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Autore: LysandraBlack    23/02/2020    3 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 26
Loss



 

Portò le braccia dietro la schiena, tentando di stiracchiarsi le membra. Era tutto il giorno che seguiva la Comandante per la Forca e si stava iniziando a stufare di tenere addosso l'armatura. Meredith sembrò accorgersene, perché la redarguì con lo sguardo mentre finiva di berciare ordini alle tre giovanissime reclute nel cortile sotto di loro, che avevano osato cercare riparo sotto il portico invece che rimanere sotto la neve a farsi trasformare in statue di ghiaccio.

Uno di loro, un ragazzino un po' in carne che non doveva avere più di dodici o tredici anni, sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

«Diventerete cavalieri dell'Ordine Templare, un giorno, e sia chiaro che non accetto alcun tipo di debolezza nei miei uomini!» Ringhiò la donna, rimarcando il concetto dando un pugno alla balaustra di pietra con la mano guantata. «Se non siete in grado di resistere ad un po' di freddo, cosa farete quando vi troverete davanti un mago del sangue, pronto a farvi a pezzi?!»

I tre annuirono, rossi in volto, lo sguardo basso e gli occhi lucidi. «Sì Comandante! Ha ragione, Comandante!»

«Paxley, falli rientrare, domani mattina dovranno stare a guardia del cortile dall'alba al tramonto.» Ordinò Meredith al templare accanto a lei, che si mise sull'attenti. Salutò impettito e si fece seguire dalle reclute, che erano ben contente di poter sgattaiolare via dallo sguardo severo della donna.

«Stanca, Tenente?» Le chiese fredda, volgendo l'attenzione su di lei. «Chiunque dei tuoi colleghi si sarebbe sentito onorato di potermi assistere per tutta la giornata nei miei compiti.»

Marian si sentì sprofondare. «Lo sono, Comandante. Grazie per l'opportunità.»

L'altra sollevò impercettibilmente un sopracciglio. «Seguimi.»

Tornarono nell'ufficio della Comandante. Dopo averle fatto chiudere la porta dietro di sé, Meredith si portò vicino alla finestra che dava sul cortile, lo sguardo corrucciato. Sulla scrivania una serie di carte che avevano analizzato nel tardo pomeriggio, rapporti sulla situazione dei maghi ribelli nelle altre città, una richiesta di trasferimento per alcune reclute proveniente dal circolo di Ostwick e una lettera dalla Divina in persona, che invitava a mantenere il controllo della Forca senza però ricorrere alle misure drastiche che sempre più persone richiedevano a gran voce. Le ultime due, il sigillo di ceralacca rosso che spiccava perfetto sulla pergamena arrotolata, erano due permessi per procedere con il Rituale della Calma, controfirmati dal Primo Incantatore Orsino. «Perché pensi che ti stia portando con me in questi giorni?»

“Per tenermi d'occhio”, avrebbe voluto rispondere, ma si morse la lingua. «Non saprei, Comandante.»

La interruppe con un gesto stizzito della mano. «Sei più intelligente di così, Marian, non aver timore di dar voce ai tuoi pensieri.»

«Sembra che mi stiate esaminando, Comandante.»

Finalmente, Meredith si voltò a guardarla. «E a quale scopo, ritieni?»

Marian si strinse nelle spalle.

La donna si avvicinò alla scrivania, sfiorando con le dita le carte sopra di essa. «Ti ho tenuta sotto osservazione per anni, Marian. Sei una donna interessante, oltre che una templare molto diversa da quelli che solitamente si uniscono al nostro Ordine. Non sei qui per la gloria, né perché volevi supportare economicamente la tua famiglia, e non ti interessa il potere che deriva dalla tua posizione. Non ho mai ricevuto una lamentela sul tuo comportamento da nessuno qui dentro, persino Karras, che come avrai capito non ti ama particolarmente, non ha mai avuto delle basi concrete per lagnarsi di te. La maggior parte dei tuoi colleghi, anche più anziani di te, ti vede come un punto di riferimento. E persino molti dei maghi sembrano approcciarti come un essere umano, a differenza di come si comportano di solito con i Templari che li sorvegliano.» Marian aprì la bocca per dire qualcosa, ma Meredith non la lasciò parlare. «La gente comune ti ammira e i nobili ti rispettano immensamente. Ispiri fiducia, e sai come guadagnartela, hai una mano ferma e non ti abbandoni mai all'eccesso: sono tutte qualità che fanno di te un ottimo leader.» Sollevò lo sguardo dal tavolo, puntandolo nel suo. «Anni fa ti chiesi di dare tutto per l'Ordine, per riscattarti dalla tua fuga ad Ostagar. Hai superato le mie aspettative, Marian.»

Non sapeva cosa rispondere. Se avesse saputo la verità, la sua testa sarebbe andata a decorare le mura della Forca in pompa magna, ne era sicura. «Vi ringrazio, Comandante.»

«Ora ti lascio andare, goditi la cena, Tenente.» La congedò Meredith, e per un secondo la sua espressione solitamente fredda sembrò addolcirsi. Qualcuno bussò alla porta, e la donna tornò immediatamente quella di sempre.

Il Capitano Cullen scivolò all'interno, salutandole rigidamente, per poi richiudere il battente. Aveva il volto teso, i capelli solitamente curati che ricadevano sugli occhi. «Ci sono novità, Comandante.»

«Parla pure, Capitano.»

Cullen spostò lo sguardo prima a lei e poi di nuovo sulla Comandante, ma annuì. «I sospetti di Karras su Gerwyn erano fondati, crediamo sia stato lui a permettere la corrispondenza dei maghi fuggiti dalla Forca con la Resistenza.»

«Crediamo, Capitano?» Ripetè Meredith, assottigliando le labbra. «Voglio delle certezze, non illazioni basate su sospetti e dicerie. La famiglia Dionne è abbastanza influente a Montsimmard, prima di giustiziare il nipote di Yves come traditore dobbiamo avere delle prove concrete. Interrogatelo di nuovo.»

