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Autore: Stellato    25/02/2020    12 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Anice stellato
 
 
Avrebbe fatto meglio a prenderla più alla larga anziché entrare in un argomento tanto delicato a quel modo, si disse Sabine.
Ma ormai.
“Posso chiedervi perché mi fate questa domanda?” chiese di rimando Oscar, ponderando bene ogni parola, le difese alzate come era stato i primissimi tempi della loro conoscenza.
“La mia è solo un’impressione, non volevo insinuare nulla. È che vi ho sempre visti interagire con una naturalezza invidiabile, tra di voi c’è una confidenza dei modi che spesso diventa anche fisica e… non mi guardate così, benedetto il cielo, non è mica una cosa brutta! Sto solo dicendo che di solito non sembrate cosciente del fatto che siate un uomo e una donna, mentre oggi vi ho vista… diversa e mi chiedevo.”
“Diversa?”
“Ma sì, lo avete tenuto a distanza tutto il giorno. Non poteva neppure avvicinarvi camminando che scappavate, come se scottasse, come se… foste intimidita.”
Perché non reagiva? Perché restava immobile a quel modo? L’aveva rotta?
“Oscar?”
“Non è successo nulla, Sabine.”
“Va bene. Devo essermi sbagliata.”
“Non potrebbe mai succedere nulla.”
“D’accordo, ho capito.”
“Io e André!”
“Cosa ci sarebbe di tanto strano?”
“Siamo cresciuti insieme!”
“Ma non è mica vostro fratello!”
Oscar si prese la testa tra le mani. Affondò le dita nelle onde ribelli della frangia e sembrò più calma.
“Vi prego Sabine, abbassate la voce; è nella stanza accanto. Ci mancherebbe solo questa.”
Non era il momento giusto per far presente che la parete divisoria era molto sottile, ma la baronessa optò per un tono decisamente più pacato.
“Resta il fatto che non siete fratello e sorella e che lui è in gamba; provate a negarlo.”
“Avete questa tendenza a semplificare e a buttar fuori senza esitare qualsiasi idea strampalata vi venga in mente che mi lascia esterrefatta.”
“E voi avete la malsana abitudine di lasciar macerare per troppo tempo le sensazioni prima di parlarne. Cosa sta succedendo? Apritevi con me, Oscar.”
L’altra continuava a non rispondere, silenziosa come un felino in agguato fissava Sabine dubbiosa, esitava.
“Provateci. Uscite anche da questo schema: parlate senza soppesare ogni parola, concedetevi il lusso di rischiare di essere incoerente. Si chiama sfogarsi, e di solito è d’aiuto a schiarirsi le idee con le persone fidate.”
L’altra sospirò. Guardò lei, poi il tavolino, poi la finestra che raggiunse scaricando un po’ della tensione che provava nella falcata marziale. Al di là di un filare di frassini la valle appariva bluastra, sotto la luce di una luna a metà e le stelle accese.
“Va bene. Parliamone.”
“Vi riconosco di saper cambiare idea, Oscar.”
“E io devo darvi atto di essere davvero insistente, Sabine.”
“Non sareste qui, altrimenti, no?”
Riuscì a strapparle un sorriso.
“Posso contare sul vostro assoluto riserbo?”
La baronessa annuì con l’entusiasmo di una bambina e il fiato sospeso, volendo le avrebbe promesso qualsiasi cosa pur di ricevere le sue confidenze, a quel punto.
Ma non era una questione di scarsa fiducia; più che altro si trattava di argomenti che andavano a toccare una serie di dogmi che Oscar non si sentiva pronta ad affrontare.
Senza contare il disagio di doversi esprimere su una propria ipotetica vita sentimentale in quanto donna, idea che faceva a pugni con quello che buona parte della sua vita aveva pensato di dover essere e che solo negli ultimi anni era riuscita a riconsiderare. Adesso esisteva, vaga, una forma di remota coscienza in lei che contemplava la possibilità futura di sperimentare quel genere di affezione chiamata amore sulla propria pelle, seppure vestita di un’uniforme. Non era qualcosa che avrebbe ammesso ad alta voce e neppure con se stessa, ma dopo una bottiglia di vino forte poteva capitare che la sfiorasse la fantasia che chissà come, chissà quando, chissà con quale stravagante esemplare di essere umano che avrebbe potuto accettarla per quello che era, sarebbe potuto capitare anche a lei, di innamorarsi.
Ma tutto ciò non aveva nulla a che vedere con i turbamenti di quegli ultimi giorni della ventesima estate della sua esistenza.
Quello che stava accadendo era illogico. Spaventoso. Fuori dal suo controllo.
 
