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Autore: _Malila_Pevensie    29/02/2020    0 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 14
-SI APRONO LE DANZE-


Nei giorni successivi nessuno dei due riuscì più a sfuggire alle ore quotidiane di lezione. Ogni minuto passato in compagnia delle dame di corte, che le insegnavano come si sarebbe dovuta porre al banchetto, faceva sentire Freya sempre più inadeguata.
Il mattino di quello che per la corte sembrava un gran giorno trovò il castello in una frenesia di preparativi che la ragazza faticava a capire. Insomma, era davvero necessario mettere in piedi una baraonda del genere solo per celebrare il suo arrivo? Non aveva mai chiesto nulla di simile, né tanto meno lo voleva. Ogni volta che le sovvenivano pensieri simili, in ogni caso, si ripeteva la stessa identica cosa: aveva scelto quella vita, ora ne doveva seguire le regole.
Per tutto il giorno, fu tenuta nella propria stanza da Malia, che insistette per farla preparare a ogni evenienza. Essendo stata nominata responsabile della sua istruzione sul galateo, la donna sembrava del tutto intenzionata a non farla sfigurare e a non sfigurare lei stessa. Per quella ragione, continuò a farle ripetere tutte le frasi di circostanza che avrebbe dovuto sapere, la riverenza giusta da praticare in presenza dei nobili, il portamento che doveva tenere. Nel mentre, la Sala del Trono veniva preparata con tutta la dedizione dei mastri di palazzo e le cucine sfornavano tutte le leccornie possibili e immaginabili; tra un ripasso e l'altro, l'ancella le descrisse nel minimo dettaglio lo sfarzo a cui si sarebbe trovata dinnanzi.
Quando, nel tardo pomeriggio, Madama Cloelia in persona venne a portarle l'abito, i nervi di Freya erano già stati messi a dura prova. La sarta restò per dare una mano a Malia e le due donne la vestirono parlottando energicamente fra di loro. La giovane le sentiva dire quale meravigliosa serata sarebbe stata per lei e quanto incantevole sarebbe stata dopo che avrebbero finito di prepararla, ma l'unica cosa che lei riusciva a provare era un vago senso di nausea.
Cloelia controllò che ogni dettaglio dell'abito fosse come doveva essere, poi si congedò per lasciare che Malia ultimasse i preparativi. Nel lasciare la stanza, disse a Freya: «Porta la mia creazione con orgoglio. Io ne vado molto fiera, come ben sai, perciò non mi aspetto nulla di meno.»
Naturalmente, più che incoraggiarla, quelle parole servirono ad aumentare ancor di più la sua ansia. Si lasciò pettinare agitandosi a disagio sulla sedia, non sentendosi per nulla partecipe di quello che le stava accadendo attorno, soprattutto di quell'esagerato entusiasmo generale. Era come se gli eventi si stessero evolvendo senza che lei ne avesse minimamente il controllo. Fortunatamente, Malia le concesse almeno di lasciare i capelli piuttosto liberi: si ritrovò la parte superiore intrecciata in una trama complicata, ornata da piccoli fermagli in ferro lavorato, e la parte inferiore in morbide onde sulla schiena. L'ultima cosa che indossò fu il medaglione di sua madre, prendendosi un attimo per osservarne lo sconosciuto disegno.
Nonostante il suo desiderio che la sera giungesse il più tardi possibile, presto le ombre presero ad allungarsi lungo le pareti; il cielo iniziò a imbrunire, tingendosi di sfumature violacee e aranciate. Quando venne mandata a chiamare, Freya non ebbe altra scelta che lasciare la sua stanza. Procedette lungo i corridoi sempre più nervosa, pregando silenziosamente di non inciampare nel vestito e fare una figura tremenda di fronte a tutti.
Presto, raggiunsero la Sala del Trono. La prima cosa che Freya notò, giunta al cospetto della grande porta, fu l'allegro vociare che proveniva dall'interno. Rimase lì davanti, immobile, per quella che le parve un'eternità. Poi, il portone si spalancò, rivelando la luccicante sala, e più lo spiraglio fra i due battenti si allargava più gente lei scorgeva. Le lanterne cangiavano lungo le pareti, proiettando le loro ombre affusolate contro la pietra grigia e solida.
