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Autore: Adele Emmeti    24/02/2020    2 recensioni
Roger è stanco e affannato.
Roger vuole solo tornare a casa e riposare.
Ma qualcuno lo sta aspettando...
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un, due, tre questo pegno tocca a te.

Roger arrancava a fatica lungo il vicolo buio, la gamba claudicante non gli conferiva agilità, il ventre gonfio neppure.

Un bottone della bianca camicia da impiegato era saltato, la cravatta era sciolta, le scarpe slacciate.

Un, due, tre adesso il pegno tocca a me.

Arrivò dinnanzi alla porta di casa e con fatica inserì la chiave nella serratura. Entrò, si trascinò fino al letto e con un solo greve tuffo si gettò su di esso.

Era passata la mezzanotte.

Gli occhialini sottili cedettero al peso della grossa testa lucente, cosparsa da sporadici capelli corti e rossastri, mentre le spalle di allargavano a ritmo veloce per il respiro affannoso.

Paga pegno. Paga pegno!

Si addormentò.

Le bretelle dei pantaloni, che gli avvinghiavano il busto massiccio, cigolarono. Dal naso si espanse un russare poderoso. Un filo di bava iniziò a colare dalla bocca accartocciata.

Un, due, tre, sveglia... tocca a te.

Dei passettini frenetici si udirono sulla moquette della camera.

Sveglia tocca a te.

Passettini leggeri. Poi colpetti di mani sulle sue gambe abbandonate.

Sveglia.

Altri colpetti sui piedi.

Tocca a te.

Diversi colpi assestati sulla schiena.

«Chi è?». Roger sobbalzò urlando.

Sollevò il capo e si piegò da un lato e poi dall'altro, mettendo a fuoco i dettagli della camera in penombra. Non intravide nulla, se non la solita sedia di legno rivestita da abiti appena stirati, la lampada vintage sul comodino, accanto alla custodia dei farmaci per la pressione e l'iperglicemia, la cassettiera della madre e una cornice contenente un merletto articolato, ingiallito dal tempo.

 

Espirò. Abbassò la testa sul materasso e richiuse gli occhi.

Ma qualcuno batté le mani due volte e una sorta di venticello gelido gli lambì la nuca.

Riaprì gli occhi e si sollevò sulle braccia.

«Chi c'è?».

Roteò e si mise seduto. Si spinse gli occhiali sul naso e si asciugò la bocca con la mano. Guardò a destra e non vide nulla, a sinistra neppure. Allungò il capo per scorgere qualcosa aldilà della porta aperta, ma nulla si mosse.

Infine percepì qualcosa ciondolare dall'alto.

Alzò lo sguardo e restò agghiacciato: un corpicino aleggiava a due metri da terra. Indossava una lunga veste macchiata e strappata, i capelli gli scendevano sul volto coprendolo. I piedini erano lividi e se ne intravedeva il marciume nonostante la flebile luce della luna.

Roger non fece in tempo a strabuzzare gli occhi che qualcos'altro ne attirò l'attenzione.

Ai piedi del letto, sulla moquette, un gruppo di bambini sedeva in cerchio a gambe incrociate e osservavano il corpicino sospeso.

L'uomo urlò e si tirò indietro verso spalliera con fatica.

«C...chi siete? Eh? Che ci fate qui?».

Sa volare. Ha scelto lei.

«Ma che...ma cosa siete?».

L'uomo scese dal letto e si addossò al muro.

«Andate fuori! Via! Andate via!».

Accennò un passo verso la porta.

I bambini si voltarono nella sua direzione.

Avevano orbite vuote e bocche senza denti.

I bambini emisero un gemito stridulo non umano.

Roger inorridì e corse fuori dalla camera, arrivò alla porta d'ingresso e allungò la mano per afferrare il pomello. Cadde in avanti. Non c'era alcun pomello.

Imprecò sconvolto.

«Ok...ok sto sognando, sì sto sognando».

Arrancò in cucina e si fiondò sulla porta secondaria. Il pomello c'era, lo afferrò e lo rigirò più volte. Il pomello gli rimase in mano.

Lo gettò a terra.

Si lanciò contro le finestre, le spinse una ad una, batté sui vetri con i flaccidi pugni, sollevò una sedia e iniziò a sferrarla contro di esse.

I ventri non si frantumarono, il legno non cedette, le giunture non si scomposero. Nulla si mosse.

Era chiuso dentro. Era chiuso per bene. Era chiuso e sudato.

