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Autore: Katekat    08/03/2020    6 recensioni
“E mi amerai sempre, assolutamente, sopra ogni cosa, e sapresti fare qualsiasi cosa per me”?
I. Calvino, Il barone rampante
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Exit wounds


 


E mi amerai sempre, assolutamente, sopra ogni cosa,

e sapresti fare qualsiasi cosa per me”?


I. Calvino, Il barone rampante


 


 

 

Ninfadora detesta essere chiamata Ninfadora, ma questo chiunque la conosca appena un po’ lo sa.

È la prima cosa che tende a dire di se stessa – e parlare di se stessa non le è mai piaciuto, ma a volte è tenuta a farlo, non fosse altro che per educazione.

(“Tieni i piedi giù dal tavolo, Dora, per favore” – la voce di sua madre, Andromeda Black ora Tonks, nella sua testa – questo è quello che le è stato inculcato sotto la voce “educazione”)

Ovvero: noiosi obblighi derivanti dal vivere in comune.

Quando incontra Remus, lui – contro ogni aspettativa – non le chiede di se stessa.

Lei non è costretta a dire quello che ha imparato quasi a memoria, tante sono le volte in cui l’ha ripetuto

(– Mi chiamo Ninfadora Tonks, ma tu chiamami Tonks…).

Questo perché a lui non sfiora nemmeno il cervello l’idea di interrogarla sul suo nome.

Non le chiede il suo nome, né il suo cognome – o quello di sua madre.

(Eppure le dà l’impressione che sa – sa già tutto).

E d’altronde lui, quell’uomo pallido, emaciato, gli occhi pieni di cose da dire ma che gli restano dentro – dentro labbra sottili, sigillate in un muto sorriso mite; capelli incanutiti precocemente e tante piccole rughe intorno alle palpebre fragili – lui le dà subito l’impressione di capirla con una sola delle lunghe occhiate serene che sono suo metro di misura e giudizio delle cose del mondo.

Lui la scruta e non parla; accenna sorrisi che sono più un incresparsi della luce nelle pupille che delle pieghe nel volto. Distaccato, discreto, avvolto da un contegno quasi dolente – sono queste le cose che la colpiscono, così aliene alla propria impetuosità giovanile.

Eppure freddi aghi di ghiaccio sanno essere i suoi occhi, quando il suo sguardo la attraversa senza vederla.

Il suo cuore, dentro, palpita di amarezza perché i suoi occhi non la vedono – sono tristi.

 


 

Quell’uomo è un Auror?

No, non è un Auror. È un insegnante di Hogwarts.

Un-un… professore?!

Tonks non riesce a crederci.

Si smozzica di nascosto le unghie insieme alle informazioni furtivamente carpite qua e là sul suo conto

(si rende conto che è una cosa poco onorevole da fare – ma che può farci, d’altronde, se lui non parla?)…

 

– Me li aspettavo diversi, i professori… – esclama, la prima volta che raccoglie il coraggio per parlare alla sua nuca.

E’ l’attimo stesso in cui lui le ha voltato le spalle - ma stavolta no, lei non lo lascia scappare.

Lui si gira, un po’ rigido per lo stupore.

Lei vede occhi tristi e segni di cicatrici indelebili che non ha mai notato prima, sulla pelle, alla luce del sole – e lui se ne vergogna ogni volta, ecco perché stava scappando.

E ora lui ride, perché lei ha visto e sembra non le importi.

Diversi come? chiede. Sembra curioso.

– Non so, – si schermisce lei. Non arrossisce, ma dentro è sangue che pulsa. Vorrebbe essere sfrontata come la punta delle sue ciocche lilla, invece è solo nervosa. – Come Silente, forse. Vecchi, sereni… saggi.

Saggio non sono di certo mai stato, dice lui. Curva appena le labbra, ma le palpebre gli si dischiudono sugli occhi come a racchiudere un dolore segreto.

