Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    27/02/2020    5 recensioni
Tre fratelli.
E una tecnica segreta che rappresenta la summa, lo stadio ultimo di una disciplina millenaria dall'incomparabile potere distruttivo.
Ed il modo in cui essa coinvolgerà le loro vite, ed i loro rispettivi destini.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jagger, Kenshiro, Raul, Ryuken, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La giornata stava per giungere al tramonto. Le prime stelle stavano iniziando a far capolino nella parte più blu della volta celeste. Quella che sta per sopraggiungere e che guadagna sempre più spazio col passare dei minuti, incurante degli ultimi strati dalle tonalità e dalle sfumature accese del rosso, del giallo e dell'arancio che proprio sembra non ne vogliano sapere, di cedere il passo.

YUGURE, il crepuscolo. Così veniva chiamata quella fase particolare.

Oppure TASOGARE – DOKI, se proprio si aveva l'intenzione di considerarne tutti gli aspetti e le derivazioni. Comprese quelle di stampo più religioso, spirituale ed animistico. Soprattutto quelle.

Il crepuscolo. Il momento della sera o della mattina in cui non é più giorno ma nemmeno ancora notte. Oppure l'esatto contrario. Il momento in cui il mondo così come lo conosciamo pare dissolversi, anche solo per un breve attimo. Ed il momento in cui si può incontrare qualcosa di non propriamente umano.

E' un solo attimo, e come un solo attimo dura. Almeno per noi. Per altri...si può dilatare fino a poter durare anche all'infinito. E' l'attimo in cui due o più mondi si possono incrociare o sovrapporre, poiché i confini che li delimitavano scompaiono. Il momento in cui, se si ha la fortuna o la disgrazia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto o nel posto sbagliato al momento sbagliato, si può passare da un piano all'altro.

Il crepuscolo. L'ora in cui gli spiriti possono vagare fianco a fianco con gli uomini, anche se questi ultimi non sempre possono vederli. Oppure possono, a patto di possedere la giusta predisposizione mentale e correttezza d'animo.

Ma ammettere ed accettare la loro presenza ed esistenza é già una buona cosa. Un buon punto di partenza. Perché se si vuole iniziare a superare i limiti imposti dalla propria condizione di mortali...un saggio inizio é rappresentato dal fatto di comprendere che esistono cose che i nostri occhi non sono in grado di vedere o scorgere.

L'interno del tempio era immerso nella semioscurità. L'unica fonte di luce era costituita dal crepitare di una grossa fiamma sprigionata da un ampio braciere di forma circolare, i cui riflessi sembravano far tremolare le colonne poste lungo i lati ed adibite a sorreggere la vetusta struttura. Il braciere in questione si trovava sopra ed al centro di una sorta di piano rialzato, raggiungibile mediante una triplice fila di scalini.

Un intenso odore di resina di pino mescolata con incenso impregnava l'intera zona, fino alla più piccola fenditura e crepa di ogni mattone del pavimento e piastrella delle pareti. Una fragranza accompagnata a braccetto dall'intenso crepitare della legna da ardere che doveva contenere ampie tracce di entrambe le odorose sostanze.

A prima vista ricordava una di quelle are o di quegli altari che, in tempi remoti, venivano impiegati dai sacerdoti o dagli sciamani per il loro riti propiziatori. Oppure per i sacrifici, talvolta anche umani. Per ingraziarsi gli Dei, e sperare così di ottenere i loro favori. Dei a cui, di sicuro, dovevano appartenere le due figure che si trovavano ai lati del focolare. Ed anch'esse soggette al suo curioso effetto, al punto di sembrare vive ed animate.

Erano due statue, alte fin quasi al soffitto. E raffiguravano i due numi tutelari della lotta, che da sempre proteggevano il casato che li ospitava. E l'arte che gelosamente custodiva.

AH e UHM. Le due divinità guardiane che simboleggiavano le due fasi del combattimento e i due possibili approcci all'esistenza. Rappresentavano sia la battaglia che la vita, e parevano suggerire i due unici quanto corretti modi per proporsi ed affacciarsi ad entrambe. Gli unici validi.

Le due parti di un tutto. Yin e Yang, bianco e nero, luce e tenebre, uomo e donna, bene e male.

