Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ackerbitch    26/02/2020    4 recensioni
COMPLETA
ModernAU - MiniLong /// EreRi-RiRen
"Credo che tutti siamo bersaglio di una componente di sistemi infinitamente più grande di noi, che non siamo altro che piccoli e insignificanti ammassi di carbonio organico agli occhi dell'Universo. Siamo sottoposti alle sue leggi e invischiati nei suoi meccanismi, vittime della ruota della sua casualità, spaventosa e ingiusta. E lo sa cosa rende questa cosa ancora più spaventosa? Il fatto che siamo esonerati da niente, anche se tendiamo a conferirci una sorta di immunità di fronte alle eventualità negative che sappiamo esistere, ma che non associamo mai a noi e alla nostra vita. Forse lo facciamo per rendere l'esistenza un po' più sopportabile, o forse perché l'animo umano è animato da un disgustoso senso dell'ottimismo e tende a lasciare fuori dal proprio campo visivo e dalla propria concezione stessa tutto ciò che non è oggettivamente considerabile come positivo. Quello che voglio dire, è che non sappiamo mai come la ruota girerà. Adesso ci sei, fra cinque minuti non si sa. Ora stai bene, ma fra tre giorni potresti essere in un letto d'ospedale e combattere fra la vita e la morte [...]"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Isabel Magnolia, Kuchel Ackerman, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Legge sette – Creazione Intenzionale

Aveva tagliato Eren fuori dalla sua vita per la settimana successiva alla loro visita al planetario, punto di rottura per la diga con cui Levi arginava le sue emozioni, che gli si erano riversate in petto con una potenza devastante. Era stato talmente sopraffatto dal castano, da quel "sei bello" che pareva nascondere tanto, troppo di più, che alla fine aveva finito per precipitarsi nello studio della sua psichiatra dopo giorni in cui si era sentito letteralmente impazzire, confidando nelle capacità della donna di mettere almeno un po' d'ordine nei suoi pensieri completamente a soqquadro. E la donna lo aveva fatto, dispensandogli consigli e mostrandogli un sorriso colmo di comprensione. 

Aveva ascoltato Levi e lo aveva fatto parlare senza mettergli fretta, donandogli tutto il tempo a sua disposizione e la sua calma. Aveva visto l'espressione del corvino mutare mentre gli raccontava pezzi della sua quotidianità con Eren, la sua maschera di freddezza cadere in frantumi, scheggiata dalla confusione. Levi proprio non riusciva a capire quello strambo ragazzo che continuava a stargli attaccato in ogni occasione e ad essere la sua ombra senza pretendere nulla in cambio.

Quando era successo esattamente che il castano aveva iniziato a strappargli sorrisi segreti e mai mostrati al mondo, che gli piegavano le labbra sottili quando nessuno poteva vederli e quando i suoi occhi di smeraldo facevano capolino fra i suoi ricordi? Non se lo ricordava e ne era terrorizzato.

Lo paralizzava l'idea di doverlo rincontrare prima o poi – Levi aveva saltato le lezioni per una settimana intera e ignorato tutti i messaggi e le chiamate perse da parte di Eren– ma "non puoi evitarlo per sempre" avevano detto sua madre, Hanji e la terapeuta. Nonostante il corvino fosse un vero campione nella sottile arte di evitare le persone ad ogni costo e di silenziare il mondo, per la prima volta nella vita, sentì che tagliare Eren fuori dalla sua quotidianità fosse sbagliato. Fu l'eco di quelle parole ripetute all'infinito nella mente che lo fece sospirare e gli diede la forza di selezionare il contatto del castano nella sua rubrica; quando la sua voce di miele gli investì i timpani dopo un paio di squilli, Levi si strinse un po' di più nella sua felpa. 

________

"Ehi, Lee!"

"Oi."

Le iridi di Levi vennero letteralmente inghiottite da quelle smeraldine di Eren, che rilucevano di mille sfumature calde all'atmosfera tinta di rosso dell'imbrunire. Fu solo allora che il corvino si rese conto di quanto gli fosse mancato quello sguardo assurdo che gli insediò un brivido lungo la spina dorsale. Le belle labbra piene erano piegate all'insù, e mostravano una fila di denti perfetti e bianchissimi in contrasto con la carnagione bronzea. 

"Come stai? Sei sparito..."

Levi non seppe di star trattenendo il respiro finché non si trovò a dover rispondere e le sue parole gli pesarono stranamente sulla lingua.

"Ho avuto l'influenza."

Mentì, sperando che Eren non fosse in grado di vedere la bugia scorrergli negli occhi e sul volto. Non poteva rivelargli che in realtà, la ragione per cui lo aveva evitato era la paura che lo paralizzava; il corvino si sentiva tremare dentro per la mera presenza di quel ragazzo impossibile accanto a lui. Il castano lo spiazzò per l'ennesima volta quando gli sorrise di nuovo in quella maniera dolce che gli annodava lo stomaco.

"Spero che adesso tu stia meglio, non ti fa bene prendere freddo e uscire di casa se sei stato male."

Levi dovette affondare il viso il più possibile nella sua sciarpa per nascondere un principio di rossore che sentì imporporargli le gote a quella premura. Quando parlò nuovamente, la sua voce filtrata dal tessuto spesso era leggermente ovattata. 

"Sto bene, altrimenti non sarei uscito. Ora, vuoi dirmi dove mi vuoi portare?"

"No, perché è una sorpresa. Devi solo avere pazienza per un altro po', non è molto lontano da qui"

Il corvino fece schioccare la lingua sul palato, indispettito; Eren era stato irremovibile nel dispensargli anche solo un piccolo dettaglio su quell'uscita si era limitato a farsi dare l'indirizzo di casa di Levi e a passarlo a prendere all'orario stabilito. Il castano gli rivolse un altro sorriso capace di spegnere il Sole mentre cominciarono a camminare per le vie della città sotto il grigio del cielo invernale, completamente coperto da nuvole. L'aria era gelida, ma quella settimana non aveva nevicato e si erano sciolti anche gli ultimi cumuli bianchi ai lati della strada. 

