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Autore: heliodor    23/02/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Pericolo
 
Alik l’erudito si unì a loro appena fuori dallo studio di Halux.
“Io ti saluto” disse rivolgendosi a Joyce con tono gioviale.
“E io saluto te” rispose lei. “Sai perché stanno suonando le campane?”
“Qui a Nazdur avviene solo per pochi motivi” disse l’erudito. “Una festa, la morte di un sovrano o la nascita di un erede, una vittoria in guerra.”
“Non ci sono feste, i vostri sovrani sono morti da tempo e non credo che vincerete la guerra” disse Halux con tono di sufficienza.
Alik fece spallucce.
“Sei utile quanto la strega rossa in un simposio sulle arti dei secoli perduti” disse Halux.
Joyce decise di non replicare a quello che le sembrava un insulto gratuito. Adocchiò Versam che seguita da un paio eruditi si stava avviando verso uno dei balconi da cui si intravedeva un ampio scorcio della città e delle mura.
“Da lì vedremo meglio che in strada” disse Halux dirigendosi verso il piccolo gruppo.
“Non sei stato invitato” disse Versam vedendolo arrivare.
Lui la ignorò e si fece strada fino al balcone, da dove lanciò un’occhiata di sotto. “Non siamo stati invasi. Non ancora, almeno.”
“Certo che no, sciocco” disse Versam. “In quel caso le campane avrebbero suonato l’allarme.”
Nel frattempo, il suono era cessato. Joyce vide soldati e mantelli dirigersi verso uno dei cancelli cittadini, in quel momento sbarrato da carri e macerie che erano state ammonticchiate fino a erigere un muro alto quasi quanto le torri difensive.
Riconobbe Kallia e Caldar tra quelli che restarono a distanza mentre i soldati rimuovevano le macerie dopo aver creato una catena umana.
Dal palazzo dell’accademia non era possibile vedere egli per quanto si sforzasse e lei non aveva la vista aumentata.
Però posso volare, si disse.
Scavalcò il parapetto nonostante l’espressione sorpresa degli eruditi e si diede lo slancio con le gambe dopo aver pensato alla formula della levitazione.
“Lo so” udì la voce di Halux alle sue spalle. “È una gran maleducata.”
Joyce decise di ignorarlo e librandosi sui palazzi di Nazdur attraversò la città fino alla breccia chiusa dalle macerie.
Atterrò con delicatezza a una decina di passi da Kallia e Caldar e si diresse verso di loro.
“Che succede?” domandò alla donna.
Kallia la ignorò e guardò in alto, verso la cima delle torri dove soldati e mantelli scrutavano la zona attorno alla città. “Vedete qualcosa?” gridò.
Dalla torre uno dei soldati urlò di rimando: “Nessuno tra le trincee, mia signora.”
“Continuate a osservare e riferite.” Guardò Caldar. “Perché non ci sei tu su quella torre? La tua vista è la migliore.”
Caldar scrollò le spalle. “La vista di Naleth è buona come la mia. L’ho addestrato io quel ragazzo.”
Joyce fece per parlare di nuovo ma Kallia la bloccò con un gesto deciso. “Più tardi strega rossa. Ora devo pensare alla sicurezza della città.” La strega marciò verso le macerie dove i soldati avevano aperto un passaggio fino al cancello.
“Almeno tu puoi dirmi qualcosa?” chiese rivolta a Caldar.
“Tra poco vedrai tu stessa, strega rossa.”
“Cosa?”
Caldar indicò il cancello che veniva aperto lo stretto necessario per lasciar passare una sola persona. Dallo spiraglio si affacciarono delle figure umane. Alcune si trascinavano a fatica, altre si appoggiavano tra loro come sostenendosi a vicenda.
L’ultima a comparire sulla soglia fu quella più imponente. Al suo apparire Kallia corse incontro al nuovo venuto.
Appena superato il cancello, i soldati si affrettarono a richiuderlo. Altri soldati si precipitarono ad aiutare quelli che si stavano trascinando tra le macerie.
Alcuni dei mantelli e dei soldati venuti da Thera, tra cui Yanikos, si avvicinarono. Anche loro si erano uniti a quelli che stavano soccorrendo i nuovi arrivati.
Kallia sostenne la figura imponente che era entrata per ultima aiutandola finché non poté affidarla a due soldati che si affrettarono ad adagiarla su di una stuoia.
Solo allora Joyce riconobbe Ames di Thera. Lo aveva visto solo una volta, a Orfar, quando li aveva aiutati a fuggire. Allora l’aveva impressionata per l’aspetto fiero e imponente.
Di quella imponenza restava ben poco. Ames era ridotto pelle e ossa, come se qualcosa avesse prosciugato la sua stessa essenza. Aveva ferite sul viso, le braccia e sul petto nudo. Solo un gonnellino stretto in vita da una rozza corda nascondeva le sue parti intime. Altri suoi compagni meno fortunati erano nudi e portavano ferite anche peggiori.