Cullen stava visibilmente sudando freddo. «Sarà difficile, Comandante. Karras...»

Meredith gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe fatto raggelare sul posto un altodrago. «Parla, Cullen.»

«Gerwyn è morto durante l'interrogatorio, Comandante.» Ammise il Capitano. «Ho chiamato immediatamente un mago, Alain, ma non è stato di alcun aiuto. Probabilmente ha ingerito del veleno per evitare di smascherare i suoi compagni.»

La mascella della donna era serrata, Marian poteva quasi sentire lo stridere dei denti. «Karras si era assunto la responsabilità dell'investigazione.» Si voltò verso di lei, facendole cenno di andare. «Marian, mandamelo qui immediatamente, dovrà rispondere della sua incompetenza.»

Non se lo fece ripetere due volte.

Trovò l'uomo che teneva banco in refettorio, attorniato da un piccolo gruppo di templari e reclute, tra i quali Marian non faticò ad individuare Andrew, Trevelyan e Montrose. Si fece strada senza troppi convenevoli, piazzandosi di fronte a lui mentre stava iniziando l'ennesima invettiva contro la Chiesa troppo permissiva.

«Serpi in seno, ecco cosa sono!» Abbaiò agitando un pugno in aria, mentre gli altri rumoreggiavano la loro approvazione. «E la Chiesa ci abbandona alla loro mercé, non possiamo difenderci. Appena volgiamo lo sguardo, ci uccidono, corrompono le nostre menti, ci rendono schiavi del loro volere tramite patti coi demoni! Datemi retta, l'unico modo è attaccare per primi, non lasciate che-»

«Karras, la Comandante Meredith ti vuole nel suo ufficio.»

«Ah, Tenente Hawke!» Esclamò sorpreso di vederla. «Stavo appunto-»

«Immediatamente, Karras, non è affatto contenta del vostro ultimo fallimento.»

Si godette l'occhiata furente che l'altro le lanciò, ma non poteva ribattere di fronte a tutta quella gente. L'uomo decide di battere in ritirata, dirigendosi a testa bassa nell'ufficio della Comantante seguito dalle risate di alcuni. Si sentì gli occhi di Trevelyan puntati addosso. Non era ancora riuscita a parlare da sola con Andrew, c'era sempre il compagno di mezzo.

Marian girò i tacchi e uscì dalla sala. Doveva togliersi l'armatura di dosso, mettersi qualcosa di umanamente accettabile, passare a prendere Aveline e raggiungere Isabela in città bassa per la cena, a quanto pareva la pirata aveva novità su quella maledettissima reliquia che Castillon voleva. Anche se non aveva grandi speranze che fosse la volta buona, in fondo erano anni che la inseguivano (e ancora l'amica non si era degnata di dirle di cosa si trattasse).

Recuperò una giubba di cuoio imbottito, infilandola sotto una giacca di lana pesante per essere pronta a qualsiasi evenienza. In fondo, con Bela non si sapeva mai dove avrebbe portato la serata. Le spade al fianco che tintinnavano ritmicamente mentre scendeva le scale della Forca, fece attenzione a dove metteva i piedi, i gradini resi scivolosi dal ghiaccio. La nevicata non aveva intenzione di smettere, e la città veniva pian piano coperta di bianco. Arrivata ad una delle terrazze che davano sulla baia, si fermò un attimo ad ammirare la vista: non avesse saputo cosa si celava al di sotto, Kirkwall sembrava quasi un luogo pacifico, i soliti rumori attutiti dalla coltre di neve, le luci degli edifici che baluginavano fioche tra le nuvole basse.

Stava attraversando la piazza del mercato superiore quando un abbaiare a pieni polmoni la fece voltare, riconoscendo Bu che le correva incontro, agitata. Dietro di lei veniva Aveline, i capelli rossi legati in una coda spettinata coperti di fiocchi di neve. Aveva il fiatone, quando la raggiunse.

«Aveline, stavo per-»

«Non troviamo Leandra.»

Le parole le morirono in gola. «In che senso?»

«Non è ancora rientrata a casa, Bodahn è venuto a chiamarmi alla caserma perché tuo zio dice che non si è presentata oggi pomeriggio alla sua solita visita settimanale.» Aveline scosse la testa, cercando di riprendere fiato. «Ho mandato Donnic a vedere se per caso è rimasta dai Selbrech, o se sanno qualcosa di dove sia. Bodahn dice che è probabilmente ancora con quell'Alphonse...»

Non riconobbe il nome. «Chi?»

L'altra sollevò le spalle. «Non lo so, dice che ultimamente frequenta quest'orlesiano, le manda dei fiori e la invita fuori a cena... è un amico dei Selbrech, credo.»

«Dove cazzo è mio fratello, che non si è accorto di nulla?»

«Bodahn ha detto che è via per lavoro.»

Un moto di fastidio la pervase, anche se sapeva che era infondato. Garrett aveva la sua vita, come lei la propria, ma possibile che doveva scegliere proprio quel momento per allontanarsi da Kirkwall? «E Anders? Ormai vive a casa nostra, avrà notato qualcosa.» Disse, mentre si avviavano quasi di corsa verso la villetta degli Hawke.

«Quando non c'è tuo fratello, trascorre tutto il suo tempo giù alla clinica.»

«Maledizione.»

La porta di casa era aperta, Gamlen e Bodahn le aspettavano sull'uscio.

«L'avete trovata?» Chiese speranzoso Gamlen.

La domanda stupida la irritò ulteriormente, già di solito non poteva sopportare lo zio, ma in quella situazione avrebbe voluto appenderlo al muro. Scosse la testa, facendosi strada all'interno della casa. «A che ora vi vedete, di solito?»

