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Autore: Carme93    02/03/2020    4 recensioni
Durante l'assemblea, una classe decide di organizzare un Babbo Natale Segreto. All'inizio sembra semplicemente un gioco divertente, ma Federico, sedicenne riflessivo e amante della filosofia, entrerà in crisi nel tentativo di scegliere un dono adatto per una compagna con la quale non va molto d'accordo.
Alla fine, però, lo spirito natalizio avrà la meglio.
[Questa storia si è classificata sesta al contest “November Rain” indetto da Mary London sul sito di EFP; partecipa anche alla challenge “Slot Machine” indetta da Juriaka sul forum di EFP].
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di un anno scolastico'
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[Questa storia si è classificata sesta al contest “November Rain” indetto da Mary London sul sito di EFP con il pacchetto 5: “A non sa cosa regalare a B”; partecipa anche alla challenge “Slot Machine” indetta da Juriaka sul forum di EFP con il prompt 54: Il Natale si avvicina e 9 (Vittoria) ha l'idea di organizzare un Babbo Natale Segreto tra il gruppo di amici. Houston abbiamo un problema!Bonus: 5 (Federico) non ha proprio idea di cosa regalare a 7 (Alisia) e chiama in aiuto 8 (Marica)!]
 




 
 
Un Babbo Natale in crisi
 
 
 

 
Piove
La terra prende un altro odore/ il cielo cambia il suo colore/ e all'improvviso cade il vento/ il mondo gira un po' più lento.
 
 
Il cielo era cupo e sembrava un tutt’uno con il mare in burrasca. L’esempio perfetto della categoria kantiana del sublime: vi era qualcosa di più spaventoso e splendido al medesimo tempo?
 
 
Piove
Si squarcia il cielo, e cade il mare/ e ho tanta voglia di scappare/ ma non c’è un posto dove andare/ dove potersi riparare.
 
 
Si passò una mano tra i capelli ancora troppo corti e sospirò, appannando leggermente il vetro sporco della finestra.  
Se qualcuno gli avesse chiesto di descriversi con una parola, avrebbe scelto ossimoro. Sì, lui era un ossimoro vivente.
Le parole della canzone di Riccardo Cocciante, che gli riecheggiavano in mente da quella mattina, ne erano un esempio: avrebbe affermato volentieri che la sua musica preferita fosse quella rock con la sua energia e il suo calore. Tendeva a quell’energia e quel calore. Poi, però, quelle canzoni un po’ tristi, che ascoltava suo padre, lo intrappolavano e le sentiva affini a sé. Inoltre adorava rimanere a fissare la pioggia cadere per ore, la pioggia che gli trasmetteva un senso di freddezza. Una freddezza, però, che rilassava, che dava conforto.
Era un ossimoro perché avrebbe voluto essere il figlio, l’amico e lo studente perfetto. Essere. Invece, spesso, preferiva rimanere immobile e riflettere. Alle volte non essere, era più semplice. Non ascoltare suo padre, gli amici e i professori.
 
