Fumetti/Cartoni americani > Transformers
Ricorda la storia  |      
Autore: _Cthylla_    05/03/2020    2 recensioni
Dal testo:
"Lo avevano visto, doveva scappare.
Maledicendo la carrozzeria arancio spento, ma sempre troppo vistosa, Damus ricominciò a correre con la sensazione di essere inghiottito dalle pareti di quei cunicoli rischiarati appena da luci bianche intermittenti, capaci di spargere solo in modo fioco una luce sinistra sui tubi arrugginiti che si snodavano tra una parete e l’altra.
«Sei lento, outlier! Fai prima a fermarti, lasciare che ti massacriamo di botte e andare a farti mettere una testa e delle pinze nuove!» gridò uno dei due inseguitori."
Genere: Commedia, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tarn
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Generation I
- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Stupida ma non breve oneshot su un giovane Tarn che non si chiamava ancora tale. Spero che apprezziate almeno un po’ :)
La canzone che troverete all’interno è questa, vi consiglio di ascoltarla prima o dopo la lettura :)









A light for the lost and the meek

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
.: Indefiniti eoni nel passato :.






Il rumore prodotto dalla sua corsa disperata era quello che arrivava più chiaramente ai suoi recettori audio, già assordati dalla pioggia battente di quella sera disgraziata.

Si infilò nel primo vicolo buio che vide, acquattandosi tra la spazzatura e sperando di non essere trovato.

 
“Io non volevo, non ho fatto apposta. Non volevo disattivargli il braccio, giuro” pensò Damus, il giovane robot dalla carrozzeria arancio, terrorizzato.
 
Quelle erano le periferie della città dalla trista fama conosciuta col nome “Tarn”. Lui viveva in un settore della città un po’più tranquillo, si era recato solo per questioni di lavoro -carico e scarico di certe merci- in quelle zone, e stava cercando di tornare a casa quando era stato aggredito da due completi sconosciuti che avevano tentato di rapinarlo.
Non era la prima volta che certi tipi di persone gli davano addosso, anzi. A volte aveva persino l’impressione di star andando in giro con un cartello che diceva “sono una persona mite che non sa lottare, aggreditemi pure liberamente” senza saperlo.

 
“Me ne sto per fatti miei, cammino con la testa bassa e vado per la mia strada, perché mi succedono certe cose? Io non avevo fatto niente a quelle persone, io non faccio niente di male a nessuno… non potrei nemmeno volendo, e comunque non voglio…”
 
Pensiero che si scontrava con le sensazioni che aveva provato quando i due tizi che l’avevano aggredito gli avevano quasi strappato il pacco dalle mani. L’ondata di rabbia che aveva provato in quel frangente era stata tutto il contrario di “non voglio far male a nessuno”: in quel momento aveva desiderato ardentemente di avere il potere di ribellarsi all’ennesimo sopruso.
Certi desideri però erano pericolosi, almeno nel suo caso, perché il potere in questione c’era. Era nato col dono -la maledizione- di poter “spegnere” le macchine e le parti corporee altrui, ma farlo gli causava dolore e, oltretutto, non era abbastanza forte perché fosse utile, forse perché non aveva potuto cercare di svilupparlo.

Quell’abilità che non c’entrava nulla con la sua struttura fisica lo rendeva un outlier, e gli outlier in quanto tali erano ricercati dal Senato, ragion per cui era vitale tenere la testa bassa e cercare di nascondersi da tutto, da tutti, sempre.
 
«Dov’è andato quello stronzo?! Non possiamo lasciarcelo scappare, consegnarlo per farlo arrivare al Senato ci darà un mucchio di shanix!»
 
Precisamente ciò che non era riuscito a fare quella sera, avendo paralizzato il braccio di uno dei due aggressori che ora gli stavano dando la caccia.
 
«Credi che io non lo sappia, cretino?... eccolo!»
 
Lo avevano visto, doveva scappare.
Maledicendo la carrozzeria arancio spento, ma sempre troppo vistosa, Damus ricominciò a correre con la sensazione di essere inghiottito dalle pareti di quei cunicoli rischiarati appena da luci bianche intermittenti, capaci di spargere solo in modo fioco una luce sinistra sui tubi arrugginiti che si snodavano tra una parete e l’altra.

 
«Sei lento, outlier! Fai prima a fermarti, lasciare che ti massacriamo di botte e andare a farti mettere una testa e delle pinze nuove!» gridò uno dei due inseguitori.
 
Con sommo terrore, Damus si rese conto di aver sbagliato strada e di essersi infilato in una strada senza uscita. Vide la sola possibile salvezza nella porta di metallo già mezza arrugginita che riuscì a buttare giù con una violenta spallata, e si catapultò dentro quello che si rivelò essere un magazzino abbandonato di… combustibile? Sì, era quel che recitava la scritta sbiadita e divorata dal tempo sui contenitori che aveva attorno e dietro ai quali tentò di nascondersi, senza particolare successo.
 