Erano entrambi in posizione ed assetto marziali, con le gambe leggermente piegate e all'altezza delle spalle e le braccia spalancate, come in procinto di sferrare un attacco. Il loro braccio arretrato era caricato oltre la spalla corrispondente, contratta nello sforzo di sorreggerlo, e dietro il capo. Sembravano davvero sul punto di scagliare un attacco. Furioso quanto portentoso e possente.

Lo sguardo di ambedue era severo e concentrato, ed il cipiglio feroce. Le sole cose che li differenziavano erano minime, ma sostanziali.

L'atteggiamento. Il modo in cui tenevano le mani, aperte a mostrare i palmi in uno e chiuse a pugno nell'altro. Quest'ultimo aveva la bocca chiusa, con le labbra e le gote enfiate fin quasi sul punto di scoppiare, da un istante all'altro. Quello che si sarebbe potuto definire senza alcuna paura od eventuale timor di dubbio come il suo perfetto quanto identico gemello ed opposto, invece, aveva la bocca spalancata come a voler emettere un grido. Un urlo spaventoso e terrificante, che avrebbe di sicuro potuto mettere in fuga chiunque vi si sarebbe trovato di fronte o avesse potuto anche solo udirlo. Che si trattasse di un sol uomo oppure di un intero reparto o guarnigione.

Il primo reprimeva, il secondo esprimeva.

Repressione ed espressione. Gli unici due modi esistenti e conosciuti dall'universo intero di impiegare l'energia che lo permea e che avvolge al contempo ogni singolo elemento e particella che lo compone, come una membrana trasparente ed invisibile. Ma reale, solida, concreta.

Gli unici due modi di cui dispone, dall'alba dei tempi. Insiti nella sua natura quanto l'energia stessa che produce e che lo alimenta, tenendolo in vita e facendolo muovere e vibrare.

Rivolgerla verso sé stessi per accoglierla, accettandola. Oppure respingerla e rivolgerla verso gli altri, rifiutandola. Queste erano le due uniche scelte disponibili, da sempre.

Yin e Yang. Le due polarità contrapposte in perenne conflitto. Ma che non possono fare a meno l'uno dell'altra. Poiché é grazie proprio alla loro battaglia che ha origine il tutto.

Se uno dei due dovesse morire o scomparire, anche l'altro finirebbe col seguirlo subito dopo, e condividerne la stessa sorte. E proprio per tale motivo si fondono, si annullano e poi rinascono all'interno, nel grembo del proprio contendente e metà, inglobandosi e rigenerandosi in una continua, incessante e frenetica danza di vita, morte e rinascita. Il ballo che crea e mantiene ogni cosa. Ogni cosa che esiste e che si conosce. Ma anche quel che non si conosce, e che quindi non dovrebbe esistere. Ma che però C' E'.

Al mondo esistono anche cose che un essere teoricamente perfetto e dalle potenzialità enormi quanto infinite come l'uomo, che in virtù di esse rappresenta il massimo grado di evoluzione delle specie presenti sulla terra in quanto può coniugare sia l'istinto che la ragione fino a realizzarne una perfetta sintesi, non é in grado di comprendere o capire.

Ed é proprio per questo, per tale motivo, che é stata ideata la Divina Arte di Hokuto.

Ed é sempre per lo stesso motivo che essa può essere insegnata e tramandata ad un solo individuo per ogni generazione. Un individuo che deve fare sfoggio, oltre che di abilità assolutamente uniche ed eccezionali, anche delle giuste doti di rettitudine e della più assoluta correttezza ed integrità dal punto di vista morale.

La Divina Arte di Hokuto, in mani sbagliate, può tramutarsi in un'arma micidiale in grado di causare e di arrecare danni a dir poco enormi. Ma se utilizzata nella giusta maniera, essa si tramuta in un mezzo che il successore nonché depositario impiega per condurre i propri simili e l'intero genere umano alla salvezza.

Perché gli anni, i secoli e le ere passano, e tutto scorre e cambia.

Ma come esiste una cosa, deve esistere il suo perfetto opposto. Per completarla.

Come esistono il lago o il fiume dall'acqua corrente, limpida e pulita, esistono anche l'acquitrino o la pozzanghera dall'acqua ferma, stagnante e putrida.

Tutto scorre e cambia. Ma esiste anche una cosa che non cambia mai, proprio per via della sua natura immobile.

IL MALE.

