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Autore: Melanto    02/03/2020    5 recensioni
[Soulmate Series - #5.6]
La Famiglia.
Mamoru e Yuzo le attribuiscono ruoli completamente differenti.
Per Mamoru è il suo 'guardaspalle': qualcuno che può lasciare indietro, ma su cui sa di poter contare e che non è lì per tarpargli le ali, quanto per aiutarlo a spiegarle.
Per Yuzo è il nido che saprà sempre tenerlo al sicuro, quando fuori c'è la tormenta, e di cui essere grato ogni giorno.
Fiducia. Rispetto.
Proprio la famiglia è al centro di questa piccola raccolta: cinque one-shot per nove personaggi... e cinque aspetti fondamentali dei rapporti famigliari.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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Family... comprehension

 

 

...comprehension

Soulmate series - #5.6.5

 

 

 

 

…Sen?

 

“Il piccolo Izawa ha sempre quell’aria disinteressata. Non so che fare per coinvolgerlo di più nelle attività scolastiche o con i compagni…”

“Sì, l’ho notato anche io. Suo fratello non era affatto così.”

 

…ci sei, Sen?

 

“A Izawa-kun non frega niente di nessuno, sarà per questo che ha solo tre amici contati. Deve essere proprio antipatico.”

“Per me è solo snob, con noi ragazze non parla mai.”

“Invece avete visto suo fratello quanto è figo?!”

“Sì! È bellissimo!”

“Ma non poteva assomigliargli di più? Rispetto al fratello, Izawa-kun sfigura di brutto!”

“Già! Praticamente scompare!”

“Cerchiamo di tenercelo buono, magari riusciamo a incontrare Izawa-senpai!”

 

«…Oh! Ma mi ascolti, cavolo?!»

Sen strabuzzò gli occhi allo scossone. Si guardò attorno e vide Kaede con un sopracciglio inarcato e la mano ancora stretta alla sua spalla.

«Sì. Scusa. Che dicevi?»

«Seee, ciao.»

«È tutto okay?» chiese Nobuyuki, sporgendosi un po’ in avanti. Si era fatto buio e loro erano in ritardo per tornare a casa. Finiva sempre così quando sceglievano di andare in sala giochi dopo la scuola: le partite con gli arcade divenivano senza tempo. «Sei strano, oggi. Non hai detto quasi niente per tutto il pomeriggio e a Tekken hai fatto pena! E dire che quando usi Dragunov non ti si batte mai facilmente. Shota c’è riuscito addirittura tre volte di fila, che succede?»

Sen sollevò le spalle. «Niente. Oggi non avevo molta voglia.»

«Avresti potuto dirlo, saremmo andati da qualche altra parte.»

«Ma sì, tanto è uguale.» Non aveva voglia neppure di raccontare i discorsi che si era trovato ad ascoltare quel giorno tra gli insegnanti o tra le compagne di classe, tanto erano sempre i soliti di cui non gli importava niente. Però non riusciva a capire perché quella sera non parevano volerlo lasciare in pace, restando attaccati alle orecchie più a lungo del solito. Forse perché, a conti fatti, si era accorto che non fossero poi così diversi dai rimbrotti continui dei suoi genitori o di suo fratello. A volte sembrava di essere al ristorante e trovarsi davanti un menù fisso.

E aveva sempre un atteggiamento scorbutico.

E stava sempre chiuso in stanza.

E doveva smetterla di litigare con suo fratello.

E non doveva stare sempre al computer.

E aveva dei pessimi gusti.

E non doveva colorarsi i capelli o fare i buchi alle orecchie.

E aveva un brutto carattere.

Sen pareva non ricordare un solo momento in cui gli avessero fatto i complimenti per qualcosa che aveva fatto, ma seppur ci fosse stata avrebbe finito sempre per essere oscurata da Mamoru. Il perfetto di casa era lui, chi trasformava in oro tutto ciò che toccava era lui, chi era destinato ad avere solo successo, a essere il migliore, ad andare sempre bene in tutte le sue scelte era sempre e solo lui. Sen, a confutare quella specie di dogma, non ci si impegnava neppure più, perché tanto nessuno si aspettava nulla da lui. Per tutti andava bene così e la sua voce solitaria avrebbe finito col perdersi in fretta; lo faceva già, per tutte le volte che cercava di dire qualcosa e si sentiva solo rimproverare con risposte da disco rotto: ‘sei troppo piccolo, non puoi fare/capire/parlare’.

Sei troppo piccolo e hai un brutto carattere.

«Sentite…» Sen si fermò qualche passo avanti agli amici, mantenendo lo sguardo a terra e serrando la mano attorno al manico della cartella. «Secondo voi il mio carattere fa così schifo?»

«E questa come ti esce, adesso?» Kaede inclinò la testa. «La fame ti fa dire stronzate. In sala giochi non hai mangiato niente.»

«Sì, forse. O forse mi esce a caso, come tutte le altre cose. Lasciate stare.»