«Diamo iniziò all’assemblea» dichiarò solennemente Cassy, richiamando la sua attenzione. La ignorò: quello era uno di quei momenti durante i quali avrebbe voluto rimanere immobile e in silenzio. Appoggiò la fronte sul vetro freddo e si concentrò sulla pioggia. Ormai pioveva ininterrottamente da ore: molte persone, cosiddette meteoropatiche, odiavano la pioggia perché finiva per intristirle; lui, però, non era d’accordo: il mondo aveva sempre un buon odore dopo, quasi avesse subito un processo di purificazione.
Era un ossimoro perché trovava quasi divertente mettersi in mostra con ragazze delle quali in realtà non gli interessava nulla. E si vergognava di compiacersi sotto i loro languidi sguardi, senza trovare il coraggio di rivolgersi all’unica che gli interessava e della quale conosceva a malapena il nome.
«Mestri, sei dei nostri?».
«Sul serio, Fede, dovresti tenere il verbale dell’assemblea».
Sbuffò e si voltò, infastidito dalla luce artificiale dei neon, più freddi della pioggia a parer suo. Di una freddezza che, però, non confortava minimamente.
Conosceva entrambe le ragazze da più di due anni ormai: Cassandra Pasini – Cassy per gli amici -, bionda, ma dalla carnagione scura, lo fissava a braccia conserte in attesa, probabilmente, della sua collaborazione; Marica Ghizzi, mora, alta e molto antipatica lo fissava con la consueta alterigia.
«Non abbiamo bisogno di un verbale» sbottò quest’ultima. «Nessuno fa il verbale!».
«Il verbale si deve fare» ribatté Cassandra. «Il fatto che gli altri non lo facciano, non significa che non dobbiamo farlo neppure noi! È questo modo di fare che ha portato alla rovina questa città!».
«Dacci un taglio» replicò Marica. «Le assemblee di classe sono solo un modo di saltare le lezioni, dovresti saperlo».
«No, le assemblee di classe permettono agli studenti di confrontarsi tra loro, specialmente in vista di Consigli di Classe ai quali sono ammessi i rappresentati di classe. Se non ascoltiamo il parere dei nostri compagni, che cosa diremo ai professori?».
«Che cosa vuoi dire ai prof? Va tutto bene, grazie e arrivederci».
Federico si era già seccato di ascoltarle battibeccare: Cassy aveva profondamente a cuore quelle tematiche – alle volte pensava che suo padre avrebbe preferito di gran lunga lei come figlia – e non l’avrebbe data vinta a Marica per nulla al mondo. «Ragazze, farò da segretario e scriverò il verbale, ma, vi prego, smettetela di litigare… In questo modo sprecherete l’intera ora» tentò di convincerle.
Le due si squadrarono con cattiveria, ma annuirono.
«Fate un po’ silenzio!» sbottò Cassy rivolgendosi agli altri compagni di classe. «Volete che Aristano torni e metta fine all’assemblea?».
Il volume del brusio si abbassò leggermente, ma ognuno continuò a fare ciò che più gli interessava.
Federico scosse la testa e recuperò un quaderno dallo zaino.
«Poi, lo dovrai ricopiare al computer, lo sai?» gli disse Cassy, passando accanto a lui, diretta verso Isaac Alani e Paolo Gotto che stavano giocando con la PSP a volume fin troppo alto.
«Ma dai…» borbottò in un’inutile lamentala: alla fine la spuntava sempre.
«Samuele!» urlò Cassy. «Hai presente le assemblee di classe? Ne stiamo facendo una! Se non vuoi che ti faccia mangiare il libro di matematica, ti conviene ficcarlo nello zaino!».
«Ma che vuoi da me?» replicò il ragazzo. «Gli altri stanno…».
Tacque quando Cassy si fiondò su di lui e gli prese il libro; in seguito, non contenta, strappò un romanzo dalle mani di Sarah Marchetti e sequestrò il blocco da disegno di Cristoforo Alani. Ogni oggetto finì sulla cattedra.
Federico sedette, godendosi le occhiate scioccate dei compagni.
«Adesso sono io la rappresentante di classe e si fa come dico io» dichiarò Cassy.
«Veramente anch’io sono rappresentante».
«Sei solo la vice, Marica» replicò incurante Cassy.
«Hai intenzione d’istaurare una dittatura?» bisbigliò Federico all’orecchio dell’amica.
«A mali estremi, estremi rimedi» rispose ella con cipiglio minaccioso. «Molto bene, possiamo dare inizio alla prima assemblea dell’anno. Avete questioni di cui discutere?».
«Rieleggiamo i rappresentanti» propose Isaac Alani palesemente irritato.
«Non si può, mi dispiace» rispose Cassy. «Punto primo – scrivi alla lavagna, Fede, – come funziona un’assemblea di classe… Isaac smettila con quella pallina o te la ficco in gola!».
