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Autore: Roberto Turati    06/03/2020    3 recensioni
Lucy Jenkins è un'aspirante artista ventenne che vive a Londra con suo fratello Rob. Un pomeriggio, d'un tratto, il campanello suona e lei trova una scatola da scarpe vuota davanti alla porta...
Genere: Angst, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN CAMBIAMENTO INASPETTATO

A Londra, durante un ventoso pomeriggio primaverile, Rob Jenkins stava aspettando sua sorella Lucy alla stazione di Elephant and Castle. Siccome l'attesa era piuttosto tediosa, all'inizio Rob aveva provato ad ammazzare il tempo guardando distrattamente vari post da profili di cucina su Instagram, ma dopo un po' si stufò anche di quello. Così, giusto per curiosità, tentò di seguire le conversazioni o le telefonate della gente, stando attento a non farsi notare: gli piaceva provare a indovinare che tipo di vita avessero gli altri, anche se non si sarebbe mai considerato uno spione. Una quarantenne stava parlando di un abito da sposa, Rob supponeva quello della figlia. Due uomini d’affari in giacca e cravatta stavano discutendo su quella che sembrava un'asta. Finalmente, arrivò il treno delle cinque. Rob si alzò dalla panchina e osservò la gente che scorreva fuori dagli sportelli, cercando Lucy con lo sguardo. Eccola lì: la vide che camminava a passo svelto verso di lui, con una cartelletta di plastica sottobraccio. Pensava di accoglierla con un sorriso, ma capì presto che non sarebbe andata così: Lucy sembrava di nuovo frustrata e delusa.

«Ehi!» salutò.

«Ciao» rispose lei, distratta.

I due fratelli, a quel punto, lasciarono la stazione in silenzio e raggiunsero la loro macchina. Rob accese il motore e cominciò a guidare verso casa, mentre Lucy si guardava intorno con una faccia inespressiva e la radio trasmetteva un quiz. Non si dissero una parola per diversi minuti, il che imbarazzava lui e lasciava lei del tutto indifferente. Si somigliavano tantissimo: entrambi avevano dei corti capelli castano scuro (inoltre, lui aveva una corta barba) e gli occhi marroni. Una delle poche differenze era la loro età: lui aveva ventitré anni, lei venti e aveva un neo tra il naso e il labbro superiore, sulla destra. Anche i loro lavori differivano: lui era un aiuto-cuoco, mentre lei aveva studiato arte. Era quello il motivo della sua tristezza perenne: ormai da due anni, Lucy cercava una galleria d’arte disposta a esporre i suoi disegni, ma nessuna accettava mai. Le critiche con cui la rifiutavano erano delle bastonate durissime per lei. Rob era tutto quello che aveva per sfogarsi.

«Quindi non è andata molto bene, vero?» sospirò lui, dando finalmente il via a una conversazione.

«No» rispose lei, senza guardarlo.

«Be’, andrà meglio la prossima volta!»

Si sentì stupido a dirlo di nuovo. Infatti, Lucy si voltò all’improvviso, col viso contratto in un misto tra rabbia e frustrazione:

«Rob, era questa la prossima volta! E lo era la volta scorsa, quella prima ancora e così via, cazzo! Smetti di fingere che abbia qualche speranza! Vorrei tanto avere un vero lavoro, come te»

«E tu smetti di paragonarti a me! Il tuo momento arriverà. Cos’hanno detto stavolta?»

Una lacrima scorse lungo la guancia sinistra di Lucy:

«Guarda, è meglio se non te lo dico»

«Su, dimmelo! Puoi lasciarti andare con me»

Adesso c’erano molte più lacrime e Lucy diventò tutta rossa:

«Quella troia ha detto che i miei disegni sono spazzatura. Spazzatura! Non sto scherzando, li ha veramente chiamati così!»

«Certo che hai ragione: è davvero una troia. I tuoi disegni sono fantastici, l’hanno ammesso pure quelli delle altre gallerie! Be’, loro hanno detto solo “bellini”, ma in realtà sono fantastici»

«E se ci stessero andando piano? Forse ho solo trovato la prima che dice le cose per come le pensa, magari la mia arte è davvero spazzatura!»