“Lo so che è assurdo, però credo che André provi… dell’attrazione nei miei confronti. Nel modo in cui la si prova per una donna, intendo.” confessò.
 
Il rumore dell’orologio a pendolo che arrivava dal corridoio scandì i lunghi momenti in cui entrambe rimasero in silenzio.
Se Sabine fosse stata una donna diversa, o anche semplicemente più matura, avrebbe potuto contenere meglio le reazioni del suo viso a quella rivelazione di per sé così scontata da far cadere le braccia, ma sbalorditiva per la sua amica. Considerato lo sforzo che fece per non scoppiare in una risata liberatoria, il sorriso sornione che ne venne fuori fu comunque un ammirevole compromesso.
Così i due avevano approfittato proprio dei giorni dopo la sua partenza per fare simili passi avanti, hm? Certo, il fatto che Oscar, pur frequentando il mondo frivolo di Versailles, in cui le interazioni tra uomini e donne avvenivano regolarmente su un registro di frecciate maliziose, non riuscisse neppure a figurarsi che un ventunenne di sana e robusta costituzione, standole alle costole per la quasi totalità delle sue ore di veglia, potesse quantomeno manifestare dell’interesse… no, erano ancora decisamente in alto mare.
Era un peccato, pensò. Fin dall’inizio, li aveva inquadrati come la coppia più funzionale che avesse mai incontrato. Li aveva invidiati persino, sentendosi un’intrusa mentre ricavava uno spazio nella loro complicità silenziosa, per la libertà di cui potevano godere grazie alla vita indipendente di Oscar e per la prima volta aveva capito cosa intendesse suo marito rimarcando la straordinarietà dell’educazione che aveva ricevuto la sua amica. Ad esempio, non sarebbe stato magnifico potersi conoscere, frequentare, trascorrere tutto quel tempo insieme prima di scegliere di appartenersi?
Anche lei, pur essendo cresciuta in un ambiente per nulla severo e più autonoma della media del suo sesso aveva dovuto sottostare alle infinite limitazioni dell’essere donna; cosa avrebbe fatto al posto dell’altra?
Ma stava divagando.
“Cosa ve lo fa credere?”
“Vi assicuro che non è successo nulla di eclatante - sviò Oscar - si è trattato di sciocchezze.”
 
(L’odore dell’anice stellato. La sua voce bassa nel trambusto della locanda che pareva trovare altri modi di raggiungerla, sembrava di ascoltarla con la pelle, mentre l’aria tra loro si faceva densa.)
 
“… Mi chiedo se non sia sempre stato così e sia io adesso ad avere una percezione diversa… O forse sto immaginando tutto?” finì col chiedersi ad alta voce lasciando che la massa di capelli biondi le coprisse il viso mentre ripercorreva nella mente quelle immagini, i suoi indizi.
“Volete farmi morire di curiosità? Voglio sentire i dettagli!”
Ma l’altra si limitò a fissarla dall’isola delle sue inquietudini, spersa. “Vi prego, non è necessario. Prendetela solo come un’ipotesi, d’accordo?”
Sabine si alzò dalla poltroncina per raggiungerla alla finestra con le mani sui fianchi e l’aria tormentata più di lei.
“Ha provato a baciarvi?”
“NO!”
“È stato in qualche modo irrispettoso nei vostri riguardi?”
“No.”
 