Quel posto tuttavia non poteva ripararlo né dalla pioggia, che continuava a picchiare forte su di lui dal tetto semi sfondato, né dai suoi cacciatori.
 
«È finita. Te l’avevamo detto che dovevi lasciar perdere» ghignarono i due.
 
«I-io non ho fatto niente, mi dispiace, non volevo… i-io stavo solo passando, n-non… non ho fatto niente» fu tutto quello che riuscì a dire Damus «N-non ho fatto niente…»
 
«Peccato che a noi “n-non” interessi» lo prese in giro uno, avvicinandosi «E che “passerai” nelle mani del Senato. Non che con l’empurata cambieresti molto, adesso hai ancora le tue mani e la tua testa, ma sei già un inutile scarto disgraziato».
 
«Del tutto inutile no, ci pagheranno per questo» lo contraddisse l’altro, una mano tesa ad afferrare Damus «Ci pagheranno bene e-»
 
 
“Come, wayward souls

And wander through the darkness…”

 
 
Una voce femminile tranquilla e delicata, ma altrettanto chiara nell’intonare quella canzone triste, indusse tutti quanti a sollevare lo sguardo verso l’alto senza riuscire a scorgerne la fonte.
 
«Chi c’è?!» gridò uno dei due rapinatori, tentando senza successo di identificare la quarta persona presente.
 
 
There is a light, for the lost and the meek…
 
 
La voce sembrava muoversi attorno a loro, sempre più vicina in una spirale discendente, e tanto i due aggressori quanto Damus iniziavano ad essere più che inquietati.
Forse perché avevano ricordato una delle tante voci riguardanti dei mostri che giravano in quei luoghi dimenticati da ogni divinità.

 
 
“Sorrow and fear are easily forgotten
When you submit to the soil of the earth…”

 
Mentre i due continuavano a guardarsi attorno, Damus vide arrivare la loro fine.
Due cavi metallici piuttosto spessi iniziarono ad avvolgersi attorno alle loro gole senza ancora sfiorare i delicati cavi del collo, cercando un punto particolarmente debole nel quale penetrare.

 
 
“Grow, tiny seed
You are called to the trees…”

 
Lo trovarono.
I cavi metallici raddoppiarono, si fecero strada nel collo arrivando nel petto e ad uscire dalla loro gola proprio come avrebbero fatto le radici di certe piante tecnorganiche.

I suoi ormai ex aggressori rantolarono, terrorizzati e senza speranza, mentre altri due cavi rompevano uno dei loro sensori ottici e, passando dall’interno, sbucavano da quello accanto.
 
 
“Rise till your leaves fill the sky…”

 
Più morti che vivi, vennero sollevati leggermente da terra e fatti ondeggiare leggermente come se fossero stati marionette.
In tutto ciò Damus non era riuscito a muoversi, incapace di distogliere le ottiche da quello spettacolo orribile, macabro, osceno, spaventoso quasi come il senso di soddisfazione che aveva provato per qualche attimo e aveva subito soffocato.

 
 
“Until your sighs fill the air in the night…”


 
I cavi che avevano divelto le ottiche uscirono dalla testa dei due, andando ad accarezzare i contenitori di combustibile.
Solo allora Damus iniziò finalmente a riscuotersi, a indietreggiare, a provare appieno il terrore che fino a quel momento l’aveva bloccato.

 
 
“Lift your mighty limbs…”


 
E, infine, a correre via con un grido atroce somigliante quasi al lamento di un animale ferito dopo aver alzato lo sguardo e aver scorto un mostro, con un unico occhio giallo, intento a penzolare a testa in giù dalle travi metalliche e le tubature rotte del soffitto.
 
 
And give praise to the fire”.
 
 
L’ultimo verso di quella canzone cupa arrivò comunque ai suoi recettori audio, così come arrivò il calore delle fiamme, ma a lui in quel momento non sarebbe potuto importare meno. Voleva solo andare via da quel posto e raggiungerne un altro, uno qualsiasi, uno sicuro, voleva solo togliersi dalla testa quel che era accaduto, quei cavi che erano stati come radici, i rantoli e i versi di terrore soffocati e disperati, i sensori ottici spinti fuori dalle orbite che rotolavano sul pavimento bagnato, quella voce nel suo processore che diceva “l’hanno meritato”.
 
Damus non seppe dire per quanto tempo corse e quanta strada fece, non se ne rese conto, proprio come non si era reso conto di aver iniziato a piangere, singhiozzare mentre si malediva per essere nato in quel modo, outlier e debole. Rallentò la corsa solo quanto la stanchezza iniziò a farsi sentire più dell’orrore e dello shock, ancora presenti e ancora palpitanti nella sua Scintilla verdastra da point one percenter, e le sue gambe iniziarono a tremare forte.
 