«Qualcuno ti ha detto qualcosa? È per questo che sei arrabbiato?»

«E chi ha detto che sono arrabbiato, Nobu?»

«Be’, se avessi avuto un carattere tanto di merda, noi non saremmo mica amici. Ti avrei già mandato a cacare.» Kaede gli diede una manata alla spalla e a lui scappò un mezzo sorriso nel sollevare appena il viso verso il compagno.

«Mio padre dice che il carattere non si eredita, te lo formi.»

«E cioè tu non hai nemmeno la scusa di essere scemo di natura, Shota? Che sfiga!»

Shota e Kaede si rincorsero, usando lui e Nobu come percorso a ostacoli, solo perché erano i più alti. Nobu ben più di lui, ormai. Sen non pensava sarebbe mai arrivato a quei livelli, ma sentiva di stare crescendo in fretta e una parte di sé sperava di potersi prendere almeno quella rivincita sul perfetto Mamoru.

«Se ti acchiappo, vedi, Kaede!»

«Cosa? Se mi acchiappi le prendi e di brutto!»

E da che Shota stava rincorrendo Kaede, d’un tratto si trovarono a parti invertite con il primo che filava veloce come un’anguilla e l’altro che agitava la cartella nel tentativo di colpirlo.

«Ohi! La piantate di fare casino? Vi sentite solo voi!»

Sen si guardò attorno e la strada, per quanto non fosse deserta, era davvero attraversata da un educato chiacchiericcio e rumore di passi veloci. La sera era inoltrata e i lampioni già accesi. Diede un’occhiata al cellulare e si accorse che le sette erano passate da un pezzo.

«Diavolo! Ma è tardissimo!» Esclamò saltando fuori dal circuito che i suoi amici avevano improvvisato. «Raga, se non torno a casa immediatamente, mamma mi falcia! Ci vediamo domani, okay?»

Gli altri si sbracciarono per salutarlo e poi tornarono a ridere e scherzare, rincorrendosi per tutto il quartiere. Lui, invece, avrebbe dovuto quasi attraversare mezza città e tutto perché i suoi l’avevano mandato alla Nankatsu fin dalle elementari, invece di scegliere la blasonata e più vicina Shutetsu, la scuola elementare del suo quartiere.

«Fategli fare il percorso completo alla Nankatsu, ha più senso»

La frase detta da suo fratello che aveva deciso per intero il suo futuro.

Ovviamente, era colpa sua e della sua arroganza di sapere sempre tutto, credere che ogni sua scelta fosse la migliore. Qualcuno si era per caso premurato di chiedere a lui cosa ne pensasse? Magari sarebbe voluto andare alla Shutetsu e ritrovare i suoi amichetti della scuola materna.

Che poi alla Nankatsu avesse incontrato Shota, Nobu e Kaede era un altro discorso; ne era felicissimo, ma si trattava di una questione di principio. E per principio a lui non chiedevano mai niente.

Voleva bene a suo fratello, ammirava che fosse un campione, ma non sopportava il piedistallo da cui lo guardava e gli imponeva la via da seguire. Lui avrebbe voluto fare da solo, poter decidere, ma alla fine si trovava a dire di sì a tutto ciò che volevano mamma e papà, per non sentirsi rimproverare.

Mentre correva con la cartella sotto al braccio per le strade di Nankatsu, pensò che solo una persona l’aveva trattato da adulto, o comunque non da bamboccio, anche se gli aveva ripetuto di esserlo in continuazione. La sua durezza l’aveva sorpreso, tanto da non riuscire a dimenticarla, né a dimenticare il tono, il modo di storcere la bocca e di inchiodarlo al muro con lo sguardo. Ci aveva pensato molto nei mesi successivi al giorno di Capodanno, ci aveva riflettuto e aveva capito che avrebbe voluto avere almeno un briciolo di quella sicurezza e strafottenza. Saper alzare la voce per farsi sentire e farsi valere, non avere paura di chi era più grosso, né risentirsi dei commenti degli altri che gli dicevano di continuo, anche a mezza bocca, di non essere all’altezza di suo fratello.

Per mesi aveva camminato per le strade di Nankatsu con gli occhi ben aperti nella speranza di vedere di nuovo quei capelli multicolore comparire da qualche parte, ma non era stato fortunato. E dopotutto, si era detto, se non l’aveva mai notato prima, perché adesso avrebbe dovuto essere diverso?

Ora però sapeva con certezza, grazie a Mamoru, che si era trasferito e non ci sarebbe stata proprio a prescindere alcuna occasione di incontrarlo e magari parlarci ancora un po’, farsi insegnare qualcosa di utile. Accidenti!

Lo squillare del telefono interruppe i suoi pensieri appena prima dell’imbocco del parco che gli avrebbe fatto accorciare il percorso, tagliando per una parte del quartiere Mizukoshi.

Sen strinse i denti sotto un’imprecazione, pronto a ricevere la strigliata. Leggere che fosse Pooja-auntie, la loro governante, e non la mamma non lo rassicurò un granché.

