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Autore: LaMicheCoria    28/02/2020    1 recensioni
Lei inclina il volto, socchiudendo le palpebre. Si tende nella sua direzione con un movimento impercettibile -Lui si sente quasi a disagio: è come mentire al proprio riflesso allo specchio. Peggio, forse. Sta mentendo al proprio doppio, sta celando per due volte la verità a se stesso.
E si sente doppiamente più stupido.

[What If] [Genderben!Character] [Stony]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono,
La storia è scritta senza fine di lucro alcuno.




I Wanted To Go With You
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Il Diner è quasi vuoto.
Ci sono loro due, seduti ad un tavolo, che sorseggiano caffè caldo e si squadrano nel reciproco silenzio. Gli occhi azzurri di lei indagano ogni posa delle sue spalle, ogni tensione dei muscoli o della schiena, qualsiasi movimento,qualsiasi tentennare.
Lui vorrebbe trovare conforto nella sua presenza, ma non gli riesce. Non gli riesce di trovare alcuna consolazione, non il più piccolo sollievo.
Sono insieme, eppure così innegabilmente soli.
“Quanti anni...?” le domanda, mentre lei lo squadra da sotto le ciglia bionde e gira e gira e rigira il cucchiaino nella tazzina, tling tling tling.
“Sette.”
“Sette?”
“Sembri stupito.”
Lo dice senza troppa enfasi. Non sembra neanche un'accusa. Gli gira circospetto attorno, come il predatore in attesa di attaccare. Lei è così, lo ha capito dal primo momento in cui l'ha vista -A conti fatti, la conosce più di quanto voglia ammettere e questo spaventa entrambi. Non c'è astio, tra loro, sarebbe perfino ironico vista la loro situazione, bensì una sorta di...elettricità sottopelle. Piccole scosse nervose, vibrazioni d'assestamento.
“Hai ragione. Lo sono.”
“Pensavo ti fossi ormai abituato alla molteplicità del Multiverso.”
“Alcune cose sono ancora in grado di sconvolgermi. Ti ho detto delle Scimmie e degli Zombie, vero?”
Lei gli risponde con un accenno di sorriso. E' un espressione vaga, la sua, che usa per mascherare un sospiro; sistema una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e il movimento della spalla nuda mette in risalto il percorso madreperlaceo della cicatrici lungo il braccio. Un anello brilla all'anulare. Al collo, una fede piange una lacrima di luce.
Pepper, gli viene da pensare, le porta allo stesso modo. Forse, chissà, proverebbe più empatia con lei e troverebbero insieme un punto di contatto nella reciproca sofferenza.
Pepper non è con lui, però. Nessuno è a conoscenza di questo suo viaggio. Del caleidoscopico vagabondare tra le frange mistiche del Multiverso -Solo l'Antico lo sa. L'Antico cui ha riportato la Gemma del Tempo e che lo ha guardato così a lungo da farlo sentire di nuovo bambino, microscopico, sperduto dinanzi alla vastità dell'Universo.
Troverò ciò che cerco?
Dipende da quanto avanti sei disposto ad andare.
Guardando il dolore che scurisce lo sguardo di lei ed avvertendolo affondare bollente dentro il proprio cuore, non è poi così sicuro che l'Antico si riferisse ad un viaggio puramente fisico. Solo, non è certo di volerlo comprendere appieno.
Non ora.
“Fa ancora male?”
Un piegarsi incolore della bocca.
“Farà sempre male.” gli risponde la donna, mentre puntella il mento sul pugno chiuso “Tu, come me, dovresti saperlo bene.”
“Era un amico. Un caro amico.”
Lei inclina il volto, socchiudendo le palpebre. Si tende nella sua direzione con un movimento impercettibile -Lui si sente quasi a disagio: è come mentire al proprio riflesso allo specchio. Peggio, forse. Sta mentendo al proprio doppio, sta celando per due volte la verità a se stesso.
E si sente doppiamente più stupido.
“Avresti dovuto dirglielo.” bisbiglia “Quando Carol lo ha riportato da te.”
“Tu lo hai fatto?”
“Sì.” ammette, quindi scuote la testa -Per un istante, quel racconto pare renderla inspiegabilmente felice. “Ho corso più veloce che potevo, quasi ne dipendesse la mia vita.”
“E non avete litigato, dopo?”
“Oh, abbiamo litiga
to parecchio.” calca quella parola con una risata, nasconde le labbra dietro le dita “Quando la tensione è stata troppa per lui e si è sentito male, ho vegliato al suo capezzale per giorni interi. Non riuscivo a lasciarlo. Quando si è svegliato ricordo solo che mi chiese per quale motivo fossi lì.”
“E tu cosa gli hai risposto?”
Per starti vicino.”