Il mosaico sul soffitto fu la prima cosa che le saltò all'occhio, brillando fulgido in ogni punto in cui le pietre catturavano la luce. Solo in un secondo momento rivolse la propria attenzione a tutto il resto: tre lunghi tavoli erano stati disposti paralleli l'uno all'altro al centro del salone; lungo le pareti cadevano drappeggi di morbida stoffa, in un tripudio di viola e porpora, il colore ufficiale del Regno; uno stendardo con l'effige di Errania era stato appeso dietro al trono e la filigrana d'oro di cui era intessuto brillava fioca nella luce.
La Regina era seduta a capo del tavolo centrale, affiancata da Darragh e Aran, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Capì solo allora, con tutti quegli occhi puntati su di sé, che ogni cosa era stata calcolata per far sì che lei fosse l'ultima a fare il proprio ingresso e che l'attenzione dell'intera sala fosse puntata su di lei. Solo un posto era rimasto libero, accanto ad Aran. La ragazza tirò un sospiro di sollievo all'idea di averlo accanto e fu l'ultima cosa che poté fare.
Mirea si alzò, maestosa nel suo abito viola scuro, e ottenne il silenzio con una sola occhiata. «Membri della corte di Errania, sono lieta di avervi tutti qui riuniti. Finalmente è giunto il momento di trovare qualcosa per cui gioire e l'arrivo di questa giovane promessa lo è. Con immensa e malcelata gioia, oggi voglio celebrare il ritorno tanto atteso di Freya, figlia adorata di Eleana e Harden, i cui nomi voi tutti ricordate. Vogliate unirvi a noi in questo giorno di festa» parlò, la sua voce era chiara, forte e ferma. Sembrava che nulla potesse far vacillare quella donna.
La Regina fece cenno a Freya di avanzare. I musici, discretamente posti in un angolo, intonarono una melodia per accompagnare la sua marcia. I nobili presenti applaudirono composti, alzandosi dalle loro sedie imbottite e rivolgendole sorrisi che avevano ben poco di genuino, traditi dal gelo dei loro sguardi. Le sembrò che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato in quello che stava facendo, ma giunse comunque al proprio posto.
Non appena la vide arrivare Aran si alzò e, con sorpresa di Freya, le scostò la sedia per farla accomodare. Lo guardò cercando di capire se gli fosse stato detto di fare così oppure fosse stato un gesto istintivo; fu l'espressione del servitore alle sue spalle e, soprattutto, le sue mani tese verso lo schienale dello scranno, a farle capire che la più corretta era la seconda opzione. Gli rivolse un sorriso, quasi sopraffatta dalla felicità di averlo accanto. Sentì vagamente la musica continuare e la Regina che ordinava di far portare in tavola il cibo, mentre il chiacchiericcio avvolgeva nuovamente l'ambiente.
«Sei un incanto» le disse solamente Aran e quel complimento fece arrossire lui quanto lei.
Le era stato rivolto in maniera così sincera che aveva sentito immediatamente il calore salirle alle orecchie. Per alleggerire quell'attimo di imbarazzo, Freya ribatté: «Anche tu non te la cavi affatto male.»
In effetti, la sua fu solo in minima parte una battuta: anche lui era splendido nella sua tunica blu notte di pregiato tessuto, ornata solo dai fermagli del mantello, e nei suoi calzoni d'alta fattura di una tonalità più chiara. Una semplice cintura borchiata in vita e stivali di lucido cuoio completavano il tutto.
La tavola fu presto imbandita di ogni tipo di cibo: arrosti e brasati di manzo contornati da verdure abbrustolite e lesse, lucidi di sughi e salse, maialini da latte con rosse mele in bocca, pesci accompagnati dalle zuppe più disparate, pani di tutte le fatture. Portato ogni vassoio, i servitori sparpagliarono lungo i tavoli brocche colme di vino aromatico e sidro. Poi, si disposero quieti alle loro spalle, in attesa che qualcuno avesse necessità di loro. A Freya non piacque che fossero costretti a restare lì a quel modo, ma sembrava che nessun altro provasse il suo stesso disagio a riguardo.