Lei lo guarda inclinando la testa di lato; si trova a strizzare gli occhi imitandone inconsapevolmente l’espressione. Ha voglia di studiare a fondo quest’uomo e il mistero che è tutt’uno con lui; arrivare al cuore del suo segreto e aprirgli il suo, così semplice, gaio e sicuro di sé, prima di incontrarlo.

(Ora, invece, è acutamente consapevole di quel peso caldo e pulsante nel petto, e di tutte le variazioni di calore e gelo che lo possono pervadere a ogni gesto o parola di lui – e mai prima nessuna persona ha avuto tanta importanza nella sua vita)

– Tu sei molto giovane, – dice improvvisamente Lupin, ed è strano sentirlo quasi sbottare. Ogni cosa che dice è sempre ragionata e metodica, tranne questa. – Hai tanto da imparare.

E anche io, soggiunge.

Poi gira sui tacchi e se ne va.

Tonks non lo conosce, ma adora già questa sua tendenza a parlare a se stesso – piuttosto che di se stesso – con gli altri.


 


Quando viene scelta per far parte dell’Ordine della Fenice, Tonks è fuori di sé dalla gioia.

Il fucsia della sua chioma irrompe più violento e indecoroso che mai e la sua capacità di essere orrendamente maldestra nei contesti meno opportuni si acuisce vertiginosamente.

Soprattutto quando è davanti a lui, con sommo scorno di lei e lieve, divertita dolcezza del Professore – come ormai si è avvezza a chiamarlo.

(Si rigira sulla lingua quel nome, come la più dolce delle caramelle)

Tonks rovescia una zampa di troll, Sirius alza gli occhi al cielo e Molly cerca di allontanarla frettolosamente da ogni oggetto fragile o potenzialmente letale nel raggio di tre metri.

(Il Professore ride sotto i baffi)

Si sforza di non sentirsi una bambina sgraziata che rompe tutti i giocattoli che le capitano in mano, ma quasi sempre non riesce ad evitarlo – e, quando si riuniscono al Quartier Generale di Grimmauld Place nr. 12, niente va come dovrebbe.

Una bambina, sei, le dice lui una volta – ma non con cattiveria, o disprezzo.

Tutte le cose che lui dice (invero poche) le restano dentro come tesori – molto più delle lezioni del suo vecchio maestro, Alastor Moody; ma d’altronde queste qui sono parole che s’imprimono a fondo in tutt’altra parte di lei, e il cuore dimentica molto meno della testa.

Eppure, talvolta, non sa cosa pensare.

Gli occhi chiari di lui sono limpidi come l’acqua di un pozzo, ma anche freddi e irraggiungibili. Il suo essere così buono ma così distante la fa piangere di nervosismo.

E goffa lei si sente, davanti a quegli occhi, e teme che non vedano altro che la più giovane dell’Ordine, quella ammessa di straforo, e solo perché Moody ha interceduto per lei.

(Quella che non se l’è meritato - non se l’è guadagnato soffrendo e agonizzando su un campo di battaglia come tutti loro…)

Si sforza di non pensarci.

– Sei una bambina appena uscita di scuola – ghigna una volta Sirius. – Che ne vuoi sapere tu della vita?

E le arruffa goliardicamente i capelli quando la vede incassare con disappunto le sue parole – ma non per questo fanno meno male.

Tonks è orgogliosa, tuttavia sceglie di non darlo a vedere. Non vuole credere che il suo ostinarsi talora per un nonnulla di apparentemente banale – che però per principio diventa di vitale importanza per lei – basti a etichettarla come una mocciosa piagnucolosa e testarda.

Magari è davvero ancora una pivellina, in confronto a tutti loro già così navigati, ma non trova giusto metterla su questo piano – che glielo si rinfacci ogni volta.

Ecco perché si scrolla la mano di Sirius dai capelli – che subito tornano ad alzarsi irriverenti, come dotati di vita propria – e lo incendia con un solo sguardo.