– Chellam! Si può sapere dove sei?! È tardissimo, devi tornare subito a casa!

«Sto arrivando, auntie; sono a dieci minuti da casa…» che non era proprio verissimo, ma minuto più minuto meno… era meglio accorciare.

– Avresti già dovuto essere qui! Per fortuna che la signora non si è ancora accorta di che ora sono, perché presa dal lavoro, altrimenti sarebbero stati guai. Lo sai, questo? Se non torni subito, ti aspetterà una bella punizione.

«Sì, auntie. Sto arrivando, promesso.»

– Allora fai in fretta. Non farmi stare in pensiero, si è già fatto buio. Non sta bene che tu sia ancora in giro a quest’ora.

Sen si mortificò per il tono accorato di Pooja e infossò un po’ la testa tra le spalle. «Scusa…»

Imboccato il piccolo parco, rallentò fino a fermarsi e riprendere fiato. Guardare lo schermo del telefono dopo aver chiuso la conversazione. Per quanto la sua governante si arrabbiasse, almeno era l’unica che stava a sentire le sue idee e opinioni, dandogli qualche consiglio e senza metterlo subito all’angolo facendo i paragoni con Mamoru. Con lei si sentiva più a suo agio che con il resto della famiglia, ma ormai era diventato fin troppo bravo a non sbottonarsi troppo, dando giusto qualche input mirato al momento opportuno e con le singole persone, quelle di cui si fidava di più. A parlare a briglia sciolta, forse, si trovava bene solo con sé stesso.

O con il fratello di Yuzo-nii. Con lui aveva alzato addirittura la voce, gli aveva posto domande che non aveva posto a nessuno. Sen credeva che sarebbe riuscito a dirgli molte più cose, se ne avesse avuta l’occasione. Ma adesso, il problema principale era tornare a casa prima possibile. Se avesse corso di nuovo, ci avrebbe messo un altro quarto d’ora, così riprese a camminare decidendo che avrebbe attraversato il parco a piedi per recuperare il fiato. Magari sarebbe stato fortunato e sulla strada avrebbe trovato un autobus.

Il parchetto era piccolo, con pochi lampioni strategici per illuminare il percorso. Alla fine, sembrava più un grande giardinetto con qualche albero, che un parco vero e proprio. C’era il quadrato dalla sabbia tutta smossa, c’erano delle altalene, un paio di scivoli e poi panchine e aiuole, con alti alberi di ginko dalle chiome che sembravano ancora più folte, nell’oscurità della sera, e stormivano alla brezza di maggio. Non c’era praticamente nessuno, a parte lui e una signora minuta che camminava una ventina o poco più di metri avanti.

Vista da dietro, gli sembrò fosse un po’ in difficoltà. Aveva due buste piene, e all’apparenza pesanti, nella mano destra, e una gonfia e grande in quella sinistra. Si fermava ogni dieci passi per appoggiare le due buste piene a terra e tirare un po’ su la borsa che tendeva a caderle dalla spalla.

Pensò a Pooja-auntie, alle volte che andava a fare la spesa e tornava sempre carica di acquisti, nonostante portasse il carrello con sé. Lei gli aveva ripetuto più volte che bisognava sempre aiutare le persone in difficoltà, quando si era nella condizione di poterlo fare, ma se si fosse fermato avrebbe fatto ancora più tardi e una punizione non gliel’avrebbe tolta nessuno, per davvero.

Un po’ a malincuore e sentendosi spiacevole a sé stesso, Sen accelerò il passo per superare la donna a testa bassa, fingere – nemmeno troppo – di essere di fretta, e correre via.

Il ragazzo con il cappuccio tirato sulla testa spuntò all’improvviso con la sua stessa fretta tagliando per una delle aiuole. Urtò la signora così forte da farle perdere il già precario equilibrio. Da una delle buste pesanti, le mele rotolarono ovunque quando lei si trovò a terra con un’esclamazione di sorpresa e spavento insieme.

«Cazzo, guarda dove vai!» sbraitò il ragazzo dopo averla squadrata. Le mani affondate nelle tasche dei pantaloni che per poco non gli cadevano dal sedere.

Sen sgranò gli occhi, restando immobile.

No, quello no. Quello non poteva fingere di non averlo visto, e dentro di sé, nell’angolino più profondo del suo spirito, stava sbraitando a tutto andare contro quel teppista maleducato. Ma da fuori non si sentiva nulla, perché soffocato dalla presenza più ingombrante e antipatica della sua natura: quella codarda. Era la stessa che aveva permesso ai bosozoku, il giorno di Capodanno, di inchiodarlo al muro per il terrore, era la stessa che era stata pronta a dare loro soldi e cellulare senza fiatare… era la stessa che sperava di poter imparare, dal fratello di Yuzo-nii, come alzare la testa e non farsi chiudere all’angolo.

Alzare la testa.

