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Autore: Enchalott    03/03/2020    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il vero potere del Crescente
 
Dare Yoon lasciò l’ala est della fortezza alle spalle, svoltando a sinistra e imboccando il corridoio angusto che conduceva direttamente alle carceri.
Non incrociò quasi nessuno, salvo un paio di cameriere intente a ripulire quegli ambienti, che solitamente ricevevano sporadiche e veloci visite. Da quando il reggente aveva inviato la sua Guardia oltre la foresta di Taavin, così come Adara gli aveva chiesto, la sorveglianza del palazzo si era ridotta all’osso. Un fattore che giocava decisamente a suo vantaggio, sebbene all’interno delle prigioni potesse contare su un paio di validi alleati. Chiunque avrebbe tuttavia potuto allertare il principe, pertanto sarebbe stato decisamente opportuno evitare incontri indesiderati.
L’ufficiale elestoryano avanzò comunque cautamente per forza d’abitudine, così come aveva imparato nel corso della sua carriera militare.
Si sentiva nervoso come forse non lo era mai stato.
Non gli era mai piaciuto giocare con le pozioni, le detestava dal profondo e il fatto che toccasse proprio a lui recarne una che avrebbe potuto risultare fatale a un amico lo innervosiva non poco.
Sospirò e aprì la mano, sulla quale scintillò una minuscola fialetta di vetro rosso, indicante l’alta tossicità del contenuto. Aveva chiesto a Narsas di travasare in un’altra ampolla l’esatto numero di gocce occorrenti per paura di sbagliare e così era stato. L’arciere gli aveva poi consegnato l’antidoto, raccomandandosi di rispettare i tempi previsti… o ne sarebbe andato di una vita. Anzi. Di ognuno di loro a ben vedere.
Giunse alla porta principale e bussò con tre colpi lenti e due veloci, come convenuto.
Il demone delle carceri comparve sulla soglia, gigantesco e inquietante nell’aspetto, vestito di pelli scure e borchie, con la spessa cappa nera sulle spalle poderose.
Dare Yoon mosse il capo in segno di saluto e l’uomo gli fece cenno di seguirlo.
Percorsero un settore sul quale si affacciavano numerose celle, tutte occupate a giudicare dai lamenti, e si inoltrarono nel dedalo dei passaggi meno frequentati, fino a giungere al vano scomodo in cui era detenuto Aska Rei.
“Avete pochi minuti, vice comandante” brontolò il custode, lanciando un’occhiata indagatrice tutt’intorno “Ho concesso pausa ai secondini, ma presto saranno di ritorno e non garantisco sul loro riserbo”.
“Vi ringrazio, Haffgan” mormorò lui “E mi ritengo in debito anche con vostra moglie”.
“Sono io che vi sono grato” rimandò lui “Vi siete impegnato a salvare la mia gente e non siete neppure di Iomhar”.
Il soldato attese che il guardiano facesse scattare la serratura e si introdusse velocemente nella cella, impugnando una fiaccola.
“Dare Yoon!” esclamò il capitano imprigionato, sollevandosi nello spazio ristretto.
“Rei… ci siamo” rimandò l’amico con un sospiro irrequieto, esibendo l’oggetto luccicante appoggiato sul palmo.
“Quanto tempo abbiamo?”.
“Dodici ore da quando lo bevi. Poi diverrebbe troppo tardi”.
“Un inconveniente che mi manderebbe alle dimore di Reshkigal, se ho ben capito”.
“Già” borbottò il soldato, aggrottando la fronte “Sei certo di volerlo fare?”.
“Mai come ora” ribatté prontamente il comandante “I Due Regni hanno solo noi”.
Dare Yoon annuì e gli consegnò la fiala. Poi strinse i pugni e indurì l’espressione.
“Devo andare o la mia presenza risulterebbe sospetta” affermò “Ricordati di indossare sotto l’uniforme gli abiti che ti ha procurato Màrsali. Coprire un cadavere affinché non prenda freddo non sarebbe avveduto. Già temo l’intuito formidabile del principe contro la nostra fragile messinscena…”.
“Lo farò, contaci” sorrise il giovane “Cerca di non versare troppe lacrime sulla mia prematura dipartita”.
“Spiritoso” mugugnò l’altro.
