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Autore: Lisbeth Salander    06/03/2020    5 recensioni
“Non sono stata una mamma, non ci sono riuscita. Però ti ho tenuto in vita”
“Non lo sei stata, nemmeno lontanamente. Non volevi esserlo. Credo ci fosse troppo astio, troppa storia, tra te e mia madre perché tu potessi diventarlo però hai ragione. Mi hai tenuto in vita ed è per questo che oggi sono qui”.
Zia e nipote si guardano a lungo, in silenzio. Non hanno mai davvero parlato così, senza muri, senza tabù.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dudley Dursley, Famiglia Dursley, Ginny Weasley, Harry Potter, Petunia Dursley | Coppie: Harry/Ginny
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Di ultime chiacchierate e compleanni mai dimenticati


29 gennaio 2020
Godric’s Hollow
Il fuoco del camino illumina debolmente il salotto di casa Potter. Sul divano i signori Harry e Ginevra Potter ridono alla lunga lettera che i loro tre figli hanno spedito dalla scuola. 
I tre ragazzi Potter, James Sirius, Albus Severus e Lily Luna, sono brillanti studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e, almeno una volta a settimana, scrivono una lettera piena di storie e racconti da scuola ai propri genitori. 
Così quando la lettera dei ragazzi arriva, Harry e Ginny Potter la leggono insieme, una volta rientrati dal lavoro, sul divano sorseggiando un bicchiere di ottimo vino elfico.
“Sai”, sogghigna Harry, “credo che Lily non avrà vita facile con James ed Al che la controllano in tutto e per tutto, come farei io stesso”.
“Se ho eluso il controllo di ben quattro fratelli ad Hogwarts con me, Lily saprà fare molto di meglio” risponde Ginny in tono canzonatorio. Prima di diventare la signora Potter, Ginny era l’ultima sorella e l’unica figlia femmina di sette fratelli e sapeva bene cosa volesse dire il controllo fraterno a scuola, soprattutto quello di suo fratello Ron, che, purtroppo o per fortuna, era anche il migliore amico di suo marito.
Il telefono nell’ingresso squillò insistentemente, nonostante l’ora tarda.
“Aspettavi qualche chiamata?” chiede Ginny alzandosi rapidamente dal divano e guardando, perplessa, la testa di suo marito scuotersi in segno di negazione.
L’installazione del telefono l’aveva voluta lui e aveva contagiato tutta la sua famiglia, con somma gioia di suo padre, Arthur Weasley, da sempre appassionato di aggeggi Babbani. Erano anni, infatti, che nella sua famiglia avevano deciso di ricorrere al telefono e meno alla posta via gufo per le comunicazioni più rapide ed immediate.
Prima di rispondere, Ginny guarda l’orologio - mancano pochi minuti alle dieci - e sospira preoccupata al pensiero di cattive notizie.
Harry, intanto, continua a leggere la lettera dei suoi figli con un sorriso stampato sul volto: in quella lettera scritta a sei mani riesce, nella sua testa, a sentire il tono canzonatorio di James, quello pacato di Al e la voce brillante di Lily mentre decidono quali aneddoti raccontare.
La voce di sua moglie lo distrae.
“Harry, è per te. È tuo cugino Dudley”.
Dudley Dursley è il cugino di Harry Potter e definire il loro rapporto è straordinariamente strano. Sono cresciuti insieme a Little Whinghin, nel Surrey, al numero 4 di Privet Drive in una villetta uguale a tante altre in quel quartiere, insieme a Vernon e Petunia Dursley, i genitori di Dudley e gli zii di Harry. Zia Petunia era la sorella della madre di Harry, Lily Potter, morta insieme a suo marito James quando Harry aveva solo un anno.
L’infanzia di Harry non era stata una bella infanzia, i Dursley non lo avevano fatto sentire amato e, soprattutto, gli avevano nascosto ciò che era davvero: un mago. Loro odiavano la magia.
In un modo tutto strano e ancora inspiegabile per Harry, Dudley gli si era davvero affezionato e aveva tentato di mantenere un rapporto con lui. 