A un uomo mancava un orecchio, un altro aveva un moncherino al posto del braccio sinistro e a una donna era stata strappata via metà dei capelli compresa la pelle sottostante, lasciando il cranio scoperto.
Tutti si lamentavano, tranne Ames che sedette sulla stuoia invece di sdraiarsi.
“Come sta Eumedes? Ed Elyin? La sua ferita si stava infettando quando ci siamo messi in marcia.”
“C’è chi si sta occupando di loro” disse Kallia con voce tremante. “Ora lascia che i guaritori pensino alle tue, di ferite.”
Due uomini con la tunica grigia si erano avvicinati ad Ames, ma lui li respinse e cercò di alzarsi.
“Devo andare da loro” disse prima di ricadere sulla stuoia.
Kallia gli afferrò le spalle. “Vuoi calmarti e lasciar fare il loro lavoro ai guaritori? Ti ho detto che ce ne stiamo occupando” disse con tono deciso.
Ames chinò la testa di lato. “Io ti conosco” disse. “Kallia. Sei ancora viva? Avevo sentito dire che Nazdur era stata distrutta nel primo attacco.”
Kallia sorrise. “Siamo ancora vivi come vedi.”
Joyce fece un passo avanti. “Riconosci anche me?” chiese ad Ames.
Lui le lanciò un’occhiata dubbiosa. “Dovrei conoscerti?”
“È la strega rossa” disse Kallia. “L’hai conosciuta a Orfar, anche se all’epoca aveva un altro viso.”
“Ora vorrei poter cambiare il mio come tu puoi cambiare il tuo.”
Kallia ridacchiò. “Finalmente siamo d’accordo sul fatto che hai un brutto muso.”
Ames tossì mentre i guaritori esaminavano le ferite sul petto.
Yanikos fece un passo avanti e si chinò verso Kallia. “Posso parlarti un secondo?”
Kallia, quasi infastidita, si alzò per fronteggiarlo. “Che cosa c’è? Non vedi che stiamo soccorrendo i tuoi amici? Perché non ci aiutate invece di limitarvi a guardare?”
Joyce diede un’occhiata ai soldati e ai mantelli di Thera che si erano radunati lì attorno e notò gli sguardi tesi e le espressioni accigliate. Nessuno di loro sembrava felice di vedere Ames e i suoi.
Hanno combattuto insieme, si disse. Ames è il loro comandante.
Kallia dovette notare la stessa cosa perché disse: “Andiamo a parlare lontano da qui.”
Joyce li seguì senza parlare, sperando che il silenzio e la discrezione la facessero passare inosservata.
“Quelle persone” disse Yanikos con tono calmo. “Sono pericolose.”
“Sono i tuoi amici. Il tuo comandante” fece Kallia.
“Forse lo erano, una volta. Prima che subissero il destino di molti miei compagni.”
Kallia si accigliò. “Di cosa stai parlando?”
Yanikos distolse lo sguardo.
“Devo sapere tutto per prendere una decisione” fece la donna.
L’altro trasse un profondo respiro. “Accadde nel quarto o quinto giorno d’assedio. Organizzammo uno scambio di prigionieri con l’orda di Persym. Noi gli consegnammo dodici dei loro e loro ci restituirono cinquanta tra guerrieri e mantelli. Ci parve uno scambio vantaggioso per noi, ma ci sbagliavamo.”
“Che cosa accadde?”
“Niente, per un paio di giorni. Poi, all’improvviso, quelli che erano tornati dalla prigionia iniziarono ad attaccare i loro compagni. Prima che riuscissimo a fermarli fecero una strage. Fu allora che l’orda approfittò della confusione per attaccarci e prendere la città.” Fece una smorfia. “Prendere non è il termine esatto. È stato un massacro.”
Joyce aveva già sentito quella storia. L’orda aveva usato un colosso per distruggere le mura della città e tutto quello che si trovava al suo interno. Solo l’ordine di evacuare, dato da Ames prima di essere catturato, aveva salvato le vite di almeno cinquantamila persone. Ma ne erano morte almeno diecimila a sentire Yanikos.
Il guerriero therano era sempre molto serio quando parlava di quella battaglia. Lo era stato fin dal giorno in cui si erano incontrati, sulla via per Nazdur, mentre lui guidava un’armata di cinquecento soldati e cinquanta mantelli per un’ultima resistenza.
“Non siamo morti a Thera” aveva detto Yanikos mentre cenavano davanti alla sua tenda. “Ma spero che stavolta Korm accetti la mia anima in dono.”
A quelle parole Joane aveva riso attirandosi gli sguardi pieni di disprezzo dei therani. Quando si era ricomposta aveva detto: “Eccone altri che si sono votati al dio dei pazzi suicidi.”
Joyce aveva sperato che facesse le sue scuse e invece aveva solo peggiorato le cose.
Yanikos l’aveva guardata con sguardo assente. “Noi fedeli di Korm onoriamo la morte in battaglia.”
“Allora siete in buona compagnia” aveva ribattuto Joane. “Di questi tempi le sale dei suoi inferi saranno piene da scoppiare.”
“Korm accoglie i guerrieri nella grande valle.”