Si strinsero il braccio con forza, guardandosi reciprocamente negli occhi, notte blu nell’acciaio brunito, senza aggiungere altro. Poi Dare Yoon lo lasciò solo.
Haffgan emerse dalle ombre e si apprestò a ricondurre l’ospite all’uscita.
“La sostanza impiega circa quaranta minuti a raggiungere l’effetto desiderato” spiegò il soldato, mentre il demone lo fissava, granitico.
“La scoperta apparirà casuale, non temete” garantì poi, avviandosi lungo il corridoio “Manderò immediatamente Màrsali dalla principessa”.
“Vi ringrazio” mormorò l’ufficiale “E vi prego di vegliare sempre su di lei. Io non potrò più farlo: date le circostanze e le condizioni di Narsas, sarà come lasciarla sola”.
“Non accadrà” assicurò il guardiano “Speravo che il vostro compagno si rimettesse presto in salute, me ne dispiaccio”.
“Anch’io” grugnì Dare Yoon, rivolgendo i pensieri all’arciere.
Nonostante fosse vigile e la febbre fosse scemata, il ragazzo risultava ancora molto debole. Dare Yoon sapeva perché aveva commesso quell’imprudenza e perché era rimasto ore sotto la pioggia battente a perfezionare il tiro. Sapeva anche che c’era riuscito e che forse lui si sarebbe comportato nello stesso stupido modo, se fosse stato nei suoi panni. Sapeva che non si sarebbero mai più rivisti, qualunque sarebbe stato l’esito delle rispettive missioni.
Palpò attraverso i vestiti il sigillo che recava appeso al collo e fu invaso contemporaneamente dalla tristezza e dalla collera.
“Non trovo le parole opportune per salutarti, Aethalas…”.
“Allora non lo fare”.
Riusciva sempre, maledettamente ad avere la risposta pronta! A metterlo in crisi con un semplice sguardo, a essere insopportabilmente cocciuto e… e gli sarebbe mancato da morire, per le sacre dune!
Quei pensieri mesti furono interrotti dall’eco di uno scalpiccio inaspettato.
Dare Yoon andò immediatamente in guardia, mentre Haffgan si pose al centro del corridoio, in posa intimidatoria.
“Fingetevi mio prigioniero, mettete via quella spada!” ringhiò prontamente.
Il soldato coprì l’arma con le falde del mantello e si lasciò strattonare dal guardiano, sperando che la recita risultasse efficace.
Uno dei secondini spuntò dalla parte opposta del passaggio, reggendo una torcia, e si immobilizzò, insospettito.
“Torna al tuo posto, Lioff” abbaiò il capo carceriere, continuando ad avanzare con il suo finto prigioniero “Hai già perso troppo tempo oggi!”.
“Sì, sì…” sbuffò questi, alzando gli occhi al cielo, seccato dal rimprovero.
Poi osservò il soldato con curiosità crescente alla scarsa luce delle fiaccole.
“Questo chi è?” domandò “Non me lo ricordo”.
“Uno nuovo”.
“Dove lo stai portando? Non ci sono disposizioni di scarcerazione…”.
“Dove mi pare, non devo rendere conto a te!”.
“Ma… non è uno degli amici della regina? Che cosa ci fa qui?”.
“Informazioni riservate, razza di impiccione!” tuonò il demone.
“Qui di riservato non c’è un bel niente, Haffgan, lo sai anche tu! Nemmeno quando andiamo al cesso!” bofonchiò Lioff “Ho come l’impressione che tu stia nascondendo qualcosa, piuttosto”.
La mano di Dare Yoon scivolò sull’elsa della spada, nonostante la stretta burbera del guardiano. Le cose si stavano mettendo molto male.
“Questo è un caso a parte… del tipo soldi facili e piacevoli, non so se mi spiego” ridacchiò cupamente il carceriere, aggiungendo particolari attraenti alla farsa “Se sei interessato e sai tenere la bocca chiusa, potrei coinvolgerti…”.
Gli occhi dell’uomo si venarono di bramosa cupidigia. Si passò la lingua sulle labbra e si lisciò la barba rossiccia, rilassandosi visibilmente.
“Vedo che la cosa ti alletta” continuò il demone con aria complice “Avvicinati e guarda tu stesso la merce, non voglio che altri ci ascoltino…”.