Quando Harry era tornato a salutare i suoi zii dopo aver sconfitto Lord Voldemort, ventidue anni prima, e a dir loro addio, Dudley lo aveva stupito e gli aveva chiesto di dargli un indirizzo, un numero dove poterlo contattare: non voleva che loro due, cresciuti insieme, diventassero degli estranei. Così ad ogni Natale, ad ogni compleanno, Dudley lo aveva chiamato. Le loro conversazioni non duravano mai molto, pochi minuti ma ad Harry, dopo tutto, non dispiaceva.
Dudley lo aveva invitato al suo matrimonio con Darlene e così Harry aveva fatto al suo matrimonio con Ginny. Alle telefonate a Natale e ai compleanni avevano aggiunto delle cartoline di Natale e qualche telefonata in più al compleanno dei rispettivi figli. 
Qualche volta, Harry passava a trovarlo: anche di persona non sapevano bene cosa dirsi ma, in fin dei conti, pensava Harry, era suo cugino.
Con i suoi zii, Vernon e Petunia, invece, non aveva più rapporti, salvo delle stringate lettere di congratulazioni per il matrimonio e la nascita dei figli, di cui doveva averli informati Dudley.
Per questa ragione, quando il 29 gennaio 2020 Dudley telefona a casa sua, Harry è assolutamente convinto che ci sia qualcosa di strano: non è Natale, non è il suo compleanno, non è il compleanno di Ginny, non è il compleanno di uno dei suoi figli, non è il suo compleanno.
Non c’è nessuna ragione per sentirsi.
Prende la cornetta e guarda preoccupato sua moglie, che rimane preoccupata lì accanto a lui.
“Eccomi, Big D. Va tutto bene?” Chiede con tono incerto e fintamente squillante.
“Harry, scusami se ti chiamo a quest’ora. L’ho già detto a tua moglie, mi dispiace aver chiamato così tardi”, il vocione di Dudley è tremante, “Non voleva che ti chiamassi ma io credo che sia giusto avvisarti. Mia madre sta male, Harry. Sta morendo. Se vuoi vederla, credo che dovresti venire domani…”.
Harry sussulta. Non ha mai davvero pensato ad un mondo senza zia Petunia, l’unica parente di sangue che abbia mai avuto, prima che nascessero i suoi figli. 
“Dimmi dove devo venire. Ci sarò”.
 
30 gennaio 2020
Little Whinghin, Privet Drive, n. 4
È esattamente come la ricordava, com’era ventidue anni prima, l’ultima volta che ci ha messo piede. Tutto è rimasto uguale: l’unica cosa diversa è la macchina sul vialetto, diversa, un modello più nuovo. Se non fosse per quella, nulla sarebbe cambiato al numero 4 di Privet Drive. Harry ricorda ogni singolo dettaglio di quella che è stata casa sua per diciassette anni. 
“Non esattamente casa mia”, pensa. 
Più che altro, è stata un tetto sopra la testa, un ripostiglio del sottoscala, una stanza concessa in cambio delle sue stranezze.
Ginny si guarda intorno curiosa: conosce quel posto soltanto dai racconti di suo marito e dei suoi fratelli per le volte in cui erano stati lì a prendere Harry per portarlo a casa loro durante l’estate.
Stringe la mano di suo marito che da ieri sera è piombato in uno dei suoi silenzi imperturbabili, cercando di scendere a patti con le emozioni che quella notizia e quel lutto imminente gli hanno provocato.
Alla porta apre Darlene, la moglie di Dudley. 
Ad Harry e Ginny piace Darlene; ha un sorriso buono, dolce ed è gioviale, affabile. Non si è mai comportata come se loro non le piacessero ed Harry sa che i suoi zii non devono aver avuto belle parole per loro, per lui.
Lo sguardo di Darlene è sempre dolce ma ha gli occhi segnati di nero, stanchi per tutto quanto sta succedendo.
Quando entrano, Harry pensa che anche dentro non è cambiato niente: ci sono solo più foto, diverse, soprattutto di Dave e Dennis, i due figli di Dudley. In salotto Darlene offre loro del caffè e qualche dolcetto, sussurra qualcosa a proposito di zio Vernon.
“Sta riposando. È molto dura per lui, sapete. È stato sveglio tutta la notte. Io..noi.. non sappiamo come farà. Oggi pomeriggio dovrebbe arrivare sua sorella”.
Dalle scale si sente il passo pesante di Dudley, che arriva con un vassoio tra le mani. Harry non ricorda di averlo mai visto così stanco, sembra sciupato, spento. 
