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Autore: LionConway    05/03/2020    11 recensioni
[Il Cacciatore]
[ The Deer Hunter / ... And Justice For All ]
[ high school!AU ] [ 1980s!AU ]
Mike Vronsky ha diciotto anni, vive con il padre in un'anonima cittadina della Pennsylvania e il suo principale sfogo è passare il tempo con i suoi migliori amici. Nessuno di loro ha un cospicuo conto in banca né voti particolarmente brillanti a scuola, ma la situazione di Mike è nettamente peggiorata durante la malattia e, in seguito, la morte della madre. Il nuovo anno è appena iniziato, la domanda per il college e l'evasione dalla vita di provincia pendono sulla sua testa e Mike deve assolutamente mettersi in pari con il programma.
Arthur, un giovane e attraente studente di Legge tornato in occasione dell'Homecoming, sembra essere la sua salvezza per quanto riguarda le ripetizioni... non fosse che detesta Mike e la sua combriccola per un torto subito un paio di anni prima.
Come se non bastasse, a peggiorare la situazione, ci sono gli ormoni ballerini di un diciottenne che comincia a scoprire la sua attrazione per gli uomini e, soprattutto, per il misterioso e affascinante Nick, il nuovo studente alla Clairton High.
Riuscirà Mike a sopravvivere al suo ultimo anno?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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A FEVER YOU CAN'T SWEAT OUT 
 
 


I. 
I Ragazzi Sono Tornati 

 

Guess who just got back today
Them wild-eyed boys that had been away
Haven't changed that much to say
But man, I still think them cats are crazy 

( Thin Lizzy - The Boys are Back in Town ) 



 

Il lungo sbadiglio di Michael al di sopra della propria tazza di cereali non passò inosservato al signor Vronsky. Figurarsi. Era una volpe, quell'uomo, più che mai quando si trattava di esternare osservazioni nei confronti del figlio diciottenne.

«È inutile che fai tanto lo zombie quando sei arrivato a casa alle quattro del mattino.»

Da che pulpito, poi, dall'uomo che beveva birra scadente già dalle sette e trenta. Ma questo Michael non lo disse. Si limitò a giocherellare un po' con i cornflakes nella tazza, prima di sollevarne una manciata col cucchiaio e buttarseli in bocca. Saggia decisione, riempirsela di cereali piuttosto che di merda come il suo vecchio. La verità era che lui era più simile a Piotr Vronsky di quanto gli piacesse ammettere, ma era da quell'estate che si era reso conto che sfidare l'autorità patriarcale non aveva più il sapore agrodolce di un tempo, quando mamma interveniva ad ammansire le loro stupide liti. Adesso, quando discutevano, nessuno dei due era in grado di placare l'altro. Avrebbero potuto continuare per giorni, senza sosta, e il tutto sarebbe sfociato in qualcosa di drammatico, di asfissiante. Sì, era così che si era fatta l'aria nel loro stupido caravan, ormai: opprimente, soffocante, perciò Michael si premurava di passare il meno tempo possibile in casa, bazzicando per Clairton con quegli sbandati dei suoi amici e limitando le interazioni con suo padre. Così facendo, limitava anche i danni.

Piotr, evidentemente, comprese l'antifona perché evitò di infierire oltre.

A volte Michael si domandava se suo padre si comportasse da stronzo perché si sentiva triste. Doveva pur essere così, ma non si azzardava a chiederglielo perché sapeva perfettamente che il vecchio avrebbe tagliato di netto il discorso o, nel peggiore dei casi, sbottato malamente in preda ai fumi dell'alcol.

Non lo aveva mai visto piangere. Da piccolo, lo aveva sentito urlare nel cuore della notte, in preda alle allucinazioni e ai ricordi del Vietnam. Aveva prestato servizio per due anni, congedato in seguito a una pesante ferita al femore che lo aveva lasciato un po' zoppo, eppure non si era mai sognato di parlare delle mostruosità a cui aveva assistito in guerra.

Faceva l'operaio nell'acciaieria di Clairton. Gli piaceva andare a caccia sulle colline che circondavano la piana di Allegheny. Il sabato sera, non disdegnava una bevuta al bar dei Pushkov, dov'era solita riunirsi la comunità russa della cittadina; più di una volta, Michael si era adoperato a portarlo a casa sulle proprie spalle, completamente sbronzo. Un allenamento fisico che gli aveva irrobustito il corpo, avvicinando il suo aspetto a quello dell'età segnata sul proprio documento falso. Quell'estate, aveva pensato pure di farsi crescere la barba. Gli stava bene, rossastra e curata e, soprattutto, utile a nascondere i brufoli che ancora si annidavano sul suo mento.