Lioff si accostò rapidamente all’energumeno, che si abbassò facendo cenno di volergli sussurrare qualcosa all’orecchio.
Fu un lampo. Haffgan lasciò libero il soldato e afferrò l’avventato collega per il collo, impedendogli di gridare e soffocandolo con la mano enorme. Fece pressione serrando il bicipite muscoloso e gli spezzò lo ioide in un istante. Il secondino si afflosciò appena dopo il rumore secco dell’osso, che ne annunciava la fine indegna.
Dare Yoon spalancò gli occhi, incredulo.
“Per l’inferno!” sbottò, osservando la scena macabra e il corpo penzolante.
“Svelto!” grugnì il carceriere “O resterò sotto di personale!”.
“Ma… capiranno che questo manca all’appello!”.
Il colosso emise una risata amara, caricandosi in spalla il malcapitato.
“Qui a nessuno importa nulla. Basterà farlo sparire e spargere la voce che sia fuggito. Succede spesso e tutti sanno non è mai la verità. Le prigioni di Jarlath sono il vero oltretomba, vice comandante. Fate in modo che la morte non sia più l’unica via d’uscita. Confido in voi e nella nostra principessa. Ora andate!”.
L’ufficiale si affrettò verso la porta principale senza più indugiare.
 
Anthos appoggiò con garbo le posate sul piatto e si rivolse al panorama incorniciato dalla finestra: la pioggia era cessata, ma si trattava di una tregua momentanea. Le nubi pesanti e plumbee vorticavano tetre sulla capitale, scivolando l’una nell’altra come pagliuzze nella tempesta, promettendo con trattenuta aggressività un nuovo scroscio d’acqua ad ogni capriccio del vento gelato.
Adara seguì la direzione dello sguardo di suo marito e ne intese immediatamente i ragionamenti. Almeno quelli che lui volutamente le consentiva di indagare.
Prima che la visione di Narsas giacente a terra le strappasse ogni altro pensiero, avrebbe voluto parlargli della notte in cui le aveva chiesto il conto del primo dei debiti contratti. Aveva avvertito un rinsaldarsi del loro legame: quello che lei aveva ignorato con disagio fino a quel momento e che lui probabilmente non riconosceva. Oppure che avrebbe negato con disprezzo per preservare la propria immagine algida e inumana. La ragazza aveva percepito quel vincolo profondo quando il principe le aveva parlato, quando si era lasciato toccare da lei senza prevalere, quando a sua volta l’aveva sfiorata con voluttà attraverso il contatto ardente dei loro corpi.
Non era importante se il Crescente si era ancora posto tra loro come un insormontabile ostacolo… o meglio, lo era, ma non così arduo, se visto in ragione dei termini che filtravano un percorso che le risultava ormai chiaro.
L’unica via che conduceva al nucleo interiore di Anthos, la sola che lui le avrebbe più o meno inconsciamente consentito senza opporre resistenza, in quanto ancorata a un suo diritto e al suo volere, era quella che passava attraverso il loro rapporto fisico. Avrebbe dovuto ammetterlo sin dalla loro prima notte insieme, ma in lei allora erano prevalse quelle sensazioni di rabbia, di rivalsa, di impotenza e di orgoglio personale che adesso non provava più.
“Non vuoi altro?” gli domandò, osservando gli avanzi sul vassoio.
Il giovane mangiava pochissimo, talvolta lo aveva persino notato saltare i pasti a favore di un'unica coppa di vino, eppure appariva sempre in forma perfetta.
“Niente, grazie” rispose lui distrattamente, sempre rivolto al cielo fosco di Iomhar.
“Se non assaggi quella torta, Ide ci rimarrà male” lo punzecchiò lei, sorridendo.
Il reggente si girò nella sua direzione, inarcando un sopracciglio.
“Chi?” domandò con distacco.
“La tua capo cuoca. Lavora per te da almeno un ventennio”.
Anthos sogghignò, portando finalmente su di lei la sua piena attenzione.
“Conosci per nome tutta la servitù del castello?”.
“Più o meno”.
“Vergognoso” commentò lui tra i denti, aspro.
Adara sorrise e scantonò una fetta del delizioso dolce al miele che lui aveva ignorato, mettendola in un piatto e poi gli si piazzò accanto. Staccò un pezzetto con le dita e lo assaporò con gusto.