“Sapevo che saresti venuto davvero” dice sommessamente. 
Harry lo abbraccia e, per un momento, avverte il sollievo di Dudley nel saperlo lì. 
Dudley si siede stanco sul divano e guarda un punto imprecisato del camino, che il signor Weasley tanti anni prima aveva fatto esplodere.
“Mamma ha un tumore in fase terminale; non c’era più molto da fare quando lo abbiamo scoperto” dice con lo stesso tono tremante che Harry gli ha sentito la sera prima al telefono. “Mi ha detto che anche sua madre, nonna Marie, è morta così e che sapeva che le sarebbe toccata questa sorte. Dice sempre che tua madre è morta di colpo come il nonno perché gli assomigliava e che lei sarebbe morta come sua madre perché, invece, assomigliava a lei. Ha iniziato a parlare spesso di lei, di tua madre, negli ultimi giorni. È per questo che mi sono deciso a chiamarti. Io credo che lei abbia proprio bisogno di vederti”.
Harry si limita ad annuire. È la prima volta che sente parlare di come erano morti i nonni Evans, i genitori di sua madre: sua zia Petunia non ne ha mai parlato in sua presenza, come se non fosse mai stata Evans prima di essere una Dursley.
“Dopo tutto” si decide a dire, “è pur sempre la donna che mi ha accolto in casa sua e mi ha cresciuto”.
 
Sale le scale - quelle scale sotto cui per tanto tempo aveva dormito - diretto da zia Petunia con molte emozioni contrastanti: quella donna lo aveva accolto in casa sua, cresciuto, pur disprezzandolo, lo aveva consapevolmente tenuto in vita, nonostante il profondo disprezzo che nutriva per la magia. 
Solo ora che si sta recando sul suo letto di morte, Harry si rende conto delle contraddizioni di sua zia: la scelta di crescerlo, a dispetto del rapporto spezzato con la sua unica sorella; la scelta di tenerlo a Privet Drive, fino ai diciassette anni, nonostante tutti gli incidenti di percorso, nonostante gli attacchi a Dudley.
Bussa piano alla porta già aperta della camera da letto di zia Petunia per annunciare il suo arrivo. 
Lei è nel suo letto, ha dei cuscini appoggiati dietro le spalle e fissa incessantemente fuori dalla finestra.
Harry pensa che l’avrebbe riconosciuta ovunque, con il suo collo lunghissimo e la sua faccia ossuta, ora ancora di più perché segnata dalla malattia. Quando sente bussare, si volta appena e guarda Harry stupita con i suoi occhi azzurri, un po’ acquosi, dietro un paio di occhiali che il nipote non le ha mai visto.
“Se tu sei qui, vuol dire che sto proprio per morire” commenta sarcasticamente, con un tono affannato che tradisce inevitabilmente la sua condizione.
“Ciao, zia Petunia” risponde Harry, sedendosi sulla sedia accanto al letto e continuandola a fissare negli occhi.
“Sai” dice lei con fermezza “Ora che sei diventato adulto, si nota ancora di più. Sei identico a tuo padre, tranne per gli occhi, ovviamente. Hai gli occhi di Lily”.
Harry la scruta a lungo: a zia Petunia non è mai piaciuto parlare di sua madre, Lily. Fino a quando non li ha visti nello Specchio delle Brame, a undici anni, Harry non ha mai saputo che aspetto avessero i suoi genitori, non aveva mai visto nemmeno una foto. 
“Me lo sono sentito dire molte volte da tantissime persone ma, a pensarci, tu non me lo avevi mai detto”.
“Mi ricordo sempre di quando eri qui e mi facevi tante domande, proprio come lei, con la sua stessa curiosità, con i suoi occhi. Sembrava che mi fosse ancora intorno, come prima”
“Non rispondevi quasi mai alle mie domande, però” risponde Harry con un sorriso amaro ma ormai privo di ostilità. 
Sua zia, la sua unica parente ancora in vita, sta morendo e non è più tempo per scontrarsi.
“Non sapevo bene cosa dire, odiavo quel mondo: mi aveva portato via mia sorella in tutti i modi possibili. Prima, rendendola strana, poi mandandola in una scuola nel nulla per così tanti mesi all’anno, poi uccidendola a soli ventun’anni”.
