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Autore: DanceLikeAnHippogriff    24/02/2020    0 recensioni
"Sentì sotto i piedi una superficie fredda e dura e ritrasse istintivamente la mano. Il suo petto si alzava e si abbassava a un ritmo forsennato. Respirava. Sbatté gli occhi e non vide il bianco. Si spaventò e si rifugiò nuovamente nel nero."
***
Breve pezzo che avevo scritto sul passato del mio PG che avevo creato per una campagna di DnD: Horo, il bardo kitsune.
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di draghi e Dragomanni'
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Le braccia annaspavano disperatamente senza incontrare alcun appiglio. L’aria che entrava nei polmoni non era abbastanza, ogni respiro non era sufficiente, sentiva la testa che vorticava in un mare di linee nere. Una bora scura che le si appiccicava addosso senza pietà. Si sentiva come immerso in un mare in fiamme, un misto di sensazioni contrastanti e maledettamente dolorose.

Avrebbe voluto urlare, ma cosa ne sapeva lui della voce? Avrebbe voluto piangere per le sferzate nere che gli laceravano la pelle, ma chi aveva mai visto come nasce una lacrima? Faceva male, faceva freddo, sentiva le braccia pesanti e la testa troppo leggera per potersi preoccupare di altro all’infuori del dolore che pervadeva ogni singola fibra del suo corpo. Poteva sentire le ossa allungarsi, prendere forma, ridefinirsi, farsi spesse e calcificarsi, ricoprirsi di nervi, di muscoli, di pelle. Non aveva idea di quanto tempo si trovasse in quell’inferno. Lo ricordava da quando poteva dire di avere memoria. Da quando aveva aperto gli occhi nel bianco. In cui era senza essere. Un niente.

Le lame nere continuavano impietose il loro lavoro tagliando, limando e ricoprendo i buchi, ricucendo gli strappi che avevano appena finito di creare. Il dolore non era mai uguale, a volte, rare volte, si intervallava a strani momenti di calore. Non sapeva definire cosa fossero né se gli piacessero più di quelle lucide scudisciate che lo accarezzavano senza tregua. Semplicemente c’erano e chiedersi il perché era inutile.

Quello che non capiva era perché tutto all’improvviso fosse diventato così stretto. Una forza invisibile lo comprimeva da tutti i lati stringendo sempre di più, schiacciando con forza. Il bianco rimaneva bianco. Non si stava muovendo. E allora perché?  Le linee nere si facevano vicine e sempre più grandi, bizzarri serpenti arrotolati che snodavano le loro spire senza fine. Eppure anche in quel bianco stava stretto. Troppo stretto.

Continuava a crescere, dovette raggomitolarsi stringendo le ginocchia al petto, ma non era abbastanza. Sentì un’ondata di freddo. Il bianco era tutto quello per cui aveva vissuto. Lui dov’era prima del bianco? Cos’era all’infuori del vento nero? Il suo corpo venne scosso da un brivido.

Allora è questa quella che chiamano paura.

Un suono lacerante riempì l’aria. Sentì sotto i piedi una superficie fredda e dura e ritrasse istintivamente la mano. Il suo petto si alzava e si abbassava a un ritmo forsennato. Respirava. Sbatté gli occhi e non vide il bianco. Si spaventò e si rifugiò nuovamente nel nero.

Ma anche senza vedere riusciva a sentire ogni cosa. I rumori, gli odori, il freddo, il caldo, la fame e la sete. Passò lentamente la lingua sulle labbra sentendone il calore umido e dolce.

«È impossibile…»

Flesse impercettibilmente le orecchie per capire da dove veniva quella voce. L’aveva riconosciuta. Era l’unica che cozzava dentro di lui quando era nel bianco. Cercò di muoversi, ma quelle strane appendici non rispondevano ai suoi comandi e scivolò cadendo pesantemente a terra. Fu allora che si accorse di essere ricoperto da una sostanza viscosa. Aprì titubante gli occhi. Flesse lentamente le dita in controluce facendo luccicare il liquido scuro. Le piccole perle bianche che comparivano a intermittenza su quella superficie lo affascinavano a tal punto da non aver sentito i passi trepidanti che l’avevano raggiunto.

«S-sei davvero tu?» Chiese una voce profonda e ruvida.

Qualcosa dentro di lui vibrò quando incontrò lo sguardo dei quegli increduli occhi cerulei. Fu allora che capì tutto e collegò l’inizio e la fine del bianco. Schiuse le labbra tremanti ed esalò un nome. Sentì la sua voce risuonargli nelle orecchie, lontana e distante. Aveva parlato. Aveva una voce. Emetteva un suono! E la prima parola era tutta per il suo creatore.

«Horo…!»  

***

 «Un po’ ti invidio sai?»

«E perché mai? Il mio corpo invecchia, i miei pensieri scompaiono e la mia anima decade con gli anni, i mesi, i giorni. Perfino in questi minimi istanti. Quando non calpesterò più questa terra e poserò la mia piuma per sempre il mio ricordo sbiadirà fino a confondersi nella memoria dei popoli. Tu… Tu sei eterno e immutabile. Integro. Perfetto.»

«Buffo come ognuno invidi nell’altro quello che non potrà mai essere... Quando un personaggio nasce sa già cosa fare. Nasce per un motivo e deve compierlo, non importa in quanto tempo né in che modo. E questo è quello che siamo… Per sempre. Quando la nostra storia finisce non diventiamo altro che dei gusci vuoti, delle figure incatenate da quei serpenti neri che chiamate parole. Fissare un personaggio e staccare la piuma dalla sua storia equivale a farlo morire. Ma voi umani… Voi potete cambiare, non siete mai gli stessi e ogni istante avete la possibilità, anzi, siete quasi spinti per necessità a inventarvi da capo. Che potere incredibile… L’abilità di crescere...»

 

 

  
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