“Facciamo a metà” offrì poi, porgendogli un altro assaggio.
Il principe sorrise con malizia, cogliendo in pieno la provocazione costituita dalla mano di lei tesa verso le sue labbra.
Non l’aveva più cercata dalla sera in cui Leuhan lo aveva respinto l’ultima volta, nonostante il palese cambiamento dell’energia luminosa che aveva emanato. Lo aveva all’incirca promesso, quando le aveva proposto di non pensare più al fine principale del loro matrimonio mentre erano insieme; lo aveva poi realizzato nei fatti, quando si era reso conto di ciò che era successo veramente in quell’occasione.
“Hai dimenticato il coltello” rimbrottò con finto scandalo per le maniere poco raffinate.
“Affatto” ribatté lei, pungente “Ne ho uno ben nascosto tra gli abiti e c’è sempre quello infilato laggiù di riserva”.
Anthos vagliò con la coda dell’occhio il pugnale che aveva conficcato nella parete durante la loro prima notte di nozze. Avrebbe dovuto capirlo… no, assumerlo già da allora… scacciò nuovamente la sensazione che lo stava occupando.
Le sue iridi d’ambra sfolgorarono su di lei, magnetiche e avvincenti, con un guizzo di divertimento sincero. Accettò il boccone che gli stava porgendo, accogliendo la sfida e indugiando volutamente sulle sue dita intrise di miele.
“Sei vestita come conviene alla sposa del reggente del Nord e stai dividendo il cibo con me, se così si può dire” proferì scaltro, osservandola assaporare un altro pezzo di torta e tornare a lui “Mi sono perso qualcosa?”.
“Sì. È da mesi che sto escogitando un sistema per farti mangiare in modo decente” ribatté lei, ironica “Pare che ci sia riuscita”.
“Non esattamente” mormorò il principe, attirandola a sé con un movimento rapido.
Adara si ritrovò tra le sue braccia. Lui prese il frammento di dolce senza usare le mani e fece scorrere le labbra fino al suo polso, procurandole un brivido.
Gli occhi di Anthos bruciavano come braci e la sofferenza che emanavano tra quelle fiamme impetuose era un abisso in cui lei rischiava di perdersi. Ci si sarebbe tuffata senza esitare, priva di paura, e avrebbe finalmente compreso che cos’era lui, che cos’era quel dolore antico che irradiava da ogni sua fibra, che cos’era il male di cui si velava con altezzosità. Non lo avrebbe perso, per nessuna ragione al mondo.
Appoggiò il piattino sul tavolo, giusto in tempo per non farlo cadere a terra.
Il principe strinse più forte e lei lo accolse, ricevette il suo bacio carico di passione e lo restituì con pari sentimento. Si persero nello spazio rovente di quell’adiacenza desiderata e vissuta, che sola bastò a cancellare il resto dell’universo.
Lui in quell’istante era vero, era semplicemente l’anima cui si era legata, quella che avrebbe guarito nell’unico modo in cui era capace, nell’unico da cui un uomo tanto fiero e caparbio non si sarebbe difeso per mero orgoglio.
Il principe si lasciò cingere e la avvinse a sé, consapevole di ciò che stava scorrendo tra loro, certo di quanto lei stava mettendo in atto, ma non del motivo ultimo. Il suo cuore vibrò atrocemente di speranza, ma la sofferenza prevalse e soffocò la sensazione che tentava di sbocciare come un fiore sotto la neve millenaria, ancora una volta permise che le sue domande restassero prive di risposte, spense il brillare della sua anima nell’odio atavico che l’aveva tenuto in vita fino al momento in cui non aveva incontrato lei. Ma non poté arginare il calore del proprio corpo, il desiderio sempre più pressante di unirsi a Adara, un impeto che non era in grado di essere arrestato dall’uomo di carne e sangue che lui era.
La principessa gli sollevò la sinistra e sfiorò l’anello che lui portava al pollice.
“Anthos…” sussurrò, contenuta nell’energia avvolgente di lui “Tu pensi che tra di noi ci sia un legame diverso da quello del dovere?”.
Il reggente socchiuse gli occhi, trattenendo il respiro per un millesimo di secondo.
