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Autore: MoeniaDea    07/03/2020    1 recensioni
P. è una giovane pianista, vive sola col suo gatto, ed è innamorata di Dafne. Ma non è di una ragazza, o almeno, non nel senso normale che potremmo pensare. Convive in una casa al sole con la sua disforia e quell'amore curioso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La luce del sole pomeridiano entrava dalle finestre, ma invece di illuminare tutta la stanza, era come se il fascio non volesse disperdersi nell’aria ricca di pulviscolo, creando attorno ad esso un’eterna penombra. In un angolo, tra piccole piante verdi, un libro era aperto sulla grande foto di una scultura di Bernini, “Apollo e Dafne”. Dall’altro lato della stanza, il giradischi riproduceva un vinile con una selezione di pezzi di Debussy distribuita chissà quando in una di quelle raccolte da edicola.
P. era stesa al sole, con addosso solo una bianca veste di lino. Nonostante il calore estivo fosse alle porte di quel maggio, lei si godeva la luce come un gatto in una mattina di primavera. I lunghi capelli castani coprivano le assi del pavimento formando una corona attorno al suo pallido viso. La ragazza si alzò solo per andare in cucina e bere un bicchiere d’acqua fresca dal rubinetto, e tornò poi al suo posto. Con gli occhi socchiusi, chiamò sottovoce il suo gatto, seduto indisturbato sulla poltrona. Non voleva rompere l’incanto che andava a crearsi. Il lato A del disco si concluse con Rêverie, costringendo la ragazza ad alzarsi per cambiare il disco, ma non prima di essersi goduta quegli istanti di silenzio, rotti immediatamente dai rumori esterni.
Mentre la musica ricomincia a diffondersi nella stanza, P. si passò le mani sulle nude gambe. Sotto alle mani sottili da pianista, i peli ricominciavano a crescere. Una smorfia si disegnò sul suo viso: così tanto sforzo per avvicinarsi alla purezza ed immutabilità del marmo, ma il suo corpo le ricordava di continuo che era fatta di carne e crescita.
Alzò lo sguardo verso la parete. Appese ad un lungo spago, vi erano le foto fatte durante un set, proposta di un’amica cara. Lei era totalmente dipinta di bianco, in ogni angolo del suo corpo, e i capelli tinti di cera bianca. Attorno aveva rami d’alloro ed un lenzuolo anch’esso bianco. Dietro ad ogni foto era scritto il soggetto, Dafne. Quel giorno lei era stata una statua, e non voleva smettere di esserlo.
Come a percepire la sua malinconia, il gatto, Apollo, si avvicinò ed iniziò a strusciare la testa sul fianco della ragazza. P. ricambiò accarezzandolo.
Era sempre stata innamorata di quella statua del Bernini: la vide a Roma per la prima volta le sue gambe non smisero di tremare fino all’uscita, quando riuscì sedersi e calmarsi. L’emozione provata le aveva consumate le energie, ed a fine giornata era incapace di reggersi in piedi.
Si era trovata davanti l’opera in tutta la sua magnificenza, le luci artificiali le davano un pallido color oro. In quella sala barocca piena di statue, non riusciva ad osservare altro che Apollo e Dafne.
Col tempo, tornando altre volte a Villa Borghese, P. capì cosa l’affascinava davvero di quella statua: era Dafne, lei nel movimento della metamorfosi, mentre le dita diventavano sottili rami d’alloro e il busto si contorceva dentro alla corteccia che andava formandosi. Aveva provato una forte attrazione per quella figura femminile immortalata nel marmo, che nonostante fosse alla fine della sua vita esprimeva una forza senza pari.
Con i suoi risparmi, aveva comprato una copia della statua in marmo resina ed alta ventotto centimetri, e passava le ore a contemplarla nonostante mancasse della forza dell’originale.
Ora, in quel pomeriggio di maggio, lei tornava a contemplare l’opera tanto amata, sognando di essere lei quel Apollo che cingeva la ninfa con le bianche braccia. Il desiderio la bruciava, il fiato le mancava realizzando di non poterlo esaudire.
Il caldo iniziò a farsi insopportabile. P. si alzò, ed andò in bagno. Aprì l’acqua nella doccia, e si spogliò del vestito davanti al grande specchio. Le bastò scostare le sottili spalline e la veste cadde ai suoi piedi in un bianco cerchio imperfetto. Il corpo pallido, quel bianco vicino al marmo di cui lei era fiera, sottile, oggetto d’invidie, ed immacolato, fatta eccezione di una sottile linea nera che, sotto al seno, disegnava una foglia d’alloro. Subito distolse lo sguardo, cercando di dimenticarsi della sua fisicità, legò i capelli ed entrò nel getto d’acqua fredda per scacciare la calura. Tenne chiusi gli occhi per tutto il tempo.
 