Levi non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma adorava camminare al fianco di Eren. Forse perché nel corso dei mesi quelle loro passeggiate tranquille erano diventate una specie di rituale che gli infondeva serenità e lo faceva sentire leggero, forse perché il castano pareva spegnere il vulcano di energia che gli ribolliva dentro e si godeva il momento, in silenzio. Solo il suono dei passi sull'asfalto rompeva la quiete, misto a quello dei loro respiri che producevano piccole nuvole di condensa nell'aria e al ticchettare immaginario degli ingranaggi dei pensieri di Levi, segretamente impantanati in un paio di iridi smeraldine. E il corvino ne era sicuro, anche Eren amava quelle camminate tanto quanto lui; lo vedeva nel modo in cui la pacatezza gli calava sul volto e gli addolciva ancora di più i bei lineamenti armonici in completo rilassamento e pace. Proseguirono per le stradine fitte di case, e brividi caldi percorrevano il corpo di Levi ogni volta che avvertiva lo sguardo del castano posarsi su di sé, leggero come una piuma e ardente come l'Inferno. 

Non passò molto prima che i bassi potenti di musica in lontananza giunsero alle orecchie di Levi. Il corvino scrutò l'orizzonte aggrottando le sopracciglia e scorse in lontananza le punte degli alberi maestri delle barche a vela, illuminate ad intermittenza dai bagliori di luci colorate e i profili costosi di qualche yatch. Fu in quell'esatto momento che gli tornarono in mente le parole origliate da sua madre mentre era al telefono con un'amica riguardo alla festa al porto di Shiganshina. Era una ricorrenza annuale, e Levi non aveva mai capito quale fosse il motivo di quella baldoria, né tantomeno il perché montassero delle giostre per mimare una sottospecie di Luna Park, per giunta in pieno inverno. 

"Mi stai portando alle giostre? Ti sembro per caso un moccioso?"

"Oh, che guastafeste che sei!" 

Eren finse un lamento scocciato e rifilò al corvino una spinta giocosa sulla spalla che gli fece appena perdere l'equilibrio. Levi rispose alla provocazione con quella che sarebbe dovuta essere un'occhiataccia torva così glaciale da freddarlo sul posto, ma che finì per essere uno sguardo divertito e malizioso. Lo spinse a sua volta, forse per non rovinare l'atmosfera che avevano creato e segretamente per gettare un po' d'acqua sul fuoco del desiderio di toccare il castano che gli faceva prudere le mani e spegnerlo appena. Eren rispose con un sorriso che fece una cosa strana alla bocca dello stomaco del più basso e gli fece avvertire le gambe molli, come se le sue ossa avessero d'un tratto acquisito la stessa consistenza molliccia della gelatina. Levi deglutì a vuoto e distolse lo sguardo dal quel bel volto che lo stregava, arrossato sugli zigomi alti e sul naso a causa della temperatura fredda. 

Continuarono a dirigersi verso il porto in silenzio e più si facevano vicini, più i bassi della musica gli si insediavano nella casse toraciche e li facevano tremare da dentro, spezzati di tanto in tanto dalle urla degli avventori che avevano tentato le giostre più estreme, quelle su cui Levi non avrebbe mai messo piede per nessuna ragione al mondo. Gli si contorcevano le viscere soltanto nel guardare quella sottospecie di braccio rotante completamente illuminato di verde, che roteava e si innalzava nel cielo. Chi è che aveva il coraggio di salire volontariamente su un aggeggio infernale del genere, sapendo che l'imbracatura magari non avrebbe retto e che qualche bullone della struttura poteva essere non fissato a dovere? Follia, pura follia. 

Camminarono fino a che si ritrovarono a costeggiare la banchina del porto e l'odore salmastro e deciso dell'acqua di mare colpì i loro nasi, fino a che la musica si fece quasi assordante. Eren indossava il suo solito sorriso in volto mentre faceva saettare lo sguardo dalla pista per le macchinette a scontro alla ruota panoramica, soffermandosi sulla grossa nave pirata che ondeggiava luminosa e salpava in cielo. Le sue iridi avevano un che di meravigliosamente puerile, mentre osservava quelle giostre con un'espressione in volto che a Levi ricordo quella di pura innocenza dei bambini. Di nuovo, era davanti ad una sfumatura di Eren che lo aveva stupito e che ancora non era riuscito a cogliere. Il carattere del castano era complesso da decodificare, e il corvino non era sicuro che ci sarebbe mai riuscito; ogni volta che pensava di aver afferrato a pieno la sua personalità e di averla definita nella sua mente, ecco che usciva alla luce del giorno un lato nuovo e dalle sfumature uniche, mai banale e sempre sorprendente. E sì, Levi era stupito da come una cosa così semplice come un semplice parco di attrazioni di fortuna potesse illuminargli il viso in quel modo che lo rendeva unico. 

Il corvino lo vide girarsi verso di lui e catturare il suo sguardo con un magnetismo impossibile, vide le sue belle labbra appena screpolate dal freddo aprirsi e articolare parole che mai giunsero al suo udito, sopraffatte dai bassi potenti della musica. Quando Eren lo guardò con espressione interrogativa, il più basso scosse il capo per fargli intendere di non aver afferrato il suo discorso. Di certo non si aspettava che il castano si chinasse alla sua altezza e gli si avvicinasse tanto da sfiorare il suo padiglione auricolare col naso gelido, stordendolo e letteralmente investendolo con il suo fiato caldo e col suo profumo di colonia maschile mista alla nota dolciastra del suo bagnoschiuma alla vaniglia. Eren gli colò la sua voce melliflua direttamente nell'orecchio.