«Nel primo pomeriggio, ma-»

«E hai aspettato fino a sera per chiederti dove fosse?!» Gli chiese inviperita, fronteggiandolo.

Gamlen alzò le mani, indietreggiando. Aveva gli occhi lucidi e il colorito terreo. «Pensavo se ne fosse semplicemente dimenticata, ho aspettato per un po' di fronte al solito posto e poi sono tornato a casa. Credevo mi avrebbe mandato un biglietto.»

Marian inspirò profondamente, cercando di darsi una calmata. Si passò una mano tra i capelli, sgrullandoli dalla neve. «Raggiungo Donnic dai Selbrech, probabilmente è solo...» la sua attenzione si posò su un bel vaso decorato in foglia d'oro, il rosso del vetro soffiato in netto contrasto con i gigli bianchi all'interno, freschi di giornata. Sentì una morsa lancinante, come se qualcuno l'avesse colpita con un martello all'altezza del cuore.

Aveline dovette intercettare il suo sguardo, perché fece alcuni passi incerti verso il vaso, voltandosi poi verso Bodahn. «Questi. Quando sono arrivati?»

Marian percepì la domanda come ovattata, il cuore che pompava freneticamente il sangue al cervello, facendole girare la testa.

«Stamattina, è Alphonse che li manda, il bianco deve essere il suo colore preferito perché-»

«Dobbiamo trovarla. Ora.» Boccheggiò Marian, imponendosi di non perdere il controllo. «Aveline.» Fece per infilare la porta, ma Gamlen la afferrò per un braccio.

«Perché fai quella faccia? Cosa succede?»

Si liberò dalla presa con uno strattone. «Restate qui. Bu!»

La mabari schizzò ad affiancarla, precedendola poi verso l'uscita.

Corsero fino alla villa dei Selbrech, che fortunatamente distava solo pochi minuti. Donnic all'interno stava parlando fitto con Marlein Selbrech, mentre il marito della donna le accolse con un saluto angosciato. «L'avete trovata?»

«Ci serve l'indirizzo di questo Alphonse, sapete dove vive?» Tagliò corto Aveline.

«Ho già mandato a casa sua Lem e Calder, per vedere se è lì, non sono ancora tornati.» Rispose prontamente Donnic.

Marian serrò la mascella, la mano sull'elsa della daga corta. «Andiamo anche noi, non c'è tempo da perdere. Fai strada.»


 

La villa dell'orlesiano era situata dall'altra parte della città alta. Bu correva agilmente sull'acciottolato scivoloso, e i tre facevano del loro meglio per seguirla senza cadere. Arrivati di fronte all'ingresso, tagliarono per il piccolo cortile, calpestando l'erba curata.

La porta era socchiusa.

Marian la spalancò senza troppi complimenti. Un forte odore di sangue fresco le invase le narici, mandandole un'altra scarica di paura e adrenalina lungo la spina dorsale.

Un rivoletto scarlatto correva tra le piastrelle di marmo chiaro fino ai loro piedi. Uno stivale della guardia cittadina spuntava da dietro l'angolo, in una pozza di sangue.

Le armi già in pugno, avvertì uno spostamento d'aria alla loro destra. Un'ombra scura si sollevò dal tappeto, andando ad avvolgere in un turbinio il cadavere a terra, scuotendolo con forza.

La guardia aprì gli occhi, ora due tizzoni ardenti, mentre con uno schiocco di ossa frantumate si rialzava magicamente in aria, fissandoli con le fauci aperte che grondavano saliva scura.

Bu caricò ringhiando come una furia, Marian alle calcagna. Schivò un colpo del cadavere, artigli ricurvi che spuntavano dalle mani insanguinate, e scartò di lato mentre la mabari lo sbilanciava. Un urlo di rabbia le segnalò che anche Donnic e Aveline stavano venendo attaccati da qualcosa, ma sapeva che se la sarebbero cavata da soli. Con un colpo ben assestato, decapitò di netto la creatura, che si accasciò a terra con un gemito mentre lo spirito tornava nell'Oblio. Avvertì l'incantesimo diretto contro di lei ancora prima che il demone riuscisse a lanciarlo. Strinse i denti, schivando il dardo incantato e creando una aura attorno a sé che neutralizzasse i successivi.

Il demone del desiderio lanciò un urlo acuto, gettandosi contro di lei e costringendola a difendersi con entrambe le lame. Bu le venne nuovamente in aiuto, azzannando la creatura ad una gamba e distraendola quell'attimo necessario a Marian per trafiggerla in pieno petto.

Ruotò la daga corta, tirando un calcio all'avversario e scaraventandolo a terra per poi sovrastarlo e infilzare nuovamente entrambe le lame nel costato. Il demone strillò un'ultima volta, contorcendosi.

Un secondo grido stridulo e anche l'altro cadavere venne abbattuto dai compagni.

«Creatore, questo era Lem.» Sussurrò con un filo di voce Aveline, guardando i due corpi. «Deve averlo colto di sorpresa.» Il secondo apparteneva ad un elfo, dalle vesti probabilmente un servitore.

«Dobbiamo trovare mia madre.» Ripeté nuovamente Marian, liberando le armi dal cadavere e procedendo verso la stanza che avevano di fronte senza nemmeno darsi la pena di ripulirle dalla sostanza densa e scura che le ricopriva, che le colava fino all'orlo della manica. «È qui da qualche parte. Bu, cerca Leandra.»