Il male non muore mai. Altrimenti non potrebbe esistere nemmeno il bene.

Hokuto rappresenta la parte oscura del mondo, così come Nanto ne é la parte chiara. Nel caso del divino pugno della stella del Sud, chiunque può attingere senza paura o timore in quella luce. Ed é proprio per questo motivo che quell'arte ha finito col suddividersi e frazionarsi in innumerevoli scuole e discipline diverse. Dove ognuna di esse ha preferito specializzarsi in poche, specifiche tecniche.

Per contro il bagaglio, l'eredità del divino pugno della stella del Nord é qualcosa di incommensurabile, di immenso. E solo un prescelto alla volta può affondare entrambe le mani in tutto quel buio denso come la pece. Per brandire la sacra spada con cui scacciarlo ed annientarlo.

Un'altra cosa in cui di i due colossi di pietra sembravano accomunarsi erano i loro occhi. Tutti e quattro puntati sulla solenne figura posta al centro della stanza.

Il vecchio monaco sedeva con le ginocchia incrociate nella tipica posizione del fiore di loto, in contemplazione. Le sue braccia poggiavano sull'interno delle cosce e le mani erano giunte, con le dita intrecciate le une nelle altre. La loro posizione ricordava una di quelle utilizzate dagli sciamani e dai sensitivi durante le loro invocazioni. Ed erano situate all'altezza dell'ombelico. Un paio di dita più sotto, in verità.

In corrispondenza di un punto ben preciso dell' HARA, il ventre. Il punto dove si trova e risiede l'origine di tutte le energie spirituali di un individuo. Ed il punto dove esse si concentrano e confluiscono, per poi espandersi fino ad abbracciare l'intero cosmo.

Il punto che mette in comunione l'uno, il singolo, con il tutto. Con l'intero creato.

Il TAN – TIEN.

Nonostante i suoi occhi fossero aperti e ben spalancati al pari di quelli delle due gigantesche statue, ne condividevano una pari vacuità ed immobilità.

Il suo sguardo stava andando praticamente alla deriva. Non si stava focalizzando su nulla in particolare, eppure osservava tutto. Osservava ogni cosa senza lasciarsi sfuggire nulla, nemmeno il più piccolo ed insignificante dettaglio. Perché sono proprio le cose che un essere umano definisce insignificanti e prive di valore a costituire la realtà. La SUA realtà.

Poter essere in grado di vedere ovunque senza fissarsi su niente. Questo é il vero atto del GUARDARE.

Lo stesso stava facendo con i suoi pensieri. Li lasciava avvicinare quel tanto che bastava loro per giungere fino alla soglia della sua attenzione, per poi lasciarli fluire ed allontanare. Li stava trattando alla stregua di tante bolle d'aria, piccole e grandi, che risalivano alla superficie dal fondale di un torrente dopo aver rimosso e smottato una grossa pietra che vi era adagiata da anni. Da secoli, forse.

Perché quello erano, e nulla più. Nient'altro che bolle, nonostante alcune fossero a dir poco enormi.

Molte gocce d'acqua tutte insieme finiscono col formare e potare la pioggia. E il cielo viene perennemente solcato da nubi che vano e che vengono. Cumuli, nembi, cirri e strati.

Ma la pioggia non é nemmeno una di quelle gocce d'acqua che la formano e la compongono. Così come il cielo non é nessuna di quelle nubi. Per il semplice fatto che si trova AL DI SOPRA delle nubi. Il suo azzurro rimane immutato.

Il cielo é al di sopra. Al di sopra di tutto. Sempre uguale.

Per la mente é lo stesso. Mille e mille pensieri si affacciano, in continuazione. Senza sosta alcuna. Alcuni belli, alcuni brutti. Altri divertenti, altri tristi. Altri ancora piacevoli, altri ancora sgradevoli, e così via. E poi immagini, suoni, colori, odori, ricordi. Ma la mente non é nessuno di essi.

La mente, il cielo e la pioggia non sono nemmeno uno dei suoi pensieri.

Li stava scrutando uno ad uno, uno alla volta mentre passavano, con estrema calma ed attenzione. Scartando quelli che non riteneva degni del suo interesse, ed in ogni caso senza lasciarsi minimamente sfiorare o coinvolgere, da nessuno di essi. Né dal contenuto, e nemmeno da ciò di cui trattavano o si occupavano. Li faceva entrare nella sua dimora e gliela faceva attraversare per intero, per poi rimetterli alla porta dal versante opposto della propria magione.