"Hai fame? Io ho un buco nello stomaco, e non mi dispiacerebbe mettere qualcosa sotto ai denti."

Levi sperò che Eren non si accorse che il lungo brivido che lo aveva fatto scuotere visibilmente, fosse stato a causa di quella vicinanza che per qualche istante gli aveva mandato in tilt ogni circuito nervoso e lo aveva paralizzato sul posto. Quando il castano si allontanò e lui poté tornare a respirare normalmente – e maledetto il suo cuore, che faceva un fracasso assordante dentro la sua cassa toracica! – annuì appena e si nascose il più possibile sotto il cappuccio della felpa per camuffare l'imbarazzo. Dio, quanto odiava che il suo corpo avesse certe reazioni inopportune! Non riusciva proprio a sopportarlo. 

Si diressero verso le bancarelle ricolme di cibarie esposte, e furono di nuovo brividi caldi e freddi al tempo stesso quelli che scossero ogni fibra nel corpo di Levi quando il castano gli soffiò nuovamente nell'orecchio; le sue dita delicate si insinuarono sotto al cappuccio per scoprirgli di poco il volto e lo sguardo metallico e lambirono appena la pelle sensibile del viso pallido del corvino in maniera quasi impalpabile. Levi non era sicuro che avrebbe dovuto sentire tanto caldo in una serata in cui il termometro sfiorava lo zero termico, ma si sentì avvampare. 

"Cosa preferisci mangiare?"

Levi ebbe la forza soltanto di puntare il proprio dito nella direzione di un camioncino degli hot-dog, sperando con ogni fibra in corpo che il castano non si accorgesse della sua tensione. Tensione che tutto d'un tratto scivolò alle stelle e rischiò di paralizzarlo, quando Eren fece scivolare la mano guantata nella sua, stringendola per guidarlo verso la bancarella. Se avesse continuato in quel modo, il corvino non era sicuro che il suo stomaco e il suo povero cuore non avrebbero retto fino a fine serata; il castano non sembrava neanche consapevole del tumulto di sensazioni che era capace di scatenare nel petto di Levi. 

Lasciò che Eren ordinasse per lui, insistette per pagare la sua parte ma ogni tentativo fu vano e si infranse sul bel sorriso luminoso del più alto; mangiarono seduti su una grossa panca in legno, abbastanza lontana dalle giostre affinché i bassi invadenti della musica non li tormentassero e gli lasciassero un po' di respiro. Conversarono di quello che non si erano detti in quella settimana in cui erano stati lontani: dalle lezioni di Eren in facoltà alla presunta influenza di Levi, -su cui il corvino dovette inventarsi qualche balla bella e buona-, poi ancora del corso di Dinamiche di cui il castano si offrì di passargli volentieri gli appunti che aveva preso in quei giorni. Quando finirono il loro pasto, ormai anche l'ultimo chiarore del giorno aveva abbandonato il cielo saturo di un blu intenso e cupo, e le luci intermittenti e colorate caricavano gli occhi del castano di migliaia sfumature capaci di mozzare il fiato; mai quegli occhi belli erano sembrati a Levi magnetici come in quell'esatto momento. Il corvino sospirò quando il castano si alzò e gli porse la mano per la seconda volta; fu sicuro che né il cappuccio né la coperta buia della notte furono abbastanza per nascondere l'imbarazzo che gli colorò il volto. L'ennesima scarica di brividi gli percorse la schiena quando le sue dita esili si strinsero attorno al palmo guantato di Eren.

"Da quale giostra vuoi iniziare?"

"Scordati che metto piede su quelle diavolerie. E poi abbiamo appena mangiato, ci tengo particolarmente a tenermi la cena nello stomaco, grazie."

Il castano alzò giocosamente gli occhi al cielo, sbuffando in maniera teatrale. Era determinazione quella scintilla che gli brillava nelle iridi e che Levi trovava tanto affascinante. 

"Allora vorrà dire che inizieremo dalle cose tranquille, così avrai tempo per digerire la tua cena."

Lo rimbeccò giocosamente Eren, offrendogli un occhiolino che il corvino trovò delizioso e che fece perdere un battito al suo cuore. Si lasciò semplicemente trascinare senza opporre resistenza, le parole incastrate in gola a causa della sensazione delle loro dita intrecciate in un tocco lieve ma intenso. Chissà come sarebbe stato, poter stringere quella mano senza la barriera dei loro guanti, percepirne il calore direttamente sulla pelle senza il tessuto ad ostacolarli dal potersi sentire, toccare veramente...

Levi si diede uno schiaffo mentale e si riscosse solo quando il castano si fermò di fronte all'ingresso della pista delle macchinette a scontro, tirando fuori il portafoglio dalla tasca del suo parka verde militare per tirarne fuori spicci da scambiare con qualche gettone. Fu il suo turno di avvicinarsi all'orecchio di Eren e di sfiorarlo col respiro caldo.

"Eren, non ti aspetterai mica che io venga lì su, vero?"

Lo sguardo da cucciolo bastonato che il castano gli rivolse fu abbastanza da costringerlo a mordersi la lingua e fargli rimpiangere le sue parole; Dio, cosa non avrebbe fatto per quegli occhi! Ed erano vicini, così tanto vicini che Levi riusciva a sentire il calore di Eren mischiarsi al proprio. 

"Neanche se ti faccio guidare?"

Eren strinse appena la presa sulla mano del corvino, sporgendo appena il labbro inferiore in un'espressione implorante. Perché, per quale strano motivo proprio non riusciva a dirgli di no? Doveva essersi rammollito tutto d'un botto, per non riuscire a rifiutare di fare un qualcosa di potenzialmente pericoloso che poteva portare a conseguenze imprevedibili. 

"...Andata."