La casa era stranamente fredda, asettica, come se ogni cosa fosse stata messa esattamente dove avrebbe dovuto essere, senza però avere uno scopo. Fiori bianchi di tutti i tipi e dimensioni erano posti in vasi di vetro soffiato semplici ma raffinati, i candelabri e lampadari d'argento alle pareti e sul soffitto erano lucidi e avevano candele accese nuove di pacca, tutte della stessa altezza e senza nemmeno una colata di cera ai lati. Nello studio, grandi scaffali di legno chiaro alle pareti contenevano file e file di libri accuratamente ordinati per argomento, senza alcun segno di usura sulle coste, mentre la penna d'oca accanto al calamaio pieno di inchiostro giaceva accuratamente riposta nel suo contenitore, un foglio di pergamena intonso sotto il candeliere spento. La sala da pranzo era decorata con gusto, semplice ma elegante, anch'essa dava l'aria di essere stata arredata ad arte seguendo uno stile impersonale, così come il salotto accanto, dove i due divani e le poltrone avevano l'aspetto di essere state usate assai di rado.

Tutta la casa era illuminata come se il proprietario stesse aspettando ospiti da un momento all'altro, tuttavia a parte il demone e i due cadaveri che avevano affrontato poco prima, sembrava assolutamente deserta. Controllarono ogni stanza, ma di Leandra o dell'orlesiano non vi era alcuna traccia.

Marian si affacciò dalla balaustra che dava sull'ingresso, stringendo spasmodicamente il corrimano. Bu annusava freneticamente ogni angolo, senza riuscire a trovare una traccia.

Sobbalzò quando la porta d'ingresso si aprì di scatto, pronta a combattere di nuovo, ma si fermò a metà della scalinata vedendo che si trattava di Isabela e Anders.

Anche Donnic e Aveline arrivarono di corsa, allarmati.

«Gamlen ci ha detto dove trovarvi.» Rispose asciutta la pirata, per una volta seria in volto.

Stava per aprire bocca, quando Bu si mise ad abbaiare, segnalando che aveva trovato qualcosa. Scattò verso il piano inferiore, infilandosi nelle cucine.

«Avrà davvero trovato qualcosa o-»

«Stà zitto Anders, ha una traccia.» Tagliò corto Marian, correndo dietro alla mabari ed esaminando la dispensa che aveva di fronte. Bu grattava contro una parete, le unghie che graffiavano il pavimento lucido. Tutto attorno a loro erano appese erbe a seccare, un paio di grossi insaccati, due trecce d'aglio, mentre alcuni barattoli di cibo sott'olio erano stati riposti in file ordinate su alcuni scaffali mezzi vuoti, non un granello di polvere su di essi.

Tastò con le mani alla ricerca di qualche fessura, sfregando i polpastrelli sulla pietra grezza, il cuore che batteva all'impazzata.

Si sentì spingere delicatamente da parte, mentre Isabela si sollevava sulla punta dei piedi per raggiungere un punto sul muro. Qualcosa scattò, perché la parete scivolò di lato, scomparendo parzialmente dietro ad uno dei mobili di legno e rivelando una scalinata di pietra che scendeva in profondità fino a dove l'occhio arrivata a vedere, fiocamente illuminata da una serie di torce che brillavano di una luce violacea, spettrale.

Bu guaì, annusando l'aria e sollevando la zampa anteriore.

«Donnic, vai ad avvisare la Forca.» Ordinò asciutta Aveline.

Il compagno annuì. «State attenti.» Sussurrò prima di andarsene.

Iniziarono a scendere per un tempo che sembrò infinito, sempre più in profondità, l'eco dei loro passi e il respiro pesante gli unici suoni ad accompagnarli. Il tanfo di aria viziata, muffa e umidità era ovunque, e si sarebbero sicuramente persi non fosse stato per l'olfatto della mabari, che soltanto un paio di volte si fermò incerta sulla direzione giusta.

Dopo parecchi minuti, fu Anders a rompere il silenzio, indicando uno dei numerosi tunnel che stavano oltrepassando. «Dobbiamo essere ai livelli più inferiori, forse sotto la città oscura.»

«È uno dei tunnel usati dai tuoi amici?» Chiese Isabela, i coltelli in pugno.

Vide il mago annuire. «Ci sono innumerevoli cunicoli sotterranei sparsi per tutta la città, che si diramano dalla Forca alla Costa, fino al Sundermount. I nani aiutarono a costruire la città per gli schiavisti, e i traffici nelle profondità continuarono indisturbati anche dopo che i Tevinter furono scacciati dalla rivolta. È quasi impossibile orientarsi qua sotto, anche conoscendo le poche mappe esistenti a memoria.»

Marian si trattenne dall'imprecare. Lo sapeva bene, molto spesso a lei o ai suoi colleghi era capitato di inseguire dei maghi fuggiaschi in uno di quei cunicoli, perdendoli quasi sempre. E ora, la persona che aveva rapito Leandra stava usando quegli stessi passaggi per sfuggirle di mano. Accelerò il passo, spronando Bu ad andare più veloce.

Si infilarono in tunnel dalle pareti alte e strette, che terminava in un vicolo cieco. Marian sentiva l'aria tutto attorno sfrigolare. Sfiorò la superficie stranamente libera dalla muffa, voltandosi verso Anders. Anche il mago doveva sentire la magia che celava probabilmente un ingresso, perché lo vide chiudere gli occhi, il velo che tremava attorno a loro.

L'uomo appoggiò la mano sulla pietra, spingendo leggermente.

Marian avvertì come una lastra di cristallo andare in frantumi senza alcun suono, e improvvisamente davanti a loro si aprì un passaggio, due coppie di candelabri d'argento, uguali a quelli nella villa, che illuminavano il corridoio.

Serrò la presa sulle armi, mentre precedeva gli altri, Bu al fianco che tirava indietro le orecchie, i denti scoperti.

Il corridoio si apriva su una sala dal soffitto alto, le pareti tappezzate di scaffali alti con una serie di libri dall'aspetto antico, consumati dagli anni e dalle mani che li avevano avidamente sfogliati. Alcuni erano appoggiati su una grossa scrivania di legno massiccio, aperti o impilati gli uni sugli altri in modo ordinato, accanto a carte scritte in una calligrafia fitta ma al contempo elegante.