«Oh, sta’ zitta! Sei un’artista eccellente, Lucy, te lo diciamo sempre»

«Chi me lo dice sempre? Tu? I miei amici? Apprezzo il pensiero, ma nessuno di voi è un professionista. Senza offesa»

«Nessuna offesa, cerco solo di confortarti. Però, se avessi un penny per ogni volta che l’hai detto, a quest’ora sarei più ricco di Bezos»

«Lo so, ma è la verità»

«Lucy, ti servono solo tempo e pazienza, come a chiunque. Ricordi quando io stavo cercando un posto in un ristorante? Mi ci sono voluti tre anni per incontrare chef Irakli!»

Lucy stava per replicare, ma cambiò idea e si limitò a sospirare:

«Sì, hai ragione. Devo solo aspettare la prossima volta; ancora e ancora»

Non dissero nient’altro su quell’argomento finché arrivarono a casa.

§

Casa loro era una tipica abitazione unifamiliare e faceva parte di una schiera di residenze identiche. Quando parcheggiarono, prima di entrare, Rob rimise in piedi con uno sbuffo un paio di piante in vaso che erano state rovesciate dal forte vento di quella giornata. Una volta in casa, Lucy sparì subito di sopra e si chiuse in camera sua per disegnare. Suo fratello sapeva che quello era il suo modo di sfogarsi dalla delusione. Rob bussò alla sua porta qualche minuto dopo:

«Ehi?» chiese.

«Che c’è?»

«Vuoi che ti cucini qualcosa per stasera, prima che vada al lavoro?»

«Tranquillo, mi farò bastare del tonno e insalata: oggi voglio mangiare leggero»

«Sicura? Mi restano ancora un paio di polpi: posso fare degli anelli fritti, i tuoi preferiti! Sai, giusto per fare quello che posso per tirarti su il morale»

«Grazie, ma non oggi: tienili da parte per quando papà viene a trovarci, così li avremo per un'occasione speciale»

«Se lo dici tu… sperando che non abbia già provato il polpo, mentre è a San Francisco» scherzò il fratello.

«Ma figurati: inquadrato com'è, avrà mangiato panini tutti i giorni. Sei ancora in tempo a fargli scoprire la cucina mediterranea per primo»

Entrambi fecero una risata divertita, poi ci fu silenzio per qualche secondo. Dopodiché, Rob volle cambiare argomento:

«A proposito, cosa disegni?»

Se c’era qualcosa che sapeva su sua sorella, era che bastava interessarsi alle sue opere per farla stare meglio. Infatti, anche se non la poteva vedere, era certo che ora stesse sorridendo:

«Cerco di finire un disegno su Alien, è la richiesta di Julie per il suo compleanno»

«Alien? Strano, mi è sempre sembrata un'appassionata dei Visitors»

Sentì Lucy ridacchiare attraverso la porta:

«Sei rimasto indietro: adesso ha cambiato gusti»

«Vabbè. Me lo fai vedere?»

«Certo, ho quasi finito: questi sono gli ultimi ritocchi, tra poco te lo mostro»

Allora Rob la lasciò sola e tornò di sotto, si sedé sul sofà in soggiorno e accese il televisore per dare un’occhiata al telegiornale, in attesa delle sei e mezza per andare a lavorare dallo chef Irakli. Ascoltò le ultime notizie per qualche minuto, poi si annoiò e prese il cellulare, tornando a scorrere fotografie di piatti d'alta cucina su Instagram. Lo chef Irakli gli consigliava sempre di acculturarsi più che poteva, di dare un'occhiata a cucine di altre culture o di certe categorie, magari anche di provarle, se gli capitava l'occasione. Purtroppo, per un motivo o per un altro, quelle superficiali ricerche su Internet erano quasi tutto ciò che faceva. Dopo un po' di tempo, Rob si guardò l'orologio e vide che erano le sei: era ora di andare, per cui si alzò e mise le scarpe. Prima che si infilasse la giacca per uscire, Lucy riapparve e gli fece vedere la tavolette grafica, con un sorriso:

«Allora? Com’è?» chiese.