Si sentiva ancora in pericolo, le sue componenti di ventilazione interne iniziavano a dargli l’impressione di poter collassare e farlo soffocare da un momento all’altro e stava per crollare in ginocchio quando i suoi sensori ottici, in tutto quel buio, videro la luce potente di una lanterna attraverso un pannello di vetro: per la precisione la vetrina di un negozio, sul cui ingresso campeggiava una scritta giallastra che diceva “aperto”.
 
Le sue gambe si mossero da sole verso quello che il suo processore aveva classificato come “posto sicuro”, i passi veloci ma incerti lo fecero quasi inciampare più di una volta ma alla fine riuscì a raggiungere la sua destinazione, aprendo di scatto la porta appena prima che le sue ginocchia cedessero e lo costringessero a trascinarsi sul pavimento fino a un angolo libero, giunto fino al quale prese la propria testa tra le mani e chiuse le ottiche, tentando disperatamente di tornare a far funzionare regolarmente la sua ventilazione.
 
I minuti divennero ore, la concezione di “tempo” perse significato per Damus, troppo invischiato in un groviglio di emozioni che non era abituato a gestire, non a quel livello.
 
Quando finalmente riuscì a riacquisire un po’di autocontrollo e sollevò lo sguardo, sobbalzò all’indietro andando a urtare una scatola il cui contenuto -rocchetti di fili di tessuto- si riversò sul pavimento.
 
«C-chi s-sei?! Cosa...»
 
La persona seduta su un divano accanto a lui, una femme blu e magenta con gli occhi gialli, rimase immobile e in silenzio.
 
«Lei è il doppio di me. Anche di più».
 
Damus si voltò di scatto verso sinistra, in direzione della voce che aveva parlato, restando senza parole per qualche momento. Si trattava di una femme, o meglio, quel che rimaneva di una femme che doveva aver subito un incidente terribile o essere stata vittima di una malattia molto grave.
Il braccio sinistro della donna era blu e magenta come quello dell’ “altra”, quella ancora seduta accanto a lui, così come parte del petto e una minima parte del suo bacino. Priva di gambe, sedeva accanto a un tavolo da lavoro, intenta ad assemblare parti di bambola bianche terribilmente somiglianti a quelle che completavano il suo corpo ove questo non c’era più. Neppure il viso era stato risparmiato, l’unica parte “viva” era quella attorno al sensore ottico destro dal colore gradevolmente dorato com’era gradevole l’intreccio elaborato dei dodici cavi metallici che aveva sulla testa e che ricadeva lungo la sua schiena fino a poggiarsi sul pavimento.

 
«Ma non devi avere paura di lei, è solo una bambola. È il mio lavoro: costruire bambole in questa valle di lacrime che chiamano “Tarn”» disse la femme, con la bocca semiaperta e immobile in una maniera inquietante a vedersi «Non saprei fare altro, ma è un lavoro onesto e ci mangio. C’è chi sta peggio. Come te».
 
«I-io, io sto bene. S-sto b-bene. Sì» farfugliò Damus, cercando di rimettere rapidamente i rocchetti dentro la scatola. Le mani tremanti però non lo aiutavano granché.
 
«Lo vedo» replicò l’altra «Hai appena fatto cadere sette rocchetti degli otto che avresti voluto rimettere a posto».
 
«All’Inferno!» sbottò Damus, sbattendo a terra la scatola e irrigidendosi subito dopo «N-no, io… mi dispiace. N-non dovevo farlo, è-è solo che prima è successo… è-è successo che…» cercò di calmarsi, sentendo un nuovo principio di iperventilazione «N-niente. Niente. Sono solo inciampato e caduto nel tuo negozio. Era aperto…»
 
«Tre ore e mezzo fa».
 
Damus sgranò i sensori ottici azzurri, poi si strinse nelle spalle. «T-tre ore e mezzo?...»
 
«Già. Ora il negozio è chiuso» disse la femme, indicando la spessa serranda metallica che copriva ingresso e vetrina «Ma direi che sia meglio così, considerando la gente che gira».
 
«La gente… già» mormorò il mech, abbassando lo sguardo. Fece una breve pausa di silenzio «Grazie per… per n-non avermi cacciato».
 
«Farlo sarebbe stato un po’faticoso per me, non sei leggerino. La tua designazione?»
 
«Come?...»
 
«Qual è la tua designazione? Come ti chiami?»
 
«D-Damus» rispose lui.
 
«Con una “d” sola o due?» domandò le femme, grattandosi il mento con la mano sana.
 
«U-una» mormorò il mech aranciato.
 
«Io invece mi chiamo Scylla» si presentò lei «Siediti sul divano accanto al doppio di me, altrimenti crolli di nuovo».
 
