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Autore: E niente    05/03/2020    1 recensioni
"Rosso per quando diventi grande"
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Secondo sua madre, il suo problema era "che non me ne vuole parlare mai!" Qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa passasse davvero nella testa del suo primogenito, il problema era che Giovanni non ne parlava.
"Giovà, tutto bene?"
"Lasciami in pace."
"È successo qualcosa oggi a scuola?"
"Mamma, te ne vuoi andare, eh? Chiudi la porta."
Che figlio complicato. Michele, invece, era tanto buono.

"Giuro che se qualcuno ci va giù pesante oggi finisce male".
Questa promessa fatta a se stesso lo sostenne per tutto il tempo. Avrebbe picchiato qualcuno, quel giorno, oh sì. E non sarebbe stato Riccardo, se allungava le mani su Alessia. Giovanni aveva altro a cui pensare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avviso: questo racconto contiene linguaggio scurrile. È inteso che serve a rendere il punto di vista del personaggio e i suoi pensieri, mi dispiacerebbe se qualcuno si sentisse offeso.



SMALTO ROSSO



Giovanni aveva tanti problemi.
A sentire suo padre, "quel ragazzo doveva mettere la testa a posto". Doveva studiare, riportare su i voti, smettere di uscire di casa a tutte le ore, smettere di frequentare quelle brutte compagnie, quegli stupidi, quei Ricky e Ben, come diavolo si chiamava quell'idiota? Benedetto?
"Giovà, se ti fai bocciare un'altra volta…" aveva detto il Padre, una volta. Si stava legando la cintura ai pantaloni.
"Oh, buon Dio" aveva sospirato la Madre, incerta se il marito stesse esagerando con le minacce o se faceva sul serio.


Secondo sua madre, il suo problema era "che non me ne vuole parlare mai!" Qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa passasse davvero nella testa del suo primogenito, il problema era che Giovanni non ne parlava.
"Giovà, tutto bene?"
"Lasciami in pace."
"È successo qualcosa oggi a scuola?"
"Mamma, te ne vuoi andare, eh? Chiudi la porta."
Che figlio complicato. Michele, invece, era tanto buono.


La mamma passava tanto tempo con Michele: il suo secondogenito le stava sempre intorno, la osservava mentre cucinava, andavano insieme a fare la spesa, guardavano la tivù sul divano. Per ogni cosa che Giovanni faceva di male, c'era però Michele che invece era buono. Magari respirava soltanto, però era lì ed era buono.
Era il preferito di mamma, Giovanni lo sapeva. Ma Giovanni non si arrabbiava per questo: Michele era anche il suo preferito.


E poi c'era Alessia. Alessia il genio di famiglia, la figlia bella e talentuosa, la viziata e coccolata Alessia. Lei riusciva a piacere sia a mamma che a papà, questo pensava Michele, quando vedeva come Giovanni la guardava in cagnesco. Ma in realtà, neanche questo era il problema per Giovanni.
Alessia era la preferita di suo padre, e allora? Che cosa gliene importava, a Giovanni, delle preferenze di quell'individuo? Se poi cadevano su quella smorfiosa di sua sorella, meglio ancora, che cosa ne aveva lui, da preoccuparsi?
Alessia era un problema, sì, ma un altro tipo di problema. Quattordici anni e già si vestiva in quella maniera, e già si truccava in quel modo. Giovanni non aveva fatto in tempo a pensare a quale coetaneo di sua sorella doveva preoccuparsi, che aveva capito che il problema era un altro.
"Bona, eh! Sicuro che ha quattordici anni?" aveva detto Ricky. E lì aveva capito, che la minaccia più grande sarebbe stata il suo amico.
"Ehi, giù le mani" aveva minacciato Giovanni.
"Che, ti scaldi?" rideva Ricky, con un ghigno pessimo. Intanto aveva tirato un altro tiro della sua sigaretta, e aveva fatto l'occhiolino ad Alessia, che passava di lì.
Ben era lì, e rideva.
"Fra', sono serio" aveva insistito Giovani. Il che intendeva che avrebbe picchiato e ucciso con le sue mani la sua amicizia storica, che tanto amicizia non era, per quella smorfiosetta lì. Che intanto se ne andava in giro con i pantaloncini e le calze a rete bucate, quanto lo faceva incazzare!
"Calmo, calmo. Farò il bravo, lo giuro" rispose Ricky. Poi, vedendo che la promessa non bastava, aggiunse: "aspetto, eh!"
"Aspetta" rimarcò Giovanni.