Si costrinse a replicare, ed il sorriso che Eren gli rivolse di rimando fu così luminoso che per poco non lo accecò. Pagò il loro giro opponendosi nuovamente ad ogni tentativo di Levi di tirare fuori anche solo pochi spiccioli dal portafoglio, e quasi lo trascinò in pista col suo classico entusiasmo prorompente di affrontare la vita. 

"Vieni!"

Presero posto all'interno di una macchinetta rossa e il castano lasciò guidare Levi come promesso, lamentandosi di tanto in tanto e sbuffando alla sua guida troppo prudente.

"Non devi evitare le altre macchine, devi andargli addosso!"

"Lo so, Yeager. Ma domani mattina non vorrei svegliarmi con così tanti lividi addosso da sembrare un dalmata."

Eren gonfiò le guance indispettito all'ennesimo tentativo del corvino di schivare un automobilista proprio sulla loro traiettoria, e d'un tratto le sue dita si strinsero sopra quelle di Levi, prendendo all'improvviso comando del volante e dirottando la piccola auto, cogliendo l'occasione ghiotta di far collidere i due piccoli veicoli. Il più basso sobbalzò all'impatto, ma qualunque insulto la sua mente avesse elaborato e la sua bocca fosse pronta a sibilare ad Eren, s'infranse nell'udire il suono cristallino della risata divertita del castano. Si sentì completamente inghiottire da quel suono dolce di miele e dalle iridi di smeraldo che inglobarono le sue, catturandole senza lasciargli via di fuga; Levi non seppe dire per quanto tempo rimase a guardarlo imbambolato e con le labbra appena dischiuse dopo l'impatto. Era bello in una maniera che faceva quasi male all'anima, con gli occhi luminosi e le ciocche castane sciolte che frustavano l'aria, appena smosse da lingue di vento freddo. 

Eren non staccò più le mani dal volante, che rimasero ben strette su quelle del corvino finché non scesero. Levi lo seguì fuori dalla pista col cuore impazzito che gli martellava colpi pesanti in petto e si fece guidare fino alla biglietteria della nave pirata, incapace di opporre resistenza. Fu solo nel momento in cui il castano gli passò il proprio biglietto, nient'altro che una piccola targhetta di un giallo fluorescente in plastica rigida, che il corvino si riscosse.

"Non ci penso nemmeno!"

"Dici così, ma sulle macchinette a scontro ti sei divertito e non provare a negare."

Era vero, indiscutibilmente vero. Levi si era divertito, si stava divertendo contro ogni aspettativa. Non ricordava neanche quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva avvertito una leggerezza tale dentro di sé; erano sicuramente passati anni, e quelle sensazioni doveva averle provate assieme ad Isabel. Ma la nave andava in alto per poi ricadere, pareva voler sfidare il cielo e un senso di vertigine lo colse al solo pensiero di mettere piede su quel galeone pirata costellato di luci colorate, le cui imbracature gli sembrarono misere per una giostra di quelle dimensioni che oscillava come un gigantesco pendolo a una velocità più che sostenuta.

"Non salirò lì sopra, Eren."

"E perché no?"

Levi deglutì quando le iridi impossibili del castano lo catturarono al loro interno; amava e odiava la musica assordante che li costringeva a stare troppo vicini per riuscire a comprendere le parole dell'altro sopra le vibrazioni profonde. Aveva acconsentito alle macchinette a scontro e alla fine aveva pure lasciato che fosse Eren a guidare, - seppur con le mani sulle sue - ma sfidare la sorte sulla barca era decisamente troppo. Era imprevedibile quello che poteva succedere su una giostra come quella, i cui pezzi venivano assemblati all'occasione alle fiere di paese e trascinati per tutta la nazione all'interno di grossi tir. Levi non era sicuro neanche che avessero montato tutti i bulloni che servivano a tenerla correttamente in piedi; quanto era facile perdere un pezzo fra quei numerosi spostamenti?

"Potrebbe staccarsi e cadere."

Le parole gli lasciarono le labbra in automatico, e Levi dovette quasi urlare per sovrastare i bassi potenti della base musicale che imperversava. 

Potrei morire, e se la mia vita finisse qui, forse a me non interesserebbe troppo, Ma cosa succederebbe a mia madre? E ad Hanji, invece? Quella barca non vale il rischio, Eren. È imprevedibile. 

Il castano lo osservava in silenzio, con le sopracciglia aggrottate e la bella bocca appena dischiusa, come se riuscisse a frugare fra i pensieri di Levi e a leggerli soltanto guardandolo. E forse lo fece davvero, perché per l'ennesima volta le parole che gli rivolse lasciarono il corvino destabilizzato; Eren doveva essere una specie di sensitivo. Doveva aver percepito la sua titubanza, il suo terrore dell'imprevedibilità che gli imponeva di tenere i piedi ben saldi a terra e di non mettere piede sulla nave per il giro successivo.

"Oppure un pazzo potrebbe aprire una sparatoria e fare fuoco a caso fra la folla mentre io sono sulla nave e tu a terra, e io mi salverei proprio per esserci salito sopra."

Il castano gli sventolò sotto al naso la piccola targhetta in plastica colorata e Levi serrò la mascella, imponendosi di prendere un respiro profondo per immettere quanta più aria possibile nei polmoni. Lo odiava, oh se lo odiava quando gli scombussolava le certezze e gli capovolgeva la vita in quel modo, spolverandogli nella memoria nuovi punti di vista che il corvino si costringeva ad ignorare!

"Sei fatalista, Yeager."

Sibilò a denti stretti, ma ebbe la conferma che le sue parole giunsero ad Eren quando quest'ultimo lo rimbeccò con la sua replica.

"Da che pulpito...! Sono realista, Levi."

Non puoi continuare a privarti di esperienze, di vivere la vita a pieno perché hai paura di tutto.

Quelle parole incise negli occhi smeraldini del castano non ebbero mai fiato, ma giunsero comunque dritte e precise come un dardo al cuore di Levi e trovarono dimora nel suo petto.