Michael finì i cereali in fretta e in silenzio.

«Posso prendere la macchina?» domandò, senza guardare in faccia suo padre, mentre sciacquava la ciotola nel lavandino.

Come previsto, Piotr grugnì alle sue spalle. «L'hai già presa ieri sera» gli fece presente. «La benzina costa.»

Michael sospirò. La ciotola era limpida, ma lui si ostinò a passare le dita bagnate lungo la superficie di ceramica, strofinandola come se dovesse eliminarne il colore. «Lo so» disse, «dirò ai miei amici di tirare fuori qualcosa. È il nostro ultimo primo giorno e poi loro non hanno l'auto e pensavamo...»

«Va bene, va bene» tagliò corto Piotr. «Comunque, potresti fare così più spesso. Chiedere, anziché sgattaiolare fuori e rubare le chiavi di nascosto.»

Le labbra del ragazzo si arricciarono lievemente all'insù. «Se te l'avessi chiesta, avresti detto di sì?»

«No, se avessi saputo che saresti uscito a far baldoria fino all'alba.»

«Papà, era l'ultimo giorno di vacanza. Erano tutti in giro.»

Neanche lui e i suoi amici avessero fatto chissà cosa. Si erano ingozzati di hot-dog, avevano ascoltato musica, commentato il culo di qualche ragazza. Più che altro, avevano fatto tardi per stare dietro alle menate di Steven sulla sua Angela. Era seriamente convinto che il Senior sarebbe stato l'anno in cui lei avrebbe finalmente ceduto a uscire con lui.

«Devo andare.» fece Michael, lanciando un'occhiata all'orologio appeso al muro.

Si asciugò le mani in uno strofinaccio e corse in camera sua a prendere lo zaino con i libri.

Fuori, grossi nuvoloni cavalcavano il cielo, minacciando un'imminente pioggia, e il vento sferzava le chiome rossastre degli alberi. Michael amava l'autunno, a parte il ripetitivo inizio della scuola. Non era esattamente uno studente modello, anzi: negli anni precedenti aveva fallito in più materie, così da ritrovarsi con un appuntamento dalla consulente scolastica a ridosso del suo ultimo anno. Doveva fare in modo di recuperarle tutte, se voleva evitarsi i corsi estivi –quelli dei perdenti totali, mentre i compagni celebravano il diploma con tuniche e cappelli dal dubbio gusto. Aver fatto comunella con una banda di fattoni scalmanati non lo aveva certo aiutato a conquistarsi le simpatie dell'elite della Clairton High, composta dalla squadra di football e dalle cheerleader. Entrambi traguardi che Steven Pushkov, il suo migliore amico, seduto sul sedile del passeggero a rollarsi una canna, annunciò di voler risolutamente conquistare in quel trimestre.

«È il nostro ultimo anno» osservò, accendendo l'estremità della sigaretta di canapa. «Dovremmo cercare di godercelo al meglio, anziché tenerci la scritta SFIGATI sull'annuario scolastico.»

L'abitacolo dell'auto si riempì ben presto dell'odore di marijuana. Michael tirò giù il finestrino per farlo uscire: ci mancava solo che suo padre scoprisse che ci fumavano l'erba! Era un gioiellino di macchina, una Cadillac coupé Serie 62 del '59 che Piotr aveva finito di pagare nei primi anni Settanta. Si curava più di quell'auto che del figlio e, ogni tanto, Michael si domandava perché non abitassero lì piuttosto che in quel fottuto caravan. Sarebbe stato più dignitoso. Avrebbe potuto valere una fortuna ma Piotr non l'avrebbe venduta nemmeno se lo avessero minacciato di morte. Piuttosto, aveva pagato il funerale di mamma con la propria assicurazione sulla vita.

«Oh, Mike, ci sei?»

«Parli come se l'unico motivo per cui ti interessa alzare la tua posizione sociale a scuola non fosse che vuoi entrare nelle mutande di Angela.»

«Forse» ghignò Steven, allungandogli la canna. «Ma devo ammettere che mi sono anche rotto le palle di essere sempre schifato da tutti. In ogni caso, sei tu quello che si accontenta dello status quo. Ma non mi pare ti abbia portato a sbirciare sotto le gonne delle cheerleader. Con il loro consenso, intendo.»