(“Sembra si stiano divertendo parecchio… Ti va di provare?” aveva proposto, brillo e pericoloso, indicando la gente ballare e battere le mani a tempo al suono di una fisarmonica incessante.)
 
“E come fate a definire il suo interesse solo fisico, Oscar? Perché escludete a priori che possa provare dei sentimenti più forti nei vostri confronti?”
“Perché sì.” Sminuì: “Si tratta solo episodi… per il resto è tutto come al solito, non ci sono cambiamenti radicali.”
 
(“Per quanto io sia innamorato di lei da sempre, per quanto desideri votare la mia intera esistenza a starle accanto e a provare a renderla felice…” aveva detto, nello scherzo)
 
La baronessa non pareva affatto convinta.
“Scusate se insisto, ma possibile che l’idea non vi abbia mai sfiorata? A me sembra solo naturale che ci sia un certo… interesse tra due giovani come voi. Perdonate l’ardire, ma André non è solo passabile, è proprio…”
“Sabine. Per favore.”
In alto mare, per ora, ma c’era speranza, ci avrebbe giurato.
Avrebbe voluto ci fosse più luce per cercare del rossore sulle sue guance celate dai capelli, prenderla in giro e fare di peggio, ricordarle che tutti loro erano fatti di carne e non di vetro. Eppure il suo istinto le disse che era prematuro, che ci voleva delicatezza, come con i boccioli.
Ad ogni modo le assestò una pacca sulla spalla molto poco femminile, che svegliò l’altra dalla sua catatonia.
“Va bene, va bene. Insomma, il problema del vostro atteggiamento di oggi era solo questo? Tutto qui, Oscar? - la investì, mentre quella si massaggiava l’omero dolente - Fareste bene a darvi una regolata e a smetterla di dare tanto peso a qualche moina, può capitare di scherzare a quel modo! O se vi infastidisce tanto diteglielo chiaramente, senza perdere le staffe: quel povero André dev’essere ancora lì a chiedersi cos’abbia fatto di male per farvi reagire così!”
“Dite che ha notato…?”
“Andiamo, stiamo parlando di André! Esiste qualcosa che non noti quel ragazzo?”
Di certo, non gli sfugge nulla che vi riguardi.
 
 
***
 
 
Sentiva la stanchezza farsi zavorra in ogni arto. Braccia e gambe affondavano nel materasso morbidissimo su cui si era tuffato senza cambiarsi (di cosa era fatto? Lana di nuvola? Piume di qualche animale fantastico? Aaah, benedetta Sabine: che lusso!) ma nonostante la comodità di un letto così soffice, i pensieri degli ultimi giorni si riproponevano in serie ossessive e sapeva che sarebbe trascorso ancora molto tempo prima di riuscire ad addormentarsi.
Aveva capito qualcosa?
Perché quella distanza, perché quegli scatti?
E perché nonostante questo lui non riusciva a tenersi lontano da lei?
Si mise a sedere con il volto nelle mani, dandosi per l’ennesima volta dell’imbecille. Del matto.
Come si poteva definire altrimenti una persona che ogni giorno ripeteva gli stessi errori sperando in un risultato diverso?
 