“La grande valle?” aveva domandato Joyce cercando di mostrarsi interessata. Nemmeno a lei piaceva il culto di Korm, ma Yanikos li aveva accolti senza fare domande e le sembrava sgarbato offenderlo mentre offriva loro da mangiare e da bere.
Yanikos aveva annuito. “La valle dove si terrà l’ultima battaglia.”
“L’ultima battaglia?”
“Lo scontro finale con il dio senza volto, l’innominabile.”
Adesso Joyce voleva saperne di più. “Non sapevo di questo dio.”
“Nessuno ne sa molto. Il dio senza volto si nasconde nel vuoto.”
“Il vuoto?”
“Il vuoto tra la materia. Lui è sempre in agguato per tentare i guerrieri che combattono. Ogni atto di codardia, ogni tradimento, ogni pugnalata nella schiena portano la sua firma. L’ultima battaglia servirà per mettere fine alla sua tirannia e restituire dignità ai guerrieri che sono caduti per colpa sua.”
Joane aveva fatto schioccare la lingua. “Tutte sciocchezze, ragazzina. Cerca solo di impressionarti con i suoi paroloni, ma la verità è una sola.” Aveva fatto una pausa. “La guerra è follia e chi la combatte è altrettanto folle.”
“Su questo sono d’accordo” aveva esclamato Halux. “Anche se per motivi diversi, credo.”
“Non è vero” aveva detto Joyce. “Esistono guerre che è giusto combattere.”
“Dimmene una” le aveva detto Joane con tono di sfida.
Joyce aveva studiato la storia di Valonde e dei suoi conflitti. Ce n’erano alcuni, antichi e quasi dimenticati, che erano poco più che scaramucce di confine con altri popoli. A mano a mano che il regno era cresciuto, le guerre si erano fatte più grandi e importanti. Ne ricordava tre in particolare.
“La spedizione contro il Principe Folle” aveva detto. Valonde aveva partecipato a quel conflitto con altri regni del continente maggiore.
“Constane di Meliacas, dici?” Aveva detto Halux perplesso.
Joyce aveva annuito.
“Mi sorprende che tu sappia qualcosa di lui” aveva detto l’erudito. “Ma Constane non era folle. E nemmeno era un principe.”
“Ma aveva assassinato la famiglia della sua sposa per usurpare il suo regno, Pendradas.”
“Anche questo non è del tutto vero. I reali di Pendradas erano degli usurpatori a loro volta che avevano rubato il trono a un lontano cugino di Constane. Lui era intervenuto per ristabilire un torto, ma visto che non c’erano altri eredi legittimi viventi, si era proclamato sovrano di entrambi i regni. Per sua sfortuna suo cognato Carardin, l’usurpatore di Pendradas, era parente di Bried di Taloras, che a sua volta era alleato di Valonde e Londolin e questo portò a un’alleanza.”
Joane aveva scrollato le spalle. “Follia, pura e semplice follia.” Si era alzata ed era andata via senza voltarsi.
“Ho paura che possa accadere anche qui a Nazdur.”
Le parole di Yanikos la riportarono al presente. Joyce guardò Kallia, la cui espressione non era cambiata.
La donna guardava con ostilità il therano. “Ancora non mi hai detto che cosa dovrei fare.”
“Sono un pericolo” disse Yanikos. “Hanno passato molto tempo come prigionieri dell’orda. Il comandante Ames più di tutti. Lui è stato uno dei primi a essere catturato.”
“Se ci fosse stato lui al comando durante l’assedio, Thera esisterebbe ancora” disse Kallia con tono sprezzante.
Yanikos chinò la testa senza dare segno di essersi adirato per l’offesa. “Senza alcun dubbio è un comandante migliore di me e di chiunque altro, sia qui che a Thera.”
Stavolta fu Kallia a ignorare l’offesa. “Credo non ci sia altro da aggiungere.”
“Il mio dovere era quello di avvertirti. Per ringraziarvi della vostra gentile ospitalità, soprattutto.”
Uno dei soldati di Nazdur si avvicinò. “Comandante” disse rivolto a Kallia.
Lei gli rivolse un’occhiata furiosa. “Che succede ancora?”
“Ames, il therano. Vuole parlarti.”
Kallia rivolse un gesto di saluto a Yanikos. “Farò finta di non aver udito le tue parole” disse prima di marciare decisa verso i feriti.
Joyce fece per seguirla ma il therano le fece un cenno con la mano.
“Prima che tu me lo chieda” disse. “Io sono d’accordo con lei. Ames è un grande comandante.” Lo conosceva appena, ma da come si era comportato a Orfar e da quello che Vyncent, Bryce e gli altri raccontavano, era un uomo al tempo stesso vigoroso e leale.
“Non importa cos’era prima, conta solo ciò che è adesso” disse Yanikos. “È un pericolo. E i pericoli vanno eliminati prima che causino un danno irreparabile.”
“Riparlane con Kallia” disse Joyce voltandosi. Mentre si allontanava sentì lo sguardo del therano seguirla.

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