Shuzo-nii gliel’aveva detto con un tono così duro che allora aveva tenuto la testa altissima, tanto da sentire il collo duro come la pietra una volta tornato a casa. Ma ora la stava nascondendo un’altra volta e così le soluzioni tornavano a essere due, secondo la sua mente analitica e razionale: far finta di niente e tirare dritto oppure fermarsi ad aiutare la signora con la spesa rovesciata.

Quanti cazzo di anni hai?! I piscialetto frignano! Tu sei grande abbastanza per alzare la cazzo di testa. Alza la testa!

Nei rimproveri di ferro di Shuzo-nii c’era stata anche una terza scelta: affronta il bullo.

«Ehi!» esclamò a gran voce e pugni stretti. A passo svelto raggiunse la signora, frapponendosi fra lei e il teppista. «Chiedile scusa! L’hai urtata tu, è colpa tua!»

Il teppista si fermò. Piano fece scivolare il cappuccio dalla testa e una chioma di un colore indefinito tra il biondo sporco e il verde slavato fece capolino sotto la luce di un lampione.

Sen respirava con affanno neppure avesse corso per chilometri, e solo in quel momento si rese conto di aver parlato sul serio, quando, cioè, si trovò l’occhiata torva e deforme del teppista che lo fissava come fosse stato una pulce. Una pulce che aveva osato alzare la voce.

Sì, affronta il bullo, diceva Shuzo-nii…

e spera che non ti faccia a fettine.

Sen deglutì e tirò indietro la schiena quando il tizio tornò verso di lui, tanto che iniziò a sudare anche sotto le piante dei piedi.

«Che hai detto, marmocchio?»

«C-che devi scusarti. Hai urtato oba-san e non l’aiuti neppure ad alzarsi.»

«Sai quanto me ne fotte della zietta.» Il teppista sogghignò, squadrandolo dalla testa ai piedi. Aveva la stessa aria poco raccomandabile dei bosozoku con cui aveva avuto a che fare, ma allora c’era stato il fratello di Yuzo-nii ad aiutarlo. Ora, invece, era solo. «Ma magari dovrei dare una lezione a te, che dici? Ti pare questo il modo di rivolgerti a un adulto?»

Sen si sentì pungere sul vivo e abbassò la testa di scatto. Quella non era per niente la sua giornata, cominciata a male e destinata a finire anche peggio. E poi si stupiva se nessuno gli dava grande fiducia in famiglia. Lui al massimo sapeva come peggiorare le situazioni.

Gli inetti piangono! Sei un inetto?! Eh?! Lo sei?!

L’eco della frase rimbombò di nuovo con la stessa voce imperiosa e lui si sentì scuotere come avesse di nuovo i suoi occhi davanti.

«Ehi! Mi hai sentito? Non mi sembrava avessi la lingua tanto corta, poco fa. Cos’è? Te la stai già facendo nei pantaloni? Un buon inizio per una sonora sculacciata-»

«Tu toccami», Sen alzò la testa, «e Malerba lo verrà a sapere.»

Sul viso del teppista passò un guizzo, poi esplose in una risata che riempì l’intero parchetto; gli puntò l’indice sotto al naso tanto che poté vedere bene l’unghia mangiucchiata. «Vorresti farmi credere che un nanerottolo come te abbia a che fare con Malerba?! E in quale barzelletta?!»

«In questa.» Sen, il mento ben sollevato e le braccia che venivano conserte adagio sul petto buttato in fuori. «Perché suo fratello sta con il mio.»

Sul volto del teppista, ora, passò più di un guizzo. Sotto i lampioni, la paura scivolò tra le ombre delle sue espressioni che persero in fretta il sogghigno divertito, per lasciare spazio a un’espressione perplessa: valutava.

Tra loro passò un lungo istante senza che nessuno dei due facesse o dicesse nulla. Sen non distolse lo sguardo né si mosse, ma nella sua testa stava pregando in tutte le lingue che conosceva e anche in quelle che ignorava.

«Ah… sì? In questo caso… La prossima volta stai più attento. E non rivolgerti così con chi è più grande.» Il teppista fece un passo indietro, stringendosi nelle spalle. Saettò lo sguardo attorno e infine accennò un inchino nei riguardi della donna. «Mi scusi.»

Poi andò via con un passo così veloce che ci mise meno di due minuti per sparire alla loro vista.

Sen era ancora immobile e frastornato, con gli occhioni sgranati e la bocca semi aperta.

«Ha funzionato…» mormorò trasformando lo sconcerto in sorriso smagliante, mentre stringeva i pugni al petto.

Non aveva frignato, aveva risposto a tono… e aveva imbrogliato, ma che importava? Aveva funzionato davvero! Aveva alzato la testa. L’aveva tenuta su, su, su.

«È stato molto sciocco rispondere a un poco di buono come quello, lo sai? Avrebbe potuto essere pericoloso.»

