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Autore: AzucarScarlet    06/03/2020    0 recensioni
Ho riflettuto a lungo se fosse il caso di pubblicare questa fanfiction a cui pensavo da un po'.
La coppia protagonista si potrebbe definire una crack-pairing sotto più punti di vista, ma non riesco assolutamente a fare a meno di adorarla comunque.
Questa è una piccola fanfiction su come ho immaginato si sia evoluto nel tempo il rapporto tra Gabriel Reyes (prima che assumesse l'identità di Reaper) e Sombra, o meglio Olivia Colomar.
Per precauzione, siccome i primi capitoli saranno incentrati su un'Olivia poco meno che adolescente, attribuirò rating arancione all'intera storia: spero che la fanfiction possa piacervi :)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sombra
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Posso almeno sapere cosa diavolo c’è in quella scuola che la signorina non gradisce?- mi chiede, sbattendo la mano sul tavolo a pochi centimetri dal mio viso.
 
La sua espressione alterata è quanto di più soddisfacente possa esistere, considerata la mia voglia irrefrenabile di irritarlo ogni qual volta mi è possibile, eppure per qualche ragione oggi qualcosa è diverso: non mi viene in mente nessun modo intelligente di ribattere, il mio tono da saputella e l’aria saccente che esibisco di solito sembrano essersi completamente volatilizzati.
 
-Olivia,- richiama la mia attenzione, distraendomi per un istante dal vespaio nella mia testa: un’accozzaglia disordinata e confusa di pensieri che vorticano da tanto, troppo tempo e mi fanno scoppiare il cervello. Quanto è passato da quando il primo di loro si è insinuato nella mia mente? Mesi? Forse anni
 
-¿Me escuchas, chica?-
-Claro- fingo uno sbadiglio per indurlo a pensare che lo stessi ignorando
volontariamente.
 
-Allora rispondimi, dannazione!-
-Cosa ti devo dire? Che mi trovo male con i compagni? Credevo che questo lo sapessi già!-
-Infatti è così, ma se il problema è solo questo non vedo perché arrivare a marinare la scuola, per giunta con quel coso, là, come si chiama...-
 
Non è una domanda, la sua. Infatti non ha il minimo interesse nel conoscere il nome del coso in questione, e io lo so.
 
Rimane in silenzio in attesa di una risposta con i palmi delle mani appoggiati sul tavolo di legno; le braccia tese a sostenere il peso del suo corpo mentre si sporge un po’ nella mia direzione senza smettere di trafiggermi con lo sguardo.
 
Osservo le sue dita callose e le vene un po’ in rilievo che solcando i dorsi delle sue mani coperte di pelle scura: assomiglia un po’ alla mia carnagione, la sua, ma nell’essere simili sono diversissime.
 
Mi guardo le mani senza pensarci: sono piccole, i palmi quasi completamente bianchi in netto contrasto con tutto il resto del mio corpo.
 
Trattengo a stento un sospiro e inizio a guardarmi i piedi, attaccati a delle gambe talmente corte da non permettermi nemmeno di sfiorare il pavimento con le dita, nascoste a malapena dalle infradito di gomma lilla, di almeno un numero più grandi.
 
Quanto tempo è passato dalla prima volta che ho desiderato avere un corpo più grande, più maturo, quanto basta per lasciare che le sue dita lo accarezzassero senza che nessuno dei due potesse farsi alcun tipo di domanda? E poi chi ha detto che è sbagliato desiderare le carezze di qualcuno? E i suoi baci, e le sue attenzioni? Come si permette quella vocina impertinente dentro di me di farmi sentire in colpa ogni volta che mi immagino al fianco di quell’uomo a cui devo così tanto? Come fa a convincermi sempre del fatto che non dovrei volere niente del genere? Che non è affatto normale che una bambina -perché sì, so di non potermi definire altro- formuli anche solo per sbaglio pensieri tanto carnali nei confronti di un uomo con almeno una ventina di anni in più sulle spalle?
 
-Ho detto che se avesse marinato con me, gli avrei insegnato qualche trucchetto con il computer- ammetto senza sollevare lo sguardo per non correre il rischio di incappare nei suoi occhi verde scuro -Lui ha accettato e allora l’abbiamo fatto. Abbiamo saltato lezione. Non so…- mi fermo un attimo alla ricerca di una giustificazione e poi eccola arrivare. Ma avrei capito solo dopo che non si trattava di una particolarmente brillante -...sarà che mi piace. Lui è l’unico con cui vado d’accordo-
 
Silenzio. È strano.
 
Quando mi decido a guardare Gabriel, incontro la sua espressione ancora più accigliata di prima: gli occhi ridotti a due fessure brillanti circondate dalle occhiaie scure.
 
Potrei passare ore a fissarli, quegli occhi, peccato che sappia perfettamente cosa significa quell’espressione:
-Ah, sì? Quindi stai marinando, per giunta per colpa di un mocciosetto di cui ti sei invaghita- ecco che arriva la decisione definitiva: riesco quasi a sentirla avvicinarsi, sporgersi sull’orlo della sua bocca sottile, per poi venire sputata con disprezzo da quelle labbra che vorrei coprire di baci e che mi domando che sapore abbiano.
 
-Smetterai di vederlo- mi dice freddo, glaciale -E mi assicurerò personalmente che non accada più, mai più, nemmeno una singola volta, che tu salti lezione. Sei in punizione-
 
Finisce di parlare, e mi riscuoto solo dopo qualche secondo. In punizione? Come sarebbe? E chi gli dà il diritto di impedirmi di frequentare un amico, l’unico che ho, tra le altre cose?
 
-¡¿Como?! ¡¿Porque?!
-È lui il tuo problema, o sbaglio? Ti sei presa una sbandata, perciò ora mi occuperò personalmente di eliminare il problema alla radice, e lo farò in questo modo, che ti piaccia oppure no, Olivia!
 
Non lo sto nemmeno più a sentire, scendo dalla sedia sbuffando e me ne vado in camera mia sbattendo la porta.
 
È passata un’ora, ormai, e ancora non si è fatto vivo: non è venuto a dirmi cosa c’è per cena, non è venuto a vedere come sto. Mi sento frustrata. È impossibile che non si renda conto di come mi sento, di quali sono i miei pensieri.
 
Un’altra ora: salto la cena. Vuole vedere chi cede per primo? Non sarò di certo io a farlo. Non ho alcuna intenzione di tornare in cucina ed essere costretta a scusarmi con lui per qualcosa che non ho fatto: sarebbe come dargliela vinta solo per quieto vivere, e avere l’orgoglio ferito è anche peggio che andare a dormire con lo stomaco vuoto… che in effetti è un po’ la filosofia con cui sono stata cresciuta proprio da lui.
 
Dopo altri dieci minuti, il mio cervellino ha escogitato un piano geniale: apro la finestra e, dopo aver annodato con cura una delle estremità delle lenzuola alla gamba del letto, mi calo dalla finestra usandole come corda: sì proprio come ho visto fare un miliardo di volte in TV, con l’unica differenza che non avevo la certezza potesse funzionare davvero.
 
Dopo pochi minuti di corsa raggiungo la casa di Ramirez e, appurato che nessuno sia nelle vicinanze, cerco di attirare la sua attenzione lanciando dei sassolini sul vetro della sua finestra.
 
Finalmente, dopo il terzo tentativo, lo vedo aprire le persiane:
-Olivia! Que te pasa? Ma lo sai che ore sono?
-Disculpame, Rami! Fammi salire, devo parlarti!
   
 
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