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Autore: istinto della luna    05/03/2020    6 recensioni
[Lowell centric: malattia, amore, terrore, SCELTE]
"Rassegnarsi alla sua malattia era impossibile, di quello era sicuro e nessuno si sarebbe aspettato il contrario. Aveva più volte creduto di esserci riuscito, quando aveva fatto la conoscenza di lei. I suoi pensieri non erano più oppressi da quel morbo, le sue spalle non tremavano più sotto gli effetti di quella terribile malattia; lei aveva monopolizzato ogni parte di lui. Bastava uno sguardo di lei, una carezza o un sorriso fugace affinché lui abbracciasse quella bugia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elisa Dangering, Georgie Gerald, Lowell Gray
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amore scelse Amore

 

 
                      Aprì gli occhi lentamente. Un timido spiraglio di luce faceva capolino dalla finestra accanto al letto in cui giaceva ormai da giorni. Dopo quella che sembrava un'eternità il suo sguardo si depositò finalmente sull'ambiente circostante, restituendogli la stessa stanza sudicia in cui si era addormentato qualche tempo prima. Un impercettibile sospiro di sollievo lasciò le sue labbra secche: era vivo. Era ancora vivo. Cercò a fatica di issarsi con gli avambracci. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe potuto constatarlo. Non ne poteva più di provare l'orribile sensazione di non sapere che cosa sarebbe successo una volta chiusi gli occhi. Era terrificante. Un fastidioso odore di vecchio raggiunse d'improvviso le sue narici e a nulla servì provare a scacciarlo con la mano ossuta. Quel tanfo ormai penetrato in profondità aveva provocato in lui la stessa sensazione di ripugnanza che aveva provato la prima volta in cui ci aveva messo piede. Si sentì patetico tutto d'un tratto; ma la cosa ancora più disgustosa da ammettere era che inalare quel puzzo lo rincuorava.
            La sua mente era affollata di pensieri contorti, eppure la stessa domanda premeva affinché trovasse risposta. E come d'abitudine non riusciva a soddisfarla. E forse perché quella domanda non aveva risposta, era destinata a perseguitarlo per chissà quanto tempo ancora. Si era sempre chiesto perché a lui, perché uno scherzo del destino di quelle dimensioni fosse accaduto proprio a lui. E il bello era che se lo chiedeva non per se stesso, ma per il suo cognome. Una malattia come quella avrebbe dovuto tormentare un altra famiglia, non di certo la sua che poteva permettersi lusso e agiatezze; una disgrazia simile stonava. Ma poi la notte lo stesso pensiero vittimistico si trasformava in un incubo che gli rammentava di non aver mai ricevuto nulla di buono dai suoi genitori; e dunque boccheggiava consapevole di avere tutto e al tempo stesso di non avere niente.