Federico recuperò il gesso e obbedì.
«Dobbiamo parlare della meta della gita» disse Marica.
Il ragazzo aggiunse il secondo punto ‘gita’.
«Io ho una super proposta» intervenne Vittoria, che poco prima leggeva una rivista sportiva, adesso sulla cattedra in mezzo a tutte le altre cose.
«Scrivi» sollecitò Cassy, contenta che gli altri collaborassero anche se a modo loro.
Federico si strinse nelle spalle e segnò: 3) Super proposta.
«Altro?» chiese Cassy, ma ricevette soltanto sguardi corrucciati in risposta – a parte Vittoria che sembrava eccitata.
«Posso riavere la PSP?» chiese Isaac dopo aver alzato la mano.
«No. Iniziamo». Cassy tentò di spiegare che cosa s’intendesse per assemblea di classe, ma nessuno o quasi l’ascoltò veramente e Isaac e Paolo la bersagliarono con palline di carta.
«Parliamo della gita» decise Marica prendendo in mano la situazione. «Dove volete andare? Io personalmente opterei per Parigi, che dite?».
«Le terze non possono andare all’estero» le ricordò Federico ignorando gli sbuffi di Cassy.
«Parigi è nell’Unione Europea» ribatté Marica.
«Non possiamo uscire dal territorio nazionale» ripeté Cassy seccata. «I professori non ti ascolteranno nemmeno».
«Beh, allora scegliamo una meta in Italia».
Federico scribacchiò le mete più nominate, conscio che quella discussione fosse fine a sé stessa: alla fine non avrebbero deciso loro.
«È ora della mia proposta» interloquì Vittoria nel chiasso generale.
«E va bene» sospirò Cassy, rassegnandosi momentaneamente all’ammutinamento della classe.
«Facciamo un Babbo Natale Segreto?».
«Un che?» chiese Cristoforo Alani.
«Babbo Natale Segreto» ripeté Vittoria. «Ognuno di voi deve fare un regalo a un compagno. Mittente e destinatario verranno scelti a sorte e rimarranno segreti fino al momento dello scambio dei regali, l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze. Che ne dite? Sarà divertente!».
Ne venne fuori una discussione infinita tra chi riteneva fosse un’idea stupida e chi, al contrario, la riteneva adorabile.
«Cassy, fa’ qualcosa!» impose Federico. «Prima che il signor Fazi venga a rimproverarci perché stiamo facendo troppo chiasso!».
«Silenzio!» urlò Cassy e tutti si voltarono a fissarla. «Questa discussione non ha senso. La democrazia ci pone la soluzione più semplice: chi è a favore?».
Dopo un momento di silenzio alcuni alzarono la mano, Cassy le contò e decretò: «La maggioranza si è espressa a favore. Vittoria, che dobbiamo fare?».
«Molto semplice, ho già preparato i bigliettini. Vi ricordo di non rivelare assolutamente il vostro destinatario o il gioco non vale. Non si regalano buoni, sarebbe troppo semplice. E non è necessario spendere troppo, dev’essere un pensiero, ma vi chiedo almeno un minimo di cinque euro… non siate veramente tirchi!». Dopodiché tirò fuori dal suo zaino una scatola di latta, al cui interno vi erano dei cartoncini piegati, rossi, verdi e bianchi, e compì il giro della classe affinché ognuno ne potesse prendere uno.
Federico fu uno degli ultimi e ne prese uno verde, nella speranza che gli capitasse un compagno che conosceva bene e a cui avrebbe avuto piacere a donare qualcosa. Aprì il cartoncino e sbirciò il nome con una certa preoccupazione: Alisia Silvestri. Mugugnò scontento: come comprare un regalo a una persona alla quale a malapena parlava? Si pentì di aver votato a favore dell’idea di Vittoria: doveva decisamente smetterla di aiutare gli amici andando contro i suoi stessi interessi. E ora che cosa avrebbe dovuto fare? Tirarsi indietro, era fuori discussione.
«Sei sicura che non possiamo regalare buoni?» chiese Federico a Vittoria, in un ultimo barlume di speranza
«Assolutamente. Dev’essere un pensiero e come tale dovremo fare lo sforzo di scegliere qualcosa che possa piacere al nostro destinatario».
«Tu chi hai beccato?» domandò sospettoso Federico.
Vittoria fece una smorfia. «Non si può dire! Comunque mi è andata male, fidati».
Al suono della campanella Federico tornò al suo posto con un sospiro.
«Non è andata bene?».
Scosse la testa alla domanda di Samir, il suo migliore amico. «A te?».
«Mica tanto. Almeno è un maschio. Credo sia più semplice, no?».
«Già. Io, però, ho beccato una ragazza».
«Vedete che vi sento» minacciò Vittoria.
I due ragazzi sbuffarono e tirarono fuori i libri della lezione successiva.
 