Michael diede un tiro allo spinello e si strinse nelle spalle. «Non è che muoio dalla voglia di uscire con le cheerleader con la puzza sotto il naso.»

«A proposito, quando farai la tua mossa con Linda?»

«Oh, Signore, ancora questa storia?»

Michael discese la collina a tutta velocità, fermandosi al primo semaforo. «Quante volte devo dirtelo? Siamo solo amici!»

«Ma dai, Mike, vi piacete un sacco, si vede.»

Il verde scattò e Michael pigiò sull'acceleratore, forse un po' troppo rabbiosamente. Tutte cazzate. Linda era la sua migliore amica, erano praticamente cresciuti insieme quando erano ancora vicini di casa, ma non si era mai sognato di vederla in un altro modo. Il solo pensiero lo faceva scoppiare a ridere. Era assolutamente ridicolo.

«E da cosa si vedrebbe?»

Steven portò le mani dietro la testa, incrociando le dita sulla nuca. «Ma che ne so» disse, «dai vostri sguardi, dalla vostra complicità...»

«Grazie tante. Ci conosciamo da quando siamo bambini, ci mancherebbe solo non essere complici.»

Michael scosse la testa e svoltò a destra, senza mettere la freccia. L'automobile dietro di lui suonò giustamente il clacson.

Con la coda dell'occhio, vide Steven sporgersi in avanti e osservare qualcosa oltre il parabrezza. «No dai!» rise. «Guarda chi c'è! È tornato il frocio!»

Sapeva perfettamente a chi il suo amico si riferiva: Arthur Kirkland, un ragazzo con un paio d'anni più di loro. Era da un po' di tempo che non lo si vedeva a Clairton, l'ultima notizia che Michael aveva avuto su di lui era che fosse impegnato con gli studi di Giurisprudenza a Baltimora.

«Ma dove?» chiese Michael, con nonchalance, come se non l'avesse appena visto maneggiare una gomma dell'auto parcheggiata nel suo vialetto d'accesso. Aveva i capelli più lunghi dell'ultima volta che lo aveva visto e indossava una t-shirt bianca troppo leggera per il clima autunnale della Pennsylvania.

Steven ghignò: «Sarà tornato per l'Homecoming. Facciamogli uno scherzo!»

«Ah, dai, piantala!»

Michael accelerò prima che all'amico venisse in mente qualche strana idea, tipo lanciare ad Arthur i rimasugli delle lattine di birra che si erano scolati la sera precedente. Lanciando uno sguardo fugace allo specchietto retrovisore, si assicurò che il ragazzo non li seguisse od osservasse in maniera sospetta. «Parli tanto di dare uno svolta alla tua vita ma mi pare che intendi restare lo stronzo di sempre. Arthur non ci ha mai fatto niente e noi l'abbiamo tormentato per un anno intero, con quel pettegolezzo.»

Diceria che non era nemmeno stata provata: era stato quel coglione di Stanley a metterla in giro. Aveva il chiodo fisso dei froci, lui, ce li aveva in bocca pure ogni volta che Michael sosteneva che ragazza X non fosse poi quel gran bocconcino che tutti i suoi amici sostenevano. Quelle, però, erano burle rimaste sempre tra di loro. Il pettegolezzo su Arthur, invece, si era misteriosamente diffuso per tutta Clairton a macchia d'olio, quando lui aveva appena finito il liceo. Aveva scelto di prendersi un anno sabbatico per lavorare e pagarsi il college e loro glielo avevano praticamente rovinato: nessuno aveva voluto assumerlo e, una volta, un gruppo di ragazzini si era divertito a imbrattare la fiancata della sua macchina con insulti scritti con bombolette spray. Michael si sentiva un verme per tutta quella storia.

«Io non ho niente contro di lui» disse Steven, finendo la canna e lanciandone i rimasugli fuori dal finestrino, «basta che se ne resti anni luce dal mio culo.»

«Non ti preoccupare. Se fosse, credo che comunque ad Arthur piacerebbero i bei ragazzi.»

Michael ghignò quando Steven trasalì. «Mi stai dicendo che non sono un bel ragazzo?»
 

 

§§§ 



 

«Ding! Il servizio taxi Vronsky termina qui la sua corsa! Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia!»