 
Dopo essersi “immedesimato troppo nella parte” durante lo scherzo nella diligenza, aveva - se possibile - fatto di peggio nel viaggio a cavallo che avevano intrapreso da soli, dopo. Il giorno prima di arrivare a Grasse…
Accaldati dalla cavalcata interminabile per fare più strada possibile prima che calasse la sera ed esaltati da quanto veloci e affidabili si erano dimostrati gli animali presi alle stazioni di posta, avevano preso tanto sole da sentire la pelle scottare e la gola riarsa nonostante i litri d’acqua scolati ad ogni - breve - sosta.
Avevano trovato un posto per dormire in una locanda molto frequentata, lì avevano consumato un buon pasto mentre dei suonatori intrattenevano i molti avventori: coppie di tutte le età che ballavano circondavano le due fisarmoniche, i tavoli attorno battevano le mani; c’era un bel chiasso gioviale, di cui non spiaceva essere parte come spettatori. Quando stava per ordinare il solito vino rosso lei lo aveva fermato, e incuriosita dalle bottiglie che vedeva sui tavoli attorno aveva chiesto all’oste cosa stessero bevendo tutti gli altri.
“È un liquore all’anice; qui in estate lo serviamo allungato con dell’acqua fredda e rinfresca l’ugola, ve l’assicuro. Ve lo faccio assaggiare!”
E la bevanda si era rivelata davvero deliziosa; traditrice per quanto facilmente si lasciasse bere, perché nonostante molto alcolica dava l’idea di essere innocua, stemperata nell’acqua fredda di pozzo e con quel profumo di anice stellato e erbe, forse finocchio? Menta? Non erano riusciti ad indovinare i profumi neppure in quell’occasione, e man mano che svuotavano i bicchieri allo stesso modo si svuotavano le loro menti, le parole inciampavano e loro volti si avvicinavano per capirsi nel chiasso.
Gli attriti provati dopo lo scherzo nella carrozza sembravano definitivamente lasciati alle spalle, finalmente quella sera stavano comportandosi con naturalezza.
“Mi piace” aveva articolato ad un certo punto lui, osservando i piccoli bicchieri decorati in cui stavano bevendo il liquore opaco.
“Anche a me.”
“No, cioè, mi piace anche questo intruglio verde, ma mi riferivo al tuo impulso a provare cose nuove.”
E lei, con l’ombra impercettibile di un sorriso compiaciuto e con gli occhi appesantiti dall’alcool aveva ripetuto farfugliando: “Anche a me.”
“Ti senti bene?”
“Hm.”
Ma pochi istanti dopo aveva appoggiato il capo sulle braccia conserte sul tavolo, chiaramente più brilla di quanto avrebbe voluto ammettere.
“Ti accompagno alla stanza, Oscar?”
“No… ce la faccio da sola” tradusse lui dal groviglio di consonanti da lei proferito.
Da ubriaca, Oscar provava comunque a parlare con un lessico elegante, controllato, ma la sola idea che in quello stato si illudesse di avere il polso della situazione era di per sé esilarante.
Lasciò passare qualche minuto in cui lei non mosse un muscolo, poi provò a farla alzare.
“Solo… qualche minuto.” insisté lei.
“È peggio. Non addormentarti qui, bevi… dell’acqua, dai.” ma era complicato scandire i buoni consigli essendo lui stesso vittima dell’intruglio all’anice stellato, della sua presenza, dei suoi capelli troppo biondi sparsi sul tavolo accanto la sua mano.
Si trattava solo di una sbronza. Nulla che non fosse mai successo… allora perché il cuore aveva preso a battergli nel petto a quel modo?
Anche attraverso l’oblio alcolico sopraggiunto l’effetto che aveva su di lui continuava ad essere sconvolgente, ben diverso da ciò che in teoria avrebbe dovuto esserci tra un ufficiale e il suo attendente, come pure dai sentimenti tra due amici fraterni - termine che si guardava bene dall’usare per descrivere il loro rapporto.
Come avrebbe potuto spiegare a qualcuno la forza magnetica di quell’attrazione che non scoloriva negli anni, ma che anzi negli ultimi tempi non faceva che sfuggire al suo controllo razionale?
Un giardino segreto al di là di un cancello chiuso. Il primo raggio di sole in una plumbea mattina invernale. L’eco del canto delle sirene. Nulla rendeva l’idea della fascinazione costante che rappresentava starle accanto, così vicina da poter fondere i loro ricordi, eppure inafferrabile, proibita.
Proibita, ma si ritrovava ad accarezzarle la testa bionda addormentata, cedendo lui stesso alla superficie invitante del tavolo, appoggiati l’uno accanto all’altra: lei nel sonno leggero, lui ancora in uno stato di torpore sereno, mentre nel resto del locale continuavano i brindisi, la musica, i balli… tutto fuori dalla loro bolla.
Chissà quanto tempo era passato. Aveva riaperto gli occhi per ritrovare quelli di lei a malapena schiusi ad osservarlo lucidi di sonno insoddisfacente.
“Quel liquore era forte.” commentò lei con voce roca di chi non era sveglia da molto.
“Già.”
“Domani ne pagheremo le conseguenze nelle ossa se non ci muoviamo di qui.”
“Come ti senti? Ce la fai ad alzarti?” chiese lui, iniziando a sollevarsi.
Lei raddrizzò la schiena e nel rimettersi seduta non sembrò particolarmente stabile.