*
 
 
Alisia Silvestri.
La conosceva da due anni, ma non erano mai andati troppo d’accordo: era alquanto altezzosa e ambiziosa. Troppo per lui che non sopportava la pressione della competizione. Avevano anche litigato un paio di volte a causa dei voti: lei pretendeva sempre di confrontarli con i suoi o con quelli di Sarah Marchetti - quell’anno anche con Samuele Vettori, che era arrivato a settembre. Ed era contenta solo quando li aveva superati. Peccato che si lasciasse trascinare spesso e volentieri da Marica, l’unica in classe che poteva considerarsi veramente sua amica – sebbene Federico non comprendesse minimamente come potessero essere amiche due persone tanto diverse – e saltasse la scuola o si distraesse spesso durante le lezioni.
Uscì momentaneamente dalla pagina Instagram di Alisia e si spostò su WhatsApp, dove aprì la chat con Vittoria e le scrisse per la miliardesima volta: “Ma come ti è saltato in mente questa storia del Babbo Natale Segreto?”. Messaggio, proprio come gli altri inviatole nelle ultime due ore, non venne nemmeno visualizzato: sicuramente Vittoria si stava allenando, ma probabilmente avrebbe continuato a ignorarlo o, peggio, l’avrebbe rimproverato per essersi ridotto agli ultimi due giorni.
Sbuffò e riaprì Instagram. Alisia sorrideva sullo schermo, raramente da sola, per lo più in compagnia di Marica, Mara Feniri, un’altra compagna di classe, le sue sorelle o vari ragazzi. La foto più recente, scattata fuori da scuola, ritraeva la ragazza appoggiata al motorino di Marica e intenta a fare l’occhiolino all’obiettivo.
Di certo il motorino non l’aveva, quante volte si era lamentata che non volessero comprarglielo! Ma di certo non rientrava nel concetto ‘pensiero’ espresso da Vittoria settimane prima – e ripetuto fino alla nausea in classe e sul gruppo WhatsApp. In più era l’ultima persona alla quale avrebbe fatto un regalo del genere!
In un’altra foto Alisia era in compagnia di un ragazzo alto e carino. Federico l’aveva visto a scuola più volte, visto che era di quinta. Impiegò qualche secondo a riconoscere il locale alle loro spalle, sito in una trasversa del corso, dove di solito i ragazzi si andavano a ubriacare il venerdì o il sabato sera.
Sbuffò: che cosa doveva regalarle? Una borsa? Sicuramente era un genere che avrebbe gradito, ma non aveva idea di quali modelli le potessero piacere. In più era il tipo che vestiva firmato: se doveva fare shopping andava alla Guess o da Liu Jo. Ma Federico non faceva regali così costosi a sua sorella, figuriamoci se li avrebbe fatti ad Alisia.
Spulciando su Facebook lo colpì una foto di qualche settimana prima, evidentemente scattata a tradimento da una delle sorelle di Alisia in quella che doveva essere la sua camera la compagna era intenta a studiare. Federico doveva ammettere che era una ragazza veramente carina: i capelli castani molto chiari, tendenti al biondo, gli occhi azzurri, svegli e arguti, le labbra né troppo sottili né troppo carnose.
Sì, era carina, quando non si comportava stupidamente in compagnia di Marica e Mara.
Anche regalarle un profumo era decisamente fuori luogo: naturalmente usava quelli più costosi, o almeno di questo si vantava in classe con le sue amiche.
Quindi niente profumi, niente abbigliamento, niente borse. E che cosa gli rimaneva? Il trucco? Poteva chiedere consiglio ad Aniuska o a sua sorella Costanza, magari l’avrebbero aiutato a scegliere una trousse? Ma non ne era per nulla convinto: insomma chissà quante ne aveva!
E se voleva rispettare lo spirito del gioco, doveva scegliere qualcosa che potesse piacere ad Alisia e non qualcosa a caso. Gli altri si sarebbero comportati allo stesso modo o se ne sarebbero fregati? Doveva ammettere di essere molto curioso di scoprire chi fosse il suo Babbo Natale Segreto. Alla fine, lontano dalle orecchie di Vittoria, Samir gli aveva confessato di dover fare il regalo a Luca Defiano. Non erano particolarmente amici con Luca, ma con un ragazzo era decisamente molto più semplice: Samir, infatti, pensava di comprargli una felpa o una maglia della sua squadra del cuore. Perché lui aveva dovuto beccare una ragazza? E per giunta Alisia Silvestri?! Smorfiosa e altezzosa com’era? Per esempio, sarebbe stato molto più semplice scegliere un regalo per Sarah Marchetti: un libro o qualunque cosa avesse a che fare con Harry Potter. Molto più semplice. Invece no, aveva beccato Alisia Silvestri. Per andargli peggio avrebbe dovuto capitargli Marica Ghizzi.
«Sai che lo stalking è un reato?».
Federico sobbalzò e si mise a sedere voltandosi al medesimo tempo. «Papà!» sbottò infastidito, oscurando lo schermo dello smartphone. «Stavo solo guardando una cosa».
«Stai fissando quella foto da più di cinque minuti e non mi ha nemmeno sentito entrare».