WU – WEI. Il non opporsi. Il non interferire. Il lasciar fluire.

Consisteva nel far tornare l'uomo alla sua funzione primaria. Quella per cui era stato creato, sin dal principio. La sola che lo differenziava dalle piante, dagli animali e da qualunque altro essere vivente. E quella di cui aveva finito col dimenticarsi dal momento in cui aveva deciso di rimanere invischiato nelle faccende del mondo.

Quella di essere un semplice osservatore. Un puro e semplice osservatore, e basta.

Non c'entrava nulla l'intelletto. E neanche la fede. Era soltanto la capacità di osservare e contemplare sé stessi. L'opportunità che l'universo, che Dio aveva concesso all'uomo per guardarsi, e per auto – guardarsi tramite esso.

Sia dentro, sia fuori. Con l'essere umano che, mediante la sua coscienza e la sua consapevolezza, si tramutava nella soglia, nel punto di contatto ed insieme di separazione tra questi due emisferi.

Dentro e fuori. Yin e Yang, di nuovo.

E di nuovo un pensiero si affacciò su quella soglia. O, meglio, si riaffacciò. Fece ritorno.

Perché gli invitati e gli ospiti sanno e possono essere piuttosto ostinati ed invadenti, alle volte. E continuare a ripresentarsi anche dopo che li é si é fatti allontanare, invitandoli a cambiare aria. Più e più volte.

Ma tutto ciò non deve certo confondere, o disorientare. Non bisogna mai cambiare atteggiamento, o abitudini, poiché ciò equivarrebbe a cedere. Equivarrebbe a farsi condizionare, dominare da quel pensiero. A riconoscere la sua gravità, e a dargli importanza. Ed energia.

Occorre continuare a fare ciò che si é fatto in precedenza, fino a quel momento. Li si fa entrare, li si conduce per le stanze e poi li si fa uscire. Ancora e poi ancora. Tutte le volte che occorreranno. Tutte le volte che sarà necessario. Con solerzia, fermezza, pazienza e perseveranza. Fino a che l'ospite gradito deciderà di non ripresentarsi mai più.

Nient'altro. Puro e semplice.

Devono essere i pensieri a stancarsi per primi, non colui che li sta pensando.

Ma quel pensiero che era tornato a bussare alla sua porta era da tutto il giorno che vagava senza quiete né pace nel vuoto. Nel suo vuoto meditativo, cercando disperatamente di segnalare ed i reclamare la sua presenza.

Ogni pretesto era buono. E questa volta scelse come appiglio una considerazione che non era né bella né brutta. Né divertente, né triste. Né piacevole, né sgradevole. Solo sciocca.

Si. Una considerazione stupida. Persino frivola, si sarebbe potuto affermare senza ombra di dubbio alcuno.

Una considerazione che riguardava i suoi vestiti. Il suo attuale abbigliamento.

Indossava un saio color dell'ambra, egualmente ripartito in due tonalità. Una più chiara ed una più scura. La parte più interna del tessuto, per la precisione quella che provvedeva ad avvolgere la zona attorno al suo collo, era invece bianca.

Bianca come il latte. O come le nuvole. O come la spuma ribollente delle onde del mare.

Intorno ad essa vi era un monile che ricordava un enorme rosario. Di quelli usati dai praticanti buddhisti o Chan – Zen nel corso dei loro rituali ascetici o purificatori.

Con ogni probabilità doveva esserlo. Ed in quanto tale, lo componevano dei grossi grani marrone scuro tenuti insieme da una corda sottile. Di seta, e sempre bianca.

Bianco, ambra e marrone. E poi di nuovo bianco.

Nubi dal cielo e spuma dal mare. Le prime, mediante la pioggia che portano in pancia, fanno precipitare la vita dall'oceano sospeso per aria in cui si trovano e galleggiano sulla terra. E da lì la fanno germogliare. Il secondo la fa nascere all'interno delle sue viscere per poi farle riemergere in superficie, trasportate dalle creste dei flutti.

Ma la pioggia e la spuma non sono nessuno di questi pensieri. Non sono la vita. La conducono, e basta. Ma proprio come essa, vanno e vengono.