La cena proseguì tra discorsi e argomenti che la ragazza si sforzò di seguire ogni qual volta venisse interpellata, cosa che accadeva spesso dato che tutta l'attenzione era su di lei. Le sembrava di essere costantemente messa alla prova, sotto quella pioggia di domande. Quella sensazione l'abbandonava solo quando finalmente riusciva a parlare con Aran, il quale spesso arrivò in suo soccorso quando la situazione si faceva troppo pesante. In un modo o nell'altro, si ritrovò a notare la giovane, era come se non potessero fare a meno di cercarsi l'un l'altra.
Darragh si rivolgeva a lei di quando in quando, con la consueta falsa cortesia cui lei rispondeva con freddo garbo. Nonostante a nessuno dei due facesse piacere la compagnia dell'altro, evidentemente anche il Principe si era reso conto di non poterla fronteggiare a viso aperto in un'occasione simile.
Quegli istanti, con grande sollievo di Freya, passarono in un attimo. D'aiuto furono certamente la cena, deliziosa e sapientemente orchestrata, e Aran, che la supportò in molte occasioni. Quando anche le pietanze dolci, che avevano riempito le narici degli ospiti di un profumino delizioso, furono portate via, Mirea fece alzare Freya.
La tranquillità che era riuscita ad acquisire sfumò nel giro di pochi passi. La Regina le chiese di posizionarsi in piedi accanto a lei, sulla pedana marmorea occupata dal trono. Nella sala calò il silenzio, mentre gli ospiti pian piano si alzavano per esserle presentati ufficialmente. In un battito di ciglia, la ragazza si ritrovò sommersa da una marea di volti e voci sconosciuti; erano tutti pronti a dirle quanto fossero felici della sua presenza a Errania e quanto li onorasse fare la sua conoscenza, un nome altisonante alla volta. Molti le dissero di aver conosciuto sua madre, ma lei dubitava che la maggior parte di loro potesse mai aver avuto una buona opinione di lei.
Quando la cortina di persone iniziò a diradarsi, Freya notò che, con una rapidità sorprendente, i servitori avevano sgomberato l'immensa Sala del Trono di tutto. Solo un tavolo era rimasto, fornito di calici e di un'infinita quantità di bevande aromatiche. Era stato creato un grande spazio al centro del salone e, a un segnale della Regina, i musici ripresero a intonare le loro bellissime melodie. Ben presto, danze tradizionali del Regno di Riagàn presero l'atmosfera di tutta la sala.
La giovane, che non aspettava altro che una distrazione da parte di tutti, riuscì finalmente a defilarsi. Un piccolo bovindo appena fuori la sala fece al caso suo; mentre intorno a lei si spandevano le note delle più belle ballate dei compositori umani, la sua attenzione si focalizzò sull'esterno. Si sedette sul davanzale imbottito di velluto violetto e cercò di seguire la trama delle lucciole che si inseguivano fra gli steli d'erba. Pian piano, la musica divenne solamente un sottofondo ai suoi pensieri.
Si chiese se quella sera fosse la fine della sua ricerca, se davvero avesse completato il suo percorso verso la verità. La logica le suggeriva di sì, ma qualcos'altro le diceva, invece, che la strada era ancora lunga. Non riusciva a pensare che, da quel momento in poi, la sua vita sarebbe stata fatta solo di balli e cerimonie, limitata alle sole mura di quel castello. Nonostante le lunghe settimane trascorse a Errania, ancora non riusciva a contemplare l'idea che sarebbe stata a servizio di Mirea, se fosse rimasta.
Alla musica degli strumenti si unì ben presto una voce di donna, probabilmente una musicista; doveva aver messo a disposizione le sue corde vocali per permettere agli invitati di udire anche le parole delle canzoni che arpeggiavano nell'aria. Le note, adesso, si erano fatte più dolci. La notte diventava nel frattempo sempre più scura. Nonostante facesse ancora caldo, le giornate si stavano palesemente accorciando. La luna aveva oramai fatto la propria comparsa, pallida nella sua falce, circondata da una corte di stelle. Freya si rilassò finalmente un poco; nessuno sembrava badare più a lei, grazie a quel momento di svago.