Il ragazzo sbuffò e bofonchiò: «Ero soprappensiero. E poi è solo una mia compagna e non mi sta nemmeno simpatica».
«Sicuro?».
Federico lo fulminò con lo sguardo. «Al cento per cento. Non sei spiritoso». L’uomo alzò gli occhi al cielo e si avviò verso le camere da letto. Federico lo seguì, gli raccontò la brillante idea di Vittoria e si appoggiò allo stipite della porta del suo studio in attesa di un qualsiasi consiglio. «Forse dovrei smetterla di farmi tutti questi problemi e prendere la prima cosa che mi capita» buttò lì.
«Non funziona così, Federico, e lo sai. Se ti prendi un impegno, devi portarlo a termine sempre nel migliore dei modi» lo redarguì suo padre tirando fuori alcuni documenti dalla sua borsa e sfogliandoli distrattamente.
«Ma è solo uno stupido gioco».
«Se non volevi partecipare, avresti dovuto dirlo subito» replicò suo padre imperterrito, com’era prevedibile.
«Ma Vittoria ci tiene e comunque la maggioranza ha votato a favore» borbottò Federico.
«E allora, a maggior ragione, non puoi tirarti indietro pochi giorni prima. Non tirare in ballo la maggioranza però: tu hai una testa tutta tua e devi usarla. Il fatto che gli altri facciano una scelta, non implica che tu debba fare altrettanto».
Federico fece una smorfia: suo padre glielo ripeteva in continuazione. «L’ho presa sottogamba».
«E ti sei ridotto all’ultimo secondo».
«Già».
«Ho un solo consiglio a questo punto» disse allora suo padre. «Chiedi aiuto a chi conosce bene questa tua compagna».
«A chi la conosce?».
«Esattamente. Una sua cara amica, una compagna alla quale è più legata».
Decisamente semplice e sarebbe stato anche geniale, se la migliore amica di Alisia non fosse stata Marica Ghizzi. Non poteva chiederle aiuto. «Impossibile» sbottò. «Io odio la sua migliore amica».
«Odiare» borbottò suo padre riponendo dei fogli in alcuni fascicoli. «Ti ho detto un migliaio di volte che l’odio è una cosa seria. Dubito che questa ragazza abbia potuto farti qualcosa di così grave da meritare il tuo odio».
Federico strinse i denti e fu quasi sul punto di andarsene, ma non avrebbe ottenuto niente: sapeva bene che cosa significava odiare qualcuno e chi si poteva attirare un simile sentimento. Non l’aveva dimenticato. Non l’avrebbe mai fatto e non era nemmeno sicuro di aver imparato a perdonare. Si sentì profondamente stupido: conosceva perfettamente il peso delle parole, ma a volte si lasciava trascinare e lo scordava.
«Federico». Suo padre si avvicinò e gli pose una mano sulla testa. «Non ci pensare».
Non ci pensare, la faceva sempre facile lui! Lo guardò male. «Se devo farle il regalo per forza, dammi almeno dei soldi. Con i miei risparmi devo fare anche i regali ai miei amici e alla famiglia». Le parole gli erano uscite dalla bocca con una certa cattiveria ed era convinto che il padre l’avrebbe rimproverato, invece questi sospirò e prese il portafoglio, da cui tirò fuori una banconota da cinquanta euro.
Federico lo fissò sorpreso. «Me ne bastano venti» borbottò vergognandosi della sua reazione.
«Tieni il resto. Forse Costanza verrà a casa per Natale, prendile un bel regalo. Fa’ tutta l’indipendente e solitaria, ma le piace sentirsi coccolata».
Federico annuì ancora stordito, mentre suo padre tornò alla scrivania. Rimase incerto sulla soglia dello studio. Avrebbe voluto gridare in quel momento: alle volte la rabbia lo soffocava. Come faceva suo padre a essere sempre così calmo? A non arrabbiarsi mai? E a parlare di perdono con quella tranquillità?
«Hai fatto i compiti per domani?».
Federico alzò gli occhi al cielo: aveva sedici anni, per l’amor di Dio! Ci avrebbe scommesso che i genitori dei suoi compagni non facevano queste domande. A parte la madre di Samir, certamente, la quale non parlava d’altro – e non aveva mai problemi di lingua quando lo faceva -; nemmeno i genitori di Vittoria che erano tanto severi sui voti, si preoccupavano di chiederle se avesse studiato.
«Ancora no» sbuffò.
«E che aspetti? Sono le sei e mezza. Arianna avrà fame tra un po’ e anche Peter».
«Stanno giocando in camera di Peter con il castello. Ora che Peter sta imparando a leggere, le legge le fiabe e le modificano giocando». Un sorriso genuino si dipinse sul volto di suo padre, lo stesso sorriso che aveva ogni qualvolta si parlava della sua nipotina. «Comunque, ho solo qualche esercizio di matematica e di fisica. Ormai le vacanze sono alle porte» si strinse nelle spalle.
«E vai a farli, hai già rimandato troppo».
Federico sospirò e annuì, ma prima di andarsene gli chiese: «Se Marica dice che mi aiuterà, posso uscire domani pomeriggio? Lo scambio dei regali sarà sabato mattina e non posso rimandare ancora».
«Sì, ma per cena devi essere a casa».
«Agli ordini» borbottò Federico, prima di dirigersi verso la sua camera.
 
