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Autore: Ruta    02/03/2020    2 recensioni
"Ti stai chiedendo quando finirà. Quando sarà semplicemente troppo? Quando ci spezzeremo sotto il peso delle nostre responsabilità, dei nostri errori?"
"Atlante," lui sussurra.
Lei annuisce. In un giorno diverso riderebbe. Nel loro caso quel complesso è diventato parte di loro. Poggia la fronte contro quella di lui, sposta la mano dietro la sua nuca e il sospiro che rilascia è tanto suo quanto di Bellamy, assordante nella bolla di silenzio che li circonda. È sollievo, è sfinimento, è quieta accettazione che quella è la loro realtà e non c'è niente e nessuno, a parte loro, che abbia il potere di fare qualcosa al riguardo.
"Sopporta, o mio cuore: tu hai sopportato una cosa anche peggiore," lei mormora a voce bassissima.
[Post-Season 6. Clarke scopre le conseguenze causate dall'aver fatto da ospite a Josephine. Bellarke]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Il nostro è un mondo di giganti in campo nucleare e di neonati in campo morale. Sappiamo più sulla guerra di ciò che sappiamo sulla pace, sappiamo di più su come si uccide di ciò che sappiamo su come si vive.

Omar Bradley

 

 

 

 

Impronte sulla sabbia

 

 

 

 

Tornare alla normalità non è facile, ma quando mai lo è stato?
Seduta accanto a Madi durante il pranzo, Clarke si costringe a mandare giù qualche boccone in più anche se non ha fame. Annuisce di quando in quando mentre Madi le racconta dei suoi allenamenti con Indra, delle sue lezioni di storia e tradizioni dei Terrestri con Gaia.
Madi non appare convinta, al contrario i suoi occhi sono fissi su di lei, troppo seri e penetranti. Il dejavu è istantaneo e francamente terrificante. Clarke stringe il cucchiaio, le nocche bianche come le pareti del reparto di quarantena di Mount Weather.
Nonostante tutto Madi non insiste, non la tempesta di domande. Il petto le si contrae dolorosamente in uno spasmo che è fin troppo familiare. La vecchia Madi non le avrebbe dato tregua. La nuova Madi a malapena batte ciglio. No, non è del tutto vero. Dopo la sua esperienza di pre-morte le si è incollata al fianco come non faceva più da quando Bellamy e gli altri sono tornati. Gli unici momenti in cui è davvero sola sono quelli in cui lavora in infermeria e Madi è impegnata ad imparare a essere la perfetta Heda.
Finito il pranzo Madi si allontana con Gaia. Le osserva andare via e quando sono sparite scosta il piatto.
"Non hai una bella cera."
Raven si lascia cadere nel posto che Madi ha lasciato libero. Colorito grigio e spento, le tipiche occhiaie di chi non dorme, bulbi oculari con i capillari rotti, è l'ultima persona sulla faccia del pianeta a poter fare affermazioni del genere senza aspettarsi risposte taglienti. Tuttavia Clarke ricorda la conversazione avuta qualche giorno prima e desiste. La morte di Abby è stato un duro colpo per entrambe, ma le ha riavvicinate. I loro scambi sono ancora tesi e prudenti, ma almeno la voce di Raven ha smesso di essere graffiante. Ha smesso di guardarla con disprezzo, come se la odiasse.
"Dimmi qualcosa che non so."
Raven occhieggia il piatto intatto, ma non commenta. Clarke gliene è riconoscente.
"La situazione ci sta sfuggendo di mano."
"Cosa vuoi che faccia?"
"So che sei conciata male." Raven esita come se si fosse pentita per aver detto troppo, fosse preoccupata di aver commesso un passo falso. In precedenza è qualcosa che mai e poi mai lei avrebbe associato alla donna che le sta di fronte. Questa esitazione tra accettazione e rifiuto, impotenza e frustrazione. "Abby manca anche a me," dice e l’ostinazione brilla fulgida aldilà del pallore e del lutto quando aggiunge: "Bellamy ha bisogno di te."
Clarke rifugge il suo sguardo. Non è mai stata una vigliacca, ma ci deve essere un momento in cui l'istinto di conservazione fa la sua entrata in scena. Tardi, ma meglio tardi che mai. "Non nella misura in cui credi tu."
"E questo cosa vorrebbe dire?"
"Credi che non abbia provato a parlargli?" Stringe le mani a pugno, nascondendole sotto il tavolo. "Si è barricato in camera sua. Credimi, ho provato."
"Non hai provato abbastanza!"
"Cosa mi dici di te allora? Voi siete la sua famiglia, non io. Perché dovrebbe ascoltare me?"
Il suo sbigottimento è genuino, così come le accuse mute che le scaglia contro. Clarke sa cosa sta pensando. È scritto chiaramente sul suo volto. Crede che lo stia abbandonando di nuovo. Non ha tutti i torti.
"Non puoi essere seria. Dopo tutto quello che ha fatto per riportarti indietro-"
"Lo so," la interrompe con forza. "Gliene sono grata."
"Allora-"
"Ma non posso fare quello che mi chiedi." Contro la sua volontà sente gli occhi inumidirsi. Quando Raven se ne accorge, la sua rabbia inizia a retrocedere, silenziando ogni precedente protesta e recriminazione. "Non posso dirgli che andrà tutto bene. Non posso mentirgli."
Quando si alza senza attendere risposte, Raven non la segue. Clarke non riesce a capire se è delusa oppure l'esatto contrario.