Michael passò in rassegna i volti di tutti i suoi fidati passeggeri: Steven, accanto a lui, e gli altri due della combriccola sul sedile posteriore. Axel teneva quasi tutto l'abitacolo, facendo sembrare Stanley spiaccicato contro il finestrino. «Cacciate cinque dollari ciascuno, grazie!»

I ragazzi presero a lagnarsi, ma Michael fu irremovibile sulla questione. «Ho promesso a mio padre che vi avrei spremuti. O questo o in bicicletta, la prossima volta.»

«Magari si sollevano in volo e arriviamo prima» disse Stanley, colpendo il palmo aperto di Michael con una banconota da cinque.

«Sì, mettiamo te nella cesta, però» ribatté Axel. «Sei quello che più somiglia a E.T., tra noi.»

«Ah, vaffanculo!»

Risero, mentre scendevano dall'autovettura.

Michael lanciò un'occhiata intorno a sé, mentre si muovevano lungo il parcheggio della scuola, alla ricerca di Linda, ma nessuna delle chiome bionde che passarono sotto il proprio sguardo appartenevano all'amica. Si sistemò meglio lo zaino sulla spalla e annunciò agli amici di dover andare.

Axel inarcò un sopracciglio. «Manca ancora mezz'ora prima delle lezioni!»

«Lo so. Ho un appuntamento con la consulente scolastica.»

«Oh» mormorò Stanley, «per cosa?»

A Michael non piacquero gli sguardi carichi di apprensione dipinti sui volti degli amici. Sapeva perfettamente a cosa stessero pensando e si affrettò ad alzare le mani. «Sto bene, razza di fichettine!» esclamò. «Non è per mia madre! Devo discutere del programma di recupero delle materie.» 

I ragazzi rilassarono le spalle, apparentemente sollevati. Michael non sapeva mai come prendere l'atteggiamento che i suoi amici adottavano non appena si affrontava l'argomento della morte di sua madre. Ovviamente, era stato loro grato quando gli erano rimasti vicini nel lutto, cercando di distrarlo e fare in modo che potesse trascorrere un'estate decente, così come quando capivano che non era giornata e aveva bisogno di starsene da solo con i suoi pensieri, chiuso in camera a piangere contro il cuscino o seduto sulla collina del belvedere, dove lui e mamma erano soliti passeggiare nelle sere d'estate, dopo che avevano finito di cenare nel cortiletto davanti al caravan. Lo aveva fatto spesso, come per illudersi che fosse ancora lì con lui a schiacciare le zanzare che mordevano loro le braccia o ad ascoltare il canto dei grilli in mezzo all'erba alta, mentre gli ultimi raggi del sole scomparivano oltre l'orizzonte e, sotto di loro, Clairton s'illuminava di luci artificiali. Con le ginocchia strette al petto, canticchiava Can't take my eyes off you, la canzone preferita di lei, e pensava a quanto gli mancassero i suoi abbracci parsimoniosi, il suo sorriso color pesca, le lentiggini spruzzate su tutto il viso, il collo, le spalle; gli mancavano persino i suoi rimproveri e le sbottate da genitore preoccupato per un figlio adolescente, l'accento che prendeva quando parlava in fretta, alterandosi. Gli mancava la sua buona cucina russa, le sue trovate per rendere sfiziosa la selvaggina che papà portava a casa, il suo entusiasmo nell'aggiornare i suoi ricettari che, a volte, Michael sfogliava solamente per vedere la sua calligrafia. Ma, soprattutto, gli mancava il suo profumo, un odore che Michael non sarebbe stato in grado di definire se non come "profumo di mamma"; gli mancava così tanto che, una sera, all'insaputa di papà, era entrato nella loro stanza da letto, aveva preso una camicia da notte dal cassettone con le cose di lei e si era addormentato con il naso immerso nella seta morbida, talmente era bisognoso di sentire ancora quel profumo lì con sé. E lo faceva ancora, ogni singola notte, la tirava fuori da sotto il cuscino e l'annusava fino a quando non crollava dal sonno, e piangeva, inondando la stoffa di lacrime, chiedendosi perché la vita avesse dovuto fargli uno scherzo così crudele. Perché, fra tutte le persone al mondo che Dio avrebbe potuto prendersi, aveva scelto proprio sua madre. Cazzo, aveva ancora bisogno di lei! Era solo un ragazzino, dannazione!