Lee... Quello che fai tu non è vivere. Lasciati andare, ti prego.

Il corvino non era più capace di dire di no a quelle iridi; Eren lo rendeva vulnerabile in una maniera strana che lo faceva sentire esposto e lo faceva tremare, ma allo stesso tempo gli faceva odorare un sentore di libertà. La grossa nave smise di oscillare e l'addetto sganciò le imbracature degli avventori, che la abbandonarono coi capelli scompigliati dal vento e ridendo scherzosi. 

"Tocca a noi!"

Con le dita ancora intrecciate, Eren lo trascinò a bordo del grosso galeone. Il castano sembrava fremere nell'anticipazione di provare l'ebbrezza data dalla giostra e per qualche motivo che non riuscì a spiegarsi, Levi trovò il suo entusiasmo contagioso; gli si insinuò sotto pelle a tal punto che neanche fece caso alla barra di metallo che venne ancorata ad un uncino e stretta al di sopra delle sue gambe. Sobbalzò quando si sentì oscillare piano, iniziare ad ondeggiare ad un ritmo sempre più veloce e intenso. La mano di Eren stringeva ancora la sua, e il castano lo guardava con quegli occhi così maledettamente accesi che Levi si sentì annientare dal suo sguardo per l'ennesima volta in una serata.

"Sei teso come un pezzo di legno. Lasciati andare, Lee."

Le labbra di Eren quasi gli sfiorarono l'orecchio per mormorarvi all'interno quelle parole dolci e il pollice coperto del castano iniziò a tracciare carezze circolari sul dorso della mano del corvino mentre continuavano a salire, a salire e a salire ancora, oscillando in un modo che aprì un vuoto nello stomaco di Levi e lo caricò di adrenalina. Fu quasi surreale la sensazione di quella giostra a pieno regime che sfidava il cielo, delle lingue di vento che li facevano rabbrividire. Le ciocche castane di Eren frustavano l'aria, le palpebre erano abbassate mentre si godeva la sensazione di pura beatitudine carica d'elettricità del lasciarsi manovrare in quella maniera. Pareva quasi di volare.

Levi si sentiva come in bilico sull'orlo di un burrone. Desiderava restare in equilibrio, mantenere intatte e solide le sue convinzioni e il suo modo di vivere, ma desiderava anche lasciarsi cadere e sprofondare al suo interno. Semplicemente cedere senza opporre resistenza a tutto quello che aveva rinnegato per anni, rompere con la forza le sbarre della sua gabbia dorata, farsi largo nella vita vera con le unghie e con i denti. E forse un po' lo perse l'equilibrio, quando Eren lo guardò con le sue iridi sature, perché Levi rise. 

I bordi delle labbra sottili e screpolate dal freddo si piegarono all'insù, due fossette presero posto sulle sue guance pallide e si lasciò andare una risata semplice, cruda e viscerale, il cui suono appena ruvido era rimasto sopito per anni. Il corvino seppe che Eren lo avvertì forte e chiaro dentro l'anima, perché dopo un primo momento di sbigottimento in cui gli rivolse uno sguardo grande di sorpresa, iniziò a ridere anche lui. Quanto aveva odiato Levi quel suono mellifluo, nei primi tempi in cui il ragazzo aveva iniziato a seguirlo come un'ombra? Lo aveva detestato nel senso più stretto del termine, ne era addirittura stato disgustato, ma in quel momento gli sembrò la musica migliore. 

Erano solo loro due, a ridere come ragazzini con le dita saldamente intrecciate e lo sguardo di Eren che vagava dai suoi occhi alle sue labbra, su una giostra che gli faceva quasi sfiorare il cielo; Levi non si curò nemmeno di rimettersi il cappuccio sul capo quando una folata di vento glielo tolse, liberando le ciocche d'inchiostro. E forse stava sfidando i cieli a non essere con i piedi per terra, ma non gli importava.

Ridevano ancora quando il loro tempo sul galeone giunse al termine, continuarono a ridere quando il castano trascinò Levi su un trenino per bambini e quando lo costrinse a salire sulla ruota panoramica per guardare Shiganshina illuminata dall'alto, brulicante di vita e di auto che scorrevano veloci sulle strade. Si era lasciato trascinare da Eren su quasi tutte le attrazioni del piccolo Luna Park improvvisato senza opporre resistenza, aveva lasciato pure che il castano gli offrisse dello zucchero filato che consumarono insieme, condividendolo. Quella serata gli sembrò la cosa più vicina alla vita che avesse provato in quattro lunghi anni, scherzarono fino a quando l'orologio non segnò la mezzanotte passata; era stato bello per Levi permettersi di sognare, fingere di non portare l'esistenza come un fardello troppo pesante sulle spalle. Tutto quello svanì all'improvviso come se non ci fosse mai stato nel momento in cui iniziarono ad abbandonare il porto, lasciandosi alle spalle lucine colorate e bassi potenti. Le orecchie di Levi fischiavano a causa della musica assordante che le aveva seviziate per ore.

Di colpo ogni cosa aveva perso colore, la quiete tornò ad investirlo con una prepotenza che lo intontì. Era scialba quella sensazione, completamente insipida rispetto a quella adrenalinica che Eren gli aveva direttamente iniettato nel sangue. Il corvino si trovò così disorientato immerso in quel silenzio denso, da arrivare a dubitare che gli eventi di quella sera fossero stati reali. Aveva riso per davvero? Proprio lui, Levi Ackerman? Aveva davvero lasciato che Eren tirasse le corde della sua vita come un burattinaio, anche se per poche ore? Era stata frutto della sua immaginazione anche la carezza che il castano gli aveva lasciato sulla schiena e che lo aveva fatto tremare dentro, quando erano costretti nell'abitacolo stretto e angusto della ruota panoramica? 

"Ti riaccompagno a casa."