L’entusiasmo di Sen venne smorzato dal rimprovero che arrivò alle sue spalle. La signora, ginocchia a terra, sta raccogliendo una delle mele rotolate via. Lui infossò un po’ la testa, consapevole di aver fatto una cosa avventata. Sollevò una spalla senza guardarla negli occhi.

«Quelli fanno la voce grossa, ma se qualcuno la fa più grossa di loro si spaventano. E poi non era giusto…»

«Non importa, non avresti dovuto lo stesso», aggiunse lei in tono fermo che lo fece sentire di colpo meno figo di quanto si era sentito fino a un attimo prima.

Una mano sotto al mento, però, lo invitò con dolcezza a sollevare il viso e Sen rimase sorpreso da quel contatto diretto e inaspettato.

La donna sorrideva e lui rimase rapito per un istante dai grandi occhi scuri e dalla curva affettuosa delle labbra. Forse un po’ più grande della sua mamma, ma con lo stesso calore nei gesti e nelle espressioni che non lo fece sentire a disagio nel venire toccato così apertamente da un estraneo.

«Però, grazie per avermi aiutato, gioia. Sei stato avventato, ma molto carino.»

Sen sentì il viso diventare caldo sulle guance. Annuì e distolse lo sguardo. Fece per sollevare la busta che conteneva tanta frutta e verdura e si accorse che uno dei manici era rotto; forse a causa dell’urto con il teppista o nello strattone mentre la donna cadeva a terra.

Guardò anche le altre buste e si accigliò.

«Se quella si è rotta, come farà a portare tutto?»

«Oh, troverò un modo, un po’ alla volta. Non ho fretta.»

Sorrideva ancora nonostante tutto e Sen non capì come facesse a non arrabbiarsi. Lui avrebbe già perso la pazienza, prendendosela con il teppista sparito ormai da un secolo e con chissà chi altri. Forse aveva davvero un brutto carattere, dopotutto…

«Posso aiutarla?»

«Non è un po’ tardi per te? A casa ti staranno aspettando, quanti anni hai?»

«Be’, sì, però… Ne ho undici.»

«Solo undici? E sei così alto.» La donna gli accarezzò la testa. «Tra qualche anno, il mondo avrà una prospettiva tutta nuova per te.»

Sen sorrise e prese la busta rotta tra le braccia prima che potesse farlo lei. «Posso accompagnarla per un pochino; almeno fino all’incrocio che c’è fuori del parco. Tanto vado da quella parte anche io.»

La donna valutò e alla fine approfondì il sorriso. «D’accordo. Ma poi devi promettermi che correrai subito a casa. La tua famiglia non ti starà aspettando per la cena?»

Sen sollevò le spalle, mentre riprendevano a camminare. «Papà è fuori per lavoro e mamma sarà ancora immersa nel suo. Mio fratello si è trasferito in un’altra città.»

«E tu sei rimasto solo soletto.»

«Scherza? Meglio solo che con lui attorno!»

«Non andate d’accordo?»

«Pretende di avere sempre ragione su tutto. E poi è più grande e non fa che ripetermi che io, invece, sono troppo piccolo. Lo dicono sempre tutti…»

«È la verità: hai solo undici anni.»

«Sì, ma ho anch’io i miei pensieri e non hanno meno valore dei loro!»

«Anche questo è vero, ma mettila così: pensa ai videogame. A te piacciono?»

Sen strabuzzò gli occhi. «I… videogame? Sì…»

«Okay, allora immagina che le altre persone siano giocatori. Tu sei al Livello1 e loro al Livello20, o 30 o 40. Che succede quando affronti una missione molto superiore al tuo livello?»

«Che nel migliore dei casi muoio?»

«Game over», annuì la donna. «Non puoi competere con quelli a un livello più alto del tuo, se hai appena iniziato a giocare. Devi fare esperienza, migliorare le tue abilità poco alla volta e affrontare piccole missioni più semplici per poterti avvicinare a quelle più difficili. Non è così?»

«Sì…»

«In altre parole: devi crescere.»

Sen girò il viso per guardare la strada. Di tanto in tanto abbassava gli occhi sulla verdura tra le sue braccia. Strinse le labbra e iniziò a capire il discorso della bella signora così come le posizioni dei suoi genitori. Un po’ meno quella di Mamoru, perché era a un livello non troppo lontano dal suo, però le cose stavano acquisendo un senso che prima non aveva capito: gli erano sembrate solo imposizioni belle e buone e dittatoriali.

«Mi piace questo paragone», approvò, accennando un leggero sorriso.

Lei fu più aperta nella propria risata, tanto che la smorfia le fece arricciare la sommità del naso, conferendole una bellezza così solare da farlo arrossire un’altra volta.

«Ho dei figli anch’io!»

«E vanno d’accordo?»

«Sì e no, come tutti i fratelli. Quando erano piccoli, per quanto si cercassero di continuo, si facevano un monte di dispetti, erano tremendi. Poi sono cresciuti, hanno imparato a conoscersi e poco alla volta sono diventati ancora più inseparabili. Questo non significa che abbiano smesso di litigare: sono solo cambiati i modi e le cause. Ma non importa quanto possano discutere, so che si ameranno sempre.»