*
 
Federico, appoggiato al muro esterno della scuola, osservò Marica avanzare nel piccolo cortile insieme ad Alisia e Mara: come ogni mattina parlava a ruota libera e sembrava stesse sparlando di qualcuno. Quel giorno le ragazze avevano solo una borsa, come se le vacanze fossero già iniziate!
Aveva riflettuto per ore la sera prima, alla fine aveva compreso che il consiglio di suo padre fosse il migliore da seguire. Avrebbe potuto chiedere a una sua amica? Certo, peccato che Vittoria l’avrebbe linciato se solo avesse tentato e Cassy avrebbe suggerito qualcosa di potenzialmente pericoloso o schifoso pur di fare un dispetto ad Alisia. Quindi no, non aveva scelta. Con un sospiro si staccò dal muro, proprio mentre iniziava a piovigginare, e le intercettò sui gradini dell’ingresso. «Buongiorno».
«Sempre formale sei, Mestri» lo accolse Marica.
Alisia e Mara si limitarono a un rapido saluto.
«Ho bisogno di parlarti, Marica» le disse Federico: se ci avesse girato troppo intorno, non solo sarebbe suonata la campanella, ma non avrebbe ottenuto nulla.
«A me?» replicò sorpresa la ragazza.
«Esattamente» confermò Federico impaziente.
«Va bene, sentiamo».
«No, in privato» ribatté Federico. «Scusate, ragazze. Vieni con me?».
Marica lo seguì e Federico si ficcò in uno dei bagni del primo piano.
«Sei serio? Tu sei entrato nel bagno delle ragazze?».
«Avresti preferito quello dei maschi?» replicò Federico.
Marica ghignò. «Lo conosco, grazie. Mi sorprendevo del tuo improvviso disinteresse per le regole della scuola».
«Non sono nemmeno le otto, non c’è nessuno» bofonchiò Federico, conscio che si sarebbe beccato almeno una sgridata, se li avessero beccati lì.
«Che vuoi? Se fossi un altro, mi preoccuperei delle tue intenzioni».
«Ma devi sempre fare la stupida?» sbottò Federico. «Devo soltanto chiederti un favore».
«Un favore?» quasi urlò Marica.
«Abbassa la voce!» esclamò Federico.
«Federico Mestri vuole un favore da me?».
«Già» confermò Federico a denti stretti: si sarebbe vendicato con Vittoria per averlo messo in quella situazione.
«E, sentiamo, che cosa vuoi?».
«Per il Babbo Natale Segreto devo fare un regalo ad Alisia, ma non so cosa prenderle» buttò fuori velocemente.
Marica lo fissò per un attimo e poi rise. «Tu devi fare il regalo ad Alisia?».
Federico incrociò le braccia al petto e attese che smettesse di ridere.
«Povera, Alisia» esclamò Marica alla fine.
«Grazie mille» sbuffò Federico.
«E vuoi che io ti aiuti?».
«Sì, per favore. Potremmo uscire insieme pomeriggio, se sei libera».
«Sicuro che non è una scusa per uscire con me?».
«Puoi stare tranquilla. È solo per fare il regalo alla tua migliore amica».
«Ok».
«Sul serio?» chiese Federico sorpreso da tanta arrendevolezza.
«Certo, lo faccio per Alisia in fondo. Comunque voglio qualcosa in cambio».
«Hai appena detto che lo fai per Alisia!».
«Sì, ma io non ti faccio favori gratis, chiaro?».
«Mi pareva troppo strano. Che vuoi?».
Marica ghignò e si passò una mano sul mento come se stesse riflettendo, ma a Federico apparve tutta una sceneggiata.
«Devi farmi la ricerca di storia».
«Quella per le vacanze?».
«Quella. Allora, va bene?»
«Va bene» sospirò Federico contrariato. «Pomeriggio alle quattro, al Museo, va bene?».
«Benissimo».
«Grazie» borbottò Federico proprio mentre suonava la campanella.
«Andiamo, che quando arrivo io in ritardo, Aristano rompe sempre» sbuffò la ragazza.
Chissà perché, pensò ironicamente Federico, ma la seguì senza pronunciarsi ad alta voce.
 