La stecca dello zucchero filato nella mano di Eren al suo fianco testimoniava che era stato tutto vero, che quegli istanti che sarebbero per sempre rimasti impressi a fuoco nelle memorie del corvino erano davvero esistiti: erano stati vissuti. Il castano staccò l'ultimo pezzo di zucchero soffice dal bastoncino e se lo cacciò fra le labbra, prima di gettarlo in un cestino poco vicino.

"Stai tranquillo, posso andare anche da solo."

"Non era una domanda."

"Eren, davvero, non c'è bisogno. Posso andare da solo."

La voce di Levi assunse una sfumatura più irritata del previsto, il suo passo si fece più veloce e si calò con violenza il cappuccio sul capo, nel tentativo di lasciarsi Eren e quella serata alle spalle. Non poteva esserci posto per lui nel mondo da cui doveva nascondersi. Si era permesso di mostrarsi a volto scoperto ma non avrebbe dovuto compiere quell'errore, perché tornare alla realtà dopo aver assaggiato la dolcezza di uno spicchio di felicità fu dilaniante a tal punto da fargli urlare l'anima d'agonia. Si sarebbe nascosto, non avrebbe più osato. Eren lo aveva reso debole, lo rendeva debole, ma non avrebbe più ceduto.

"Lee, aspetta! Dove vai?"

"A casa, Eren."

La mano forte del castano si strinse attorno al suo avambraccio, e le sue iridi verdi lo guardarono sgranate, colme di qualcosa a cui il corvino non seppe dare un nome. Vide il labbro inferiore di Eren tremare quasi impercettibilmente, e si costrinse ad ingoiare il groppo che gli chiuse la gola a quella vista.

"Ho fatto qualcosa che non dovevo? Ti prego, dimmelo se è così, Levi..."

Mi hai fatto quasi vivere, Eren, e cazzo se mi è piaciuto. 

Il corvino scosse la testa e fece per divincolarsi ma il castano strinse la presa, intenzionato a non lasciarlo andare. Erano così vicini da far fisicamente male allo stomaco.

Io però non me lo posso permettere.

"È per questo, Lee? Ti fa schifo...?"

Levi era naufrago nel mare di smeraldo delle iridi di Eren quando il castano gli carezzò piano il braccio, risalendo lungo la spalla per lambire lo zigomo con le dita guantate. Quello sguardo boschivo era magnetico di una tempesta cupa, gridava sofferenza e paura; Levi si ritrovò col fiato mozzato. Come, come poteva Eren pensare che volesse scappare via per lui, come poteva guardarlo con tutta quell'afflizione, come se qualcosa lo stesse torturando e consumando dall'interno? Come poteva lui, creatura perfetta, credere che le sue attenzioni fossero poco gradite a Levi, quando in realtà era tutto il contrario? Il corvino anelava quei tocchi e quelle carezze con un desiderio prorompente che gli faceva quasi gridare il cuore in petto. 

Forse fu proprio una sorta di forza magnetica ad attirarlo ancora di più ad Eren, un qualcosa di sconosciuto e più grande di loro che caricava i loro corpi d'elettricità pura e li faceva vibrare, come poli opposti. Eren gli aveva abbassato il cappuccio della felpa di nuovo, lasciandolo esposto allo sguardo onnisciente dell'Universo, e le sue dita continuavano a vagare dallo zigomo destro alle ciocche corvine. Come poteva pensare di disgustarlo, quando tutto quello che Levi voleva era toccare la sua pelle del colore del caramello e ricambiare le sue carezze? E allora il corvino lo fece, si sfilò un guanto e le sue dita raggiunsero la guancia di Eren, saggiandone sotto i polpastrelli la consistenza liscia e perfetta; sembrava ardere come brace. 

Sguardi allacciati, argento liquido fisso e impantanato in due pozze smeraldine; tocchi fugaci, quasi timorosi. Il tempo perse significato, lo spazio perse consistenza. Esistevano solo loro, nella loro piccola bolla isolata da tutto, talmente vicini da avvertire il calore corporeo dell'altro attraverso la stoffa dei vestiti. Eren all'improvviso gli prese il volto fra le mani con una delicatezza che gli scosse l'anima, e il suo sguardo saettò veloce dagli occhi alle labbra di Levi più volte, carico di una disperazione e di un'intensità tale che il corvino se ne sentì annientare. 

Fallo

Non farlo

Ti prego, fallo. Ho bisogno di te

Allontanati, Eren.

Fallo, fallo, fallo.

Profumava davvero la libertà, e aveva l'odore dell'aria fresca e salmastra che si infrangeva sul viso di Levi, la consistenza morbida e impalpabile delle labbra di Eren sulle sue e il sapore dolce dello zucchero filato. E allora Levi si lasciò scivolare oltre l'orlo del precipizio abbattendo ogni difesa, si lasciò baciare e lasciò che la bocca calda, umida e tremante del castano prendesse il possesso della sua, guidandola in una danza dolcissima che gli spezzò il fiato in gola e gli sollevò il peso dell'esistenza dall'anima. Le sue dita trovarono posto fra i capelli di Eren fra sospiri spezzati e schiocchi bagnati e si intrecciarono alle ciocche color cioccolato; Levi lo attirò a sé quasi con violenza, come a volersi fondere col castano nel tentativo di creare un unico corpo per ospitare le loro anime intrecciate. Il castano era inesperto e impacciato nei movimenti, ma le sue carezze incerte furono quanto di più perfetto e giusto il corvino avesse mai sperimentato in vita sua, e unite ai loro odori mischiati gli diedero alla testa. 