Rob osservò la fanart di Alien: era una scena carica di tensione, con Ripley che si accucciava dietro un angolo con lo scanner in mano, mentre lo xenomorfo la cercava in una stanza buia e in disordine, sgocciolando bava dovunque e osservando tutte le rientranze, alla continua ricerca della sua preda.

«Penso che Julie lo adorerà!» commentò.

Lucy ridacchiò, con una punta di malizia:

«Julie adorerebbe di tutto, finché si tratta di Alien, ma grazie lo stesso!»

«Bene, ora devo andare. Ciao!»

«Ciao!»

I due fratelli si scambiarono un rapido abbraccio, poi Rob se ne andò. Mentre si avvicinava alla macchina, vide un SUV che passava di lì proprio in quel momento. Per un rapido istante, il suo sguardo si incrociò con quello del guidatore. Per un fugace istante, gli sembrò che l'autista lo stesse guardando, ma il SUV sparì dietro l'angolo prima che riuscisse ad accertarsene. Rob fece spallucce, accese la macchina e partì.

§

Rimasta da sola, Lucy tornò in camera sua, accese il PC e scrisse a Julie su Facebook per dirle che il regalo di compleanno era pronto. Giustamente, la sua amica era entusiasta, ma le chiese di non dire altro prima che arrivasse il momento. Così iniziarono a chiacchierare del più e del meno e, per sfortuna, Lucy fu costretta a dire anche a lei com’era andata alla galleria d’arte. Come Rob, Julie la incoraggiò a non smettere di provarci.

“Ci risiamo” pensò.

Quando spense il PC, le venne spontaneo ripensare a sua madre. Lei e Rob avevano bei ricordi di lei: era una grande appassionata di cucina e di disegno e aveva passato una delle due arti a ciascuno dei suoi figli. Lucy sorrideva sempre, ricordando le volte in cui la mamma la aiutava coi suoi primi disegni a matita. L'aveva poi guidata nell'imparare a creare opere sempre più belle e complesse. Aveva sempre incoraggiato il suo sogno di diventare un'artista di professsione; era per questo che adesso non smetteva mai di riprovarci, nonostante i rifiuti di tutte le gallerie d'arte: per lei era come un modo di onorare sua madre. La sua inspiegabile scomparsa improvvisa, ai tempi delle superiori, era stato difficile per lei quanto per Rob e per loro padre. Ma il tutto era stato reso più complicato dal lavoro del padre, che lo costringeva a stare spesso all'estero. Da allora, era stato Rob a prendersi cura di sé e di Lucy per quasi tutto il tempo.

I pensieri di Lucy si interruppero quando sentì suonare il campanello. La ragazza sobbalzò, perplessa. Chi poteva essere? Di certo non era Rob, perché se avesse dimenticato qualcosa sarebbe entrato con le sue chiavi. Uno dei loro amici? Non potevano essere neanche loro: li avvisavano sempre, se stavano per venire per qualche motivo. Lucy scese le scale e si fermò davanti alla porta. Vide la gattaiola muoversi, il che significava che il loro gatto Maurice era appena corso dentro. Si ricordò di dovergli riempire la ciotola; ma non era il momento. Guardò attraverso lo spioncino, ma non vide nessuno. Qualche bambino stava facendo uno scherzo? Non l’avrebbe sorpresa: era già successo prima. Sempre chiedendosi se c’era da preoccuparsi, Lucy aprì la serratura e aprì solo un po’, sbirciando dalla fessura: non c’era nessuno. Ma vide qualcosa sullo zerbino: una scatola da scarpe.

“Cosa?” pensò, confusa.

Il coperchio era stato tolto e giaceva accanto alla scatola, permettendole di vedere che era vuota. Perché mai qualcuno dovrebbe lasciare una scatola inutile davanti alla porta di uno sconosciuto? Ora cominciava a stare certa che fosse uno scherzo. Alla fine, decise di uscire e prese la scatola, ispezionandola: non aveva assolutamente niente di strano o speciale e non c’erano note che indicassero chi fosse il mittente o perché l’avevano inviata.