Il problema non è Sirius, ovviamente. Con suo cugino va d’accordo, per la maggior parte del tempo. Lui sembra tenere a lei perché in qualche modo, curiosamente, lei gli ricorda lo scampolo di famiglia che non è riuscito a preservare – lo squarcio di un presente alternativo che non ha mai avuto la possibilità di essere.

E Tonks capisce che Sirius ha bisogno di aggrapparsi alle illusioni per tenersi in vita.

Soltanto, a volte, Sirius esagera e ferisce le persone con il suo sarcasmo, pur non volendo.

– Vacci piano, Sirius – lo blandisce quella volta Remus, che ha assistito alla scena. – Lasciala in pace.

Tonks è stupita, perché lui non ha mai preso le sue parti. Non l’ha quasi mai sentito parlare, in verità, davanti a lei; né tantomeno di lei – sempre e solo dell’Ordine e delle sue missioni e progetti.

Tonks starebbe ore ad ascoltare quella voce pacata ma ferma e i prodotti della sua intelligenza brillante che si srotolano nell’aria dalla punta della sua bacchetta, scortati dalle sue parole. Si contano sulle dita di una mano le volte in cui le ha rivolto la parola in prima persona; e questa è decisamente la prima che si erge a sua difesa.

Grazie, Remus”, vorrebbe dire.

– Non ho bisogno che qualcuno mi difenda – è invece quello che le esce di bocca.

Per darsi della stupida un secondo dopo, ma ormai il danno è fatto e mordersi la lingua non servirà a mozzargliela.

Sirius scoppia a ridere. Tonks si sforza di pensare immediatamente a qualcosa che la distragga, che impedisca ai suoi capelli di prender fuoco, tradendo il suo turbamento interiore. Essere un Metamorphomagus può complicarti la vita.

Black si gira di tre quarti verso Remus – che è rimasto perfettamente silenzioso e immobile – e gli ammicca da sopra una spalla.

– È un peperino, che ti avevo detto? – Ha il sorriso indulgente e compiaciuto di un padre davanti a una promettente bimba prodigio. – Sangue Black non mente, dopotutto; e Andromeda non era nemmeno la peggiore della famiglia.

– Suppongo di no, conoscendoti – ribatte Remus, senza scomporsi.

Tonks sente una risata sorgerle da dentro – subito soffocata quando Remus si rivolge a lei.

– Ovviamente quando ho preso le tue parti non è perché ti ritengo incapace di difenderti da sola, Tonks. Tutt’altro.

Accenna un sorriso con gli occhi. Ed è la prima volta che la chiama Tonks.

C’è un ronzio nelle sue orecchie come se acqua avesse preso a scorrere da qualche parte.

Sirius continua odiosamente a ridere.

Remus accarezza Grattastinchi.

L’unica cosa che Tonks sa di lui è che non è capace di dire bugie.


 


Tonks…

(Questa non è la prima volta che si innamora)

Ha già perso la testa un paio di volte per altrettanti giovincelli scanzonati della sua età.

Stavolta è diverso.

Stavolta non è un voler perdere la testa, ma un voler conservarne una, insieme al cuore, ai polmoni, agli occhi, per potergli dare tutto, e altro ancora. Consegnarglielo nell’involucro invisibile che è la sua fiducia e la sua fede in lui. Non sa da dove vengano; sa che lui non le farebbe mai del male e tanto le basta.

Accarezza dentro di sé, con dita invisibili, il cambiamento avvenuto in lei. Sfiora la crepa della crisalide che sta per partorire la sua forma definitiva. Segue con il tocco della mente la sagoma della donna che sta diventando senza nemmeno accorgersene. Aspetta trepidante che venga fuori.

Sa che è merito suo, che l’ha fatta crescere. Il bisogno di essere come lui, alla sua altezza, le ha dato la spinta per staccarsi dal fondo buio timido dell’infanzia e sgorgare alla purezza della maturità.