Marian sentiva la presenza dei demoni lì in attesa. Sembrava stessero aspettando di farli entrare tutti nella stanza prima di attaccarli. Due cunicoli più piccoli si affacciavano sulla stanza, uno alla loro sinistra e uno di fronte, immersi nell'oscurità.

Come previsto, quando anche Aveline, che chiudeva la fila, si avvicinò al centro della stanza, una serie di rune sul pavimento si attivarono creando un campo elettrico tutto attorno a loro.

Marian chiuse gli occhi, rilasciando l'aura antimagia che aveva preparato, infrangendo le rune con uno sbuffo e troncando sul nascere almeno un paio delle molte ombre che erano comparse come dal nulla. Vide Anders barcollare, reggendosi al suo bastone magico, inerme per qualche istante.

Da uno dei passaggi bui si sentirono una serie di ringhi e gemiti avanzare velocemente verso di loro, il raspare di arti sul pavimento sconnesso. Un ammasso di corpi morti emerse dall'oscurità, le forme indistinguibili gli uni dagli altri finché non si lanciarono addosso al gruppo in maniera disordinata, cercando di ucciderli con lama affilate o a mani nude e denti marci. A ciascuno di essi mancava una parte, che fosse una mano, una gamba, un dito, gli occhi, nessuno era integro.

Mulinò la spada davanti a sé, spazzandone via uno mentre Aveline si frapponeva tra due ombre che stavano caricando Anders, dando tempo al mago di riprendersi. Dopo qualche istante, Marian avvertì che l'ex Custode poteva di nuovo lanciare incantesimi. Sentì Isabela mettersi dietro di lei, fronteggiando schiena contro schiena i mostri.

Un artiglio ricurvo le recise la manica, strappando un brandello di stoffa prima che lei potesse tranciare l'arto del cadavere, evitando per un soffio che un'ombra la colpisse al fianco. Ringraziò la giubba di cuoio, abbassandosi e permettendo ad Isabela di liberarsi dell'ombra mentre lei abbatteva con un calcio e un fendente preciso altri due corpi rianimati. Vide con la coda dell'occhio Aveline e Bu venire accerchiate da una mezza dozzina di quelle creature, ma i colpi dei mostri si infransero inutili su una barriera luccicante. Un attimo dopo, venivano spazzati via da un cono di ghiaccio, le schegge che riducevano a brandelli i cadaveri già malfermi sulle gambe. Bu ne abbattè un altro saltandogli addosso prima che potesse riprendersi, gettandolo a terra per poi essere decapitato da Aveline con il suo grosso scudo, passando subito al successivo. Le sembrò di sentire Isabela grugnire qualcosa, ma altre tre ombre erano comparse alla sua sinistra, costringendola a schivare e parare i colpi alla ricerca di un punto debole. Una venne colpita da un dardo incantato di Anders, che la fece svanire in uno sbuffo di fumo, le altre due caddero sotto le sue lame.

Un dolore lancinante al polpaccio la fece gemere di dolore: con un pestone si liberò dalla morsa del cadavere, che anche privo degli arti inferiori era strisciato fino a lei per morderla. Lo colpì di nuovo con lo stivale, forte, sentendo le ossa del cranio spaccarsi finchè le lunghe dita scheletriche non smisero di agitarsi come ragni brulicanti. La ferita bruciava come se fosse stata sopra dei tizzoni roventi, ma strinse i denti, ignorando il fastidio e gettandosi contro un'altra ombra, e poi un ennesimo cadavere, finché tutti e quattro non si fermarono a riprendere fiato, finalmente vittoriosi.

«Anders, credi di poter fare qualcosa?» Chiamò Isabela con un filo di voce.

Si girò allarmata, vedendola accasciarsi contro il tavolo al centro della stanza reggendosi il fianco, la giacca blu notte già inzuppata di sangue. Il mago corse subito al suo fianco, costringendola non senza qualche difficoltà a togliere la mano dalla ferita e sostituendola con la propria. Marian avvertì il flusso del mana avvolgere l'amica, mentre il guaritore la rimetteva in sesto. Aveva visto più di un paio di maghi curare qualcuno, ma nessuno di quelli che operavano per il Circolo sarebbe stato in grado di richiudere così velocemente un taglio come quello.

In pochi minuti, Isabela era di nuovo in piedi che cercava di ripulirsi il sangue dalle mani sfregandole sulle cosce. «Che schifo...»

Il mago si voltò verso Marian, indicando la sua gamba, guardingo. «Posso aiutare anche te, se me lo permetti.»

Annuì, tirando un sospiro di sollievo quando il bruciore che le arrivava ormai fino al ginocchio venne rapidamente sostituito da un formicolio, per poi svanire del tutto. «Grazie.»

Anders annuì, evitando di guardarla negli occhi. Per un attimo, le sembrò di vederlo fare un piccolo scatto con la testa, come a scacciare una mosca fastidiosa, il Velo che sussultava.

«Hei, guardate.»

La voce di Aveline la richiamò al presente. Si avvicinò all'amica, che stava osservando un quadro appeso alla parete, sotto il quale era stato sistemato una sorta di altare con candele e gigli bianchi. Osservando la donna ritratta, venne colta da un attacco di vertigini.

«È Leandra?» Chiese Isabela, con un sussurro.

Scosse la testa, anche se lei stessa doveva ammettere che le due donne, una accanto all'altra, si sarebbero assomigliate come gocce d'acqua. Sotto uno dei vasi di fiori, era poggiato un pezzo di pergamena, l'inchiostro fresco non doveva avere più di un paio di giorni.
 

Oggi è il nostro anniversario.

Avrei preferito aver portato a termine il mio lavoro per questo giorno, ma ho dovuto attendere il momento giusto per procurarmi l'ultimo tassello mancante. Ti rivedrò presto, mia adorata, e staremo per sempre insieme. Ti prego, aspetta ancora un po', non ho dimenticato la mia promessa.

Ti amo.