“Sarà un errore di consegna?” si chiese, confusa.

In quel momento vide la signora Mayfield, la loro vicina ottantenne della porta accanto, che stava andando a buttare la spazzatura.

«Mi scusi, signora Mayfield, le è capitato di vedere qualcuno lasciare questa davanti a casa mia?» le chiese, cortesemente.

La vecchietta si girò a guardarla, si prese qualche secondo per elaborare perché era un po’ sorda e rispose:

«Oh, ciao Lucy! No, non credo di aver visto passare nessuno, mi spiace. Stai aspettando qualcuno?»

«No, non ho neanche ordinato nulla! Immagino che non l’abbia fatto nemmeno Rob. Questa scatola è pure vuota!»

«E non hai idea di chi possa avervela data e perché?»

«Per niente»

«Uhm... forse qualcuno l'ha buttata e l'ha portata qui il vento»

A Lucy sembrò la spiegazioe più logica. 

«Immagino di sì» borbottò, a labbra serrate.

«Comunque, stammi bene!» disse la signora, tornando in casa.

«Anche lei»

Lucy rientrò e chiuse a chiave. Buttò la scatola nel cestino della carta e andò in cucina per dare da mangiare al gatto.

«Maurice, è ora di mangiare! Vieni, micio!» chiamò, mentre riempiva la ciotola.

Ma il gatto non arrivò. Questo la sorprese: di solito appariva di corsa. Eppure aveva visto bene la gattaiola che si muoveva.

«Maurice? Non hai fame?» chiese, guardandosi in giro.

Cercò dovunque, ma non c’era traccia del gatto, nemmeno nei suoi nascondigli preferiti. Alla fine, Lucy fece spallucce e si arrese. Tornò di sopra, in camera sua; voleva controllare alcuni dei suoi vecchi disegni per vedere se c’erano dettagli che poteva cambiare e migliorare: se voleva farli esporre, doveva presentare il meglio alle gallerie d’arte. Ma poi, all’improvviso, sentì qualcosa: un fortissimo sibilo. Quel rumore la spaventò e le fece venire la pelle d’oca. Si alzò dalla sedia e si guardò intorno con attenzione. Cosa poteva aver sibilato così? Un serpente? Impossibile: non c’erano serpenti da quelle parti… giusto? Inoltre, come avrebbe mai fatto ad intrufolarsi in casa? Si ricordò di un dettaglio:

“La scatola da scarpe! La gattaiola!”

Ci poteva essere solo una spiegazione logica: in quella scatola misteriosa c’era stato un serpente che era strisciato dentro dopo che ebbero suonato il campanello. Infuriata, Lucy desiderò di conoscere il mittente, così avrebbe potuto strozzarlo a mani nude. Che bastardo poteva mai fare una cosa simile?! Il sibilo sembrava provenire dal piano di sotto. Lucy afferrò un dizionario e, tenendolo strettissimo, andò ad investigare con prudenza. Mentre cercava, si muoveva molto lentamente e non faceva mai un passo prima di accertarsi di non stare per pestare il serpente. Non lo vedeva da nessuna parte, però. Chi sapeva dove si nascondesse quella bestia? Stava tremando come una foglia. Gocce di sudore freddo le inzupparono la fronte, il suo cuore batteva così forte che si sentiva come se potesse esplodere a momenti. Entrò in soggiorno.

«Andiamo, dove sei? Fatti vedere, schifoso bastardo strisciante!» disse, pallida.

All’improvviso, sentì ancora il sibilo, dietro di sé. Si voltò, qualcosa emise un fischio stridulo e lei sentì un forte dolore alla spalla.

«Ah!» urlò.

La fitta era come un pugnale rovente che le bruciava la carne e i nervi, il dolore era così intenso che, per un attimo, fu certa di perdere i sensi. Cadde seduta sul pavimento e sentì ancora quel fischio. Cosa l’aveva colpita? Non vedeva niente, lì con lei. Lucy si toccò la spalla e gemé stringendo i denti, quando poggiò le dita sullo squarcio e diede un'occhiata. Si sentì mancare: non aveva mai visto così tanto sangue, almeno dal vivo. La sua maglietta nera era strappata dalla spalla sinistra al centro della schiena. Provò per un attimo a immaginare che aspetto avesse l'intera ferita e se ne pentì subito. Guardò davanti a sé e, dal nulla, una cosa si materializzò sul muro.