Sen pensò che il legame con suo fratello fosse stato forte solo quando lui era molto piccolo e il rapporto più giocoso. Crescendo, qualcosa si era perso. Troppa differenza di età, forse, gusti troppo diversi e caratteri che finivano per cozzare di continuo. Mamoru aveva un atteggiamento da comandante; a volte era più impositivo del loro papà, ma a lui non stava bene per niente. Quindi non avevano mai sentito la necessità del cercarsi, e anche se Sen a volte avrebbe voluto trascorrerci del tempo, Mamoru ma non faceva che prenderlo in giro e criticarlo più o meno velatamente, così sceglieva di rinunciare alla sua compagnia più spesso di quanto accettava qualche sfottò in più pur di stare insieme. Forse un simile livello di unità, loro due non erano destinati a raggiungerlo.

«Capisco…»

«Credi che tuo fratello non ti voglia bene?»

«Mi considera una palla al piede, perché io non sono come lui e non mi piacciono le cose che piacciono a lui», ammise con veemenza. «Mi prende sempre in giro per i miei gusti e mi fa arrabbiare…»

«I bisticci sono normali, te l’ho detto, non te ne libererai mai. Ma questo non significa che lui non ti ami e non farebbe qualsiasi cosa, per te, se ne avessi bisogno.»

«No, non credo. Si arrabbierebbe, invece, e mi direbbe che faccio solo casini. Comunque, adesso vive a Yokohama; non sono più un suo problema.»

«Io dico che è l’esatto contrario.» La donna si fermò appena furono fuori dai cancelli del parco. «Ora che è lontano, e non può vegliare su di te come faceva prima, sono certa che sia preoccupato il doppio.»

Sen non trattenne la risata che gli esplose tra le labbra, forse in maniera troppo maleducata. «Non Mamoru! Noi della famiglia siamo sempre stati in coda.»

«Te lo ha detto lui?»

«Non ce n’è bisogno.»

«Allora non giudicarlo male.» Nel sorriso della donna a Sen parve di riconoscere qualcosa di familiare ma indefinito. Non era un singolo particolare, quanto l’intera espressione. «Molte volte, gioia, le persone non dicono tutto quello che passa loro per la testa o nel cuore. A volte lo mascherano facendo gli sbruffoni, sta a te interpretarli.»

«Lo fanno anche i suoi figli, oba-san

La donna ci pensò. Sollevò lo sguardo e poi un altro sorriso fece capolino per arricciarle il naso. C’era più affetto in quell’espressione che in tutte le parole che avrebbe potuto dire, Sen lo percepì. E percepì quanto volesse bene ai suoi figli. Anche la mamma gliene voleva a lui e Mamoru, ma non aveva idea se sorridesse in quello stesso modo quando parlava di loro con degli estranei, o se di lui elencasse solo i difetti.

«Uno. Vuole sempre far credere di essere un gran duro e combina solo disastri, ma per suo fratello sarebbe disposto a rinunciare a qualsiasi cosa, compresi i suoi sogni. Certo, non lo dice a gran voce, ma abbiamo imparato a capire i suoi silenzi. Tu sei certo di saper leggere nei silenzi di tuo fratello?»

I silenzi.

Che erano un po’ ciò di cui lo accusavano, ovvero di non parlare mai e stare per i fatti suoi.

Si era mai accorto, invece, delle cose che Mamoru non diceva?

Sen non ci aveva mai pensato, né aveva osservato suo fratello con così tanta attenzione. Lui vedeva solo ciò che veniva mostrato, si basava su quello, ed erano tutti successi. Ma su cosa, invece, suo fratello restava in silenzio?

Su quel quesito rimasto sospeso squillò il cellulare della sconosciuta signora.

«Oh! E vedi che succede a parlare del diavolo?» disse, mentre ravanava nella borsa, senza riuscire a trovare il telefono, nemmeno fosse stato inghiottito in un’altra dimensione. Le ricordò sua madre, perché faceva lo stesso. Doveva essere una cosa solo delle mamme, quella di infilare l’impossibile nella borsa e riuscire comunque a perderlo. Poi la zietta estrasse lo smartphone.

«Tesoro di mamma!» esclamò prendendo la chiamata. «Sono secchi o freschi?» Il traffico copriva i mormorii della voce all’altro capo. «E allora devi metterli a bagno tutta la notte. In acqua fredda e copri la ciotola con un panno… Sì, e poi usalo per setacciare se non hai altro, sai che deve venire una pasta asciutta. Ma ricordi tutti gli ingredienti? Altrimenti ti mando una foto quando arrivo a casa… Va bene, ma poi fammi vedere il risultato, sono curiosa! Buonanotte, gioia, e non fare esaurire tuo fratello!»

E quello quale figlio è?, si chiese Sen. A giudicare dal saluto finale, avrebbe detto quello che si voleva comportare da duro.