La sera, nella stessa stanza, la luce era del colore del fuoco. Apollo era steso, il pelo del colore del tramonto, e si godeva gli ultimi raggi di sole. Di fianco, P. suonare il pianoforte a muro di famiglia. Le sue dita sottili danzavano sui tasti d’avorio, cercando di seguire lo spartito che era solo nella sua memoria. Nota dopo nota, cuciva la melodia come Penelope cuciva il velo in attesa del ritorno di Odisseo.
Quando anche gli ultimi raggi di luce smisero di illuminare, la ragazza smise di suonare. Nella penombra, accese solo la luce della cappa in cucina, e iniziò a cucinare la sua solitaria cena.
In una padella, la cipolla tagliata a grossi pezzi rosolava nell’olio, per poi venire zittita dal pomodoro. Scolò la pasta, e la gettò nella pentola col rosso intruglio. Fu il suo unico piatto, seduta sola al tavolo, mentre Apollo in basso assaltava la scodella appena riempita.
Anche dopo quella veloce cena, si rimise a contemplare il soffitto ed i suoi pensieri, questa volta nel suo letto. Nuda, avvolta a metà da un lenzuolo, cadde sotto al respiro di Hypnos.
Quella notte sognò di essere in un bosco di betulle, ed in mezzo ai bianchi tronchi si apriva una radura abitata da un alloro. L’albero era circondato da ninfe e satiri, che cantavano e suonavano un’arcana melodia, dove le parole giungevano direttamente da un’era dimenticata. P. era nuda, neanche un velo a coprirla, e si sentiva leggera come una nuvola, ma appena mise piede nella radura sentì il corpo appesantirsi come se fosse diventato di pietra. Tutti gli sguardi furono su di lei, la musica non smetteva di suonare. Una presenza si materializzò dietro alla ragazza, e vide girandosi un uomo che risplendeva come il Sole. La guardava con gli stessi occhi di un predatore di fronte alla preda, bramoso di possederla. P. d’istinto corse via, verso l’alloro. Il tronco di quest’ultimo fu come se si aprisse, e da esso uscirono due braccia femminili, che presero la ragazza salvandola dall’uomo. Dentro alla corteccia, la ragazza si unì con l’alloro divenendone parte.
P. si svegliò. Cercò l’interruttore della lampada, e quando si accese, la ragazza guardò l’ora sull’orologio da polso tenuto sul comodino. Erano da poco passate le due di notte.
Iniziò a sentire sete, e si alzò per andare in cucina. L’atmosfera nella stanza era sospesa: la luce della Luna, sorta poco, si diffondeva delicatamente sfumando in una dolce penombra. La bottiglia di vetro, piena a metà d’acqua e rimasta sul tavolo, rifletteva dentro di sé l’argenteo bagliore. P. si mosse piano, come se il suo corpo fosse ancora fatto di legno e linfa, e mentre beveva, si passò la mano tra i capelli facendo cadere una foglia, ma questa si dissolse prima che la ragazza se ne accorgesse.
 