Pioggia e spuma. Ma anche latte. Latte materno. E liquido amniotico, e placenta ed altri vili, caldi e viscosi umori associati al travaglio, al parto e alla nascita, se si volevano prendere in considerazione gli altri due restanti componenti di quella variopinta triade.

Tutti simboli che stanno ad indicare una vita che viene al mondo. Anzi...che TORNA al mondo.

Una vita nuova. Perché la vita non é affatto una sola, anche se a prima vista tende ad apparire proprio come tale.

Un individuo, OGNI individuo, può morire e rinascere molte volte, nel corso della sua intera esistenza. Migliaia di volte. Infinite volte. Anche nello stesso giorno.

Ma non é questo, ciò che conta davvero. I più lo fanno senza neanche accorgersene.

Occorre REDERSENE CONTO. Esserne CONSAPEVOLI. Di ogni volta che accade.

Dare una nuova vita. Uccidere per poi aiutare a risorgere. Lasciare che avvenga la rinascita, non impedire che ella giunga. Non é forse questo il compito di un SENSEI? Di un GURU?

Non é forse questo il compito di un MAESTRO, nei confronti di tutti quanti i suoi allievi? Di ogni suo allievo?

Accogliere i discepoli nel proprio grembo, come farebbe una madre con i suoi figli e una femmina coi suoi cuccioli. Per poi distruggerli, innanzitutto.

Per demolirli. E demolire, insieme ad essi, tutte le loro certezze. Tutto ciò che conoscono o che hanno la presunzione di credere di conoscere. E' fondamentale. Anche se talvolta può essere doloroso. Assai doloroso.

E da lì iniziare a svezzarli ed educarli, proprio come farebbe un padre, insegnando loro tutto quel che gli occorre. Per costruirli e plasmarli a propria immagine e somiglianza.

Solo a quel punto, quando l'addestramento é finalmente completo ed il cerchio si é chiuso...solo allora é possibile farli ritornare al mondo. O provvedere ad eliminarli definitivamente, qualora si rivelassero inadatti ed indegni dei suoi precetti.

Padre e madre. Uomo e donna. Yin e Yang.

Tutto torna. Torna sempre a quello, invariabilmente.

Non aveva figli naturali. La natura non gli aveva concesso quella possibilità. Non aveva voluto donargli quello che costituisce in simultanea il più gran privilegio e la più grande gioia, per un essere vivente.

Aveva quindi preso con sé quattro ragazzi. Essi si erano affidati totalmente a lui, con somma fedeltà e devozione. E lui, in cambio, gli aveva cresciuti ed allevati come se fossero suoi discendenti naturali.

Con tre di loro ci era riuscito. Con il quarto, purtroppo, aveva definitivamente perso qualunque speranza a riguardo. Le febbri e i fantasmi della follia gli avevano ormai divorato più di mezzo cervello, ed erano ormai in procinto di prosciugargli anche la parte rimanente. Privandolo di quel poco di senno e di ragione che gli erano ancora rimasti.

Tre papabili candidati. E tutti quanti promettenti. Molto promettenti. Ma uno solo era il predestinato. Ed uno solo sarebbe stato il prescelto, tra loro.

Colui che avrebbe dovuto ricevere il lascito.

Ereditare l'arte. Per poi tramandarla a qualcuno di altrettanto degno.

E presto sarebbe giunto il momento di prendere la decisione definitiva.

Quello era il suo compito.

Perché lui era RAMON KASUMI.

L'ultimo tassello di una lunga e gloriosa linea di discendenza diretta che ad ogni generazione aveva regalato un solo ed unico rappresentante.

Ultimo esponente sia della sua famiglia che del suo nobile casato, da sempre depositari della leggendaria tecnica della sacra scuola di Hokuto – Shinken.

Ramon Kasumi.

Ma quello era il suo nome di un tempo. Di quando era un ragazzo spensierato, seppure fosse già un abile e temibile combattente, già dotato di capacità al limite del sovrumano.

Quando per lui le arti marziali erano un modo come un altro per tentare vincere la noia ed il tedio dell'esistenza. Alla pari di decine di altri lavori, discipline, passatempi e divertimenti impiegati dal resto delle altre persone per i medesimi motivi.