“No” rispose, infondendo la massima sicurezza in quella negazione.
“Sei un pessimo bugiardo” ribatté lei.
Il principe si scostò lievemente, fissandola in volto con serietà.
“Che cosa stai cercando di dirmi, Adara?”.
Lei arrossì e distolse lo sguardo dall’oro intenso del suo, che tuttavia non le consentì alcuna via di fuga.
“Oh… niente in particolare in realtà…” sviò.
“Fandonie” sancì Anthos a sua volta, posandole le mani sui fianchi “Anche qualche giorno fa stavi per pormi la stessa domanda, prima che il tuo Aethalas pretendesse nuovamente il palcoscenico. Non è così?”.
“Io…” balbettò lei, messa all’angolo con quell’unica, magistrale mossa “Io voglio sapere… perché. Se tra noi non c’è altro che il sigillo che abbiamo apposto sulla ruvida pergamena, perché ti desidero così tanto? Perché in te avverto la stessa incontenibile emozione?”.
Il giovane ebbe un attimo di esitazione: come se quell’ammissione, da lei formulata attraverso l’alone di imbarazzo che le infiammava le guance, fosse riuscita a creare una breccia in un luogo remoto di lui. Riguadagnò il dominio mentale di sé.
“Mh” sogghignò, attirandola maggiormente e continuando a tenerla in braccio “Perché è naturale per una donna provare attrazione fisica per un uomo e viceversa. Anche in questo momento, il mio istinto non fa che rispondere alla tua deliberata provocazione. Sostenuto dall’eccesso di astinenza che ben conosci”.
“È … solo questo, dunque? Nient’altro che un impulso materiale?”.
“Senza ci saremmo già estinti senza bisogno di Irkalla…” sferzò lui, sottile “Ma non è ciò che stai tentando di estorcermi. Puoi semplicemente dirmi che mi vuoi, Adara, senza bisogno di giocare con il cibo, anche se devo ammettere che non è stata una cattiva idea. Come ora puoi esprimere i tuoi reali pensieri, poiché li voglio conoscere”.
La ragazza avvampò ulteriormente a quell’analisi spietata e veritiera, ma scelse di accettare la sfida, di non arrendersi, di causare da parte sua una reazione emotiva non studiata. Semplicemente, di posare un altro passo verso di lui.
Gli inoltrò le dita tra i capelli, come adorava fare anche quando erano più lunghi, mentre lui attendeva con quell’espressione inconfondibile, un misto di minaccia, fierezza e malinconia. Una combinazione letale, che non le offriva scampo.
“Volevo farti sapere che avevi ragione tu…” bisbigliò sulle sue labbra, facendogli inarcare sospettosamente un sopracciglio “Nonostante il Crescente e quanto ancora esso ci impedisce, rinunciare a oppormi a te è stato… intenso”.
Le iridi del reggente sfolgorarono istantaneamente come soli in tempesta. Si alzò, reggendola per i fianchi e inchiodando lo sguardo nel suo. Il suo respiro accelerò.
“È tutto qui?” mormorò con furore improvviso “Mettermi a parte del fatto che non mi sbagliavo e che ti è piaciuto che io non mi sia limitato al solito, innocente contatto?”.
“Sì…io…”.
“Menzogne!”.
Adara spalancò gli occhi davanti a quell’esplosione che pareva l’effetto di un contraccolpo interiore non previsto. Prima che potesse rispondere, tuttavia, il principe si placò e riconquistò la calma personale che lo contraddistingueva, dissipando nell’arroganza il dolore che era sgorgato copiosamente dal suo io.
“Se esistesse una reale giustizia a questo mondo” asserì, scaltro e pungente “Mi avresti restituito il favore…”.
“Credevo che fossi tu la giustizia in questo mondo…” rimandò lei, indicando il Nord.
Anthos rise lieve. Lo fece schiettamente, senza freddezza, perdendo la disumanità in quel suono spontaneo che estinse sulla bocca di sua moglie in un bacio profondo.
“Tribunale, condanna, esecuzione…” precisò poi, lasciandosi cadere con lei sul letto e slacciandole l’abito sfumato d’arancio.
“Una calamità, insomma…” sussurrò lei, cedendo ai suoi movimenti e accarezzandogli la pelle nuda con delicatezza.