«Ma che cazzo?!» esclamò.

L'animale sembrava un assurdo incrocio tra un gambero e uno scorpione: il corpo e le zampe erano quelle di un crostaceo, ma aveva anche la coda velenosa di uno scorpione e un paio di chele a uncino affilate, sporche del suo sangue. Sulla bocca aveva mandibole da ragno e, strofinandole, emetteva il sibilo. Ecco quello che la scatola da scarpe aveva contenuto. Chi diamine poteva avere quella bestia? Dove l’avevano trovata? Perché l’avevano liberata in casa sua? Non c’era tempo per le domande, anche se Lucy ne era piena. Il mostro saltò su di lei, mirando alla sua faccia, ma Lucy mise davanti il dizionario all’ultimo. Quando l’artropode vi rimase aggrappato, la ragazza si alzò dolorante e lo sbatté a terra, per poi schiacciarlo diverse volte con un piede. Era stupita di avere riflessi così rapidi. La creatura stava ferma, apparentemente morta, mentre una pozza della sua emolinfa si spargeva intorno alla carcassa.

«Cosa cazzo sei?» mormorò Lucy, tenendo una mano sulla ferita.

Ora avrebbe decisamente chiamato Rob, la polizia, chiunque, non importava chi. Ma il mostriciattolo si rivelò ancora vivo: buttò via il libro con una spinta delle zampe, tornò in piedi rotolando e si scrollò tutto, mentre le sue ammaccature e ferite svanivano. Dopo essersi lasciata sfuggire un rapido grido di spavento, Lucy sfrecciò su per le scale, sentendo chiaramente i piccoli e frenetici passi della bestiaccia che la inseguiva. Piombò in camera sua e si chiuse detro. Dall’altro lato, l’artropode cominciò a graffiare e pestare sul legno, cercando di sfondare la porta. Lucy andò alla sua scrivania, in cerca del cellulare, ma non era lì e lei sobbalzò sconvolta. Era sicura che fosse lì, ma poi si ricordò che non l’aveva ancora tirato fuori dalla borsa, da quando era tornata dalla galleria d’arte. E dov’era la sua borsa?

“Oh, no!” pensò.

L’aveva appesa all’attaccapanni accanto alla porta d’ingresso. Sentì uno schianto e un altro fischio: l’insetto aveva finalmente bucato la porta e stava strisciando dentro. Ma si incastrò a metà strada. Lucy ne approfittò per correre fuori, ignorando il tentativo della creatura di afferrarla da dov’era adesso. Corse di sotto e andò all’attaccapanni. Finalmente, trovò il cellulare e provò a uscire di casa ma, prima che aprisse la porta, il mostriciattolo riuscì a raggiungerla. Sentì il suo pungiglione infilzarle il polpaccio destro e un bruciore lancinante si diffuse in tutto il suo corpo. All’improvviso, muoversi diventò difficilissimo e ancora più doloroso. Dopo un paio di barcollanti passi, Lucy cadde mollemente sulla schiena, del tutto paralizzata. L’unica cosa che poteva ancora controllare erano gli occhi, per cui intravide il mostro quando si arrampicò su di lei, la fissò coi suoi cinque occhi; poi le trafisse il petto con le chele. Fu il più terrificante dolore di tutta la sua vita, ma non poteva gridare. Quella sensazione le fece desiderare di morire. Era come se un rogo stesse bruciando dentro di lei e stesse uscendo dalla sua pelle. Mentre una fontana di sangue spillava fuori dallo squarcio, il crostaceo continuò a lacerare la sua carne fino alla pancia. Il peggio, però, fu che non fece un solo taglio preciso e pulito. Al contrario, si fermò diverse volte per affondare di nuovo le chele nel petto di Lucy e ricominciare da capo, sondando le sue carni insanguinate con le mandibole, come se le assaggiasse. Ogni volta che veniva trafitta di nuovo, Lucy usava tutte le sue forze per urlare più forte che poteva, ma non ci riusciva. Essere costretta a stare ferma e zitta rendeva quella tortura ancora più devastante. A un certo punto, il dolore e lo strazio furono così tremendi che, nonostante la paralisi, la ragazza riuscì a emettere un gemito rauco. Solo che avrebbe dovuto essere il più forte e disperato grido che avesse mai emesso. 