 

Inspirò profondamente, cercando di calmarsi. “L'ultimo tassello”, era per quello che aveva rapito sua madre? Un mago del sangue, sicuramente, ma tutti quei cadaveri... lo sguardo le cadde su uno di essi, a cui mancava una mano. Apparteneva ad una donna, probabilmente, visto com'era minuto lo scheletro. Si chinò ad esaminarlo meglio, ricacciando indietro il conato di vomito e confermando i propri sospetti: l'arto sembrava essere stato rimosso con precisione, l'osso tagliato con un seghetto da cerusico. «Necromanzia» rantolò. Bu le strofinò il muso contro la mano, tirandola per una manica verso uno dei due corridoi bui.

Si rialzò in piedi, facendo qualche passo verso la direzione indicata dalla mabari, malferma sulle gambe. «Trovala. Dobbiamo trovarla.» Chiuse gli occhi, serrandoli stretti, concentrandosi. Accanto a lei, sul tavolo, dei libri dall'aspetto particolarmente antico e oscuro giacevano in una pila ordinata. Uno di essi era aperto, una nota scritta a mano che fuoriusciva dalle pagine, ma fu un dettaglio a colpirla particolarmente. Estrasse il foglio, fissandolo senza capire. Dovette rileggerlo un paio di volte per rendersi conto di quello che vi era riportato sopra, tuttavia non riusciva a spiegarsi cosa ci facesse là sotto.


Amico mio,

Ti ho procurato i libri che mi avevi chiesto. Li lascerò nel solito posto, ti prego di recuperarli il più presto possibile. Non potrei sopportare di vederli cadere nelle mani sbagliate!

Sono rimasto assolutamente affascinato dalla tua ultima lettera, per l'ennesima volta mi hai dimostrato che avevo torto, sei riuscito a compiere l'impossibile. Non avrei dovuto dubitare della tua determinazione, né delle tue capacità. Spero che mi terrai aggiornato dei tuoi progressi.

Il tuo amico e collega,

O

 

Quante volte aveva visto quella “o” terminante con un piccolo svolazzo, le “r” spigolose, i puntini sulle “i” perfettamente tondi, centrati e tutti della stessa misura, le “p” e le “f” così simili tra loro? Le mancava l'aria. Intercettò lo sguardo confuso e inquisitorio degli altri, cacciando la pergamena nella tasca della giacca, conficcandosi le unghie nel palmo della mano. «Muoviamoci.»

Anders aveva l'aria di volerle chiedere qualcosa, ma Aveline lo spinse in avanti, costringendolo a proseguire.

Si inoltrarono nel corridoio che puzzava di sangue e carne in putrefazione, il bastone del mago l'unica fonte di luce finché il cunicolo non fece una curva a gomito, lasciando loro intravedere una stanza illuminata.

Marian quasi travolse Bu, quando la mabari si fermò ad annusare qualcosa, afferrandolo tra i denti. Si chinò a prendere l'oggetto, riconoscendolo subito al tatto. «È il suo medaglione.» Sussurrò, passando le dita sulle perle incastonate attorno al piccolo rubino, l'unico gioiello che sua madre aveva conservato fin dall'infanzia, tramandato di generazione in generazione dalle donne della famiglia Amell.

Lo strinse fino a farsi male, aprendo la piccola sacca di pelle che portava alla cintura e riponendolo con cura all'interno. Le dita si strinsero su una fialetta, il tappo di sughero e ceralacca che si aprì con facilità quando portò il lyrium alle labbra, bevendolo avidamente. Lasciò che la fialetta cadesse a terra andando in frantumi, mentre la sostanza entrava rapidamente in circolo.

Estrasse nuovamente le armi, mantenendo una guardia che le permettesse di attaccare ma anche di difendersi da colpi ravvicinati in uno spazio angusto, come le aveva insegnato il suo primo maestro d'armi. Cercò di calmare i battiti del proprio cuore avanzando verso il cono di luce, già sapendo quello che avrebbe trovato, la speranza che moriva flebile ad ogni passo.

Emersero in una stanza più piccola della precedente, un lungo tavolo spoglio chiazzato di sangue secco al centro, una fiammella che fluttuava sul soffitto e alle pareti due coppie di torce per lato. Due poltrone erano state sistemate l'una di fronte all'altra, tra esse un tavolino con un vaso alto e stretto contenente un singolo giglio bianco come la neve. Erano entrambe occupate.

L'uomo che sedeva guardandoli dritto negli occhi si alzò con un gesto misurato, afferrando il bastone da mago accanto a sé.

«Mi chiedevo quanto ci avresti messo ad arrivare.» Parlò con un forte accento orlesiano, le labbra arricciate in un sorriso appena accennato. Doveva essere sulla sessantina, un intrico di piccole rughe correva sui lineamenti nobili del volto, i capelli grigi che andavano stempiandosi. «Leandra era così sicura che i suoi figli sarebbero venuti a cercarla, parla sempre così bene di voi... soprattutto di te, Marian.» Accennò con la mano alla figura seduta di fronte a sé, di cui lei riusciva a vedere solo le spalle e la testa coperte da un velo bianco. «Peccato che tu ci abbia messo così tanto, vero? Alla fine, è rimasta molto delusa.»

Strinse la presa sull'elsa delle armi, l'angoscia che le stritolava le viscere. «Dov'è.»

«La buona educazione impone che io mi presenti, prima. Anche se non sono stato un vero gentiluomo, ahimè lo ammetto, ho mentito sulla mia vera identità.» Il calcato accento orlesiano lasciò spazio ad uno più genuino, dei liberi confini. «Alphonse mi perdonerebbe, sono sicuro, non lo avessi ucciso anni fa per prendere la sua identità... Era necessario, dopotutto, non potevo permettere che il mio dolce giglio rinascesse in un terreno sporco e indegno.»

«Dimmi dov'è mia madre!»