La soluzione a cui erano arrivati si poteva dire confortante, considerando che da allora anche Ricky aveva buttato uno sguardo su di Alessia quando lui non c'era. Ricky, il coglione Ricky, l'amico più… vispo, e attivo in palpatine e scene lemon con ragazze di turno, lo stesso amico che gli aveva fracassato il cellulare e rubato una maglietta perché stava meglio a lui, inaspettatamente, stava facendo davvero l'amico.
Che Alessia rimanesse la solita deficiente non era un problema. Giovanni ci era abituato.
"Io mi vesto come voglio! Il mio modo di vestire non deve fregare a nessuno!"
E ogni volta che partivano i soliti attacchi di femminismo acuto, e si tirava in ballo la parità dei sessi e "checazzomenefrega, Alè! Copriti!", Giovanni poteva pensare, con conforto, alle parole di Riccardo.
"Quando starà con me le dirò di non vestirsi così."
Giovanni avrebbe potuto ribattere che Alessia non si sarebbe mai messa con Riccardo, ma non ne era più tanto sicuro nemmeno lui. Forse Alessia guardava Riccardo. Forse arrossiva, pure. Forse aveva preso a fare delle domande strane a Giovanni. Forse.
Perciò aveva risposto, a Riccardo: "Non puoi dirle qualcosa già adesso?"
Riccardo si voltò incredulo a guardarlo.
"Qualcosa tipo: non c'è bisogno che ti vesti così, sei bella lo stesso."
Giovanni si stava rendendo ridicolo a suggerire quelle parole. Lo vedeva riflesso nella faccia di Riccardo e lo sentiva nella risata forte di Ben che, benedetto ragazzo, rideva sempre. Però non gliene fregava niente.
Se Alessia non ascolta me, ascolterà lui almeno.


Quindi, abbiamo appurato che nemmeno Alessia, tutto sommato, era un problema. Non lo era il Padre di merda e nemmeno la scuola, non gli era mai importato nulla. Non lo era Riccardo, che aveva preso il posto del suo vecchio non-amico e ora si comportava decentemente, chissà perché.
Il futuro? Giovanni sapeva che sarebbe finito a lavorare nell'officina del meccanico del suo quartiere. Aveva passato giornate intere lì, sapeva dare una mano e sapeva che il meccanico era pronto ad assumerlo quando lui avrebbe lasciato la scuola. In qualcosa era bravo, dopotutto.
L'amore? Giovanni si era innamorato una volta, era andata male. Poi aveva visto che incredibile abbaglio aveva preso, e che lei non era poi tanto speciale rispetto alle altre. Aveva uno sguardo disincantato, da allora, ed era consapevole di non interessare a nessuna ragazza né per intelligenza, né per simpatia, né per bellezza. E anche qui, si può dire, non gliene fregava niente.
"Stai sempre incazzato. Rilassati" gli diceva Michele.
E qua stava il problema. Non che glielo dicesse Michele. Ma che Michele glielo dicesse mentre si metteva lo smalto ai piedi.