Proprio mentre si diceva quanto sarebbe stato piacevole lasciare semplicemente che quella serata pian piano scivolasse via, sentì dei passi dirigersi verso di lei. Quando alzò lo sguardo si ritrovò davanti Aran, che le porgeva una mano. Non appena la ragazza capì che cosa intendesse, dapprima scosse vigorosamente la testa.
«Oh no, il ballo non è cosa per me» spiegò, arrossendo imbarazzata. In effetti, era la verità: le lezioni prese nelle settimane precedenti non l'avevano per nulla aiutata a essere più sicura, l'avevano fatta sentire solo tremendamente goffa.
«Non saresti la ragazza che ho conosciuto fino a ora se preferissi il ballo a una cavalcata. Questa però è la tua festa, no?» le rispose lui con un sorriso che la tranquillizzò, anche se non del tutto.
Quella sera, Aran aveva assunto il proprio ruolo di Principe, constatò Freya, osservando in lui un lato cavalleresco stranamente affascinante. Avrebbe potuto scegliere la compagnia di qualunque altra ragazza presente nella sala, si rese conto. Probabilmente, tutte quelle giovani nobili sarebbero state candidate ben più adatte a danzare con lui; eppure, Aran era lì e aspettava lei. Esitando un po', afferrò la sua mano. Lui rispose alla stretta e la tirò letteralmente in piedi. Freya non poteva credere di aver accettato, eppure i suoi passi la stavano davvero portando tra la folla di persone che danzavano in perfetta armonia nei loro abiti elaborati.
La voce della musicista era incantevole e melodiosa, calda e avvolgente. Quando la danza riprese, alle note di una piacevolissima canzone, la giovane si disse che non poteva davvero essere più complicato che affrontare un duello. E quando i loro primi passi si unirono a quelli degli altri, capì che probabilmente il meccanismo era lo stesso: ogni passo avrebbe avuto le proprie conseguenze e lei doveva essere in grado di prevederle, per vincere. La sola differenza era che non aveva l'impugnatura di una spada stretta in mano. Riuscì a rilassarsi, come faceva quando stava per affrontare un combattimento durante gli addestramenti. Si ritrovò a pensare che fosse davvero un paradosso che la tensione si facesse sentire di più in quel momento che non con di fronte un avversario armato. Le bastò ancora un attimo perché quell'insieme di passi e giravolte armoniose diventasse per lei abbastanza naturale da non farle pensare di essere ridicola agli occhi degli altri. Oltre tutto, si fidava di Aran; ora non le costava più così tanto ammetterlo. Avrebbe lasciato che fosse lui a guidarla.
Il ragazzo continuava a tenerle stretta la mano, mentre danzavano. La musica non accennava a finire e i due giovani mantenevano il contatto visivo l'uno con l'altra, non curandosi di nessuno. Probabilmente non si rendevano più nemmeno conto del disegno che i loro piedi tracciavano sul pavimento: Freya teneva gli occhi puntati in quelli di Aran e viceversa, solo questo sembrava contare.
I nobili avevano lasciato loro un ampio spazio e ora di tanto in tanto li osservavano, stupiti. Nel giro di qualche istante gli occhi dell'intera sala furono puntati su di loro e, anche mentre continuavano a danzare, gli altri ospiti lanciavano occhiate incuriosite nella loro direzione. Alla fine, come tutto era iniziato, finì. Le ultime note degli strumenti rintoccarono vibrando di mille sfumature e loro si fermarono, senza smettere di guardarsi tanto attentamente da non accorgesti di quello che stava accadendo attorno.
«Menomale che ballare vi costava immensa fatica, Principe Aran» sussurrò lei, sorridendo divertita.
Aran ricambiò il sorriso e altrettanto piano rispose: «Ho detto che faticavo a seguire le lezioni, non che non ne fossi capace, Lady Freya.»