La semplicità di quelle parole è troppo per lui. Sente il respiro che si spezza in gola, non riesce quasi a respirare. Non può essere bastato così poco, no. Non può essere bastato così poco per sistemare le cose, per ricostruire ciò che è stato distrutto, per tendersi la mano dopo anni di silenzio, dopo la battaglia e la lotta e l'odio ed il sangue e la neve.
Non può essere bastato così poco.
Qualcosa deve essere accaduto, nel frattempo. Ammissioni di colpa, teste chine, l'orgoglio messo a tacere e spinto là, in fondo, sempre più in fondo nello stomaco, insieme al rimpianto, insieme all'amarezza.
Deve esserci stato un sacrificio, ad un certo punto. Uno dei due deve aver sacrificato qualcosa, deve aver sacrificato qualcuno, giacché gli pare impossibile che una situazione tanto grave, senza via di fuga, una situazione avvelenata dal rancore possa essersi risolta così, in un breve scambio di battute.
O forse, forse non sono state le parole. Forse sono stati gli atti che ne sono seguiti. Forse lei ha mantenuto la promessa che lui ha mancato, prima e dopo, quando invece di sostenerlo lo ha lasciato solo ad affrontare un vuoto crudele, un vuoto di quelli che ti ingoiano e non sputano indietro nemmeno le ossa.
Lei probabilmente gli è davvero rimasta accanto, mentre lui ha tentato di guarire guarendo gli altri: persone sconosciute, persone che non avrebbero mai superato la sua comfort zone, che non l'avrebbero mai messo di fronte ai fatti, non l'avrebbero mai costretto ad affrontare il dolore, la perdita, l'accusa.
Tony lo avrebbe fatto. Tony non gli avrebbe risparmiato nulla, avrebbe rincarato la dose già spinta sottopelle al suo ritorno da Titano.
E chiissà...Forse, forse, dopo tutte quelle parole, dopo tutte quelle accuse, le dita puntate, le ferite lasciate aperte, i morsi, i sensi di colpa, forse dopo l'incendio di una lite faccia a faccia avrebbero scoperto un terreno fertile da cui poter ricominciare.
Ad interrompere i suoi pensieri è la mano di lei, calda sulla sua.
Deve aver dato voce al tumultuare dentro la sua testa semplicemente guardandolo ed ora gli sorride e lo fa con dolcezza, dimostrandogli ancora una volta di aver sbagliato a giudicare lei, a giudicare se stesso, a giudicare entrambi.
“Lui ti voleva bene.” mormora il suo doppio “E sono certa che anche lui sapeva quanto tu lo amassi.”
La consapevolezza più grande può esistere solo e soltanto tra loro, in quel momento, in quel Diner quasi vuoto, tra i rumori dei piatti lavati e delle stoviglie che tintinnano scontrandosi tra loro, il fischio della macchinetta del caffè e lo sbuffare roco dei cuochi dentro le cucine.
Uniti da un unico sentimento, dal dolore e dall'affetto, a Terre di distanza.
Poi, una seconda mano arriva a coprirgli le dita. E' una mano piccola piccola, una mano di bambina, e di bambina è il cuore che sente battere contro il proprio petto, quando la sente lasciargli la mano per abbracciarlo, tesa sulla punta dei piedi. E' alta per avere sette anni, è alta e forte e i suoi occhi nocciola sono vispi e scaltri e intelligenti e i capelli castani raccolgono dal sole dieci, cento, mille riflessi biondi mentre saltella e si aggrappa per stringerlo più forte.
“Margaret Stark!” la richiama allora la donna “Ti sembra questo il modo di comportarsi?”
“Steve mi sembrava triste, mamma.” risponde la piccola che, ancorata alla vita dell'uomo, si volta a guardarla con un sorriso. Poi, come colta ad un pensiero improvviso, si gira ad osservare Steve, quindi sua madre, poi di nuovo il Capitano. “Sai, mamma.” esordisce “Tu e Steve vi somigliate tantissimo.”
Stephanie, a quelle parole, non può fare a meno di sorridere. Occhieggia l'altro da sotto le ciglia, sistemando la spallina della maglia con la stampa dello scudo a stelle e strisce.
“Hai ragione, piccola mia. Ci somigliamo moltissimo.”











Un giorno, all'improvviso, Ipsen chiese a Corin...
"Perchè mi hai seguito?"
"E cos'ha risposto Corin?”
...Per starti vicino!"
- Final Fantay IX






Le Note della Neme
Dopo la Civil War, nei Comics Reed Richards ci ha mostrato Earth-3490. Lì, la Guerra Civile tra i Supereroi non era mai avvenuta. Lì, Steve Rogers e Natasha Stark hanno superato le loro divergenze grazie all'affetto ed all'amore che provavano l'un l'altro, per poi convolare a nozze.
Sono convinta che, da qualche parte nella vastità del Multiverso, esista anche una Stephanie Rogers, con lo scudo alzato e chissà, con un happy ending migliore di quello che le ho dato io.



   
 
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