Si lasciò intossicare completamente da quelle belle labbra morbide, perfetta marionetta fra le mani di Eren che tendevano le corde del suo cuore a suo piacimento e lo fecero tremare, finché proprio il castano non interruppe il loro contatto e lo scrutò da sotto le lunghe ciglia nere coi suoi occhi impossibili, che riflettevano la luce fioca dei lampioni posti sul bordo della strada. Fu in quel momento, col muscolo cardiaco che gli martoriava il petto in pompate talmente forti che gli rimbombavano sorde nelle orecchie, col volto imporporato d'imbarazzo e le labbra lucide di saliva e appena gonfie, che il corvino seppe di aver vissuto per davvero. L'aveva fatto, e le sensazioni che gli misero in tumulto in petto rischiarono quasi di farlo impazzire, lo caricarono di un terrore che lo costrinse all'iperventilazione. Sciolse bruscamente l'abbraccio scomposto con Eren, ogni fibra in corpo tesa quasi al punto di rottura e pronta a lacerarsi sotto il peso delle conseguenze delle sue azioni. Aveva colto il frutto proibito, l'aveva morso e si era condannato, perché non avrebbe mai potuto averlo e quell'assaggio gli sarebbe stato fatale. Eren era vita, e lui non poteva concedersi di vivere, non quando lei-

"No, Lee, ascoltami. So a cosa stai pensando, è sbagliato. Non scappare..."

Il castano doveva averlo visto il terrore nei suoi occhi per rivolgergli quelle parole, e doveva sicuramente aver avvertito lo stesso freddo nell'anima che aveva ghiacciato Levi dall'interno quando avevano sciolto il loro abbraccio. Il povero cuore del corvino non sopportava di vedergli quell'espressione di pura afflizione dipinta in volto; deglutì a vuoto, costringendosi a rompere anche l'incastro perfetto delle loro iridi. 

"No, non lo sai, Eren. I-Io non posso! Tu mi fai sentire cose che non dovrei provare, mi fai vivere, cazzo! Lei non c'è più, io non posso, non mi merito...-"

Sbottò Levi con voce rotta, sentendo la vista farsi bagnata e l'ansia colargli addosso come fuoco liquido, insediandosi viscida dentro di lui; si sentì patetico, miserabile come mai prima di allora. Quando Eren lo prese per le spalle e lo costrinse ad incontrare il suo sguardo, gli occhi di smeraldo erano animati da una luce brillante e i bei lineamenti del volto contratti in una smorfia di determinazione. Il corvino dischiuse appena la bocca e fece per parlare, ma non ne ebbe il tempo.

"È proprio perché il confine fra la vita e la morte è così sottile che devi vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Pensi che quello che fai, avere paura di tutto e privarti di essere felice per paura, faccia onore alla memoria di tua sorella, che è stata strappata alla vita troppo presto? Lei vorrebbe davvero questo per te, Levi? O vorrebbe vederti vivere nel vero senso della parola e fare esperienze nuove, avere la forza di muovere il mondo e di rendere uniche le tue giornate, di sentirle dentro e di creare ricordi indimenticabili? Ti ci vedi a novant'anni chino su una sedia o sul tuo letto di morte, Levi, a rimpiangere tutto ciò di cui ti sei volontariamente privato da giovane? C'è il mondo fuori dalla tua gabbia dorata e tu nemmeno te ne rendi conto, accecato come sei dall'autocommiserazione. Sei sopravvissuto, cazzo, sei vivo e questa non è né una colpa né una cosa scontata! Quante persone darebbero qualunque cosa per avere quello che hai tu? Una casa, un corpo sano e bello, una madre che ti ama e un'amica vera che continua a starti alle calcagna perché ti vuole bene e non vuole abbandonarti a te stesso. Hai ragione se vieni a dirmi che la vita ti ha tolto troppo, ma ti ha dato anche tanto e tu non riesci a vederlo. Mettiamola così, a parole tue: sei un insignificante ammasso di carbonio organico, Levi, e per l'Universo probabilmente è davvero come dici tu. Sei irrilevante, non vali la pena e non conti nulla; tutto va avanti e si muove secondo leggi più grandi di noi e che non riusciamo a controllare, ma sai qual è il bello di questa cosa? Che nel piccolo, nell'infinitesimamente piccolo del cosmo, tu conti. Perché su questa terra, in una città probabilmente insignificante, c'è qualcuno che fa parte del tuo microcosmo: altri ammassi di carbonio organico come te per i quali tu sei importante e che ti gravitano attorno come i massimi sistemi. Sei importante per tua madre, sei importante per Hanji, sei importante per me. E non mi importa se dopo questo discorso tenterai di scappare e di tagliarmi fuori dalla tua vita, perché non te lo lascerò fare, non ti lascerò barricarti in casa a far finta di condurre un'esistenza degna. Puoi vivere, Levi! Vivi, fallo per lei, per tutte quelle persone che vorrebbero ma non possono. Vai a correre al parco e fallo per chi è seduto in carrozzina, guarda i colori della tua quotidianità fino a macchiartici l'anima per chi è cieco, ama finche puoi, dona te stesso agli altri e lascia che gli altri si donino a te: non c'è niente di più bello, Lee... Morirò un giorno e morirai anche tu, è inevitabile, ma non lasciare che questo ti paralizzi..."

"E-Eren, io..."