L’idea di sedersi accanto a quella bambola estremamente realistica lo inquietava molto, tuttavia non si sentì di obiettare. «Perché dici che… insomma… “il doppio di te”?»
 
«Anche di più, già solo perché adesso sono senza gambe. Ero bella una volta, vedi?»
 
Senza attendere una risposta, perché evidentemente non ne sentiva il bisogno, Scylla e la sua sedia con le ruote scomparvero dietro un separé con motivi floreali.
 
Rimasto solo, Damus osservò bene la bambola accanto a lui. Era stata fatta con un materiale diverso dal metallo ma dipinta in modo tale da sembrarlo. Se davvero un tempo l’aspetto di Scylla era stato quello, come le parti corporee che le rimanevano effettivamente suggerivano, allora era stata bella proprio come aveva detto.
Si guardò attorno. Prima non era nello stato d’animo di notarlo ma quel posto straripava davvero di bambole di ogni forma e dimensione e di materiali di tanti tipi. Certe bambole erano perfino appese al soffitto, curiosamente pieno di ganci oltre che di travi scoperte. Più di una bambola era vestita con abiti belli come ne aveva visti soltanto nelle trasmissioni video che coinvolgevano la nobiltà di Cybertron. Nonostante ciò, non riusciva a togliersi di dosso un’inquietudine che continuava a pungolarlo ogni volta che le sue ottiche si incontravano con quelle morte delle creazioni di Scylla.

 
«Dicono che le bambole, in quanto esseri privi di vita, la desiderino e cerchino di portarla via ogni volta che le si guarda negli occhi. È per questo che ci sono persone che ne hanno paura» disse Scylla, ancora dall’altra parte del separè «Tu che ne dici?»
 
«Sono… loro sono s-solo bambole. Non possono portarmi via nulla» rispose Damus «Non possono farmi niente».
 
Il suo sguardo cadde nuovamente sul “doppio”.
Aveva detto quel che aveva detto, ma non era poi così sicuro.

 
Sentì dei colpetti sulla mano destra. «Energon extra forte, ne hai bisogno».
 
«Grazie» disse Damus -senza voltarsi, ancora preso dalla bambola- bevendo qualche sorso.
 
«Ah, c’è anche questo. Ti è caduto dalle mani prima».
 
Le mani di Damus strinsero qualcosa di familiare: un pacchetto, per la precisione quello che aveva preso in consegna prima di essere aggredito e che aveva perso quando i suoi aggressori l’avevano quasi catturato nel magazzino di combustibile.
 
«Grazie! Se domani pomeriggio non l’avessi portato al lavoro…»
 
Nel magazzino di combustibile.
Lo stesso dove quei due delinquenti erano morti e al quale poi era stato appiccato il fuoco.

 
«… avrei passato dei guai» disse il mech, con la voce sempre più bassa e sottile e sentendosi ghiacciare l’energon nelle tubature mentre si rendeva si rendeva conto che c’era qualcosa che non andava.
 
Sentì la presenza di qualcosa accanto al suo recettore uditivo sinistro.
 
«“
Lift your mighty limbs/ And give praise to the fire”…»
 
Panico: il solo sentimento che controllò i movimenti di Damus da quel momento in poi, avendo riconosciuto la voce e la canzone che aveva sentito tre ore prima.
 
Scattò in avanti, cercò di sfondare la porta d’ingresso e la vetrina senza riuscirci -erano entrambi infrangibili- e quindi, senza capire cosa stesse facendo, afferrò la prima cosa che gli era capitata tra le mani -una scopa- per poi brandirla contro la femme.
 
«S-stai lontana da me! Non uccidermi! N-Non provare a uccidermi, ho una…» guardò la scopa «Ho una scopa! H-ho u-una…»
 
Ammutolì e strinse la scopa talmente forte da trovarsela rotta in mano.
 
Scylla era “in piedi”, si stava spostando lentamente e inesorabilmente verso di lui penzolando dalle travi grazie a due dei cavi metallici che fino a poco prima erano intrecciati.
 
«Sì, era la mia scopa. Ora me ne serve una nuova» disse la femme, con la bocca da bambola semiaperta e immobile «Però ne valeva la pena. Se potessi vedere la tua faccia!» esclamò, e rise. Uno spettacolo mostruoso «Ho sempre adorato spaventare la gente ma da quando sono così ci riesco con una facilità tale da far cadere la mandibola. Oplà» aggiunse, quando la mandibola si staccò e cadde nella sua mano sana.
 
«T-t-tu…» balbettò Damus «Tu…»
 
«Non iniziare a iperventilare di nuovo, outlier di nome Damus. Ti è di nuovo caduto il pacco».
 
«E-eri tu!» esclamò il mech «Tu li hai… tu li hai-»
 
«Uccisi impedendo loro di farti finire davanti al Senato. Sì».
 