Mentre sostava al proprio armadietto, liberandosi dei libri che non gli sarebbero serviti per le prime ore,  Michael dovette fare uno sforzo sovrumano per cacciare indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi nocciola.

L'ufficio di Miss Heidelberg, la consulente scolastica, era interno alla segreteria studenti, così come anche la presidenza.

Un ragazzo che Michael non conosceva era già seduto sulle sedie di plastica appoggiate al muro, che ricordavano tanto quelle nei corridoi degli ospedali. Teneva gli occhi fissi su una pila di fogli, forse documenti, e faceva schioccare la lingua di tanto in tanto.

«Consulente o preside?» gli domandò Michael, sedendosi accanto a lui.

Quando il ragazzo alzò lo sguardo in sua direzione, gli parve di avvertire qualcosa in prossimità della bocca dello stomaco, ma si convinse fosse solo fame (d'altronde, una ciotola di Cheerios non era sufficiente a sostenere tutti i suoi squilibri ormonali). Quello che aveva di fronte, comunque, era il viso più particolare che avesse mai visto, dagli zigomi piuttosto pronunciati e grandi occhi di un azzurro ghiacciato ma colmi di vitalità. Il tutto contornato da capelli biondi lunghi appena sopra le spalle, leggermente ondulati.

«Preside» rispose il ragazzo, accennando a un sorriso. «Sono nuovo, mi chiamo Nick.»

Aveva un aspetto un po' moribondo, da cantante new wave britannico, più che mai con quel giubbotto di pelle che indossava. Michael gli afferrò la mano che il ragazzo gli porgeva e si presentò a sua volta. «Ultimo anno?»

Nick annuì. «Giusto per chiudere in bellezza» sospirò. «Ma non sono particolarmente nervoso.»

«Andrà bene» ridacchiò Michael. «Ti direi "se mai avessi bisogno di qualcosa, non esitare a venire da me", ma rischierei subito di rovinarti la reputazione. I nuovi arrivati suscitano un interesse particolare all'apice della piramide alimentare.»

Anche Nick rise, divertito. «Ah, non sono così superficiale» disse. «Vengo da New York e frequentavo una scuola pubblica. Lì la catena alimentare è controllata dai leoni, non dagli sportivi.»

Michael fece per rispondergli, ma una porta si aprì e ne fece capolino il preside Walker, con la sua familiare mezza pelata e l'orrido cardigan che gli si vedeva sempre addosso. Probabilmente, pensava fosse il suo capo più elegante. I suoi occhietti maligni scrutarono Michael per qualche istante. «Niente barba, Vronsky» lo riprese subito. «Conosci la nostra politica su aspetto e abbigliamento. Non è igienico. Domani non voglio vedere un pelo su quel mento.»

Michael fece per grugnire, ma, sorprendentemente, Nick venne in suo soccorso: «Signore, devo dissentire. La barba protegge da microbi ed eventuali infezioni. L'importante è tenerla sempre pulita e curata.»

Ma, soprattutto, aiutò Michael a nascondere il sorriso sghembo che suscitarono in lui quelle parole, oltre che l'espressione rigida che si dipinse sul volto di Walker. «Sei Chevatorevich?» chiese il preside, rivolto a Nick.

Lui annuì, alzandosi in piedi. «Sì, signore, Nikanor Chevatorevich.»

Michael spalancò gli occhi: anche lui era russo? Una bella coincidenza.

«Igienico o non igienico, comunque, la politica scolastica non ammette questo tipo di aspetto. E ora entra, ragazzo.»

«Udachi.» gli disse Michael. [₁]

A quell'augurio, Nick si voltò verso di lui e gli riservò un sorriso complice. «Spasibo»[₂] rispose, prima di sparire dietro la porta della presidenza.

Le guance di Miss Finch erano pomelli colorati dal fard, un colore che però si sposava bene con i suoi boccoli biondi e la base di pelle lattea. Michael un po' le invidiava quell'aspetto così pimpante di prima mattina a quasi cinquant'anni, mentre lui si era trascinato nel suo ufficio strascicando i piedi e sbadigliando ancora in preda al sonno. Ma, probabilmente, la consulente non aveva fatto le ore piccole, a differenza sua. Saggia decisione.

«Come stai, Mike?» fu la prima cosa che gli domandò, mentre lui prendeva posto alla scrivania. «Hai passato una buona estate?»