Ricordarono di non essere gli unici presenti nella sala solo quando alcuni dei presenti esplosero in applausi e ovazioni. I due giovani interruppero quasi bruscamente l'intreccio dei loro occhi e si guardarono attorno, arrossendo entrambi fino alla punta delle orecchie. Solo allora Freya poté vedere le occhiate inquisitorie che molti altri le stavano dedicando, come se stessero cercando di scoprire in lei un qualche secondo fine. Anche Mirea li stava guardando, ma il suo volto era, come sempre, completamente impenetrabile.
Intenta a osservare la Regina con espressione accigliata, la giovane non aveva notato la folla che li stava nuovamente sommergendo. Ritornò alla realtà solo quando Gorman si avvicinò alla sovrana e prese a sussurrarle parole sconosciute all'orecchio; quel loro confabulare le diede un brivido, anche se non avrebbe saputo spiegare perché. Si voltò nuovamente verso la selva di persone, che nel frattempo avevano ripreso le loro attività, e si ritrovò davanti un uomo che non aveva mai visto prima di allora:  alto, capelli e barba brizzolati e ben curati, occhi neri come la pece.
«Lady Freya. Vorrei presentarvi il membro più illustre dell'esercito di Riagàn, il generale Nolan. Organizza e guida  tutte le spedizioni militari più importanti del Regno» lo presentò Darragh, che si era avvicinato a loro in compagnia del generale.
La sua espressione indecifrabile fece intuire a Freya che c'era qualcosa sotto fin da subito. «È mio grande piacere fare la vostra conoscenza, generale» rispose ugualmente, con educazione.
«L'onore è mio, Lady Freya» ribatté altrettanto cortesemente l'uomo, tanto che Freya per un attimo pensò di essersi sbagliata.
Il generale salutò tranquillamente anche Aran, con il quale scambiò qualche battuta sul proseguimento del suo addestramento militare. Poi, quando tornò a rivolgersi a lei, arrivò la frecciata:  «Sono rimasto molto sorpreso nel constatare quale padronanza abbiate della situazione, considerando l'ambiente da cui provenite.»
Fu solo allora che comprese perché Darragh avesse voluto presentarle proprio quell'uomo: aveva cercato qualcuno che avesse le sue stesse convinzioni su di lei, evidentemente deciso a metterla in difficoltà. Strinse i pugni fra le pieghe del vestito, stanca e disgustata dalla sua meschinità; non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa tanto facilmente. Se era veramente ciò che Darragh voleva, sarebbe stata al suo gioco.
«Vi ringrazio, generale» rispose, esibendo un sorriso che spiazzò i suoi due interlocutori tanto quanto Aran. Il giovane la guardava esterrefatto, probabilmente aspettandosi tutto tranne che una reazione tanto controllata. Mantenendo un tono di voce estremamente pacato, Freya proseguì: «In effetti, sapevo ben poco delle arti di corte. Chi lo sa, forse perché mia madre ha ritenuto più saggio insegnarmi cose ben più rilevanti e utili alla mia vita futura.»
Con la coda dell'occhio, la ragazza vide le labbra di Aran ridursi a una linea, come se si stesse trattenendo allo strenuo dallo scoppiare a ridere. Impagabile fu però l'espressione di Darragh, un misto fra frustrazione e astio crescente. Nolan, invece, si sforzò di restare impassibile, nonostante una leggera contrazione della mascella rivelasse quanto l'avesse irritato una tale prontezza di risposta.
La seconda stoccata non tardò ad arrivare: «Deve essere stato estremamente arduo comprenderne i meccanismi, per una mente così poco avvezza a un mondo tanto complesso» disse l'uomo, per poi sorbire con tutta calma un sorso di sidro dal calice che rigirava fra le dita.
Ancora una volta, Freya sorrise e rispose senza battere ciglio: «Oh, non dovete temere per me. Imparo in fretta.»
Lo sguardo nero del generale la trapassò da parte a parte, mentre, con un sorrisetto sardonico, mormorava: «Tale e quale a vostra madre.»
«Non avreste potuto rivolgermi complimento migliore» ribatté Freya, producendosi in una perfetta riverenza. Era arrivato il momento di porre fine a quella conversazione. «Se volete scusarmi, avrei desiderio di bere qualcosa. Arrivederci, generale Nolan. Principe Darragh» concluse perciò, in chiaro segno di congedo.