“Basta! Basta!” pensò, soffrendo come una dannata.

I suoi occhi cominciarono a lacrimare, tanto insopportabile era quel supplizio. La ragazza stava sanguinando così tanto che cominciò a perdere lentamente la lucidità, come se avesse sonno: stava morendo. Ma il mostriciattolo non aveva ancora finito: allargò lo squarcio divaricando i bordi con le chele e, con un ultimo sibilo, strisciò dentro di lei. La mente di Lucy cedé e, alla fine, la ragazza svenne.

§

Non vide nient’altro che nero per ore. A dire il vero, a lei sembrarono delle ore, ma non poteva capire se fosse davvero così. Ma poi, d’un tratto, aprì gli occhi e si mise seduta con un sobbalzo. La paralisi era finalmente passata, assieme al dolore. I suoi vestiti strappati e il pavimento erano ancora un lago di sangue, ma si rese subito conto di non stare più soffrendo. Confusa e sconvolta, si guardò la spalla, il petto e la pancia: non c’era più un graffio sulla sua pelle. Si guardò intorno e vide l’orologio a muro: erano passati solo alcuni minuti. Ma dov’era l'artropode?

“Oddio, è dentro di me?!” pensò, dopo lo sforzo di ricordare.

Non poteva crederci. Com’era possibile? Non sentiva alcuna differenza, eppure ricordava di aver visto quella cosa entrarle nella pancia. All’improvviso, però, qualcosa fu innescato in lei. Tutto diventò estremamente nitido e i suoi sensi si acuirono: Lucy si sentiva come se avesse sempre visto in bianco e nero, per quanto definite e precise erano diventate le immagini. Cominciò a sentire i più piccoli rumori attorno a sé, addirittura i passi delle formiche dietro i muri. Il suo naso fu invaso da dozzine di odori e aromi, al punto che le venne la nausea perché ne stava captando troppi tutti insieme; ed ecco che percepì il polpo che Rob si era offerto di cucinarle, lasciato sul piano di cottura e dimenticato lì. Accadde qualcosa: tutti i suoi pensieri umani sparirono, i suoi sentimenti si dissolsero; solo una sensazione rimase: una grande e insopportabile fame. In quel momento, non era più Lucy, ma una creatura alla disperata ricerca di una cosa sola: cibo. Emettendo un mugugno bestiale e perdendo gocce di saliva dalle labbra schiuse, corse in cucina. Afferrò il polpo, si sedette in un angolo e cominciò a mangiarlo crudo. A lei non interessava quanto fosse disgustoso, voleva solo riempirsi la pancia. Divorò l'intero polpo con una voracità incredibile.

“Cosa mi prende? Perché?” si chiese, spaventata.

Non ce la faceva più: doveva assolutamente avvertire Rob, adesso. La nausea era ancora forte quando si alzò e si incamminò verso il suo cellulare, ma non lo raggiunse neanche stavolta. In qualche modo, scivolò. Subito dopo, le venne una strana sensazione: si sentiva umida. Si toccò i capelli, le braccia e le gambe: era tutta cosparsa di muco appiccicoso.

«Ah!» esclamò, inorridita.