            Rassegnarsi alla sua malattia era impossibile, di quello era sicuro e nessuno si sarebbe aspettato il contrario. Aveva più volte creduto di esserci riuscito, quando aveva fatto la conoscenza di lei. I suoi pensieri non erano più oppressi da quel morbo, le sue spalle non tremavano più sotto gli effetti di quella terribile malattia; lei aveva monopolizzato ogni parte di lui. Bastava uno sguardo di lei, una carezza o un sorriso fugace affinché lui abbracciasse quella bugia: "ci penserò domani", si diceva; "non soffrirò se ci sarà lei al mio fianco", ripeteva a se stesso. Soltanto il buio dell'insulso buco in cui si erano rifugiati lo aveva fatto destare dalle sue convinzioni; aveva dedotto gli avvenimenti di una realtà alternativa, non di certo del mondo a lui circostante. Capì di essere caduto vittima di una vigliaccheria che non sapeva di possedere. Nemmeno un sorriso amaro si fece strada sulle sue labbra deteriorate, non ne aveva la forza: quella malattia forzava il lucchetto di una vita che non avrebbe mai dovuto darle la chiave. Era un povero sciocco, convinto che l'amore avrebbe spazzato via ogni cosa, ma la malattia non era scomparsa e adesso minacciava di far scomparire lui.
            La verità era che non si pentiva di nessuna delle scelte che aveva preso nonostante si trovasse in una casa che cadeva a pezzi, con la fronte imperlata e gli spasmi per il freddo che penetrava dalle fessure. Il dolore che provava all'idea di doversi misurare con la realtà era facilmente sopportabile se a stargli accanto c'era lei, l'unica per la quale valesse la pena di accettare. E l'unico modo possibile per costruire il loro nido d'amore era quello di nascondersi dagli occhi del mondo. Se lo ricordava il momento in cui aveva sancito la sua dipartita. Elisa gli aveva restituito uno sguardo gelido; sembrava lo stesse trascinando in una sfida spietata. Non era il suo giudizio a spaventarlo, in fondo non erano mai stati innamorati, almeno secondo lui. Aveva condiviso tutto con lei, ma quell'amore puro e disinteressato lei non era mai riuscita a darglielo. Schiavo degli obblighi dettati da una tradizione priva di passioni, aveva sempre impedito a se stesso di provare a darle quella possibilità.
            Si mosse impercettibilmente. Non avrebbe mai previsto di trascorrere gli ultimi istanti della sua vita in una tetra stanza sporca, dimenticata dal mondo. Il terrore di non fare più ritorno prese il sopravvento scuotendo il suo debole corpo magro. Il suo pensiero si fece meno denso, impossibilitato a processare ciò che il suo corpo stava avvertendo. L'ennesimo spasmo lo colse di sorpresa, arrivò con una tenacia tale che temeva di vedere lacerati gli ultimi brandelli di carne rimasta. Un unico pensiero lucido guizzò alla sua mente. Ripensò a come la notte precedente, quando si era dimenato con veemenza, lei l'aveva tenuto tra le sue braccia, cercando di infondergli calore. Quelle esili braccia lo avevano sollevato con la risolutezza di chi non sa arrendersi. C'erano delle volte in cui desiderava svegliarla per farsi cullare, ma in cuor suo sapeva che non poteva farla preoccupare più di quanto già non fosse.
            Patetica era la speranza che quegli spasmi non diminuissero affatto, perché altrimenti sarebbe diventato cibo per vermi. Il silenzio che incombeva su di lui fu presto rotto da un basso lamento. Non poteva chiudere gli occhi, non poteva cedere al dolore. Non era ancora il momento di lasciarsi andare. Presto avrebbe dovuto intraprendere l'ennesima battaglia contro il suo corpo; ormai riconosceva i sintomi di un altro svenimento: la testa avrebbe preso a girargli e di se stesso non avrebbe avuto più ricordo. Un conato di vomito scosse le sue interiora. Si ritrovò a tremare convulsamente, non per la febbre usuale, ma perché sopraffatto dal terrore. La verità era che per quanto conoscesse le dinamiche della sua malattia non avrebbe mai potuto abituarsi all'idea di morire da un momento all'altro.
            Riprese a combattere soltanto per lei. Trascorreva le ore in attesa che lei facesse ritorno, combatteva solo perché la porta venisse aperta. Ogni istante lontano da lei pesava sulle sue spalle come un macigno e il panico di non incontrare i suoi occhi prima di chiudere i propri si faceva ancora più forte. Talvolta immaginava senza rendersene conto che quegli occhi amorevoli lo raggiungessero da sopra il letto. Se lo ricordava quello sguardo così dolce e puro che soltanto lei riusciva a restituirgli, in grado di risanarlo di ogni male. Era quello lo sguardo che gli aveva rivolto in Australia e poi a Londra, ma che doveva sforzarsi per farlo emergere in quella anonima cittadina. Avrebbe tanto voluto ricambiarlo, obbligare la propria espressione ad ammorbidire il duro cipiglio che si era formato tra le sopracciglia a causa del dolore, ma era tutto inutile. Paralizzato all'idea di essere abbandonato per l'ennesima volta, cercò di farsi forza con le braccia, stendendosi di traverso. Avrebbe potuto contenere la disperazione ancora per qualche istante.
            Finalmente il legno marcio delle scale risuonò nel silenzio di quella catapecchia. La voce di lei gli giungeva come ovattata, ma era la sua, lui ne era certo. Capì che presto avrebbe aperto la porta del loro appartamento e non l'avrebbe lasciato per un po'. Non era più solo. Con la gioia nel cuore e la serenità dell'anima si disse che sì, finalmente poteva chiudere gli occhi.




 




Angolo Autrice:
 Ammetto di non aver mai scritto nulla su Lady Georgie. Ho recentemente riletto il manga e Lowell J. Gray è il personaggio che più mi ha colpito. Non ho mai avuto l'occasione di soffermarmi sulla sua caratterizzazione prima d'ora (il fatto che da piccola non avessi occhi che per Arthur non aiutava), dunque ho deciso di cogliere la palla al balzo e provare a studiacchiarlo con della sana introspezione (che è attualmente la mia occupazione preferita; ma quanto è meraviglioso concentrarsi sul fumo piuttosto che sull'arrosto? Io ADORO). Si tratta di un racconto a cui tengo particolarmente, per cui spero sia stato di vostro gradimento. Sentitevi liberi (anzi, mi fareste un gran favore) di lasciarmi una recensione, per farmi sapere cosa ne pensate!
     Martina
   
 
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