Ora sa che Moody ha sempre avuto ragione.

Quando lei caparbiamente insisteva “Sono adulta, so cavarmela da sola, mettimi alla prova!”, e lui scuoteva il capo e freddamente diceva “No, non ancora. Quando arriverà il momento lo capirai da sola”, Moody ha sempre avuto ragione.

E adesso che dovrebbe andare dal suo maestro e dirgli: – Ora sono davvero pronta –, adesso non può. Perchè Moody è morto, ed è troppo tardi per quello e per un sacco di cose.

Tuttavia, sente una nuova forza scorrere profonda e tenace come linfa dentro di sé. Sa chi è, adesso, ma ha ancora paura.

Crescere non significa non aver più paura, ma essere disposti ad affrontarla, dice Sirius.

Ed è buffo che sia proprio lui a dirlo – d’altronde, è questo il fascino di Sirius: l’insalvabile incoerenza tra il suo cuore e la sua mente, tra la sua bocca e le sue azioni.


 


Ha messo in conto che non sarebbe stato facile penetrare la sua maschera di ricordi e tormenti, e i rimpianti laggiù sepolti e mai dimenticati del tutto.

Come può essere mai facile indurre un lupo ferito e umiliato, battuto, vinto, a uscire allo scoperto e tornare a fidarsi degli uomini – di lei?

Un lupo è una bestia selvatica; per quanto talvolta possa girovagare intorno ai focolari degli uomini fiutando cibo e preda, non lo si può mai addomesticare.

– Un lupo non è un cane. – Strano che quella volta le venisse detto da Molly. – Guarda Sirius: in fondo è un cucciolotto sconsiderato che morde e fa un gran baccano solo per sfidarti a giocare con lui a nascondino; in realtà è digiuno d’amore e di coccole. Ma Remus è diverso; la sua diffidenza nasce dalla paura di essere rifiutato. È disposto a morir di fame per la sua dignità, e tenersi lontano dal branco non gli fa paura.

Non l’aveva mai vista in quei termini.

– E cosa devo fare, allora?

Era il suo cuore a parlare, in quello sprazzo di confidenzialità femminile che si era creato tra due persone – una donna, una ragazza – con ben poche affinità prima di allora.

Aveva sempre temuto di non starle molto simpatica; eppure, visceralmente, aveva intuito che Molly sapesse tutto della sua infatuazione per Remus. E non poteva parlarne con altri.

Molly aveva sorriso all’accoratezza della sua giovane voce.

– Semplice, bambina. – Per una volta non si era irritata nel sentirsi apostrofare così. – Non devi fare niente. Lascia che sia lui ad abbassare la guardia. Che il lupo venga al fuoco. Quando avrà bisogno di carne, di calore, accadrà. E tu dovrai essere pronta.

“Devi essere pronta, devi stare all’erta! Vigilanza costante!” abbaiava Moody; il primo insegnamento che le era stato impartito.

Nessuno le aveva detto che, per quanto uno ci provi, non si può mai essere del tutto preparati.

E nessuno le aveva mai detto come proteggersi dalle zanne ed artigli del lupo.


 


– Hai mai pensato di essere così orribile che nessuno potesse mai innamorarsi di te?

Sirius la occhieggia più sbronzo che sorpreso da sopra l’orlo del bicchiere.

– Orribile? – Dalla sua aria è chiaro che non si sia mai posto nemmeno lontanamente il problema. – Non sono più orribile di tanta altra umanità in giro… Da dove ti viene questa?

Sono soli in cucina, Sirius e Tonks. Non fanno nulla – aspettano qualcosa che, di preciso, nessuno dei due sa.

Grattastinchi si strofina contro le ginocchia di Sirius con oscena goduria; le sue fusa riempiono l’aria mentre la mano libera dell’uomo – nocche ossute e pallore di carta al macero – lo gratta dietro le orecchie, tra un sorso e l’altro di un whisky stantio.