*

Tossisce, spasmi violenti che le squassano la schiena e la costringono a cercare un appiglio nella parete più vicina per mantenersi in posizione eretta.
C'è del sangue quando allontana la mano. Sbatte le palpebre e le sembra che sia appena morto l'ultimo frammento della ragazza che è stata una vita fa, prima della Skybox e della Terra, prima del Praimfaya, prima di perdere tutto ciò che ha amato, una persona alla volta, una dopo l'altra.

Dalle ceneri risorgeremo.
A quanto pare c'è un limite al numero di volte in cui può essere vero.

*

Dopo che ha finito di visitarla, mentre lei si riveste Gabriel le dà le spalle con tatto e comincia a sterilizzare la strumentazione che ha usato.
Clarke indossa la maglietta, nascondendo di nuovo le cicatrici. "Quanto tempo mi rimane?"
Gabriel non sembra sorpreso dalla domanda diretta. Tutto in lui emana rassegnazione e pietà. "Difficile a dirsi. Un anno, forse meno."
Clarke annuisce. Non si era aspettata niente di diverso. Allo stesso tempo sentirlo confermare i suoi timori è come essere catapultata in un vecchio incubo. Inginocchiata in una duna con una pistola premuta contro la tempia. Seduta all'interno dell'Arca mentre osserva la lettera d'addio di un ragazzo a cui ha salvato la vita, ma a cui ha portato via la speranza. Ammanettata e implorante mentre l'uomo che ha aspettato per sei anni tradisce la sua fiducia. Josephine mentre le mostra il ricordo in cui Bellamy accetta l'accordo con Russell, spezzandole il cuore. L'orrore. La morsa stritolante della solitudine.
Madi, pensa. Per la prima volta il pensiero non è scortato dalla solita ondata di calore e conforto, al contrario rende le circostanze ineluttabili. Si sente messa con le spalle al muro.
"Cosa farai adesso?"
"Quello che devo."
"Non hai intenzione di dirglielo? Nemmeno a Bellamy?"
"Hanno già abbastanza di cui preoccuparsi senza aggiungere anche me."
"Clarke, devo saperlo. Perché io? Perché hai voluto che fossi io a visitarti?"
"Jackson non reggerebbe il peso del segreto. Non ho il diritto di chiedergli di mantenerlo. Tu invece-"
"Sono un estraneo," lui conclude al suo posto. "Non hai alcun obbligo nei miei confronti. Non provi nessuna lealtà o istinto di proteggermi."
Suona esattamente com'è. Cinico. Calcolatore. Freddo. Non importa più. Che senso ha nascondersi? Soprattutto adesso, alla fine di tutto.
Esala un sospiro, sfinita. "Sì."
"Capisco." La sua risposta, così come il suo sguardo, è analitica, non giudicante. "Sai, in una vita diversa saremmo potuti essere amici. Dal poco che ho potuto vedere, io e te siamo simili. Siamo entrambi idealisti, ma preferiamo un approccio scientifico, empirico. La nostra mente è abituata a scomporre un problema come quando studiamo i sintomi del paziente per individuare la malattia che lo affligge e somministrargli la cura adeguata. Entrambi amiamo fieramente e quando lo facciamo è un amore senza tempo, complicato, pieno di sacrifici e opinioni conflittuali. Immagino che ci siano punti di non ritorno anche per noi però, non è vero? Il tuo è stato Madi."
Per un attimo si chiede come faccia a sapere. Non c'è alcun modo che lui- a meno che- Octavia. Il nome riecheggia come uno sparo nella sua testa. Le sembra di avere schegge di vetro nei polmoni e che siano penetrate abbastanza in profondità da farle assaggiare il retrogusto della morte. Sangue. Sabbia. Cenere. Polvere da sparo.
Deglutisce a fatica oltre il groppo in gola. Si schiarisce la voce. "L'ho perdonato."
"Perdonare non è dimenticare. È per questo che rifiuti di andare a trovarlo? Per quello che temi di provare vedendolo soffrire per sua sorella come tu hai sofferto per tua figlia? Sei una persona migliore di quanto pensi."
"È più il tempo che abbiamo trascorso separati di quello che abbiamo trascorso insieme. Cosa ti fa capire di noi?"
"A giudicare dal legame che vi unisce? Il tempo è relativo, Clarke. Non te l'ha mai detto nessuno? La guerra cambia chi siamo in modi profondi, indicibili, ma così fa anche l'amore."
Questa volta, quando lo guarda, similmente a quello che è successo con Madi, il viso di qualcun altro si sovrappone a quello di Gabriel. Un altro fantasma, un'altra impronta nelle sabbie del tempo. Dopo un attimo di stupore, capisce. Le ricorda Wells.