La voce di zia Petunia le muore in gola sulle ultime parole. Smette di fissare Harry e guarda fuori le villette tutte uguali del suo quartiere.
“Tu, però, di quel mondo hai provato a far parte, vero?” chiede Harry, “Ho..scoperto che hai scritto a Silente, quando eri bambina”.
Zia Petunia lo guarda incredula di nuovo, con uno sguardo duro e ferito, lo stesso che Harry le ha visto nel Pensatoio di Silente, nei ricordi di Piton.
“Questa cosa, ragazzo, non dovrai mai dirla a nessuno” sussurra puntandogli un dito contro.
“Non ne ho alcuna intenzione”.
“Adoravo Lily, lo sai? Ero così contenta quando è nata. Mia madre mi diceva che era stata un regalo per me: una sorellina da avere sempre con me, di cui prendermi cura perché io ero quella più grande, quella più responsabile. È stato davvero un dono, all’inizio. Mi ricordo il suo primo giorno di scuola elementare con la sua vocina minuscola che mi sussurrava di quanto fosse spaventata, di quanto temesse di non essere all’altezza ed io che le ripetevo che era la bambina più brillante ed intelligente del mondo”.
Zia Petunia parla più a se stessa che ad Harry, ha un tono dolce che forse ha sempre usato solo con suo figlio.
“Poi si è perso tutto. Tutto in malora. La magia ha rovinato tutto” continua astiosa.
Harry la guarda indeciso su cosa dire, se interrompere quel flusso di pensieri che probabilmente sua zia sta esternando per la prima volta.
“Ho visto.. ho visto quando eravate piccole, in un parco giochi e giocavate insieme. Eri molto premurosa con lei”.
Zia Petunia lo fissa con occhi sospettosi.
“Non ti chiederò come lo sai; stramberie vostre, del vostro mondo. Da quando è comparso quel ragazzo è cambiato tutto. Ho pensato tanto, ora che sto male, a cosa poteva cambiare se…”
“Zia Petunia, non puoi cambiare ciò che era, ciò che sono io”
Questa volta zia Petunia lo ignora e continua a guardare davanti a sé giocherellando con la sua fede nuziale.
“L’ultima volta che mi sono sentita davvero sua sorella aveva a che fare con tuo padre. Era il suo ultimo anno di scuola, la mattina di Natale. Eravamo lei ed io, nella nostra vecchia cucina a Cokeworth e stavamo controllando l’anatra per nostra madre. Ad un certo punto lei mi guarda ed esclama ‘Lo so che non mi sopporti ma sei mia sorella e ho bisogno di chiederti una cosa da sorelle’. Inizia a raccontarmi di questo James Potter, che prima la faceva impazzire con i suoi modi ma che piano piano l’aveva fatta innamorare, e mi chiede come ho fatto io a presentare Vernon ai nostri genitori perché anche lei voleva fare lo stesso con tuo padre. È stato bello, sai, essere due sorelle normali, che parlano di cose normali, per quell’ultima volta ”.
Harry sorride e sussurra “Avrei sempre voluto saperne di più, di queste storie. Di lei, di te, dei nonni. Capire da chi vengo ma immagino che ormai sia andata così”.
Zia Petunia annuisce.
“Prima della magia, siamo stati una famiglia felice. Una di quelle davvero felici”.
Apre il cassetto del comodino e prende una vecchia foto sbiadita porgendola ad Harry. 
È datata 30 gennaio 1967. Sua madre Lily sta spegnendo le candeline sulla torta, una piccola Petunia sorride felice guardando la sorella orgogliosamente e battendo le mani insieme ai loro genitori. Harry non può fare a meno di notare che suo nonno, Robert, ha gli stessi occhi di sua madre ed una espressione bonaria mentre la nonna, Marie, è magrissima, proprio come zia Petunia.
“Tienila tu” dice quest’ultima.
Harry fissa la foto ed apre il portafogli mettendo la foto in un piccolo scomparto. Da lì, però, tira fuori altre due foto e le porge a zia Petunia.
Una è una foto di lui tenuto in braccio da James e Lily, che non smettono di salutare.
“Avresti meritato una vita con loro, come tutti i bambini dovrebbero” dice amaramente “Lei avrebbe meritato di vivere”.