«Sei così ansiosa di vedere la mia opera?» La sbeffeggiò lui, facendo un passo verso i nuovi arrivati. Scosse la testa. «No, non capiresti. Voi templari, sempre a blaterare sui pericoli della magia, sul vostro Creatore, non riusciresti mai a comprendere la grandezza del mio risultato, la sua importanza...»

«Cos'hai fatto a mia madre?!» Urlò lei, perdendo la pazienza. Sarebbe saltata addosso al mago in quell'istante, se Aveline non l'avesse fermata.

Il sorriso dell'uomo si aprì ulteriormente, in una smorfia folle. «Ho compiuto l'impossibile, ho sfiorato il volto del Creatore e sono sopravvissuto, ho creato la vita dalla morte!» Era ormai di fronte alla figura ancora seduta. Allungò una mano verso di essa, che venne stretta da un braccio tremante, sottile e pallido come un osso. «L'ho cercata dappertutto, la mia adorata. Le mani delicate, le dita affusolate, i suoi fianchi morbidi, le gambe snelle, i suoi occhi... ma il volto, il suo volto, così perfetto che Andraste in persona si volterebbe per la vergogna, temevo di non poterlo trovare mai più. Eppure i miei sforzi sono stati premiati e quella sera l'ho vista, tra tutti quegli sciocchi che fuggivano. Pensavo che un demone mi stesse prendendo in giro, invece era lei.» La figura di spalle si alzò in piedi, incerta sulle gambe, appoggiandosi al mago. «Erano le sue guance che potevo sfiorare, le sue labbra che volevo assaporare. Ho atteso, per settimane, struggendomi per il momento giusto, per riuscire a fare quello che mai prima d'ora qualcuno era riuscito a fare. Ma avevo dalla mia qualcosa di più che libri e potere... Dimmi, Marian Hawke: qual è la forza più potente nel creato?»

Mise le mani sui fianchi della figura vestita di bianco, facendola ruotare lentamente verso di lei.

«L'amore

Qualcosa dentro di lei si ruppe, quando incrociò quegli occhi spenti che non riconosceva sul volto che amava, così simile al proprio, un velo da sposa sopra i capelli grigi che le ricadevano ai lati del viso pallido, il colletto del vestito bianco macchiato di sangue secco, la bocca aperta in un rantolo senza voce.

Non fosse stato per la barriera eretta da Anders, la fiammata l'avrebbe investita in pieno, carbonizzandola viva.

Rimase impietrita, le gambe che rifiutavano di muoversi, la mente che non voleva processare quello che aveva di fronte a sé, il calore tutto attorno che le bruciava la pelle e le faceva lacrimare gli occhi. Sentì il Velo lacerarsi, numerose Ombre sollevarsi dal nulla mentre i compagni si gettavano a combatterle. Isabela urlò il suo nome, due volte, Aveline cercò di raggungerla dietro al suo scudo, Anders faticava a reggere la barriera sotto i colpi feroci dei nemici.

Tutto ciò era come se stesse accadendo nella vita di qualcun altro.

Sentiva solo il pulsare del sangue nelle orecchie, le gambe che formicolavano, una fitta allo stomaco come se le avessero piantato un paletto nelle carni, il cuore stretto in una morsa d'acciaio.

Rabbia.

Il mago scoppiò a ridere, sollevando sopra di sé il bastone.

Incrociò il suo sguardo folle, i suoni della battaglia attorno a sé ovattati.

Furia.

Sentiva il lyrium urlarle nelle vene, un fischio nelle orecchie, una scarica di adrenalina a percorrerle il corpo.

Morte.

Come una bestia, si lanciò incurante del pericolo contro il mago, che si rese conto troppo tardi di non poter lanciare nuovamente il suo incantesimo. Si gettò di lato, lasciando andare la cosa che teneva ancora per un braccio, che si accasciò a terra come un sacco di stracci. Due ombre le si pararono davanti, ma vennero falciate via con facilità, la silverite che brillava sinistra nonostante il sangue corrotto che colava dalla lama, tranciando il fumo, le carni. Qualcosa le artigliò il braccio, ma non sentì dolore quando rischiò di perdere la presa sulla daga corta, mentre ruotava su sé stessa per liberarsi dalla presa del demone del desiderio e gli piantava la spada tra le corna ricurve, incastrando il metallo nel cranio. Recuperò l'equilibrio, la presa della mano sinistra sull'elsa ora scivolosa, liberando con uno strattone la spada dal corpo della creatura e inseguendo il mago, che stava cercando di allontanarsi. Un debole dardo incantato sfrigolò accanto alla sua testa, senza nemmeno farla rallentare nella sua furia cieca.

Altre tre ombre caddero, e lei continuò a trascinarsi inesorabile verso di lui.

Il mago urlò, le spalle al muro senza alcuna via di fuga, ma prima che potesse colpirlo, con uno schiocco il suo collo si piegò in avanti, le braccia tese davanti a sé per proteggersi si allungarono con uno strappo nauseabondo.

Il demone della disperazione cacciò un grido acuto, da far accapponare la pelle di chiunque.

Non la sua.

Con un urlo disumano, Marian si gettò sulla creatura, tranciandogli un braccio in una fontana di sangue, infrangendo in mille pezzi la debole barriera che aveva cercato di erigere attorno a sé. Sentì un dolore ovattato colpirle il braccio già debole, e la daga corta scivolarle di mano. Si gettò in avanti, incurante, parando il colpo successivo con il braccio ferito e sfruttandolo per inchiodare il demone al muro con la spada, affondandola nelle carni putride e nella parete di terra dietro di essa fino all'elsa, ruotandola finché la creatura non urlò disperata, folle, cercando di liberarsi e ottenendo solo che la lama allargasse ulteriormente lo squarcio, le vesti del mago pregne di sangue violaceo e fumante.