“Sì…” ammise il reggente, sfiorandola a sua volta senza indugi “Uno spreco di me…” aggiunse, piegandosi su di lei “… futuro in potenza…” elencò, guidandole la mano verso i punti più sensibili del proprio corpo “…un sovrano imperfetto” concluse, bruciando di passione e provocando in lei altrettanto desiderio.
Un tuono echeggiò in lontananza e la pioggia riprese di colpo ad abbattersi con rinnovata foga sulle mura di pietra di Jarlath. Il vento ululò tetro, insinuandosi tra le torri come una creatura spettrale e affamata.
Anthos si interruppe per un istante, come se lo scroscio d’acqua gli stesse parlando.
Adara si intrecciò a lui, lo sentì rispondere al suo tocco incerto e si perse nel calore delle sue membra solide. Non era solo natura. Non lo era mai stata. Non per lei.
“Il tuo volermi” sussurrò il principe al suo orecchio, percependo le sue emozioni dirompenti e riconoscendo le proprie “Non impedirà a Leuhan di fermarmi, vero?”.
“No” esalò lei tra i sospiri “Non finché indosserai quell’amuleto… non c’è altra spiegazione plausibile al fenomeno”.
“Il Medaglione vedrà il mio ultimo giorno” rispose il reggente, ambiguo.
La principessa non riuscì a decidere come interpretare l’affermazione. Qualora Anthos se lo fosse sfilato dal collo, sarebbe morto? Era quella la terribile verità che le aveva lasciato intendere? Oppure aveva semplicemente ribadito che non l’avrebbe mai abbandonato finché fosse stato in vita, rinforzando il suo caparbio rifiuto di rinunciare a qualsiasi cosa che non fosse il suo obiettivo finale?
Non ebbe il tempo di determinare l’opzione più congrua, perché lui la travolse e la strappò a tutto ciò che non era parte di loro, riportandola a lui in un crescendo.
Lo sentì accelerare gli ansiti e fremere, come non era mai accaduto prima, avvertì la sua forza immensa e la tensione spasmodica del suo corpo contro di lei.
L’Imis’eli si accese repentinamente, bianco e spietato come ogni volta, ruotando intorno all’ombelico di Adara e disponendosi con i vertici verso l’alto, intimidatorio nella sua bellezza. Ma non scaraventò all’indietro il principe né lo respinse con un’energia pari e contraria. Semplicemente lo bloccò, impedendogli qualsiasi movenza. La luce chiara gli passò attraverso, come un’onda trasparente.
Un gemito sfuggì dalle labbra del giovane.
“Anthos…”.
“Fa… male…” esalò lui, mentre il suo respiro si spezzava ulteriormente e il suo petto si sollevava e si abbassava sempre più velocemente nell’abbraccio che li univa.
“Lascia che mi sposti, allora!” esclamò lei, preoccupata per il nuovo lamento che era riuscito a valicare la soglia della sua resistenza.
“No…” si oppose il principe, trattenendola “Ah…! No… va bene… così. È sopportabile in verità…”.
“Anthos, ma che dici! La luce trapassa il tuo corpo! Non è mai accaduto!”.
“È … il suo vero potere…” ansimò lui con uno spasmo sofferente “Non rinunciare, ti prego… ah… Adara, resta con me…”.
“Anthos, lascia che ti sfili il Medaglione, ti supplico! O il Crescente ti ucciderà!”.
“No… non osare…! Pretendimi, Adara… Leuhan non può uccidere… ah… neppure uno come me…”.
“Oh, dei!” tremò lei, scacciando la paura e sfiorandogli le labbra “Uno come te… uno… come te!” ripeté con commozione profonda “Io… io…”.
Una lacrima le sfuggì, mentre lo sentiva respirare con affanno, ma ignorò il risplendere della mezzaluna come lui le aveva chiesto, insieme con la ragione per cui suo marito aveva deliberato di sottoporsi con cognizione di causa a quel duplice supplizio: il non poterla avere e il dolore effettivo che lo stava invadendo.
Chiuse gli occhi, ma non rinunciò, combatté per entrambi attraverso i baci che gli impresse sulla pelle, attraverso le carezze sensuali che non avrebbe mai creduto di volergli donare, finché non avvertì le sue membra immobili contrarsi al massimo della tensione.