«No, no, no», udì ad un tratto.

Sobbalzò.

«Chi c'è? Chi ha parlato?».

Una risatina sottile e singhiozzante affiorò da sotto il tavolo. Roger vi si avvicinò a passi lenti. La risatina continuava, si fermava, poi riprendeva, gustosa, divertita.

«Chi cazzo sei? Eh? Chi sei?».

«No, no, no, grassone. No, no, no!».

Roger avanzò tastando il pianale della cucina, incontrò un coltello, lo afferrò tremante, con la gola asciutta e un pronunciato affanno da obeso.

«Esci da lì...».

«Hihihi Roger, finalmente anche tu, eh? Finalmente anche tu!».

L'uomo si fermò, si spinse le lenti sugli occhi e cercò la fonte della voce tra le gambe di ferro del tavolo. E seguendo il fruscio di un qualcosa che ondeggiava sulle mattonelle del pavimento, in un silenzio irreale, intravide finalmente una coda bagnata spuntare dalla tovaglia a fiori turchesi. Una coda di toro, o di leone, spessa e possente, che lentamente andava da sinistra verso destra e viceversa.

Non fece in tempo a chiedersi che creatura fosse, perché dei forti tonfi si succedettero dal soffitto.

Alzò lo sguardo e rimase immobile. I tonfi divennero passi rapidi, asincroni e scattanti. E progredivano dalla camera da letto verso la cucina, verso di lui. Si spinse dentro l'angolo del ripiano con la schiena, come a volersi fondere con essa. Dall'arcata della porta apparve una bambina scricchiolante e rachitica che correva come un ragno. Non era rivolta di schiena ma di petto. La testa era mozzata all'altezza del naso. Del sangue ne colava a fiotti.

Roger urlò.

Le tapparelle delle finestre crollarono fino in fondo. Un buio totale ingoiò la cucina e tutta la casa.

Roger continuò ad urlare. Il coltello gli cadde dalla mano. Si accucciò a terra e si avvolse la testa con le braccia.

«Andate via! Via! Via!».

Rimase così per alcuni secondi. Poi per dei minuti, ciondolando e farfugliando frasi sconnesse.

Non si era accorto che i rumori erano cessati. I passi e il fruscio scomparsi. Che aleggiava un silenzio tombale, interrotto soltanto dal suo affanno e dal gocciolare cadenzato del rubinetto svitato.

Roger risollevò il capo.

«Non è possibile, no. Non è possibile. Sto sognando», iniziò a ripetere convulsivamente sottovoce.

Si ricordò di avere una torcia nella credenza. Vi arrivò tastando il muro nel buio. La aprì. La trovò. La accese.

La coda era scomparsa, la bambina anche. Tutto sembrava essere tornato come prima.

Avanzò facendosi luce, arrivò in salotto e illuminò la stanza. Nulla era cambiato.

Entrò nel bagno, osservò il water, la doccia, il lavandino e lo specchio: tutto al suo posto.

Tornò nella camera da letto a passi lenti, col cuore in gola. Sollevò la luce tremula dalla moquette verso l'altro, e non vide bambini né seduti né sospesi. Poi la sedia, gli abiti stirati, la lampada vintage e la tastiera del letto.

«Cazzo...» sobbalzò.

Le coperte erano sollevate: al di sotto c'era un corpo che ansimava, dandogli le spalle nude, con la pelle emaciata e i capelli arruffati.

«Chi... Chi sei?» disse Roger, con la voce spezzata.

La creatura respirava a fatica, ogni tanto tossiva, si agitava, tremava, mugugnava qualcosa tra i denti.

L'uomo fece qualche passo in avanti, mantenendo la luce della torcia fissa sulla creatura.

«Rispondimi! Chi sei?».

«Le gocce... dove sono le mie gocce?» biascicò l'individuo.

«Quali gocce?».

«Quelle per le ossa». Tossì e sputò a terra del materiale rossastro.

«Non ho nulla! Sparisci! Vai via!».

«Quanto freddo... quanto freddo. Quanto freddo nella cantina. Quanto freddo... nella cantina».

«Cosa dici?».

Roger fece ancora qualche passo nella sua direzione.

L'individuo nel letto si tirò via una ciocca di capelli insieme a parte del cuoio capelluto.

Roger fu quasi vicino al bordo del letto, quando una voce proveniente dal corridoio lo fermò.