Marian strattonò la spada, non riuscendo a liberarla, poi colpì il demone con un pugno, mozzandogli l'urlo in gola, sentendo le ossa incrinarsi sotto i suoi colpi quando lo colpì di nuovo, e ancora, ancora, senza sosta, finchè la creatura non smise di contorcersi, finchè lei non riuscì più a sollevare le braccia.

Solo allora si rese conto che i rumori attorno a lei erano cessati. Solo un suono arrivava chiaro alle sue orecchie, un flebile sussurro, ma capace di riportarla indietro di anni.

«Ma... rian.»

Si voltò, lentamente, contro la sua volontà. Non voleva vederla, non così, no, perché si stava trascinando fino a quella cosa, quell'abominio, quel-

Incontrò quegli occhi estranei, e si dimenticò di respirare. O forse non voleva farlo, tanto che differenza poteva fare?

«Marian.» La voce, come poteva essere la sua?

Si sentì tirare per il braccio. Abbassò lo sguardo sulla carne martoriata, senza capire perché non riusciva a sentire nulla, quella era la sua mano o era di qualcun altro, come poteva dirlo se non percepiva il suo tocco? Era il suo sangue, o quello del demone, o forse quello dell'intera città?

«Sei qui.» Rantolò la cosa. «Sapevo saresti arrivata.»

Perché stava sorridendo, come si permetteva di avere il suo sorriso.

«Tuo fratello...»

“Garrett.” Quel nome la riportò alla realtà. “Garrett. Creatore, no.” Aprì la bocca per parlare, ma non riuscì ad emettere altro che un gemito strozzato.

«Digli che... vi voglio bene. Avrei dovuto... dirvelo più spesso.»

Marian si lasciò sfuggire un rantolo di dolore. Serrò gli occhi, rifiutandosi di guardarla.

«Bambina mia... Così forte.» La voce della madre era sempre più flebile, ormai quasi solo un sussurro. «Restate insieme, promettimelo. Carver tornerà. Io rivedrò Bethany e Malcolm, e voi...» Sembrò annaspare in cerca d'aria e Marian riaprì gli occhi, un velo di lacrime ad appannarle la vista. «Sono così fiera di voi.» Il capo di Leandra si chinò da un lato, appoggiato sul terreno lurido, le labbra ancora piegate in un sorriso dolce.

Si accorse solo in quel momento di Bu al suo fianco, che la guardava in silenzio.

Distolse lo sguardo, non riuscendo a sopportare quello scempio. Si alzò in piedi, rifiutando l'aiuto di Aveline che le sfiorò la spalla, raggiungendo una delle torce alla parete e staccandola dal suo supporto, sforzandosi di muovere le dita che rifiutavano di obbedire ai suoi ordini. Tenne la fiamma sollevata davanti a sé, sopra quell'insieme di corpi martoriati, per poi lasciar andare.

Il fuoco attecchì rapidamente sulla stoffa, e il puzzo di carne bruciata le arrivò fino alle narici, facendole voltare le spalle.

Non aspettò gli altri, ma fece segno a Bu di seguirla, ripercorrendo il corridoio. Il labirinto di gallerie che portava alla superficie sembrò durarle un'eternità, o un attimo, non ricordava quanto tempo prima erano scesi là sotto. Forse non le importava.

Ad un certo punto, incrociarono i templari che Donnic era andato a chiamare, ma non si diede pena di rispondere alle loro domande, e quelli smisero di rivolgerle la parola. Sbucarono nella villa del necromante, e poi uscirono all'aria gelida della notte, infine furono a casa.

Gamlen corse loro incontro, parandosi di fronte a lei e afferrandola per le spalle. «L'avete-» Non finì la domanda, non ce n'era bisogno. Spostò gli occhi da lei agli altri, liberandola, portandosi una mano alla bocca in un muto grido di orrore. Indietreggiò, scuotendo il capo, balbettando.

Marian non lo degnò di un secondo sguardo.

Superò lo zio e le due guardie di fronte all'ingresso. Bodahn trattenne il figlio per un braccio, mentre lei si trascinava a passi pesanti al piano di sopra.

La porta della sua stanza era aperta, il letto rifatto con le lenzuola pulite e i cuscini sprimacciati alla perfezione nonostante non dormisse da settimane in quella casa.

Si lasciò cadere a terra, accartocciandosi su sé stessa. Bu, accanto a lei, sfregò il muso sulla sua schiena, appoggiandole la testa sulle ginocchia.


 

Sentì dei passi salire le scale.

Non aveva la forza di girarsi per vedere chi fosse, né le interessava.

«Marian, dovremmo dare un'occhiata a quelle ferite.»

“Aveline” Non rispose.

«Se si infettano-»

Qualcosa la sfiorò sprigionandole una scarica elettrica per tutto il corpo. Si liberò con uno strattone, balzando in piedi e fronteggiando il mago, il braccio che ancora riusciva a muovere volato alla ricerca delle sue armi, senza trovarle. «Non toccarmi!» Ringhiò, e l'avrebbe attaccato se Aveline non si fosse messa in mezzo, parandosi davanti a lei e stringendola in una presa di acciaio. Cercò di divincolarsi furiosamente, senza riuscirci. «Non mi toccare!»

Gli occhi del mago sembrarono illuminarsi di una luce accecante, che la fece rabbrividire fin dentro alle ossa. Magia, pura, come se il Velo stesse per squarciarsi. Fu solo un attimo, poi l'uomo le voltò le spalle, uscendo quasi di corsa dalla stanza.





























Note dell'Autrice: questo capitolo mi ha fatto venire un'angoscia improbabile mentre lo scrivevo, però credo sia venuto come volevo. Leandra non era la migliore madre del Thedas, ma era pur sempre una madre. Almeno i tre fratelli sono insieme e potranno affrontare uniti anche questo lutto. 

 

I cannot see the path.
Perhaps there is only abyss.
Trembling, I step forward,
In darkness enveloped. 

Chant of Light: Canticle of Trials

 

  
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