Michael sollevò le spalle. «Discreta» rispose, facendo velocemente mente locale. Mamma era morta ad Aprile. Maggio e Giugno erano stati i mesi peggiori, quelli in cui aveva fallito gli ultimi compiti in classe, quelli in cui passava il resto delle giornate chiuso in camera sua. A Luglio aveva ricominciato a mangiare più o meno regolarmente, a parlare con Linda al telefono, ad andare a casa di Steven, ogni tanto, per guardare una videocassetta. Ad Agosto e Settembre si era sentito pronto a trascorrere la maggior parte del tempo fuori casa, più che altro per sfuggire al malumore di papà, ma frequentare di nuovo tutto il gruppo gli aveva fatto bene.

Miss Finch decise di andare subito al punto. Tirò fuori un fascicolo con i suoi pessimi voti degli ultimi due trimestri passati e, nell'ammirare la prova scritta del proprio fallimento, Michael sentì lo stomaco sprofondare. Avrebbe dovuto recuperare tutto se sperava di diplomarsi in tempo, oltre che portare avanti il programma regolare del Senior. Come cavolo avrebbe fatto?

«Non ti spaventare» tentò di rassicurarlo subito Miss Finch che, probabilmente, aveva captato l'aria di disperazione che aleggiava intorno a lui. «Abbiamo dei corsi pomeridiani per gli studenti che non possono permettersi ripetizioni private.»

Il ché significava dover rinunciare al club di teatro e a quello audiovisivo. Automaticamente, Michael rinunciava ai crediti formativi.

Scosse la testa. «Non posso» disse, «io... mi servono quei crediti. Sono la mia unica per via per il college.»

Non voleva fare l'operaio come suo padre per il resto della sua vita, alternativa che, invece, Piotr si era spesso impuntato di fargli prendere. Non voleva fare l'impiegato all'acciaieria.

Miss Finch pareva scettica. Lui la capiva.

«Si tratta senz'altro della possibilità più economica» osservò, parsimoniosa, «ma non devi darmi una risposta adesso, hai ancora una settimana di tempo per pensarci. Ti prenoto un appuntamento per lunedì prossimo e per quella data mi comunicherai la tua decisione, va bene? Dunque, sul foglio hai segnate le materie da recuperare: i tuoi insegnanti ti daranno tutti i programmi su cui dovrai prepararti.» 

Michael fece finta di dare una fugace occhiata all'elenco, prima di infilare il foglio nello zaino. 

«A un buon anno scolastico, caro» sorrise Miss Finch, mentre lui si congedava in tutta fretta, giusto in tempo per la prima campanella. 

Attraversando la segreteria, prima di uscire, Michael si voltò con un movimento automatico a guardare la porta della presidenza. Si aspettava di vederla aprirsi e sputare fuori Nikanor, invece, una segreteria gli si piazzò davanti per fare delle fotocopie, impedendogli la visuale. 

Michael scosse la testa e si affrettò a uscire in corridoio. 


 



 

[₁] - Buona fortuna in russo (con grafia nel nostro alfabeto perché non credo che molti sappiano leggere il cirillico). Premetto che non sono russa né parlo la lingua (perciò dovrei evitare, ma non lo farò), quindi vi prego di perdonarmi caldamente per qualche errore e, soprattutto, farmelo presente in modo da poter correggere.  

[₂] - Grazie
 


 
Dunque, ragazzi, ciao se siete arrivati fin qui. Facciamo che salto la parte in cui dico che questa è l'ennesima long che non avrei dovuto scrivere sì, lo sappiamo tutti. Era ciò di cui avevo bisogno in questo periodo però: una storia teen ambientata in una cittadina anonima, una fan fiction e, soprattutto, una fan fiction crossover su due film a me molto cari, "Il cacciatore" e "... E giustizia per tutti". Inutile dire che con i film sopracitati c'entrano poco e nulla, la storia è infatti una AU che mantiene solo i personaggi (Mike e la sua compagnia per "Il cacciatore", Arthur per "E giustizia per tutti") in età però tra il liceo e il college. Perciò è leggibilissima come originale. L'ennesima mia trovata per accoppiare un personaggio di De Niro con uno di Al PAcino, oltre che uno sciocco ma divertente esperimento che, comunque, mi sta piacendo molto scrivere. E spero piaccia anche a voi. 
Perdonatemi per eventuali errori e sviste, ho riletto piuttosto velocemente perché volevo pubblicare il prima possibile. 
Un bacione e grazie se avete deciso di seguirmi in questa nuova stupida avventura! 
  
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