Aveva cominciato quando aveva tre anni. A Michele piaceva lo smalto della mamma. Non urlava mai, non scalciava e non andava in giro per il parco a rincorrere i piccioni e a rubare i palloni degli altri. No, Michele non dava problemi, al contrario di Giovanni. Ma se c'era una cosa per cui Michele diventava un vero rompiballe, al pari di suo fratello maggiore, era lo smalto.
"Mamma, me lo metti?"
Il problema non era questa frase. Era questa frase ripetuta per trenta volte, mentre lei cucinava, lavava i piatti, metteva i panni in lavatrice, rifaceva i letti. Michele, a tre anni, aveva imparato ad essere assillante guardando suo fratello. Questo era il problema per la madre.
Alla fine aveva deciso di metterglielo, anche se il marito non approvava. Aveva scelto uno smalto rosa, che così si notava poco (anche se Michele insisteva per il rosso, come quello che aveva lei).
"Rosso per quando diventi grande."


Michele era diventato grande. E si metteva lo smalto rosso.
Michele era frocio. Non ne avevano mai parlato, ma era una cosa che in casa si era capita fin da subito. Nessun coming out, nessuna sorpresa. Era evidente, punto.
E per una volta, Giovanni e il padre condividevano lo stesso silenzio pensieroso. Il padre, per l'imbarazzo di avere un figlio frocio (cioè, proprio lui un figlio così, come se non gli bastasse avere Giovanni!). Giovanni, invece, perché sapeva che, ai suoi amici, essere frocio non andava bene. Quante volte lo avevano usato, quell'aggettivo, a sproposito? Quante volte avevano riso su Tonino, il gay dichiarato del loro quartiere? Essere frocio era una cosa che faceva ridere gli altri, e rendeva di te una persona debole.
Questo aveva imparato, Giovanni.
Per cui, che Michele avesse le sue attitudini, Giovanni non lo voleva sapere, non ci poteva nemmeno pensare. Dannazione, non erano fatti suoi. Bastava soltanto che quella storia che Michele era così, rimanesse solo in casa. Che non si sapesse in giro.
"Perché, altrimenti che succede?" chiedeva Alessia, con il solito tono sprezzante. "Onta e disonore su questa casa, su tutta la famiglia, su mamma e papà e sul loro asino!"
Che sarebbe Giovanni.
Giovanni serrava i pugni e la mascella. Quanto odiava sua sorella.
Michele si teneva al sicuro da quelle liti, come se non lo riguardassero affatto. Saliva in camera sua e si metteva lo smalto. Quando Giovanni bussava alla sua porta ed entrava, Michele gli chiedeva: "ti piace?"


Giovanni si chiedeva solo perché suo fratello fosse così. Non così frocio, semplicemente così… femmina.
Giovanni si era informato, okay? Aveva cercato su internet altri personaggi gay, giusto per capirne di più. Come funzionavano le cose, se si vedeva che erano gay, se non si capiva. Ogni volta cancellava la cronologia, non sia mai che qualcuno dei suoi amici gli fregasse il cellulare e scoprisse che faceva ricerche del genere. Non sia mai, che si facessero strane idee…
Quello che aveva capito, in queste ricerche, era che a non tutti i gay si capiva, se erano gay o no. Cioè, alcuni sembravano proprio maschi. Non c'era bisogno di farlo capire al mondo intero, insomma.
Se Giovanni avesse saputo come esprimersi decentemente, avrebbe detto che il problema non era tanto l'omosessualità di suo fratello, quanto il suo essere eccentrico.
Anche Alessia era eccentrica, e gli dava un fastidio bestia. Perché i suoi fratelli cercavano volontariamente di mettersi nei guai, eh??