Damus, comprensibilmente spaventatissimo, sentiva che le gambe erano nuovamente in procinto di cedere. «M-ma tu… tu non hai nemmeno le gambe, hai solo…»
 
«I miei “capelli”, e ringraziamo Primus che li abbia. La malattia mi ha lasciato metà del mio corpo, anzi meno, ma grazie ai capelli posso ancora andare al gabinetto da sola e fare passeggiate notturne» aggrottò l’unico sopracciglio che le restava in un’espressione pensierosa «Si chiamano passeggiate anche se non ho i piedi per fare passi? O si chiamano in un altro modo tipo… “appendate”? “Arrampicate”? “Capellate”?... capellate, vada per questo, mi piace».
 
«Primus» bisbigliò Damus, sull’orlo di una crisi di nervi «Primus…»
 
«È morto di vergogna da tanto tempo».
 
«Li hai ammazzati… in quel modo! »
 
«Non c’è di che. Se non ci si aiuta tra noi…»
 
Confusione pura apparve nelle ottiche terrorizzate del povero mech aranciato. «T-tra “noi”?!» 

 
«Outliers».
 
Sentirle dire questo fece sì che, per qualche attimo, la sorpresa superasse la paura. «Non sei una outlier, se lo fossi non lo diresti con tanta facilità a un estraneo, considerando quel che succede a noi outliers se… se ci scoprono».
 
«Sei l’ultimo che ha interesse a parlare di outliers a chicchessia, mi pare. Perché non ti siedi di nuovo? Lì fuori ci sono cose molto peggiori di un’invalida grave» gli fece notare Scylla, rimettendosi a posto la mandibola.
 
Damus esitò non poco ma infine, capendo di non avere scelta, tornò a sedersi. Non distolse gli occhi da lei neppure un momento, neppure quando vide Scylla indossare uno dei ricchi abiti delle sue bambole.
 
«È uno dei miei preferiti» disse lei.
 
Il mech rimase in silenzio.
 
«Ero in giro per una delle mie capellate notturne quando ho visto quei due inseguirti e chiamarti “outlier”» iniziò a raccontare la femme «Ero nel vicolo senza uscita che hai imboccato. Ho concluso che il cosmo poteva fare a meno di simili infami e che erano abbastanza deboli perché potessi occuparmene. In verità avresti potuto farlo anche tu da solo, non sei una corazzata da guerra ma quelli erano molto meno robusti di te».
 
«Io non posso» mormorò Damus «N-non sono in grado e comunque… e comunque io non devo attirare l’attenzione. Se sei una outlier sai perché».
 
«Non attirare l’attenzione non significa andare in giro con l’aria da “massacratemi di botte e rubatemi anche l’armatura”. Siamo nei sobborghi di Tarn, non nel centro di Crystal City» gli ricordò Scylla «E sebbene sia vero che quel che è capitato non è colpa tua e che una persona dovrebbe poter girare tranquilla a prescindere, non è così e non lo sarà mai. Se non impari a reagire finirai male».
 
«Io non ho i capelli da omicidio» borbottò Damus, con gli occhi bassi «Tu sì».
 
«Io ho a malapena mezzo corpo, tu ce l’hai intero».
 
Silenzio.
 
«Qual è la tua abilità da outlier, Damus?»
 
«Spengo le macchine e paralizzo le parti corporee delle persone» disse lui, dopo un’esitazione «Ma mi fa male se lo faccio».
 
Scylla alzò l’ottica al soffitto. Quell’unica parte sana del suo viso era dannatamente espressiva. «Hai mai preso in considerazione l’idea di usarla per difenderti?»
 
«Non posso attirare l’attenzione».
 
«Non potrai nemmeno avere qualcuno a proteggerti sempre nel caso succeda ancora, ti scoprano e cerchino di consegnarti al Senato. La mia abilità da outlier invece è vedere quale sarà l’aspetto di una persona nel futuro».
 
«Allora mentivi, come pensavo! Non è qualcosa che abbia un fondamento scientifico, erano solo chiacchiere!»
 
«Lo pensavo anche io quando mi sono guardata allo specchio andando avanti di pochi anni e mi sono vista in queste condizioni. Non ci avevo creduto» fece spallucce, per quanto poteva «Ora ho cambiato idea».
 
«Tu… tu vuoi tenermi qui, vero? Quando sei andata di là hai chiamato qualcuno che a breve verrà a prendermi, vero?! Vuoi consegnarmi e farti pagare per avere delle gambe nuove, giusto?!»
 
Lo stato mentale di Damus continuava a essere tesissimo e pericolosamente tendente all’isteria ma era comprensibile dopo quel che era capitato e considerando dove, e con chi, si trovava.
 
«Eventualmente preferirei una valvola nuova, la malattia se l’è portata via insieme a ogni desiderio di interfaccia. Ormai ho scordato come ci si sente a farne una. Niente di grave, comunque».
 