Poi la sua pelle cominciò a ribollire. Prima i fianchi, poi le gambe e infine i piedi. Stavano ribollendo come acqua a cento gradi. Ma, soprattutto, era doloroso. Non si avvicinava neanche lontanamente al dolore di prima, ma era comunque abbastanza da farla gemere a denti stretti. Lucy strizzò gli occhi e si lasciò sfuggire un grido di dolore, adesso che finalmente poteva. Sentiva le sue ossa contorcersi e deformarsi nei modi più innaturali. Tenne gli occhi chiusi per diversi secondi e, quando li aprì, scoprì che le sue gambe erano diventate quattro; poi divennero sei e infine otto. Aveva otto gambe. Dopodiché, diventarono molto più lunghe del normale e le ossa scomparvero. Le dita dei piedi si fusero in uno solo, poi toccò ai piedi diventare una cosa sola col resto dell’arto. In tutto ciò, piangendo e gridando, Lucy cominciò a strisciare sul pavimento con tutte le sue forze, dirigendosi verso il bagno.

§

Erano le undici. Rob stava finalmente tornando a casa, dopo aver cucinato tutta la sera con chef Irakli. Era molto stanco e voleva solo dormire. Ma quando arrivò, trovò una sorpresa inaspettata: la signora Mayfield lo stava aspettando fuori da casa sua, sembrava preoccupata.

«Buonasera, signora Mayfield. Perché è ancora sveglia? Le serve un favore?» chiese lui, spegnendo il motore.

«Rob, credo che tua sorella abbia qualcosa che non va!»

«Cosa? Perché?»

«Questo pomeriggio l'ho sentita urlare, poi ci sono stati altri rumori strani. Ho chiamato la polizia, ma non è venuto nessuno! Tutti gli altri vicini erano al lavoro e non ho avuto il coraggio di provare a entrare da voi per dare un'occhiata»

Rob si preoccupò subito, dopo alcuni attimi di smarrimento. Dopo aver farfugliato un ringraziamento all'anziana signora, il ragazzo aprì la porta, entrò e sobbalzò alla vista di una grande pozza di sangue sul pavimento.

«Lucy, che cazzo è successo qui?! Sei ferita?» chiese, sconvolto.

Magari un ladro si era introdotto in casa non visto e l’aveva aggredita; non osava immaginare. Non ottenne risposta. Rob cominciava ad andare nel panico:

«Lucy, rispondi! Dove diavolo sei?!»

Gli sembrò di sentirla mugolare in bagno. Ci andò di corsa e provò ad entrare, ma la porta era chiusa a chiave.

«Lucy, sei qui dentro? Fammi entrare!»

«Rob? Rob!»

«Sì, sono io! Che cazzo è successo? Cos’è tutto questo sangue? Apri la porta!»

«Rob, aiutami, ti prego... ho così paura...» 

La voce di sua sorella era strozzata e tremante. Lucy sembrava in preda al panico e faceva fatica a formulare le parole. Qualunque cosa le fosse successo, doveva averla devastata. Rob si sforzò di non andare ancora più nel panico e provò a tranquillzzarla:

«Lucy, calmati, adesso sono qui. Sei ferita? Chi ti ha fatto questo?»

Lei iniziò a farfugliare:

«È... è... c'era una scatola ma era vuota ma non era vuota e poi ho senito un rumore e poi c'era il gambero-scorpione e io...»

Rob era più confuso che mai:

«Aspetta, cosa? Gambero-scorpione? Di che cazzo parli?»

Lucy lo ignorò e continuò a dire cose senza senso:

«E non riuscivo a muovermi e mi ha fatto... mi ha fatto... faceva così male, non... non potevo... forse sono morta ma poi ero sveglia e stavo bene e avevo fame... c'era il tuo polpo...»

«Lucy, calmati! Stai delirando!»

«No no no, è vero! Ho mangiato e adesso... non so che mi succede Rob! Aiutami!» singhiozzò.

«Lasciami entrare! Apri il bagno!» la esortò lui, ormai terrorizzato.

Sua sorella parve esitare per alcuni secondi. Poi, però, Rob sentì un rumore bizzarro: sembrava che qualcosa di viscido si stesse strascicando sul pavimento. Sembrava quasi il rumore di un moccio. Finalmente, la chiave girò nella serratura e, senza perdere tempo, il ragazzo afferrò la maniglia e spalancò la porta. Appena vide sua sorella, per poco non cadde all'indietro per lo spavento.

«Ah! Ma che…» esclamò, sconvolto.