*
 
Naturalmente quel pomeriggio il cielo era ancora più cupo e la città era scossa da forti tuoni: presto sarebbe scoppiato un bel temporale, ma per fortuna Marica si presentò all’appuntamento senza problemi.
«Io non rifiuto un pomeriggio di shopping nemmeno con la tempesta» disse Marica, quando Federico la ringraziò.
«Dobbiamo solo comprare il regalo ad Alisia» replicò Federico, preoccupato da come aveva pronunciato la parola ‘shopping’.
«Che differenza fa?».
Il ragazzo si mordicchiò il labbro inferiore nervosamente e decise di non replicare: si era messo in trappola con le sue mani.
Per essere un temporalesco venerdì pomeriggio il corso non era deserto, come Federico aveva pensato: probabilmente la necessità di completare le compere natalizie e non ridursi alla Vigilia spingeva la gente a spostarsi nonostante il maltempo.
Piccole lucette biancastre pendevano sulle facciate dei palazzi e altri grappoli lucenti erano sospesi tra un edificio e l’altro, contribuendo - insieme agli alberi di Natale posti in corrispondenza di ogni isolato -  a conferire un’atmosfera natalizia a una delle vie principali della città. Federico aveva avuto modo di vedere il trenino luminoso nella via Marina e l’enorme palla rossa cava con la quale tutti si facevano i selfie. Come al solito avevano esagerato: la loro città, come Cassy non perdeva occasione di ricordare, aveva molti problemi, specialmente di natura economica, e per quanto tutte quelle decorazioni potessero essere belle, erano anche uno spreco. Fu sul punto di rendere partecipe Marica di quelle sue riflessioni, ma vi rinunciò: non avrebbe gradito.
«Allora che cosa mi suggerisci?» chiese Federico tentando di aiutarla a focalizzare il loro obiettivo.
«Dobbiamo dare un’occhiata prima, no?» replicò lei con ovvietà. Per Federico non vi era nulla di ovvio in quella situazione. Assurdo? Strano? Fastidioso? Erano tutti termini decisamente più adatti. «Cominciamo da Liu Jo».
Federico gemette, ma non riuscì a fermarla. Si ripromise mentalmente di non darle più tanta corda, a costo di legarla. Quel negozio era decisamente troppo per le sue tasche: non avrebbe potuto spendere tutti quei soldi per Alisia Silvestri, neanche se l’avesse voluto.
«Questa felpa rosa è molto carina» disse Marica.
«Non ho mai visto Alisia vestita di rosa» replicò Federico seccato. «E non posso spendere 149 euro».
«Tuo padre è ricco» ribatté Marica sbuffando.
«Non proprio».
«Fa il magistrato» ribatté ancora Marica.
Federico alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Può darsi, comunque io non sono ricco».
«Nel senso che non ti dà soldi?».
«Nel senso che non posso usufruire dei suoi soldi liberamente» disse con ovvietà Federico. «Possiamo dire che sono virtualmente ricco, se proprio vuoi. Dipende sempre da quale accezione dai a ricco, però. Mio padre dice che siamo benestanti».
«Virtualmente? Che scemenza, ma come ti escono queste cose?».
«L’ho letto in un romanzo. L’eleganza del riccio, lo conosci?» le chiese Federico, mentre, fortunatamente, uscivano dal negozio.
«No, dovrei? Ho altro da fare».
«Sì, chattare» borbottò Federico.
«Sì e non solo» replicò Marica.
«Comunque la protagonista era figlia di genitori veramente molto ricchi, ma già a dodici anni comprendeva di essere solo virtualmente ricca: ricchi erano i suoi genitori, ma non lei e sua sorella».
«Hai visto l’ultimo video che ho caricato su Tik Tok?».
«No, non ce l’ho».
Marica sbuffò. «Mister Perfettino».
«Io non sono perfettino!» sbottò Federico.
«Oh, guarda che bellissima borsa… e quello zaino? Quello piacerebbe senz’altro ad Alisia. Entriamo?».
«Neanche per sogno» sbottò Federico trattenendola per il braccio. Un tuono scosse la città. «Magnifico sta per piovere» soggiunse.
«A maggior ragione dovremmo entrare» tentò Marica.
«Costano troppo».
«Ma non c’è il prezzo».
«Appunto».
«Insomma dove vuoi andare? Non ti aiuterò a comprare roba taroccata alla mia migliore amica!».
«Io non compro roba taroccata!» ribatté Federico proprio mentre iniziava a piovigginare.
«Mi hai detto che non vuoi spendere troppi soldi».
«Non vedo perché dovrei farlo» sbottò Federico. «Non siamo nemmeno amici».
«E cosa vuoi da me?».
«Che mi suggerisci qualcosa che potrebbe piacerle».
«E che magari non costi molto».
«Esattamente».
«Impossibile».
«Non è impossibile. Per esempio un libro. Lei legge. Che potrebbe piacerle?».
«Non legge quando siamo insieme» rispose Marica. «Senti, sta piovendo, me ne vado a casa prima di bagnarmi tutta. Sono andata ieri dalla parrucchiera».
«Non puoi andartene adesso».
«Sì, che posso».
«Abbiamo un patto!».
«Io ho onorato la mia parte. Sei tu che non accetti i miei consigli».
«Stai scherzando? Non hai onorato un bel nulla».
«Mi hai chiesto di aiutarti e ti ho aiutato. Ora me ne vado. Mandami la ricerca via mail, grazie».
Federico sbuffò, non sapendo se fosse il caso di ridere o di urlarle contro. L’aveva fregato! Non solo non aveva comprato ancora nulla ad Alisia, ma avrebbe dovuto scrivere la ricerca anche per Marica! Come aveva potuto essere così stupido? Forse sarebbe stato meglio chiedere a Mara Feniri. O meglio ancora, uscire con Samir e farsi suggerire qualcosa da lui: due teste erano meglio di una.
«Ombrelli! Ombrelli!».
Federico sobbalzò e fissò stranito il venditore ambulante che gli porgeva un ombrello chiuso in una custodia trasparente. Solo allora si rese conto che si stava bagnando.
«No, grazie» borbottò alzandosi il cappuccio del giubbotto.
«Ombrello!» ripeté quello.
«No, no, grazie» borbottò Federico allontanandosi. Quanto era durata la passeggiata con Marica? Mezz’ora? Un record!
Samir l’avrebbe preso in giro per sempre, non appena lo avesse saputo.
Si avviò verso il bar vicino al Museo, deciso a consolarsi con qualcosa di dolce e allo stesso tempo di stare al coperto. Per fortuna nel bar c’era un bel calduccio, ed essendo venerdì pomeriggio, non era nemmeno affollato. Prese un babà con la crema e una cioccolata calda; mentre mangiava riprovò a scorrere la pagina Facebook di Alisia, sperando in un’illuminazione salvifica. Decise di controllare le informazioni che aveva inserito e finalmente ebbe fortuna: amava ascoltare le canzoni di Fedez. Avrebbe potuto prenderle un cd, uno degli ultimi. Difficilmente ce l’avrebbe avuto, dopotutto ormai esistevano molti modi per scaricare musica gratuitamente? Solo suo padre aveva la fissazione di controllare che non scaricasse film e musica illegalmente, probabilmente per distorsione professionale. Federico bevve l’ultimo sorso di cioccolata, finì il babà e, proprio mentre stava pagando, lo chiamò suo padre per chiedergli se avesse bisogno di un passaggio per tornare a casa. Gli rispose che l’avrebbe richiamato a breve: fortunatamente lì vicino c’era un negozio di dischi. Si coprì e si avviò.
Il negozio era molto piccolo, l’aveva visto sempre passando di là, ma non vi era mai entrato. Salutò e chiese che cosa avessero di Fedez. Purtroppo non era uno degli ultimi cd, ma lo prese ugualmente.
Sollevato di aver finalmente comprato qualcosa di decente, chiamò il padre e gli chiese di andarlo a prendere. Cominciava a fare freddo e la pioggia era aumentata d’intensità.
 