«Tu vuoi farmi del male! Io lo so!» esclamò il mech, senza ascoltarla minimamente «Hai terminato quei due per non dover dividere il bottino! Hai-»
 
La sberla che ricevette lo fece restare immobile per qualche secondo.
 
«Terapia d’urto» sentenziò la femme, poggiando la mano sinistra sulla guancia leggermente ammaccata del mech «Sei davvero così tanto spaventato da qualcuno senza un braccio e senza le gambe, Damus?»
 
«Forse. Un po’».
 
Scylla annuì. «Sono contenta di sentirlo».
 
«Cosa?!»
 
Lei sollevò il sopracciglio. «Cosa?»
 
«Tu… n-niente. Niente» borbottò lui, squadrandola con una certa diffidenza.
 
La mano della femme si posò sulla sua spalla. «A parte gli scherzi, non ti farò niente e non venderei mai un outlier come me. Non so se il tuo lavoro ti porterà altre volte da queste parti ma sappi che questo per te sarà sempre un posto sicuro… forse!» esclamò, avvicinandoglisi di scatto con i cavi metallici sollevati in posa d’attacco e ridendo di gusto quando lui, per sobbalzare, batté la testa contro la parete.
 
«Vai all’Inferno! Tu hai dei problemi, va bene?!» sbottò Damus «Hai dei grossi problemi, e per quanto tu sia solo una patetica cosa mutilata che si trascina quelli fisici non sono i peggiori!»
 
«E quindi?»
 
Damus ammutolì, tanto perché si era appena reso conto della cattiveria che aveva detto quanto perché a lei, della cattiveria in questione, non importava alcunché. «M-mi spiace. Ho perso… ho perso il controllo. Scusami».
 
«Io ti sto spaventando di proposito da prima e tu ti scusi per aver detto delle ovvietà? Sei un caso disperato. Spero che prima o poi ti darai una svegliata» sospirò lei «Pacchetto».
 
«Cos… ah. Grazie» disse Damus, prendendo il suo pacchetto da uno dei cavi metallici di Scylla.
 
La femme, agganciandosi alle travi e ai tubi del soffitto, si allontanò. «Domani mattina quando riaprirò potrai andare, intanto ricaricati pure, per oggi ti ho spaventato abbastanza. Quel che ti ho detto sul posto sicuro resta valido».
 
«Aspetta».

 
Scylla si fermò.
 
«Tu hai detto che puoi vedere l’aspetto futuro delle persone. Potresti…» Damus esitò «Potresti vedere come sarà il mio?»
 
La femme lo guardò a lungo.
 
«Oh» disse, in modo assai poco incoraggiante «Oh! Molto meglio» esclamò poi, in un tono ben più sollevato «Ad avere una valvola ancora funzionale ti avrei chiesto di darmi una botta in futuro».
 
«Tutto qui? Non intendi dire altro?!»
 
«Non ti aiuterebbe a evitare quel che ti aspetta».
 
«Mentivi» sentenziò Damus «Non sei una outlier e non hai quel potere».
 
«Se -o quando- ci incontreremo ancora per la prima volta quando avrai il tuo aspetto più bagna valvole ti regalerò una bambolina piccola di te stesso. A quel punto mi saprai dire se mentivo o meno. Andata?»
 
«Sì. Certo. Sicuro» sospirò Damus, iniziando a sentirsi molto stanco.
 
«Domani mattina potrai anche scegliere la tua bambola da settantacinque shanix» disse poi Scylla «Te ne ho lasciati venticinque perché non si sa mai».
 
«C-cos… mi hai rubato settantacinque shainx?! Mentre ero sotto shock nell’angolo, magari?!»
 
«Non è un furto: è un auto pagamento con annessa vendita coatta di bambola» replicò Scylla, senza negare il momento in cui era avvenuto il furto «’Notte».
 
«Scylla!... andata» borbottò, vedendola scomparire dietro il separé.
 
La stanchezza ormai era tale che Damus non aveva neppure voglia di arrabbiarsi, solo di svegliarsi nel proprio letto scoprendo che tutto quel che aveva vissuto quella sera era stato un orribile incubo.
 
 
“Come, wayward souls

And wander through the darkness…

 
 
«Uccidimi domattina» disse il mech ad alta voce «Non ho abbastanza energia neanche per strillare spaventato».
 
«Ah già, è vero. Sono abituata a cantarla e non ci ho pensato. Era la preferita di nonna» disse Scylla da dietro il separé.
 
«Davvero?»
 
«No. L’ha composta mio padre».
 
«Almeno questo è vero?» insistette Damus, senza reale interesse, con le ottiche in procinto di chiudersi.
 
«No. Era in un vecchio riproduttore di musica. Ti piace la musica, Damus?»
 
«Sì,  soprattutto… la Empyrean Suite di Eucryphia» mormorò, prima di chiudere definitivamente le palpebre.
 