“Credo di sì.”
Ma l’attimo dopo incespicava nella stretta del suo attendente: lei la testa poggiata al suo petto a combattere vertigini, lui a combattere i suoi demoni.
“Tutto bene, Oscar?”
Annuì nella sua camicia, e la voglia di stringerla e non lasciarla andare si fece di un’intensità preoccupante.
“Dai, mettimi un braccio attorno alle spalle, andiamo.”
Lei ostinata provò a far diversamente e la riafferrò l’istante prima che precipitasse sul tavolo ingombro.
“Ce la faccio.”
“Certo. Ho visto.”
Lei richiuse gli occhi, lasciandosi di nuovo andare contro la figura salda di André, senza altre obiezioni.
Lui si mosse cauto, ma ormai era completamente lucido. Il sonnellino sul tavolo lo aveva ritemprato, e dove non era riuscito il riposo aveva avuto effetto la vicinanza inebriante di lei. Ma non voleva strapazzarla, né aveva fretta di privarsi di quella stretta fortuita. Provò piano a passarle la spalla sotto un braccio, senza dare troppo nell’occhio come stavano già facendo ed era quasi riuscito nel suo intento di farle mettere un piede avanti all’altro fino all'uscita che lei inciampò al centro della sala, parve svegliarsi, lo fissò stranita, come chiedendosi che ci facesse lì. Proprio in quel momento la musica si fece più forte; probabilmente si trattava di un pezzo popolare perché quasi tutti gli avventori presero ad accompagnare il motivo delle fisarmoniche cantando.
“Ti sei svegliata al momento giusto, Oscar!”
“Eh?”
“Sembra si stiano divertendo parecchio… ti va di provare a ballare?”
Lei scartò come un cavallo selvatico, ma la trattenne per il braccio attorno la sua spalla e continuando a scherzare accennò ad un mezzo giro, due passi di un ballo inventato, allacciando la mano libera alla sua mentre lei lo osservava stranita.
“André… fermo!” recuperò, e lui rispose immediatamente all’ordine, trovandosela ancora addosso, spinta dall’inerzia della piroetta in un frontale spigoloso di anche appuntite di lei e fibbie metalliche di lui.
Un lieve rossore imbarazzato sulle sue guance gli suggerì che Oscar non doveva essere felice di dare spettacolo e André riprese ad accompagnarla alla stanza senza altri colpi di testa, tra le sue proteste incoerenti: “Ti dico che ce la faccio” e le occhiate incuriosite del gestore nel dargli le chiavi delle camere.
Sopravvissuti alle scale e alla serratura inceppata, l’aveva depositata sulle coperte così com’era, pronto a scappare dai suoi incantesimi, ma sentì ancora una volta la sua voce richiamarlo.
“André?”
“Dimmi.”
“No, nulla.”
“Cosa? Dai.”
“Ma no, faccio io.”
“Cosa, Oscar?”
“…Mi aiuteresti con gli stivali?”
Come aveva potuto non pensarci? Doveva avere davvero il timore di essere lì in quella stanza, in quelle condizioni, per non aver pensato ad aiutarla a togliere gli stivali.
Lei rimase completamente passiva mentre glieli sfilava, arresa, forse già nel dormiveglia. Le aveva liberato i polpacci sottili e come posseduto si era sentito chiederle “Ti tolgo anche la giacca?” pentendosene il momento stesso in cui le parole avevano lasciato la sua bocca.
Non lo aveva mai fatto.
Pensato sì, inutile negarlo, ma come aveva potuto chiederle…
“Sì.” aveva risposto lei ad occhi chiusi.
Senza nessuna esitazione, languida di sonno.
L’avrebbe solo liberata dalla giacca nuova (che le donava tanto perché più avvitata delle solite, ma che non doveva essere comoda per dormire), non c’era nulla di male… no?
Eppure si sentì profondamente nel torto non appena ebbe sfiorato il primo bottone con le dita. Spogliare anche solo parzialmente quell’angelo fiducioso sembrava un sacrilegio: lui seduto e lei sdraiata sul letto ad occhi chiusi, lei inerme e lui sveglio e affamato come il lupo di una favola, quando avrebbe voluto essere un cavalier cortese.
Titubò ancora un istante, lottando con se stesso, poi la razionalità ebbe la meglio quando lei con un mugugno sembrò infastidita dall’indumento.
“Vediamo di togliere questa giacca.” disse ad alta voce André nel tono più neutro che gli riuscì di trovare.
Armeggiò ai piccoli bottoni rossi, ma il rivestimento di stoffa non aiutava e le asole erano troppo dure per poter fare in fretta. Dalla camicia la curva del collo di lei disegnava un lungo arco da cigno, elegante e latteo, così chiaro che pareva risplendere nella penombra della stanza. Aveva appena iniziato col terzo bottone che Oscar aprì gli occhi. Grandi. “Per vederti meglio” avrebbe detto il lupo che era lui e inghiottì a vuoto un’aria troppo densa e le dita divennero inutili e inette rispetto alla delicatezza di quella mansione; incespicò nei tentativi chiedendosi perché lei sembrasse improvvisamente così lucida e quando sentì le mani di Oscar afferrare le sue capì di star tremando.
“André?” aveva chiesto sorpresa, con una nota di dolcezza sonnolenta nella voce che fu l’ultima goccia che ci volle a farlo andar via con furia, solo augurandole la buonanotte, senza più guardarla.
 