Solo quando i due si furono allontanati, la giovane si rese conto di aver serrato i pugni con tanta forza da fermare la circolazione del sangue nelle proprie mani, attraversate ora da un violento formicolio. Aran parve accorgersi della sua tensione, perché nel giro di un attimo le sue dita sfiorarono quelle contratte di lei e la spinsero a sciogliere la stretta.
«Vieni, andiamo a prendere un po' d'aria. I giardini sono meravigliosi alla luce dei bracieri» disse soltanto, prendendola per mano e partendo in direzione dell'uscita.
Effettivamente, più che di bere aveva bisogno di respirare. Non appena l'aria fresca le invase i polmoni, sentì svanire le ultime tracce della rabbia che aveva represso. I suoi muscoli automaticamente si rilassarono e, sollevando un poco l'abito per evitare di rovinarne l'orlo, continuò a camminare al fianco di Aran.
Finirono per fare a gara su chi avrebbe  raggiunto per primo l'angolo più remoto dei giardini interni, lasciandosi andare a un attimo di leggerezza. Fu Aran ad averla vinta, sedendo per primo su una panca di granito piuttosto isolata. Freya non ne fu affatto sorpresa, dato che era stato lui a lanciare la sfida partendo senza preavviso e  il vestito che le limitava parecchio i movimenti.
Il ragazzo l'aspettò con le gambe comodamente allungate di fronte a sé e un sorriso trionfante in viso. «Ti ho battuta! Sono io che sto migliorando o sei tu che stai diventando pigra?» esultò, scherzoso.
Freya gli si sedette accanto e gli diede una gomitata altrettanto giocosa. «È solo la tua serata fortunata. Se non avessi indossato un abito tanto ingombrante, sarei dovuta restare qui ad aspettarti per un'eternità» lo prese in giro, fingendo un fare di superiorità.
Aran ridacchiò, poi per un attimo fu silenzio. «Hai dovuto fare uno sforzo enorme per non spaccargli la faccia, non è vero?» le domandò infine.
Freya scoppiò a ridere, prima di voltarsi nuovamente verso di lui. «Lo so, lo so. Nessuna fanciulla a modo avrebbe mai pensato di mollare un pugno dritto in faccia a un generale dell'esercito» rispose.
Aran rise ancora; il banchetto oramai era lontano ed entrambi erano visibilmente più rilassati. «Avrei chiuso un occhio se l'avessi fatto» commentò, continuando a sorridere. Poi, si fece serio. «Sei stata meravigliosa, questa sera. Non solo hai sostenuto brillantemente tutte le discussioni in cui sei stata coinvolta, hai anche saputo tenere testa a Nolan con intelligenza e determinazione. Sei stata molto più educata di quanto quell'uomo meritasse.»
Improvvisamente, l'espressione di Freya mutò e lo guardò intensamente, con quei suoi occhi che sembravano in grado di trapassarti l'anima. «Ci sono riuscita perché tu eri lì con me. Tu mi hai dato il coraggio necessario» confessò e, contro ogni aspettativa, non fu per nulla difficile ammetterlo finalmente ad alta voce.
Aran scosse il capo e rispose con sicurezza: «No, Freya. Ci sei riuscita perché tu sei coraggiosa e basta, in ogni momento, senza bisogno che qualcuno ti aiuti ad esserlo.»
Eppure, Freya in quel momento si sentiva tutto fuorché coraggiosa. Forse era vero che, contro ogni aspettativa, quella sera se l'era cavata piuttosto bene. Però non dimenticava quale inquietudine l'aveva colta al pensiero che la sua vita potesse ridursi a questo. Avrebbe voluto dirglielo, sentiva che in qualche modo glielo doveva, ma non ci riusciva, non ne aveva la forza. La verità era che Aran sarebbe stata l'unica cosa difficile da lasciare in quel luogo. Non la ricchezza, non i privilegi: solo Aran. Quella consapevolezza la colpì con la forza di uno scroscio di pioggia improvviso, togliendole il respiro.
Lui dovette accorgersi dal suo silenzio che qualcosa non andava, perché cercò il suo sguardo, nel tentativo di capire cosa stesse accadendo dentro di lei. Freya cercò di evitare quel contatto, conscia che poi sarebbe stata costretta a parlare, ma non ci riuscì.
