chicchi gonfi e pallidi, sotto il suo sguardo apparentemente disinteressato, che si spingeva oltre la visuale offerta dalla finestra, striata dal piovasco alimentato dal vento.

«Comunque se stavi così male, perché mai sei dovuta uscire lo stesso con questo tempo da cani?»
Il suo tono ora pareva quello di un padre che riprendeva una figlia disubbidiente.

«Mi avresti rimproverato di essere una femminuccia svogliata perché mi lascio abbattere da un insulso raffreddore», ribatté ostinatamente lei.
Ryo mosse lievemente le spalle, come se si fosse lasciato andare ad una risatina interna: «Non potrei mai pensare una cosa simile su di te» respinse quell’accusa, voltandosi e guardandola con una strana intensità «Non hai niente di femminile, tu».

Kaori sentì un fremito di rabbia scuoterla tutta, le sue gambe impulsivamente scalpitarono, le mani cercarono di impugnare qualcosa da sbattergli sulle gengive, per toglierli quel ghigno insopportabile, ma era ancora troppo debole, ebbe un capogiro e non riuscì ad evitare di ricadere sul materasso, mentre lui si appropinquava indefesso alla porta.
All’improvviso il suo cervello ricollegò i frammenti di quelli che erroneamente aveva scambiato per ricordi onirici. Era tutto vero, aveva affrontato una serie di imprevisti quella mattina, e per di più aveva rischiato di buscarsi un malanno, bagnandosi dalla testa ai piedi. Si accorse di un particolare agghiacciante: era in pigiama.
«Quindi … mi hai spogliata tu?», ebbe quasi paura a domandargli.

L’incedere disinvolto dello sweeper si arrestò, colpevolmente. Sperava di poter sorvolare su quel dettaglio compromettente, invece si era fregato con le sue stesse parole, volgendole quella critica. Avrebbe potuto inventarsi qualche giustificazione, ma non gli sovvenne nulla di diverso dalla verità.
«Ho dovuto. I tuoi vestiti erano fradici, non potevi tenerli indosso», si limitò a rispondere con faccia di bronzo.

Se possibile, le guance di Kaori divennero ancora più bollenti: «Potevi svegliarmi, razza di pervertito! Non te ne sarai approfittato, vero?»
Il suo socio non si tradì, mostrandosi piuttosto insultato da quell’insinuazione: «Per chi mi hai preso?! Non sono così disperato! E poi lo sai che per me sei come un fratello minore», le ribadì senza alcun tentennamento né malignità.

Kaori tacque, non sapendo se sentirsi denigrata o lusingata da quella considerazione. Pareva sincero mentre ne parlava. Forse davvero lei non gli suscitava alcun turbamento. Magari anche il fatto che quel giorno sotto i vestiti indossasse la pancerina, i calzettoni e una maglia di cotone poteva aver inibito le sue pulsioni.

“Hai dei mutandoni orrendi”, biascicò tra sé e sé Ryo, ripensando a quanto fosse stato sfortunato a dover svestire proprio una donna così poco sensuale come lei, malgrado poter sfiorare quelle gambe così lunghe e affusolate non gli fosse tanto dispiaciuto e si fosse beccato anche un bel pugno, nonostante lei fosse semicosciente.
«Piuttosto, cerca di rimetterti presto, che mi servi attiva», deglutì risoluto, sviando quegli insensati rimuginamenti.

La socia si rianimò, riacquistando il suo solito puntiglio: «Ci puoi giurare. Non intendo lasciare la virtù delle donne di questa città alla mercé della tua incontenibile libidine», gli assicurò, simulando un perfido sorrisetto e gettando nel fondo del bicchiere una pasticca di aspirina.

«Ripensandoci, riposati pure quanto ti pare!», si congedò Ryo con una grassa risata, sfregandosi le mani con fare malandrino.

Kaori sospirò rassegnata, ingerendo la medicina. Quell’uomo sapeva essere davvero esasperante nella sua immaturità, aveva seri problemi a rapportarsi normalmente con le persone, soprattutto se donne, ma per qualche motivo irrazionale che ancora faticava a comprendere, sin dal primo battito di ciglia aveva sentito che su di lui poteva fare affidamento, che ci sarebbe stato se lei ne avesse avuto davvero bisogno.
Sfinita ma rincuorata da quella consapevolezza, sprofondò nel cuscino e si riaddormentò.


Tre di giorni più tardi era già tornato tutto più o meno alla normalità. Le era bastato riguardarsi e assumere qualche antibiotico per rimettersi rapidamente da quell’influenza passeggera. Nonostante le tonsille un po’ infiammate e le narici ancora ostruite le dessero qualche noia, si sentiva molto meglio ed era predisposta ad affrontare un nuovo incarico, con tutte le annesse complicazioni del caso.

Aveva delle sensazione positive, per cui, tra mille proteste, aveva svegliato in anticipo anche il suo collega, chiedendogli di accompagnarla alla stazione, con la scusa che la sua auto era ancora parcheggiata dal meccanico.

Tornando di corsa nella sua camera per recuperare i documenti dalla borsa, con la coda dell’occhio scorse sul letto qualcosa che non ricordava di aver lasciato in giro. Lei era sempre ordinatissima. Appurò che si trattava di una lunga sciarpa di un bel giallo canarino, intessuta con una lana pregiata.
A passo di carica si diresse nella stanza di Saeba, ancora intento a scegliersi con tutta calma una camicia dal guardaroba: «Ne sai qualcosa del perché questa si trova sul mio letto?», lo interrogò fumantina.

«È tua», sillabò quello con tono piatto ed evasivo, guardandola distrattamente.

Forse pensava che stesse farneticando, ma oramai si era ripresa praticamente del tutto, non poteva imbrogliarla rifilandole fesserie per nascondere i suoi misfatti. Chissà a chi l’aveva sottratta, sperando che lasciandogliela lì in bella vista, lei potesse scambiarla per roba che le apparteneva.
«No, non è mia. Non ho mai avuto una sciarpa di questo tipo», insistette ad affermare, accecata da un imprevisto attacco di gelosia.
Ma Ryo non fece una piega, abbottonandosi i polsini e indossando una giacca sportiva, evitando ancora di incrociare le sue pupille acute che imperterrite lo sondavano.
Kaori, non paga di quella reticenza, lo tallonò mentre usciva con indifferenza dalla stanza. Un’altra ipotesi osò pian piano solleticarla, facendole palpitare un moto di tenerezza nel petto.
«Vuoi dire forse che è un regalo? Per me? Ma il mio compleanno è già passato … », gli ricordò con una punta di tristezza, continuando a lisciare quel morbido tessuto di cui si era già innamorata.

Lo sweeper afferrò le chiavi della mini, scoccandole uno sguardo esterrefatto: «Che vai a pensare! Non è un regalo. Te l’ho presa perché ho pensato che ti sarebbe potuta servire. Sono giorni che ti lagni di avere il mal di gola», asseverò prosastico, esortandola poi a sbrigarsi, già pentito di quella levataccia.

La ragazza si avvolse con soddisfazione la sciarpa attorno al collo e lo precedette cominciando a scendere le scale, non senza avergli prima indirizzato un'occhiata perspicace.
E di nuovo quel sorriso dolcissimo, da sbriciolare le pietre.

Ryo, serrando l’uscio di casa, si disse che non provava alcun sentimento romantico per lei, ma che forse stava cominciando ad affezionarsi un po' troppo a quel tipino puntiglioso.

   
 
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