La porta di casa sbatté forte chiudendosi, e P. corse subito in cucina a posare le borse con la spesa. Mentre svuotava le buste di tela, iniziò a fischiettare quella melodia sentita nel sogno. Nonostante fosse stato tre giorni prima, continuava a ricordare con precisione le note. Quella notte, non riuscendo a riaddormentarsi, si era messa al tavolo e aveva iniziato a segnare le possibili note su alcuni fogli pentagrammati ingialliti. Per fortuna la sua memoria e il talento da pianista, l’unico che aveva, la aiutarono a ricomporre la canzone, anche se non precisa all’originale.
Trascorse la sua solita routine, e dopo pranzo si sdraiò sul letto. Il sole non era ancora su quel lato della casa, e nella stanza rimaneva la frescura della mattina. La ragazza aveva tra le gambe la sua vecchia copia de Le Metamorfosi di Ovidio, piena di appunti presi durante gli anni di studio. Aprì a caso una pagina, e si ritrovò nel pieno del Libro Sesto, e la prima cosa che lesse fu di Pelope, l’eroe con la spalla d’avorio ricostruita dopo essere stato resuscitato, quando suo padre Tantalo lo uccise e lo offrì come pasto agli dei. Una fitta d’invidia attraversò la mente di P. per quella spalla ormai sfuggita alle regole del tempo sul corpo umano.
Chiuse il libro, e si mise a fissare il soffitto. Anche quel giorno non aveva niente da fare per tutto il pomeriggio, e poté annegare tra i pensieri.
La mente vagava lontano, frammenti di sogni e di realtà si legavano, come se fossero cuciti da Aracne su una tela. Gli avvenimenti, i desideri, le passioni, tutto si fondeva in un grande disegno. Dalla finestra si sentì un gabbiano, lontano nel cielo.
Guardando fuori, vedeva la volta di un azzurro intenso, percorso da formose nubi bianche e dalle nere silhouette degli uccelli. Tutto questo si estendeva sopra una distesa di tetti bianchi e grigi, picchiettati dal verde delle piante sulle terrazze. Si sentì in lontananza un telefono squillare, una madre richiamare i figli, un’auto passare tra le strette vie.
P. lanciò un’occhiata al calendario appeso al muro: il giorno dopo, sabato, aveva programmato di fare una passeggiata tra i boschi e i campi, e già si pregustava quell’immersione nella natura.
Si alzò, prese dal frigorifero una brocca di tè verde freddo e la portò nella sua stanza, dove la poggiò sul tavolino affianco al pianoforte. Passò il resto del pomeriggio a suonare la melodia del sogno.
 
Il sole splendeva alto in un cielo libero dalle nubi. Una leggera brezza saliva dal mare verso l’entroterra, attraversando i campi ed i boschi. P. camminava sulla strada sterrata, tra bassi muretti di pietra. Indossava un vestito di lino bianco e un largo cappello di paglia, portandosi dietro solo una borsa di tela rossa con all’interno la merenda e una borraccia. Passeggiava senza fretta, i sassi che scricchiolavano sotto alla suola dei bassi scarponi.
Attraversò campi di grano in crescita e pascoli di pecore, immersi nel gracidare dei grilli, ed arrivò a un piccolo boschetto dove si mischiavano pini marittimi con altri alberi. Era attraversato da un canale che correva da chissà dove fino ai campi, e sopra ad esso vi era un ponte di legno coperto da foglie secche e sottili foglie dei sempreverdi. Da qualche parte sui rami senti degli uccelli cantare.
Superando il bosco, giunse alle rovine greche situate sulla collina sopra alla città. Tra le colonne rimaste in piedi ed i frammenti di edifici, crescevano indisturbati nodosi ulivi ed un alloro secolare. All’ombra di quest’ultimo, P. si sedette per riposare. Sopra di lei, un cardellino iniziò a cantare, per poi allontanarsi in volo poco dopo.
La ragazza, fissando i resti del probabile tempio invaso dall’edera e gli arbusti, si mise a recitare una muta preghiera agli dei. Chiedeva di unirsi all’amata Dafne e di diventare come lei, cercando di mettere in ogni sua parola tutto il suo desiderio per far sì che giungessero così lontano.
All’improvviso si sentì senza energie, e le venne da chiudere gli occhi e riposare. Nel farlo, sentì in lontananza la musica del sogno, e inevitabilmente si ritrovò a canticchiarla. L’ultima cosa che sentì fu una mano sulla spalla, ruvida come corteccia, ed il suo nome sussurrato per chiamarla. Al tramonto, P. fu trovata fredda e bianca come il marmo.

Nota dell'autor
ciao Lettore/Lettrice! grazie di aver letto questa piccola storia. è nata principalmente come modo di esprimere alcuni miei pensieri, ed era un modo per esorcizzarli. non è facile convincerci, ma unire il mio amore per quell'opera a questo era il modo migliore per affrontarla. il titolo è un riferimento all'omonimo re di Cipro protagonista del mito (trovabile nel libro X delle Metamorfosi ovidiane), che amò una statua e questa venne resa umana da Venere, e qui P. ama una statua, o meglio una parte di essa. l'ho scritta in tipo tre giorni e ho lasciato il tutto "maturare" perché ero davvero indecis* se pubblicarla. spero ne sia valsa la pena.
grazie ancora
- MoeniaDea

 
   
 
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