Questo prima di accorgersi che esisteva qualcosa di più profondo. E che per raggiungerlo era necessario, fondamentale rinunciare ed abbandonare i desideri terreni. Ma solamente dopo aver ben compreso che essi sono privi di qualunque importanza e rilevanza. Altrimenti...si finisce solo col condannare sé stessi. E poi gli altri, a ruota.

E' un passo obbligato, prima di scegliere ed abbracciare la vita monastica.

Solo a quel punto, solo allora si può rinunciare al proprio nome, insieme alla vita passata che rappresenta.

Un nuovo nome, che diventerà quello di battaglia. Proprio come il grado o un numero di matricola di un generale o di un soldato.

E lui lo aveva fatto. Aveva fatto tutto questo, per poi scegliersi un nuovo nome.

Il SUO nuovo nome.

RYUKEN.

IL BONZO RYUKEN.

Maestro ed attuale reggente della Divina Arte di Hokuto.

Il SESSANTATREESIMO, per la precisione.

Ed in quanto tale, a lui e lui soltanto spettava la scelta del successore.

Udì dei rumori in vicinanza e all'esterno del portone d'ingresso.

Rumori di passi, lenti ma decisi.

Qualcuno si stava avvicinando. Ed il vecchio ben sapeva di chi si trattasse.

Questo perché, nonostante la veneranda età, poteva disporre ancora di un udito sopraffino. Lo aveva già sentito sopraggiungere da lontano, ancor prima che si avvicinasse all'uscio dell'ampio salone.

Ma non solo. Ormai aveva memorizzato e conosceva a menadito il modo di camminare di ognuno dei suoi figli. Il solo incedere gli permetteva di identificarli ancor prima che entrassero all'interno del suo campo visivo, ed ancor prima che riuscisse a distinguerne le sagome, i contorni, l'aspetto. Ancor prima di arrivare a poterne scorgere il bianco degli occhi.

Uno dei due battenti, quello di sinistra, si mosse ed iniziò a spalancarsi lentamente. La figura che l'aveva aperta stazionò al suo fianco dopo averlo aperto, come in attesa.

Ryuken sorrise. La sua lunga e candida barba tremolò e parve muoversi lievemente, assecondando l'incresparsi delle labbra in prossimità degli angoli.

“Ti stavo aspettando” gli disse con voce gentile, mentre si alzava lentamente in piedi. “Entra pure, KENSHIRO.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E proseguiamo con la storia. In questo episodio viene introdotto un personaggio a dir poco fondamentale, almeno nella parte iniziale di questa vicenda.

Ryuken. Il padre adottivo dei tre discepoli più potenti che la Divina Arte di Hokuto abbia mai avuto il privilegio di possedere tra le sue fila di praticanti.

Allora, che ne pensate?

Mi ha sempre affascinato, la sua figura.

Devo confessarvi che ho sempre ritenuto i maestri presenti all'interno del cartone (e del manga) come delle figure di assoluto spicco.

Lo stesso Ryuken, appunto. Oppure Ogai, il maestro della tecnica della Fenice Immortale ed istruttore di Souther. Oppure Fugen , il maestro dello stile dell' Aquila Solitaria e padre di Shin. Visto nel film LA LEGGENDA DEL VERO SALVATORE.

O Jukei, nonostante gli errori che ha commesso.

Forse hanno fatto scelte anche discutibili, nel corso della loro vita. Ma vedendo quel che avevano tra le mani, li si può forse biasimare?

Spesso l'essere il sommo depositario di una tecinca così potente obbliga a decisioni estreme.

Chi non mi é piaciuto per niente é stato Rofu, il maestro di Rei nel manga LA LEGGENDA DEL LUPO BLU.

Fosse solo quello il problema, lì. Se si sorvola sulla presenza abbondante di poppe, culi e donnine ignude che manco in un doujinshi...

Insomma...il maetro di Rei, almeno per come la vedo io, NON PUO' ESSERE UN CRETINO DEL GENERE.

A tempo debito gli renderò giustizia.

Intanto occupiamoci di Ryuken. Ho cercato di trasmetterne tutta la solennità e la grandezz, in questo episodio. Ma anche nei prossimi.

Spero vi piaccia.

Passiamo all'angolo dei ringraziamenti, ora.

Un grazie di cuore a Plando, Devilangel476 e Kumo no Juuza (a te complimenti anche per la tua, di storia. Davvero molto bella!) per le entusiastiche recensioni al primo capitolo.

Grazie ancora e...

Alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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