«Non avvicinarti a lui, ascoltami. Non avvicinarti. Non farlo. Stagli lontano»

L'uomo spaventato e sconvolto si voltò di scatto e diresse la luce della torcia verso la voce appena udita.

Un omuncolo rannicchiato e raggrinzito lo guardava dal basso. Aveva una testa tonda e calva, occhi molti grandi, un muso da topo, braccia e gambe particolarmente piccole, infilate in un abito a strisce rosse e argentate.

«È meglio così, ascoltami. Non toccarlo, non avvicinarti a lui. Non... non guardarlo».

La creatura nel letto iniziò a ridacchiare.

«Chi sei? Cosa volete?» Roger aveva iniziato a piangere. Le pesanti lacrime si mescolavano al muco.

L'omuncolo si strofinò le piccole mani, se le passò in volto, e sulla testa più volte, si aggiustò il colletto della giacca, masticando qualcosa nella bocca murina.

«Eh, vecchio mio... dovevi stare attento prima. Dovevi stare accorto, vecchio mio, molto accorto».

La creatura nel letto rise con forza, tossendo e contorcendosi.

«Chi sei?», gli urlò. «Chi è quello nel letto?».

«Ma come...come vecchio mio, non lo riconosci?», gli chiese l'omuncolo.

«Se non stai attento ti spacca la testa e ti succhia il cervello!», intervenne la creatura nel letto.

«Stai zitto tu! Chiudi la bocca!», l'omuncolo lo riprese stizzito.

«Te la spacca con l'ascia e te la... te la apre come un melone!».

«Taci!», gli intimò ancora, mentre gli occhi nelle enormi orbite prendevano direzioni opposte.

Roger era afflitto dal panico. Roger era sconvolto. Uscì dalla camera, passandogli accanto senza sfiorarlo.

«Dove vai?», gli chiese.

Imboccò le scale e salì al piano superiore.

Ansimando percorse il corridoio.

Arrivò davanti alla camera degli ospiti che all'esterno dava sulla scala anticendio.

Aprì la porta.

Alzò la torcia.

Sul letto scorse un bambino disteso. Alcune flebo gli bucavano le braccia livide. Il suo volto era gonfio, rugoso e tagliuzzato, le labbra sporgenti, gli occhi piccoli e neri. Sudava e tremava.

Gli fece un sogghigno.

Roger richiuse la porta urlando.

«Che succede? Non vuoi baciarlo adesso? Non ti piace più?». Una vocina dal fondo del corridoio attirò la sua attenzione.

Vi rivolse la luce della torcia: una bambina con i boccoli biondi, il viso paffuto e un segno di corda alla gola, stringeva con le manine la gonnellina di tulle rosa.

«E io? Non ti piaccio più? Non mi accarezzi più?».

«C... c... cosa volete... cosa volete da me?».

«Eccoti». L'omuncolo riapparve.

«Cosa volete? Volete uccidermi?».

«Ma di che parli?» l'omuncolo si strofinò il naso con le dita ossute.

«Sei già morto, ti hanno giustiziato stamattina».

Roger strabuzzò gli occhi.

«Te li hanno trovati tutti i bambini... i corpi, le foto, i video, non ricordi?».

L'uomo crollò a terra.

«Ci hanno messo poco, sai? Se non li avessi sotterrati in giardino così precisi e ordinati... ».

Si strinse la testa tra le mani e gli occhiali gli caddero.

«Non è reale. Tutto questo non è reale».

Si diede forza per alzarsi ma non ci riuscì. Allora iniziò a strisciare, infilando le unghie nella moquette, che sporcò di lacrime e saliva.

«Non è reale».

«E adesso puoi averli tutti per te, non sei contento? Questi sono pochi, dall'altra parte ce ne sono molti di più».

«Lasciatemi... lasciatemi stare!».

«Non renderla difficile Roger, saluta la tua casa. È ora di andare».

«Lasciatemi stare... andate via! Via!».

«No Roger, no, devi porgere l'animo alla mietitrice».

Si udì un suono metallico. Il suono di un arnese trascinato.

L'omuncolo prese fiato. Ingrossò il petto. Distese la spina dorsale. Si allungò di più di due metri.

Esibì dei denti di squalo e degli occhi di capra.

Roger ebbe la forza di alzare lo sguardo e rabbrividire, ancora una volta. La sua ultima volta.

L'omuncolo sollevò il braccio e allargò la bocca in un insano sorriso.

Brandiva un'ascia.

«Ma prima... porgimi la testa».

 

 

 

   
 
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