 
 
 
 
 
Il mattino dopo, quel mech aranciato che in futuro sarebbe diventato Tarn -il temuto leader della DJD, il lealista più fervente di Megatron e della dottrina Decepticon- se ne andò con una bambola da settantacinque shanix che Scylla diceva di aver modellato sulle fattezze di una nobildonna di Iacon: era bianca e color serenity, con occhi azzurri, decorazioni dorate sul corpo e sul volto, e un abito rosa pastello.
 
La tratta di lavoro che era stata assegnata a Damus lo portò molte altre volte in quei sobborghi e tornò molte altre volte nel negozio di Scylla, comprendendo come quello fosse davvero un posto sicuro per lui… nonostante continuasse a pensare che quella femme avesse dei grossi problemi nel suo continuare a tentare di spaventarlo -riuscendoci ogni santa volta.
 
Le parole di quella femme, “Non potrai nemmeno avere qualcuno a proteggerti sempre nel caso succeda ancora, ti scoprano e cerchino di consegnarti al Senato”, purtroppo si rivelarono profetiche pochi anni dopo. La strada di Damus si incrociò con quella del Senato e fu sottoposto a empurata. Pur immaginando che Scylla non avrebbe avuto problemi con la sua nuova condizione, non riuscì mai a presentarsi nuovamente nel suo negozio -non ridotto com’era.
Dal momento dell’empurata in poi iniziò la sua discesa… o l’ascesa, a seconda dei punti di vista. Il mech che divenne in seguito aveva ben poco in comune con Damus, l’outlier che non voleva attirare l’attenzione e non sapeva come reagire a chi gli dava addosso…

 
O così piaceva pensare al mech in questione.
 
 
 
 
 
 
.: Il presente :.
 
 
 
 
 
 
Quella passeggiata nei sobborghi di Tarn era anche una passeggiata nel viale dei ricordi per… Tarn.
Era quasi ironico che ora il suo nome fosse quello della città dov’era nato e cresciuto.

 
“Piove perfino” pensò.
 
Un tempo si sarebbe sentito spaventato e teso camminando in quei vicoli bui che avevano subito relativamente pochi cambiamenti rispetto ad eoni addietro nonostante la guerra, ora invece non provava altro se non totale tranquillità e… una punta di soddisfazione, una punticina appena, nel vedere correre via spaventati anche mech più grandi di lui.
 
Lui e la sua squadra si erano recati in quella città per cancellare un nome dalla Lista e, compiuto il loro dovere, aveva sentito il desiderio di fare una camminata da solo. I suoi uomini e Nickel, pur ignari del suo passato, non avevano avuto problemi né domande a riguardo.
 
Iniziò perfino a canticchiare a bocca chiusa l’Empyrean Suite, lasciandosi trasportare dai propri piedi in strade che aveva imparato a conoscere a menadito, quando notò di essere arrivato a un incrocio familiare.
 
La tranquillità provata fino a quel momento scomparve, lasciando il posto all’immobilità e a due impulsi contrastanti in maniera snervante.
 
Non vedeva Scylla da moltissimo tempo, non sapeva neanche se fosse viva, se fosse morta, se si trovasse ancora lì o fosse andata ad abitare da qualche altra parte. Ricordando di non essersi più presentato dall’empurata in poi, non sapeva neppure come si sarebbe sentito vedendo il suo negozio… o le macerie.
Poi si ricordò che quell’insicurezza non faceva parte del nuovo se stesso, decidendosi quindi ad andare avanti.

 
“L’edificio è ancora in piedi” constatò dopo un po’, accorgendosi con fastidio di star contraendo ritmicamente le dita di entrambe le mani per la tensione.
 
Giunse a destinazione. Nella vetrina c’era ancora la lanterna circondata di bambole e sull’ingresso c’era ancora la familiare scritta luminosa e giallastra che recitava “aperto”: significava che lei era ancora lì, ora come in passato.
Cosa le avrebbe detto? Cosa gli avrebbe risposto lei?

 
Poi ricordò una cosa fondamentale: nessuno, a parte Megatron, Shockwave e se stesso, sapeva chi era stato in passato, e ormai era talmente diverso che neppure la sua stessa madre l’avrebbe riconosciuto se fosse stata in vita. Poteva entrare, fingere di voler dare un’occhiata alle bambole -quella da settantacinque shanix ce l’aveva ancora, era nei suoi quartieri privati- e andarsene via.
 
Prese coraggio e aprì la porta.
 
 
“Come, wayward souls

And wander through the darkness

There is a light, for the lost and the meek…

 
 
Dicevano che il passato era “passato” e non contava nulla.
Chi osava dire una simile menzogna forse non ne aveva avuto uno degno di alcuna importanza.

 
 
“Sorrow and fear are easily forgotten
When you submit to the soil of the earth.