«Visto? Anche i miei ragazzi vivono ormai fuori casa, ma nel momento del bisogno è sempre qui che tornano, perché qui c’è casa e loro lo sanno. Lo saprà anche tuo fratello, e lo saprai anche tu, quando sarai grande e prenderai la tua strada.»

Ripresero a camminare per raggiungere l’incrocio dove le loro strade si sarebbero separate e a Sen un po’ dispiacque che quella conversazione finisse già. Per quanto si trovasse a disagio a parlare di sé stesso con le persone, con lei non temeva di sentirsi giudicato, perché aveva un sorriso che lo faceva sentire a suo agio.

«Tanto che io ci sia o meno non fa molta differenza. Nessuno se ne accorge.»

«Non sottovalutare la super-vista di una mamma o di un papà: sanno vedere anche quando non stanno guardando.»

E, proprio con tempismo perfetto, nel momento in cui si sarebbero dovuti separare perché arrivati al famoso incrocio, a squillare fu il suo di cellulare e gli partì un’imprecazione che rimase solo nella testa.

Questa volta, però, a cercarlo non era Pooja e non era una buona notizia.

«Mam-»

– Che cosa ti avevo detto quando ti ho permesso di uscire con i tuoi amici dopo scuola? Mi sembrava di essere stata chiarissima.

«Sì, ma-»

– Non ci sono ‘ma’, tu a quest’ora avresti dovuto già essere a casa. Hai visto che è buio? Avevi detto a Pooja che saresti arrivato in dieci minuti: be’, sono passati e non sei ancora qui! Dove sei?!

«Sono quasi arrivato, ho dovuto-»

– L’unico tuo dovere è obbedire alle mie regole, non accampare sempre delle scuse, Sen. Non è la prima volta che fai tardi senza avvertire. Ora torna subito a casa e parleremo della tua punizione.

Come al solito, non ebbe neppure la possibilità di spiegarsi e difendersi. Aveva disobbedito? E allora la punizione sarebbe stata assicurata, poco importava se a monte c’era stata una buona causa. Chissà perché non ricordava che avessero mai punito suo fratello in passato, eppure non era mai stato un ragazzo modello. Al solito, la sua vita era fatta di due pesi e due misure che finivano di togliergli le parole che non diceva mai. Sen afflosciò le spalle.

«Sì, arrivo…» concluse e fece sparire il cellulare in tasca. Si accorse del modo in cui la sconosciuta piegasse un po’ la testa in avanti. Anche lei doveva aver sentito sua madre che sbraitava.

«Si è arrabbiata tanto?»

Lui fece spallucce. «Quando si tratta di me, o si arrabbiano o mi dicono di non intromettermi. Sono indietro di troppi livelli per poter competere.»

Cincischiò col fondo di plastica della busta che reggeva tra le braccia e poi la passò alla donna, aiutandola a sistemare tutti i pesi che aveva con sé. Era carica, ma nonostante fosse bassina e piccola di corporatura, sembrava essere perfettamente in grado di portare tutto senza alcuna fatica.

Accennò un inchino di saluto e fu lì per congedarsi, quando lei gli chiese, dopo averlo osservato in silenzio: «Come ti chiami?»

«Sen.»

«Non essere triste, Sen.»

«Non sono triste, sono solo…»

«Amareggiato?»

Sollevò ancora le spalle e abbassò il viso a terra, ma la mano gentile della sconosciuta glielo fece alzare ancora, pizzicandogli il mento tra indice e pollice. Mani da lavoro, avevano la pelle ruvida.

«Non devi esserlo, anche se ti fa arrabbiare venire rimproverato o sei certo che nessuno ti ascolti. Non è così, gioia. La tua mamma si preoccuperà sempre e a volte sarà severa proprio per questo. Così come il tuo papà o tuo fratello. E quando avrai davvero bisogno, loro ci saranno, senza rimproveri né incomprensioni. Loro ci saranno, perché ti vogliono bene, ma devi fare in modo che ti capiscano, quindi non aver paura di parlare o far valere le tue idee. La tua famiglia è lì per te.»

Sen sentì gli occhi pizzicare senza una vera ragione. Le lacrime affollate tutte insieme sulla sommità del naso e sotto le palpebre. Per quanto fosse nient’altro che una sconosciuta, quella donna lo aveva trattato come fosse stato di famiglia. Nella gentilezza dei modi, nell’onestà dei ragionamenti. Lo aveva fatto sentire un pochino più grande del suo livello.

Annuì e il tocco della mano passò dal mento alla guancia, in una carezza affettuosa.

«Sei proprio un ragazzo, Sen. Corri a casa, e grazie per avermi aiutata.»

Sen non riuscì a replicare, perché il groppo che sentiva alla gola bloccava ogni cosa. Però si inchinò ancora una volta e dopo stava di nuovo correndo per le strade di Nankatsu.