"Non scappare da me, ti prego. Dimostriamo che, nonostante tutto, vale davvero la pena vivere. Ho visto mia madre morire, Levi; si è spenta davanti ai miei occhi, piena di tubi per respirare e sedata con una dose di morfina indicibile. Ho visto la morte in faccia e ho respirato la sua stessa aria mentre se l'è portata via, ho addirittura desiderato che prendesse me e non a lei in quel momento, che mi portasse via con sé e che mia madre si risvegliasse senza quel male bastardo nel corpo. Ho visto lo sguardo del medico subito dopo la prima ecografia con cui avevano identificato la massa tumorale, ho visto il suo volto perdere colore e mutare in una maschera di spavento. "Cinque mesi", aveva detto a me e papà, e cazzo se ci aveva preso. Ho maledetto la vita in tutti i modi possibili, mi sono rifiutato di credere di non poter fare nulla se non starmene a guardare il suo corpo che si deteriorava giorno per giorno, che cadeva a pezzi sotto i miei occhi. E lo sai anche tu, che l'impotenza in questi casi ti logora dentro neanche fosse acido. L'ho vista nella bara, e credimi se ti dico che a distanza di anni, la visione di lei immobile e distesa su quel lenzuolo di raso bianco, è la prima immagine che mi si stampa nei pensieri non appena chiudo gli occhi prima di addormentarmi. Eppure cosa mi ha insegnato tutta la sofferenza che la mia famiglia si porta dietro? Lo sai quanto tempo io, mio padre e mia sorella abbiamo messo per definirci di nuovo una famiglia, dopo la sua morte? Carpe diem, Levi, per qualunque cosa: cogli il fottuto attimo. Vuoi viaggiare? Fallo. Se cade l'aereo, almeno stavi vivendo per davvero, stavi esplorando il mondo esterno al di fuori dei muri della tua camera. Sei libero, Levi, e la libertà è il dono più grande. Sei libero di vivere... Non nasconderti più dal mondo, ti prego..."

Levi si accorse delle lacrime che gli rigavano gli zigomi soltanto quando sentì le dita di Eren asciugarle piano, con carezze circolari del pollice lente e accorte. Si era tolto i guanti, e il contatto pelle a pelle con le sue mani calde e grandi fece rabbrividire il corvino, che non smise nemmeno per un istante di vergognarsi della sua vulnerabilità, del non essere stato in grado di contenere il pianto e le troppe emozioni che avevano preso forma liquida. Un singhiozzo strozzato lasciò la sua gola senza consenso e preavviso, e fu allora che Eren lo attirò a sé, stringendolo forte contro il suo petto e donandogli tutto il calore di cui era capace; Levi ricambiò l'abbraccio, artigliandogli le spalle con disperazione e affondando il volto nella stoffa del parka verde militare del castano, che gli sussurrava piano e gli posava delicati baci leggeri come piume fra le ciocche d'inchiostro.

"Shhh, Levi... Ci sono io, va tutto bene."

Il corvino smorzava lamenti rotti in quell'abbraccio violento in cui pareva scomparire, ed Eren tentava di scacciare l'onda delle sue emozioni carezzandogli piano la schiena. Lasciò che Levi si calmasse, attese fra un bacio schioccato su uno zigomo pallido e tocchi fugaci che il suo respiro si facesse regolare e non lo lasciò andare neanche allora. Levi sospirò, prima di puntare i suoi occhi gonfi e arrossati nelle gemme preziose di Eren; la sua voce era ancora tesa e provata dal pianto, tremula e spezzata.

Aveva pianto, si era rotto in quel modo così intimo davanti ad Eren, e non si era mai sentito tanto leggero e protetto prima di allora, come svuotato all'improvviso da ogni peso e libero dalle zavorre che per anni erano state ancorate al suo animo. E chi lo avrebbe mai sospettato, che l'antidoto a quella vita fatta di privazioni e troppe paranoie, sarebbe stato un ragazzo dagli occhi verdissimi e dal sorriso capace di far impallidire il Sole stesso, piombato all'improvviso nella sua vita in una giornata anonima e sterile come tante? 

"Sei irritante da morire. Ti ho sempre trovato insopportabile, sin dal primo istante che ti ho incontrato."

"È questa la tua dichiarazione? Potresti fare di meglio e so che ne saresti capace, Lee."

Per tutta risposta il corvino alzò gli occhi al cielo e fece schioccare la lingua sul palato. 

"Taci, Yeager."

"Fammi tacere."

E un paio di labbra morbide e dolci furono sulle sue. 

 

Sarò gentile, Isabel. Avrò coraggio, te lo prometto.

 

 

Fine.

 
_________________________
 

Ringraziamenti

Io questa storia non l'avrei mai voluta scrivere, ma è stata necessaria. Non era neanche una di quelle che avevo nelle bozze, ma è nata – diciamo così – per caso e proprio per necessità.

Una mia amica è venuta a mancare ad ottobre nello stesso modo di Isabel, e per me e il mio gruppo di amici è un lutto tanto, forse troppo, difficile da metabolizzare. Aveva ventuno anni, io e lei eravamo completi opposti ed era la persona più gentile di questo mondo; i suoi organi hanno salvato tre persone, e sarò per sempre grata ai suoi genitori per la loro scelta. Se poi mettiamo in conto che io faccio letteralmente schifo a metabolizzare i lutti, ecco che ciccia fuori "The Laws Of The Universe", perché se non so fare qualcosa, nel dubbio scrivo, scrivo sempre. Questa storia racchiude i due lutti che proprio non mi vanno giù, e cerca di dare più o meno un senso al fatto che non c'è colpa nel sopravvivere a qualcuno, e che la vita in ogni caso non si può fermare perché qualcuno è morto. Alla fine, è solo il ciclo naturale degli eventi, per quanto a volte sia crudele. Più facile a dirsi che a crederci davvero, eh? Lo so, ma ci sto lavorando. 

Nonostante tutto, questa storia è la mia preferita fra quelle che ho scritto e diventerà una long con personaggi originali, che ho intenzione di provare a sottoporre a qualche editore (e lì col cavolo che potrò presentare i capitoli sgrammaticati come mio solito, mannaggia!) e che quindi non pubblicherò su Wattpad o EFP. Nel caso ci sia qualche disperato che mi accetta, vi faccio un fischio. 

Volevo solo dire grazie a tutti voi che avete dedicato tempo a questa storia, grazie a Giulia, che ha ascoltato il plot per prima e i miei audio su WhatsApp lunghi 20 minuti (sono una persona ORRIBILE e non mi pento) e grazie a te, amica mia, per la lezione di vita. Sarò gentile e avrò coraggio, come Levi. 

Non mi dilungo troppo, ancora grazie mille a tutti e alla prossima!

 
   
 
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