Giovanni non avrebbe mai preso a schiaffi suo fratello. Non era umanamente possibile pensare di prenderlo a schiaffi, né di sgridarlo, né di guardarlo con disappunto.
Michele era il tipo di persona che se ti vede giù non ti chiede se qualcosa va male: si siede accanto a te e basta.
Non si metteva in mezzo alle liti di famiglia, non parteggia mai per nessuno. Michele non tentava l'impossibile: mettere d'accordo quella famiglia di cani rabbiosi era cosa da pazzi. E Michele era un ragazzo intelligente. Per cui, andava in cucina e faceva una torta. Poi, ore dopo, raggiungeva in soggiorno i guerrieri e, mentre questi litigavano per chissà cosa, o sedevano imbronciati e silenziosi, ne offriva un pezzo a tutti. E basta.
Giovanni gli voleva bene. Perciò, quella domenica mattina di maggio, mentre Michele si metteva lo smalto con il costume da mare addosso, Giovanni veramente non sapeva cosa fare.
"Oggi rosso" annunciò Michele. Giovanni tirò un sospiro.
"Sì, mi piace" gli disse, ma non era vero. "Solo, te lo devi mettere proprio adesso che stiamo andando al mare? Con Riccardo, Ben e tutti gli altri?"
Era la prima scampagnata al mare della stagione, e si erano organizzati veramente bene. L'invito era stato rivolto anche ai rispetti fratelli, e amici dei fratelli, insomma: un mucchio di gente, tutti quelli che entravano nelle macchine che avevano a disposizione.
Finora Michele se l'era sempre scampata: indossare lo smalto ai piedi con le scarpe chiuse rimaneva pur sempre un segreto. Sulla spiaggia, con i piedi nudi, non sarebbe stato così facile.
Michele non rispose. Giovanni si innervosì.
Possibile che Michele non vedesse che ci sarebbero stati problemi? Non sentiva già nelle orecchie la risata di Ben? Non sapeva che sarebbe stato oggetto di scherno per tutti?
Giovanni non sapeva cosa fare. Pregare suo fratello per togliersi lo smalto? Non lo avrebbe fatto, si sarebbe infuriato, e Giovanni non voleva farlo arrabbiare. Pregare le divinità onnipotenti che nessuno lo notasse? Praticamente inutile: rosso ciliegia, più evidente di così!
"Si abbina al costume."
"Lo avevo notato" rispose Giovanni. Solo che, pensò, senza dirlo, io non vado a cercare lo smalto che si abbina al mio costume. Non ce n'è bisogno, cazzo.
E continuò a pensarlo, e gli venne un'idea, e sospirò, andando a cambiarsi.


Giuro che se qualcuno ci va giù pesante oggi finisce male.
Questa promessa fatta a se stesso lo sostenne per tutto il tempo. Avrebbe picchiato qualcuno, quel giorno, oh sì. E non sarebbe stato Riccardo, se allungava le mani su Alessia. Giovanni aveva altro a cui pensare.
Quando arrivarono sulla spiaggia e tolsero le scarpe dai piedi, nessuno si accorse di niente. Erano tutti troppo impegnati a correre in acqua, a schizzarsi e a tremare di freddo – perché era maggio, dopotutto, e a maggio l'acqua è gelida.
Quando, poi, si stesero al sole ad asciugare, la sabbia appiccicata ovunque, nessuno badava ai piedi degli altri.
Quando, infine, si sistemarono in cerchio per giocare a carte, qualcuno se ne accorse. E Ben rise.
"Che cazzo hai fatto alle unghie?"
Riccardo non disse niente. Nemmeno Alessia, accanto a lui. Michele ammutoliva.
Giovanni diede uno sguardo ai suoi, di piedi, che esibivano una bellissima tonalità di smalto. Blu notte.
"Si abbina al costume" disse, severo.
Non voleva essere il primo a scatenare l'ilarità di tutti, ma era successo. E mentre gli altri lo guardavano sollevando le sopracciglia, i ragazzi con quell'espressione che significava "fra', ma che cazzo?" e le ragazze veramente molto sorprese, Alessia rise.
Alessia, la piccola odiosa peste, rideva.
"Lo hai messo male" disse, prima che Giovanni potesse lanciarle contro una scarpa.
La sorella si sporse ed esaminò con aria critica il suo lavoro. "Qua è troppo chiaro, qua hai saltato un pezzo…"
"Ero di fretta" si giustificò lui. "E poi non è che so' esperto!"
"La prossima volta te lo metto io" disse Michele.
Michele sorrideva. Alessia sorrideva.
A quel punto, anche se tutti, in silenzio, guardavano lo smalto rosso di suo fratello, per Giovanni non era un problema.
A Giovanni finalmente, non gliene fregava più un cazzo di niente.




   
 
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