*

La stanza è uno sfacelo. Seduto sul pavimento, capelli più disordinati che mai e barba incolta, nocche insanguinate come se avesse preso a pugni il muro, Bellamy non è da meno. All'inizio Clarke non capisce il commento di Murphy quando, dopo aver roteato gli occhi, lo sente dire: "Ecco che si ricomincia. È la terza volta in sei anni? Non che stia tenendo il conto."
Non capisce finché Raven si volta verso di lei e le rivolge uno sguardo inequivocabile. Qualcosa di simile è già successo in passato e non è difficile trarre le debite conclusioni.
Raddrizza le spalle. Sapeva che sarebbe stato difficile. Non così, pensa. Non così.
"Bellamy."
Lui non solleva la testa. Non li ha degnati della minima considerazione da quando sono entrati. "Va' via." La sua voce è roca e aspra, incrinata come se fosse ad un passo dallo spezzarsi.
"Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato o dormito?" domanda Raven. Ha le mani sui fianchi e sembra pronta a dare battaglia. "Murphy, aiutami a farlo alzare. Deve lavarsi."
"Non toccarmi, Murphy o giuro che-"
"Cosa farai? Mi guarderai in cagnesco fino a farmi stramazzare al suolo? Ci siamo già passati una volta. Sei anni fa, sull'Anello. Dopo che abbiamo perso Clarke. Stai diventando prevedibile o stai invecchiando?"
"Non andremo via," interviene Raven. "Puoi urlare fino a sgolarti, prendere Murphy a pugni, ("Sul serio? È sempre un piacere percepire il tuo amore per me, Reyes.") fare lo sciopero del silenzio. Non ti lasceremo. Siamo ancora una famiglia."
Bellamy non reagisce, ma Clarke osserva la trazione nervosa abbandonare la sua schiena, le sue spalle afflosciarsi.
"Raven ha ragione." Fa un passo in avanti e poi un altro finché la punta dei suoi stivali sfiora quelli di Bellamy. E ancora lui non sposta lo sguardo dal pavimento. Ancora si rifiuta di guardarli, di guardare lei. La rabbia monta dentro di lei senza che faccia nulla per fermarla, la afferra per la gola. "Ti sei crogiolato abbastanza nell'ingiustizia del mondo e sai una cosa? Ne ho abbastanza. Ne abbiamo tutti abbastanza. Pensi di essere il solo ad aver perso qualcuno che amavi? Jordan ha perso i suoi genitori. Raven ha perso Shaw. Io ho perso mia madre. Tutti noi abbiamo perso il nostro pianeta, casa nostra, i nostri amici. Non sei solo nel tuo dolore, Bellamy. Non lo sei mai stato. Soltanto che tu hai qualcosa che noi non abbiamo. Hai la speranza. Octavia potrebbe essere ancora viva e invece di cercare una soluzione, hai scelto di arrenderti."
"Clarke-" lui gracchia, sollevando la testa dalle ginocchia. I suoi occhi sono velati di lacrime e la disperazione e l'angoscia hanno scavato solchi profondi attorno alla sua bocca, sulla sua fronte. Vorrebbe confortarlo, tracciare ogni nuova ruga in punta di dita, bisbigliare contro la sua pelle le mille confessioni che ha avuto il coraggio di fargli solo durante le chiamate radio che non lo hanno mai raggiunto.
Sarebbe così facile e la tentazione è forte, irresistibilmente dolce. Chiude la mano a pugno prima di commettere qualcosa di irreparabile. Non ci sarebbe possibilità di ritornare alla normalità in quel caso e lei non ha il diritto di fargli una cosa simile. Non quando pensa di aver perso Octavia. Soprattutto adesso, alla fine di tutto. Perciò, per quanto impossibile appaia, si astiene dal toccarlo più dello stretto necessario.