Grow, tiny seed
You are called to the trees

Rise till your leaves fill the sky

Until your sighs fill the air in the night…

Lift your mighty limbs…”


Un pensiero attraversò il processore di Tarn: era tutto uguale, inclusa la voce di Scylla, e tutto diverso rispetto ad allora, perché lui era cresciuto proprio come l’albero tecnorganico di quella canzone.
 
 
“And give praise to the fire”.

 
 
Lei era dietro il separè, sempre lo stesso, quello con i motivi floreali, e Tarn la vide uscire sulla sua sedia con le ruote per mostrarsi al nuovo cliente.
Stava per salutarla come cortesia voleva, ma non ebbe il tempo.

 
«Come avevo detto: ad avere una valvola funzionale, adesso ti chiederei di darmi quella botta di cui parlavo anni fa. Alla buonora, Damus» disse la femme «Il modo in cui ti sei presentato qui dopo un silenzio tombale durato eoni, pur avendo il mio contatto, mi fa cadere le braccia» e infatti il braccio destro di bambola cadde «Oplà».
 
«Allora era vero. Tu avevi davvero visto il mio aspetto futuro» disse Tarn, avvicinandosi lentamente a lei «Empurata inclusa».
 
«Sei tu che non mi hai dato retta quando ti avvertivo che saresti finito male, con l’atteggiamento che avevi» replicò la femme, tirandosi su grazie ai “capelli” agganciati al soffitto «Anche se sei finito male solo per un po’».
 
Lui non disse niente né si mosse quando Scylla, come quella notte di eoni addietro, poggiò la mano sana sul suo volto -ora coperto dall’iconica maschera.
 
«Ti spavento ancora un po’, Damus?»
 
«Per niente».
 
Scylla annuì. L’ottica buona sembrava felice. «Sono contenta di sentirlo».
 
Uno dei cavi metallici porse a Tarn una scatola, che il Decepticon aprì senza esitazione.
 
«La tua bambola. Te la promisi, ricordi?»
 
Una riproduzione in scala del suo aspetto attuale, estremamente fedele all’originale.
Gli ultimi rimasugli di dubbio riguardanti il fatto che lei l’avesse visto in passato svanirono completamente, ma non svanirono le emozioni contrastanti che lo stavano spingendo a volersene andare in fretta da lì.

 
«Ovvio».
 
«Ora posso morire in pace» sospirò la femme, con voce sempre più esile «Ho mantenuto la mia parola. Addio, Damus».
 
«Cosa-»
 
Scylla perse la presa sulle travi e cadde a terra come un corpo morto, o una bambola inanimata.
 
Dopo qualche secondo di stupore, Tarn si chinò rapidamente, la tirò su e iniziò a scuoterla leggermente, dimentico di ogni nozione di pronto soccorso.
 
«Scylla! Che ti prende? Di’ qualcosa! Reagisci!» la scosse ancora «Il suo corpo è freddo, va’ a vedere che…»
 
Era offline.
Era andata offline all’improvviso, non tra le sue braccia ma quasi; non era quel che Tarn avrebbe voluto ed era quanto di più lontano da ciò che aveva previsto. Che la malattia avesse continuato ad avanzare? Poteva essere, in fin dei conti lui non si era mai informato sulle sue condizioni. Avrebbe dovuto. Avrebbe potuto. Avrebbe-

 
La morta, che evidentemente tanto morta non era, balzò in avanti con un verso stridulo, e Tarn dopo un’esclamazione di sorpresa -e un po’di spavento- la lanciò via.
 
«Dovevi vedere la tua faccia!» rise di gusto la disgraziata.
 
«Me ne vado. Me ne vado prima di terminarti sul serio come avresti meritato da un pezzo!»  disse Tarn, duro, raggiungendo la porta a grandi passi.
 
«Già che ci sei puoi comunicare a Tesarus che la sua bambola sarà pronta tra pochi giorni e verrà spedita a breve?... il tuo soldato ha trovato il mio sito in rete, sissignore» aggiunse Scylla, vedendo lo stupore nelle ottiche di Tarn «Sì, so che è un tuo soldato. Sì, so anche come ti chiami adesso. Ti ho riconosciuto appena ho guardato una tua immagine, avendoti visto in passato».
 
«Immagino di non dovermi sorprendere. A sorprendermi di più è Tesarus, non credevo avesse interesse per le bambole».
 
«Erotiche».
 
«Ah. Sì. Beh. Addio» concluse Tarn, attraversando la soglia.
 
Non era un vero addio, sapeva che presto o tardi sarebbe finito a tornare lì per qualche motivo. Certi elementi del passato non cambiavano mai ma non si aveva neppure il reale desiderio di lasciarli andare e quel negozio, con quella lanterna che quella sera gli era sembrata una fonte di salvezza, era proprio tra quegli elementi.
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Transformers / Vai alla pagina dell'autore: _Cthylla_