Davanti a lui c'era Lucy, ma anche un polpo. La parte superiore del corpo era normale, a parte il fatto di essere coperta da una sorta di bava acquosa; indossava solo il reggiseno: la maglietta e la canottiera erano squarciate e intrise di sangue e lei se le stava tenendo davanti per coprirsi. Ma la parte inferiore del corpo si era trasformata negli otto tentacoli di un polpo, proporzionati per adattarsi alle dimensioni di un essere umano. Sulla sua schiena, Rob vide un flaccido e tondeggiante corpo da polpo che pulsava a ritmo di battito cardiaco. Lucy era una ragazza-polpo. Come? Perché?

«Lucy, che cazzo ti è successo?!»

«Non lo so!»

«Com'è successo?!»

«Io... io non... il gambero-scorpione ha...»

«Ancora? Ma cos'è questo gambero-scorpione?!»

Lucy chiuse gli occhi e si concentrò: sembrava che si stesse sforzando per fare mente locale.

«Era nella scatola… mi ha aperto la pancia e… e... mi è strisciato dentro!»

«Eh?!»

«Poi è diventato tutto nero e mi sono svegliata senza ferite... ecco, poi ho mangiato il tuo polpo! Dopo... sono diventata così!» esclamò Lucy, atterrita.

«Porca troia... ma cos'è?» mormorò Rob, coprendosi la bocca con entrambe le mani.

All'improvviso, però, Lucy assunse un’espressione spaventosa: sembrava un predatore che ringhiava. Le sue pupille si dilatarono finché gli occhi diventarono neri. Una cascata di saliva piovve dalla sua bocca. Cominciò a fissare il fratello con uno sguardo minaccioso. Lui indietreggiò, sconvolto:

«Ehi, che ti prende? Cos’hanno i tuoi occhi? Smetti di guardarmi così!»

Improvvisamente, la ragazza scattò verso di lui con un’agilità sbalorditiva, gridando, e Rob si ritrovò schiacciato da un mucchio di chili di tentacoli. Gli arti viscidi gli legarono mani e piedi e si avvolsero attorno alla sua gola, iniziando a strangolarlo. Rob non aveva più aria, cominciò a soffocare.

«Cosa… perché?» sibilò, coi polmoni che bruciavano.

Perché l’aveva attaccato? Il suo sguardo era terrificante. Rob non poteva muoversi, non riusciva più a respirare, i polmoni gli bruciavano, la sua vista cominciò a offuscarsi.

«Ehi!» gridò una voce maschile.

Lucy guardò su e Rob sentì uno sparo. Un proiettile perforò il petto di lei, sconvolgendo entrambi. La ragazza-polpo gridò e si rifugiò in un angolo, avvolgendosi coi suoi tentacoli in costante movimento caotico, mentre un rivolo di sangue colava dal buco nel suo torace. Rob tossì, si girò confuso e vide l’autista del SUV, lo stesso che aveva notato quel pomeriggio: riconobbe il volto che l'aveva fissato per un istante. Che ci faceva lì? Perché aveva sparato a Lucy?

«Oh, giusto in tempo! Sapevo che sarei dovuto entrare, quando ho intercettato la chiamata della vecchia» commentò.

«Lei chi è? Cosa le ha fatto?!» esclamò Rob.

Lo sconosciuto lo aiutò ad alzarsi, gli ordinò di stare calmo e disse:

«Io sono Alex e non voi non dovete preoccuparvi: non sono qui per farvi del male, voglio solo aiutarvi. Mi spiace dovertelo dire, ragazzo, ma la vostra vita sarà un grandissimo casino, d’ora in poi»

Rob non era più in grado di capirci niente, a quel punto. Ebbe subito l'impulso di sommergere lo sconosciuto di domande, visto che sembrava sapere esattamente cosa stava succedendo. Ma, prima che potesse aprire bocca, si ritrovò la pistola dell'estraneo puntata alla fronte. Il suo cuore si fermò per un attimo, il sangue gli si raggelò. Rob vide il dito dell'uomo spingere il grilletto. Il ragazzo intravide il bagliore dello sparo per una frazione di secondo e ne sentì il boato. Poi fu il nulla.

   
 
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