Per quanto avessero fatto finta di nulla, da allora si era creata una sorta di tensione tra loro, qualcosa che portava Oscar a reagire ad ogni contatto anche minimo, precipitandolo nello sconforto ogni volta che si riscopriva di nuovo tentato ad avvicinarsi, cosa che suo malgrado avveniva di continuo.
Sarebbe bastato così poco per tornare alla normalità, si diceva. Doveva rassicurarla che era tutto come prima mantenendosi per qualche tempo più distaccato, ma i suoi buoni propositi evaporavano col passare delle ore, come i profumi che avevano provato sui polsi nel laboratorio.
Che problema aveva? Si stava boicottando da solo per far sì che fosse lei a dirgli di andar via?
Voleva una risposta o una sentenza?
 
Devo riuscire a starle alla larga, si diceva cercando la pace, sdraiandosi tra le coperte nel letto comodissimo.
 
A un muro di distanza lei si riproponeva il contrario.
 
 
***
 
 


Il mistral sferzava in folate irruente e scostanti, sembrava aspettare ci si dimenticasse di lui per tornare a sollevare le gonne, scuotere il fogliame della vegetazione bassa del maquis, i campi fioriti dell’estate provenzale all’improvviso.
Sospinti dal suo soffiare ribelle, Oscar, Sabine, André e la piccola Magali percorrevano un sentiero scosceso sul crinale fiorito di uno dei tanti colli della proprietà dei Florentin, in cerca del punto perfetto - riparato, ma panoramico - per consumare una merenda al sacco, dato che Sabine non era riuscita ad allontanarsi dal lavoro per l’ora del pranzo. Ma nessuno di loro sembrava aver alcuna fretta, come se il tempo avesse preso a scorrere in un modo diverso.
Sospeso, come i fiori nel vento.

 
  
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