Si inginocchia davanti a lui, Raven e Murphy su ciascun fianco. Miller è a guardia della porta. Jordan li fissa dall'altro capo della stanza, indeciso se intervenire oppure no. Emori ed Echo sono rimaste con Madi.
"Bellamy," lei dice, smorzando la durezza di poco prima. Ora che l'ha raggiunto, che è riuscita a scavare una breccia nella sua apatia, può finalmente concedersi di essere gentile. Cerca di infondere nella sua voce parte della tenerezza che sta provando. Contrariamente a quanto temeva non c'è traccia di rancore o straniamento. Sono ancora loro, ai piedi di una montagna da scalare a mani nude. Di fronte a un precipizio mentre sono attorniati da nemici. Ai confini della realtà mentre osservano l'uno il cuore dell'altra che continua ad ardere e divampare dopo l'ennesima perdita. Sono ancora loro e anche se tutto è cambiato, a conti fatti nulla lo è davvero. "So cosa stai pensando."
"Lo sai?" Lo sguardo che le rivolge è imperscrutabile, atrocemente vuoto e Clarke sente che potrebbe piangere.
"Come non potrei?" Gli scosta i capelli dalla fronte e quando lo vede chiudere gli occhi, gli poggia la mano contro la guancia, tracciando il contorno dello zigomo con il pollice. Non le passa inosservato il modo in cui lui si protende verso di lei, cercando il contatto come se volesse prolungarlo, come se rappresentasse l'unico punto fermo in un mondo che gli sta crollando attorno. "Ti stai chiedendo quando finirà. La guerra che non abbiamo mai smesso di combattere da quando abbiamo messo piede sulla Terra. Tutte quelle morti. Le scelte impossibili. Gli addii. Il senso di colpa. Quando sarà semplicemente troppo? Quando ci spezzeremo sotto il peso delle nostre responsabilità, dei nostri errori?"
"Atlante," lui sussurra.
Lei annuisce. In un giorno diverso riderebbe. Nel loro caso quel complesso è diventato parte di loro. Poggia la fronte contro quella di lui, sposta la mano dietro la sua nuca e il sospiro che rilascia è tanto suo quanto di Bellamy, assordante nella bolla di silenzio che li circonda. È sollievo, è sfinimento, è quieta accettazione che quella è la loro realtà e non c'è niente e nessuno, a parte loro, che abbia il potere di fare qualcosa al riguardo.
"Sopporta, o mio cuore: tu hai sopportato una cosa anche peggiore," lei mormora a voce bassissima.
Lo sente irrigidirsi, diventare una statua di pietra contro di lei mentre le parole di Odisseo si fanno spazio dentro di lui e attecchiscono. La citazione deve avere radici profonde nella sua memoria, intrinsecamente avvinte alla sua vita sull'Arca.
"Non credo di riuscirci."
"Sì che puoi," risponde quietamente. "Puoi perché io posso."
"L'hai già fatto una volta." Raven gli poggia una mano sulla spalla. Un monito che stranamente contiene anche una supplica. "Sei sopravvissuto."
Bellamy trova di nuovo i suoi occhi. Non sembra poterne fare a meno. "L'ho persa.”
Sa esattamente cosa vuole da lei. Sa di non poterlo accontentare. Non questa volta.  
Come se le avesse letto nel pensiero, Murphy dice: "Octavia è forte. I mostri e i tiranni sono difficili da uccidere. Proprio come il Comandante della morte."