Gli occhi grigi del giovane si piantarono nei suoi, incatenandoli, e le domandò: «Cosa ti sta passando per la mente?»
Freya tentò di svicolare, ma ancora una volta fallì. Aran si alzò dalla panca e le si piazzò davanti, piegandosi sulle ginocchia e costringendola a guardarlo. Rimase in attesa, senza metterle alcuna fretta. Con un enorme sforzo di volontà, finalmente la giovane riuscì a parlare.
«Non importa quanto io sia stata brava, Aran. Questa sera, in quella sala, non ero io. Quello non era il mio posto, me lo sentivo fin dentro le ossa, e l'unico momento in cui quel senso di estraneità mi lasciava andare era quando tu eri al mio fianco. Quindi sì, è stato anche grazie a te se non mi sono lasciata sopraffare» disse, le mani strette saldamente l'una all'altra.
«So perfettamente che a volte qui non ti senti libera di essere te stessa, Freya, ma nessuno ti chiederà mai di rinnegare la tua vera natura solo perché ora la tua vita è cambiata. E anche se dovessero farlo, nessuno riuscirà mai a importelo. Ne sono certo perché io so chi sei e so anche che non scenderesti mai a compromessi» ribatté lui, con assoluta sicurezza.
Freya scosse il capo e si alzò. Aran fece lo stesso e si ritrovarono i piedi, uno di fronte all'altra.
«Vorrei che fosse vero, Aran, ma se resto qualcosa in me cambierà inevitabilmente, che io lo voglia o meno. Questo è quello che facciamo per sopravvivere: ci adattiamo» rispose ancora lei in un sussurro, non muovendosi di un passo.
Per un attimo il silenzio calò fra di loro, poi Aran parlò ancora e lei seppe che aveva capito anche lui ciò che perfino lei aveva concluso solo quella sera. «Sai, credo di averlo saputo fin da subito che non saresti rimasta per sempre» disse, ma nella sua voce non c'erano traccia di rabbia o delusione.  Tornò a sedersi, con l'aria di chi sta cercando le parole giuste per continuare. Freya, ancora in piedi di fronte a lui, stette in perfetto silenzio. «Però non importa» proseguì infine il ragazzo. «Qualunque cosa tu decida e qualunque sarà il momento in cui vorrai andare, sento che ora che le nostre strade si sono incrociate non avrà importanza dove sarai tu o dove sarò io. Ci sarà sempre qualcosa che mi legherà a te.»
Il cuore di Freya perse un battito e, inaspettatamente, sentì le lacrime salirle agli occhi. Le trattenne, mentre una nuova consapevolezza le riempiva l'anima. Si avvicinò a lui, senza più evitare di guardarlo in viso, e rispose con una sicurezza assoluta: «No, non conterà nulla. La mia vita è oramai legata alla tua, Aran, e questo non potrà mai cambiare.»
L'espressione di Aran si fece strana, come se nell'avere la conferma che per lei fosse lo stesso avesse acquisito una nuova certezza. Freya tornò a sedersi al suo fianco e quando lo fece la mano destra del giovane cercò quella di lei e la strinse saldamente; le loro dita si intrecciarono. La giovane incollò ancora una volta lo sguardo in quello di lui, sentendo che tra di loro era appena stato suggellato un patto silenzioso e che, in quel momento, sarebbe potuta succedere qualunque cosa.
Quello che per loro era semplicemente un gesto risvegliò qualcosa nell'aria, qualcosa che sapeva di magia: il vento si alzò oltre le fronde dei grandi alberi, lontano, oltre le mura del castello, e l'aria vibrò. I due ragazzi si guardarono intorno; i capelli di Freya frustavano l'aria impazzita e il mantello di Aran ondeggiava furiosamente alle sue spalle. Rivolsero i volti all'insù, come se il cielo potesse avere la risposta, ma le stelle continuarono ad ammiccare indifferenti. A loro non restò che guardarsi a vicenda, confusi e attoniti.
Qualcosa stava davvero per accadere.

   
 
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