*
 
La mattina dopo il cielo era ancora cupo e aveva piovuto per tutta la notte. A Federico naturalmente non dispiaceva, ma sarebbe stato meglio se il pomeriggio prima avesse evitato di bagnarsi. Starnutì.
«Salute» ridacchiò Samir. «Decisamente uscire con la Ghizzi è stato fallimentare».
Federico lo ignorò e continuò a segnare gli esercizi di matematica per le vacanze.
«Prof, ma se ci segna tutti questi compiti, che vacanze sono?» si lamentò Marica.
La professoressa di matematica fece per replicare ma proprio in quel momento suonò la campanella.
«Adesso facciamo festa» saltò su Marica ignorando completamente l’insegnante, molti ragazzi la imitarono.
«Vedetevela con il mio collega» sbuffò la professoressa. «Adesso avete Grimaldi, vero?».
«Sì» replicò Sarah Marchetti.
«Prof, non si ferma? Abbiamo portato il pandoro» disse Cassy sorridente.
«E anche una torta» aggiunse Vittoria.
«Vi ringrazio, magari passerò più tardi. Ora devo andare in seconda».
Federico ripose libri e quaderni nello zaino, ben sapendo che da lì a poco ci sarebbe stato il caos in classe.
«Quand’è che dobbiamo scambiarci i regali?» gli chiese Samir.
«Ieri, sul gruppo, Vittoria ha scritto che lo faremo l’ultima ora, no?».
«E nel frattempo?».
«Immagino non vogliano fare nulla gli altri» replicò Federico stringendosi nelle spalle. Era un vero peccato che non avessero avuto filosofia alle prime due ore: lui avrebbe fatto decisamente a meno degli esercizi sull’equazione della retta.
«C’è il prof» disse Samir indicando la porta.
Il resto della giornata trascorse tranquillamente, com’era prevedibile Grimaldi non li lasciò totalmente liberi per tre ore e li costrinse a vedere un film. Sceglierlo fu un bel problema, alla fine optarono per Il mercante di Venezia. Tutto tranne che natalizio, ma Federico lo trovò ugualmente brillante. Qualcuno giocò a carte nel buio dell’aula e fortunatamente non fu beccato – Grimaldi non tollerava quel tipo di giochi.
Finalmente alle dodici e mezza, Vittoria annunciò tutta contenta che era il momento di scambiarsi i regali.
Federico prese un bel respiro e consegnò il suo pacchettino ad Alisia, che ridacchiò. Naturalmente Marica le aveva raccontato del pomeriggio che avevano trascorso insieme. Per fortuna, Vittoria sembrava contenta del risultato e non s’impuntò sul fatto che quasi nessuno avesse mantenuto il totale segreto.
«Bello, non ce l’ho, grazie» disse Alisia, visibilmente sorpresa.
«Figurati. Ho visto su Facebook che ti piace Fedez» si schermì Federico.
«Già. È uno dei miei cantanti preferiti».
Si fissarono per un momento in imbarazzo, poi borbottarono un «Buon Natale» e ognuno tornò dai propri amici.
«Sei vivo» celiò Samir.
«Anche tu».
Samir si strinse nelle spalle. «Ho preso un pallone a Luca».
«Con un maschio è stato semplice, non è giusto».
«Per me è stato ancora più semplice» intervenne una voce. Giuseppe Nosmizzi, un compagno al quale erano molto legati, si avvicinò loro e porse un pacchetto a Federico.
«Sei tu il mio Babbo Natale Segreto?» chiese quest’ultimo divertito.
«Già».
«Che sarà mai?» disse sarcastico Samir alla vista dell’etichetta della libreria più antica della città.
«Ce l’hai?» chiese Giuseppe.
Federico lesse il titolo: Crepuscolo degli idoli di Friedrich Nietzsche. «No, grazie è fantastico».
Giuseppe e Samir fecero una smorfia. «Come faccia a piacerti la filosofia, non lo capirò mai» borbottò il primo, prima di fiondarsi da Vittoria, la sua fidanzata.
«Aurelio mi ha regalato una felpa dell’Adidas» gli comunicò tutto contento Samir.
Federico osservò ammirato la felpa e sollevò lo sguardo su Aurelio Pantani, tutto preso da Marica e dal suo regalo. Non si aspettava che quel ragazzo avrebbe mai fatto un regalo del genere a Samir, visto che erano sempre in contrasto.
«Credo che questa cosa del Babbo Natale Segreto non sia tanto male» commentò.
«Ci ha costretto a essere gentili tra noi, in effetti» replicò Samir.
«Infatti» concordò Federico, sedendosi su un banco e osservando i compagni intenti a scartare regali e ad augurarsi buon Natale. «Forse dovremmo esserlo più spesso».
   
 
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