"E se non dovessimo? L'ultima volta che l'ho vista, le cose che le ho detto -"
“Va tutto bene, Bellamy," lei cerca di tranquillizzarlo. "Di qualsiasi cosa si tratti, Octavia sa che le ami."
"Come lo sapevi tu?"
Non vorrebbe, ma è più forte di lei. Sussulta e sei anni di separazione le franano addosso di colpo. L'aria nella stanza scompare all'improvviso. L'abisso negli occhi di Bellamy, il tormento che mostrano, è solo un riflesso del suo. Non dovrebbe sorprenderla. È sempre stato così in passato. L'uno il completamento dell'altro.
"Raven, Murphy, lasciateci soli," lo sente dire, il tono è imperativo e non lascia adito a diverse interpretazioni.
Clarke serra gli occhi. Non li osserva uscire, ma sente il rumore dei passi che si allontanano, appena prima che la porta si chiuda ascolta la voce di Jordan che chiede "staranno bene?" e la risposta immediata di Murphy "sono Clarke e Bellamy, nulla è impossibile per loro."
Sono rimasti soli. Respira con boccate agonizzanti. Le sembra di essere in una tempesta di sabbia. L'ultima della sua specie sulla superficie di un pianeta morente.
"Clarke, guardami."
Obbedisce, anche se il modo in cui la sta guardando la fa tremare. Non è panico, non è trepidazione, non è felicità. È un amalgama confusa. È come l'ha guardata nella tenda di Gabriel. Come qualcosa di prezioso, fragile, incredibilmente caro. Con amore.
"Sono stanco di vivere di rimpianti. Tu no?"
"Bellamy," dice e scuote la testa. Cos'altro può fare? Cosa può promettergli? Sto morendo, vorrebbe dirgli. Non sa quando, potrebbe essere un mese come un anno, ma sa come vuole morire. È un desiderio egoista. Ha scoperto che non le importa.
Quando le braccia di lui la avvolgono, attirandola a sé, Clarke sente le lacrime che ha trattenuto per giorni scendere copiose, liberamente.
"Lo so, Clarke. Lo so." Continua a ripeterlo mentre le accarezza i capelli, mentre le bacia la fronte con una devozione che serve solo a comprimerle la gabbia toracica.
No, non sa nulla. Il segreto le brucia contro le labbra come pioggia nera, come nebbia acida. Prova a districarsi dal suo abbraccio. Lui non glielo permette. La stretta aumenta, spasmodica e urgente.
Bellamy continua a tenerle la testa ferma contro la spalla e lei registra per la prima volta il tremore inconfondibile che gli attraversa le mani, il fatto che le stia impedendo di guardarlo negli occhi. Oh, pensa. La verità si fa largo nella sua mente con uno schianto. Oh.
Ripensa agli strani silenzi di Raven, ai suoi sguardi liquidi che lei aveva collegato ad Abby. A quante volte Murphy ed Emori sono passati per caso durante i suoi turni in infermeria. Alla paura negli occhi di Madi quando pensava che lei non si accorgesse che la stava guardando. La presenza assidua di Echo a seguirla come un'ombra silenziosa, accompagnandola nei suoi spostamenti. Bellamy, trincerato nella sua stanza e schiacciato da un lutto che le sembrava sproporzionato, ingiustificato date le informazioni frammentarie in loro possesso sull'Anomalia. Ora, alla luce di quello che ha scoperto, tutto ha senso. L'insistenza di Raven quando ha cercato di convincerla a parlargli, l'ammissione impassibile di Echo quando l'ha informata della rottura con Bellamy.
Non si è mai trattato di perdono.