 

Haruko aspettò che il bambino, Sen, fosse al sicuro dall’altra parte dell’attraversamento pedonale e si mischiasse con la folla che rincasava, prima di dirigersi verso casa.

Sorrideva; una smorfia che non si sarebbe tolta dalla faccia facilmente perché più ci pensava, più si approfondiva. Di quella giornata piena di lavoro, non si sarebbe mai aspettata un simile finale, però era stato divertente.

E chissà che faccia avrebbe fatto Shuzo, quando avrebbe saputo che un bambino si era fatto scudo con il suo nomignolo. Almeno per una volta, la fama di Malerba che suo figlio si portava dietro era servita a qualcosa di buono.

Suo fratello sta con il mio.

Oh, be’ be’. Tra caso e fortuna lei avrebbe preferito chiamarlo destino, perché solo quest’ultimo avrebbe potuto mettergli sulla strada proprio Sen Izawa.

Il sorriso si approfondì; che carino che era.

Mae Yamatogawa aveva due bei figli; educati e di buone maniere, ma lei era curiosissima di conoscere il famoso Mamoru solo che Yuzo non si decideva a portarlo a casa, neppure per un pranzo in amicizia. Non pretendeva certo che glielo presentasse come fidanzato – conoscendo suo figlio, probabilmente non l’avrebbe fatto neppure sotto minaccia di morte – ma almeno farglielo conoscere come amico. Era stancante fare finta di non sapere le cose. Per fortuna che poteva contare sui pedinamenti discreti di Baiko e sulle soffiate distratte di Shuzo.

Eh, sì.

Il piccolo Sen ignorava quanto complicato fosse il ruolo di una madre.

Bisognava essere attente, ma non oppressive. Essere discrete, ma non invadenti. Concedere il giusto, ma non essere permissive. Ed essere severe, senza passare per cattive. Bisognava bilanciare l’amore tra i figli, il marito e anche sé stessi, affinché non vi fossero squilibri.

Non era facile, ed era certa che Sen lo avrebbe capito, con il tempo… e qualche livello in più nell’esperienza.

Haruko camminò senza fermarsi fino a casa, ed era così presa dai propri pensieri che non si accorse neppure delle luci accese nell’abitazione. Solo quando aprì la porta, un profumo di carne e spezie la raggiunse e le fece alzare la testa con sorpresa.

All’ingresso, c’erano le scarpe di suo marito.

«Baiko? Sei tornato presto!»

«E tu hai fatto tardi, stasera. Ma-… ehi! Quanta roba hai con te?» Baiko arrivò di corsa dalla cucina e le tolse subito la busta rotta dalle braccia. «E questa verdura e frutta? Sei andata da Kobayashi-san, vero? Avresti potuto chiamarmi, sarei passato a prenderti. Guarda qui come sei carica.»

«Ho faticato un po’, lo ammetto, ma… ho avuto un grazioso aiutante lungo la strada.»

«Ah, sì?»

«Già.»

«Perché… stai sorridendo in quel modo? Mi fai un po’ paura quando hai quell’espressione. È la stessa che fa tuo figlio, quello scemo, quando sta per fare danno!»

Da sorriso, la smorfia si trasformò in una risata che le arricciò il naso. Una risata luminosa e pericolosa al tempo stesso.

«Tu non indovinerai mai chi ho incontrato stasera.»

 

 

 

 


 

 

Note Finali: e fine! XD

Ecco l’ultima chiacchierona che voleva dire la sua: Haruko XD

Insomma, se ho fatto parlare i genitori di Mamoru e Baiko, era giusto che anche Haruko avesse voce nella vicenda e qui il caso o destino ci ha messo lo zampino! X3

Quindi, Haruko sa chi ha davanti, ma Sen lo ignora del tutto. Povero stellino! XDDD Non sa di aver aiutato la madre del suo idolo tamarro! XDDD L’avesse saputo, oltre a sprofondare dalla vergogna, un po’ si sarebbe sentito anche orgoglione di sé stesso XD Tipo, come far impennare l’autostima.

Ma invece, più che darsi un tono, finisce con il confessarsi con lei, alla ricerca di quella figura adulta che riesca ad ascoltarlo senza il timore di venire messo a confronto con l’aura ingombrante del fratello. <3

Nell’adolescenza pensi proprio che nessuno ti capisca e le incomprensioni, se non risolte, finiscono con il trascinarsi a lungo e riuscire a trovare una quadra solo in là nel tempo. :3

 

Tutto questo, però, è un’altra storia! ;)

 

Ora due parole sulla serie Soulmate: sono rimaste ancora cinque one-shot da scrivere prima di iniziare ad approcciarmi alla long che chiuderà l’intera serie e che non credo inizierò quest’anno. Ma conto, invece, di riuscire a terminare le shot mancanti! Per la long… se ne parlerà nel 2021. :3

 

Grazie a tutti voi che continuate a seguire le mie storie – non soltanto questa serie.

Siete preziosi.

Grazie! <3

 

 

 

   
 
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