La luce dell’Imis’eli svanì di colpo, contemporaneamente all’incanto che aveva paralizzato il principe. Lo sentì abbandonarsi sul suo seno, fiaccato dal male e dal piacere che lo avevano attraversato e che ancora gli affrettavano il respiro.
Anthos appoggiò il viso nell’incavo del suo collo, sollevando su di loro la coltre di pelliccia, a celare i brividi che stranamente gli increspavano l’epidermide.
Adara si passò la mano sul tatuaggio falciforme, ormai bruno e inerte. Ancora una volta aveva impedito loro di completare il rapporto. No. Le aveva impedito di fare l’amore con lui, non altro, qualsiasi fosse il modo sprezzante in cui Anthos avrebbe definito quanto si era acceso tra loro in quei mesi di forzata convivenza.
“Il vero potere del Crescente?” sussurrò, continuando a stringerlo a sé.
“Sì…” ansò lui.
“Non capisco”.
Il reggente intrecciò le dita alle sue ciocche castane, sparse sul cuscino candido.
“Impedisce qualsiasi azione a ciò che è male. Lo ferma, sebbene non lo elimini”.
“C-cosa? Questo non è possibile!” sbottò lei, quasi risentita “Tu non sei…!”.
La pressione delle braccia del giovane aumentò appena. Sospirò e poi si scostò leggermente, girandosi sulla schiena.
“Perché non ti convince?” sorrise con una tristezza palpabile negli occhi dorati “Che cosa pensi che io sia, Adara?”.
Lei lo guardò, avvampando difronte all’inspiegabile ossimoro che la sfiorava con il proprio tepore e aveva il fascino ammaliante e virile dell’uomo che aveva sposato. Il male in persona. Non ci avrebbe mai creduto. Mai!
“La persona che ho scelto” replicò “Al di là di ciò che pretende di rappresentare”.
Anthos socchiuse le palpebre, assimilando quelle poche parole.
La pioggia infuriò contro la finestra, esplodendo in lacrime violente e rabbiose.
“Anche Leuhan sta operando una scelta” ribatté, spostandosi nuovamente accanto a lei “Certo con maggiore accortezza rispetto alla sua portatrice”.
“Sai benissimo che non è così!”.
Il principe sorrise, misterioso, e le sue iridi scintillarono, magnetiche e attraenti.
“Non hai argomentazioni valide” le disse quasi con rassegnazione.
“Perché si è fermato di colpo, allora?” borbottò lei, piccata.
“Perché ora come ora non riuscirei neppure a immaginarti” ridacchiò lui, lanciandole un’occhiata furbesca “Tua madre non ti ha spiegato niente?”.
Adara arrossì brutalmente, ma non si lasciò intimidire dalla risposta licenziosa.
“Non sono proprio così sprovveduta!” ribatté, risentita “Non è ciò che intendevo! Dimentica la mia domanda, preferisco fare a meno delle tue solite non risposte”.
“Dovresti rivolgermi quella corretta, allora” ironizzò il reggente.
“Come vuoi!” esclamò la principessa, esasperata da ciò che non riusciva ancora ad afferrare di lui, da quanto suo marito rifiutava di condividere, dalla sua scorza impenetrabile che la respingeva, dall’altalena di sensazioni cui la condannava, dal suo intenzionale tenerla fuori da sé “Provi amore per me, Anthos di Iomhar?”.
Lui spalancò gli occhi, incredulo, e la fissò sconcertato. Rimase in silenzio un istante di troppo rispetto a quanto avrebbe voluto.
“Come ti viene in mente…!?” rimandò, impassibile e altero come sempre.
Fece per allontanarsi, ma la ragazza lo trattenne, afferrandolo per un braccio.
“La fuga equivale a un sì” decretò, impietosa.
“Non sto scappando” sogghignò il giovane “Ambirei semplicemente un calice di vino. I discorsi inutili mi mettono sete”.
“La paura fa lo stesso effetto, dicono” rincarò lei, drappeggiandosi la pelliccia addosso con esagerato fastidio.
 “Allora ne verserò anche per te” concluse Anthos, implacabile e sfidante.
Ancora una volta aveva ragione, poiché lei aveva avuto timore di rivelargli la verità.
   
 
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