Si discosta e lui glielo permette. Deve avere già capito. La conosce troppo bene.
"Da quanto lo sai?"
"Gabriel ha ritenuto opportuno informarci."
Non è quello che ha chiesto. "Da quanto, Bellamy."
Clarke conosce la risposta prima che lui parli. "Sin dall'inizio."
Non sa come reagire ad un'informazione di questo tipo. Le dita di Bellamy continuano a strofinarle la schiena in cerchi rilassanti. I suoi occhi non sono meno perseguitati, ma sono anche saldi nella loro intensità, come fuoco che brucia nell'acqua. Non riesce a distogliere lo sguardo. Non sa come diavolo tornare in sé.
"Parlami. Mi stai spaventando."
"Cosa vuoi che ti dica?"
"La verità," lui risponde senza la minima incertezza. "Me l'avresti detto?"
"Forse. Non lo so." Si concentra su un buco nella sua maglietta. Vista da vicino ci sono altri rattoppi e la perizia della cucitura è innegabile. Figlio di una sarta, ricorda. "Che importanza ha?"
"Importa a me. Non avrei mai pensato che potessi essere così codarda."
"Codarda? Come osi- cosa credi che stia facendo? Perché credi che lo stia facendo?"
"Atlante", lui ripete con un sorriso obliquo che è doloroso a guardarsi perché è tutto ciò che un sorriso non dovrebbe essere. È più simile a uno squarcio, più simile a una ferita infetta.
"Non capisci."
"Aiutami a capire allora."
È semplicemente troppo da sopportare. "Che senso avrebbe adesso?"
Con calma, come se avesse a che fare con un animale in trappola, Bellamy replica: "Perché pensi che Gabriel ce lo abbia detto? Cosa pensi che stessimo facendo?"
"Octavia-"
Lui la interrompe subito e la veemenza con cui parla ha il potere di ammutolirla. "È una priorità, ma non ha la precedenza su questo. Clarke, non abbiamo mai smesso di lottare per te."
Ormai riesce a stento a contenere le sue emozioni. "Perché?" domanda con un mezzo singhiozzo.
"Conosci già la risposta." Le scosta una ciocca di capelli dalla fronte con un'espressione concentrata e assorta, di pacata gravità. La sensazione di dejavu potrebbe sopraffarla. "Non vuoi sentirla."
"Ancora adesso?"
"Soprattutto adesso," lui risponde. "Sopratutto perché non è la fine. Non è la fine, Clarke. Promettimi che proverai. Anche se non credi che sia possibile, prometti che ti fiderai di me."
"Mi fido di te," lei replica subito.
Questa volta il suo sorriso sembra sincero e gli occhi non sono più vitrei, ma luminosi. Non ha il sapore di un addio scambiato alle porte dell'apocalisse, ma di qualcosa di nuovo che la spaventa più di qualsiasi battaglia abbia mai combattuto, come solo le cose belle riescono a fare.
"Al punto di affidarmi la tua vita?"

Ti ho affidato il mio cuore. Gli sfiora la mandibola e il panico che le attanaglia le viscere è bene accetto. È dove vuole essere e la prospettiva della fine, una fine pacifica circondata dalla sua famiglia, è meno desolante di quanto aveva immaginato. Non vuole che sia la fine e lotterà affinché non lo sia, ma l'alternativa non la spaventa più come prima. Qualsiasi cosa succeda, non sarà sola.
"L'ho già fatto," risponde.
È la verità, ma è anche una promessa.

 

 

 

 

Anche i dolori sono, dopo lungo tempo, una gioia, per chi ricorda tutto ciò che ha passato e sopportato.

Omero

  
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