“Lei è morta per me. Poteva scegliere di vivere, rinunciando alla mia vita” confessa Harry.
“Lo so. Me lo ha spiegato lui in quella lettera. È per questo che ho scelto di tenerti, anche quando Vernon avrebbe voluto mandarti via. Mia sorella, la mia stramba ma perfetta, intelligente e brillante sorella non poteva essere morta per nulla a soli ventun’anni. Io avrei fatto lo stesso, per Dudley. Una mamma fa così”.
Per la prima volta Harry vede le lacrime rigare il volto invecchiato e segnato dalla malattia di zia Petunia.
“Non sono stata una mamma, non ci sono riuscita. Però ti ho tenuto in vita”.
“Non lo sei stata, nemmeno lontanamente. Non volevi esserlo. Credo ci fosse troppo astio, troppa storia, tra te e mia madre perché tu potessi diventarlo però hai ragione. Mi hai tenuto in vita ed è per questo che oggi sono qui”.
Zia e nipote si guardano a lungo, in silenzio. 
Non hanno mai davvero parlato così, senza muri, senza tabù. Forse sarebbe stato bello farlo prima ma non c’è più tempo.
Harry le porge la seconda foto. È stata scattata pochi mesi prima, il giorno del suo trentanovesimo compleanno: lui è seduto davanti alla torta, Ginny è dietro di lui in piedi tra James ed Al; sulle sue gambe, invece, c’è Lily che gli accarezza dolcemente la guancia.
“Lei è mia figlia: si chiama Lily” indica Harry.
“Ha i capelli rossi” sussurra zia Petunia “è molto bella. Hai una bella famiglia e ne sono contenta”.
Il silenzio piomba di nuovo tra loro: ci sarebbero tante cose di cui parlare ma è troppo tardi. È andata così. Harry ripone di nuovo le foto nel portafogli.
“Oggi è il suo compleanno” esclama stancamente Zia Petunia, con una lacrima che scende di nuovo giù “Di Lily. Avrebbe compiuto sessant’anni. Non me ne sono mai dimenticata”.
Harry annuisce e riesce solo a dire “Lo so. Stamattina le ho portato dei fiori. Vado sempre a trovarli al cimitero quando posso”.
Zia Petunia abbassa gli occhi, più tristi e doloranti che mai.
“Credo che questo sia un addio, no? Del resto, anche non dovessi morire domani, non credo di riuscire a vivere per i prossimi ventidue anni. Forse avremmo dovuto parlare prima così ma immagino che sia davvero tardi” aggiunge con un tono di amarezza che Harry non le ha mai sentito.
“Immagino di sì. Grazie per avermi consentito di vivere” dice Harry alzandosi dalla sedia.
Si china e le dà un bacio sulla fronte: forse l’unico reale gesto d’affetto che ci sia mai stato tra lui e sua zia. 
Dopotutto, pensa, sta morendo: o ora o mai più.
Mentre sta per uscire, sua zia lo richiama indietro un’ultima volta.
“Harry, per piacere, non dimenticare mai il compleanno di Dudley. Sei l’unico fratello che ha”.
 
Godric’s Hollow
È stata una giornata pesante per Harry, una di quelle che non dimenticherà mai nella sua vita. Una volta tornato a casa, ha raccontato tutto a sua moglie di quella conversazione surreale con la donna che lo ha cresciuto, che gli ha dato la possibilità di vivere ma che non è mai riuscita a dargli affetto, di quel sentimento indecifrabile che provava nei confronti di sua sorella, per la quale non è mai riuscita a smettere di provare affetto ma che non è mai riuscita a perdonare per essere una spostata.
Questa sera non bevono vino elfico ma un po’ di Whiskey Incendiario che ha mandato Hannah Paciock. 
“Ne abbiamo bisogno” dice Ginny nel versarlo.
Sono le dieci e dieci quando il telefono squilla di nuovo ma stavolta Harry sa cosa è successo prima ancora di rispondere e non può far a meno di pensare alla beffa del destino che ha unito in quel giorno le due sorelle Evans, indissolubilmente.
Il 30 gennaio 1960 era nata Lily Evans. 
Il 30 gennaio 2020, dalle nove Petunia Evans non c’è più e l’unica cosa che Harry riesce a pensare è che, forse, finalmente lei e sua madre si sono ritrovate.
   
 
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