– Io a volte lo penso – sussurra lei, mentre con gli occhi segue le carezze distratte spandersi sul pelo arancione del felino.

Dal ghigno di Sirius intuisce che le punte dei suoi capelli sono bruscamente virate verso un magenta violento. Si pente immediatamente di quell’empito di sincerità inopportuna.

– Che c’è? – s’impunta. I suoi zigomi sono soffusi dal rossore.

Sirius si sporge un po’ verso di lei, continuando ad accarezzare il gatto.

– Dì un po’, chi è il fortunato? Lo conosco?

Tonks schiva con eleganza sia la domanda sia il ghigno importuno che l’accompagna.

– Tu ti sei mai innamorato, Sirius? – chiede invece, a bruciapelo.

Sirius si rimette lentamente indietro a sedere, buttandosi quasi contro lo schienale; centellina il whisky con un sorrisetto enigmatico e solleva gli occhi da Grattastinchi, acciambellato in grembo, a lei.

– No. Sì. Forse... Che t’importa? – Impenna il bicchiere in un muto brindisi in suo onore, annegandovi la sua irritante evasività.

Tonks fissa il suo pomo d’Adamo andare su e giù lungo la gola scarna e sospira di impazienza. Avere una conversazione con suo cugino può essere frustrante come poche cose nella vita – si chiede come faccia il Professore a sopportarlo; stanno chiusi nella stanza per ore e da dietro la porta li senti parlare parlare parlare... Unica compagnia quella di Fierobecco – e solo talvolta.

Ma pensare a Lupin non le ha fatto bene.

Strofina meccanicamente le suole sotto il tavolo e poi incrocia le caviglie e le lascia dondolare come faceva da piccola sull’altalena. Poggia il mento sulle braccia incrociate sul tavolo.

- Comunque no, mai stato innamorato – dice alla fine Sirius, abbassando il bicchiere.

Rimangono zitti per lunghi minuti, ciascuno perso dentro di sé.

Non sarai mai un bravo Auror se non impari a essere più cauta e meno impulsiva!”

Gli ammonimenti di Moody le sovvengono all’improvviso, ma non riescono a tener dietro alla sua linguaccia.

– È Remus – sbotta tutto d’un fiato. E forse non si trattiene perché è troppo tempo che aspetta qualcuno a cui dirlo. – È il professor Remus John Lupin. Sono innamorata di lui.

Il silenzio stupefatto che segue le sue parole ne amplifica l’eco e la paura e l’assurdità che d’un tratto sembrano travolgerla, annichilirla, inchiodarla nel limbo dell’irreparabilmente detto.

Sirius continua a fissarla.

Ora non ride più.


 


Sirius si era versato un secondo bicchiere.

- Remus – aveva ripetuto, come un’eco insicura. Poi era rimasto in silenzio per un lungo istante, lasciandola assorbirsi lentamente nei muri, svanire.

Aveva posato con cautela il bicchiere sul tavolo, ponendo al gesto un’attenzione esagerata – come se solo in quel momento si fosse reso conto di stringere tra le dita fragile vetro, qualcosa che potesse rompersi con estrema facilità.

– Sul serio ti piace Moony? – Il suo tono era secco e teso come una corda sottile, venato di fredda incredulità.

Per un attimo Tonks aveva avvertito la leggera scossa della gelosia, per l’intimità del nomignolo di cui le labbra del cugino si appropriavano con assoluta naturalezza – che richiamava qualcosa di elusivo da cui lei era estranea, esclusa.

– Sì.

Sirius si era scrollato i capelli dagli occhi. – Non fa per te.

La sua mano aveva tranciato l’aria in un gesto secco, definitivo, di scorta alla sua laconica sentenza. Kaputt.

Tonks se ne era sentita profondamente urtata. Una ruga di disapprovazione le era apparsa sulla fronte giovane, tra le sopracciglia anch’esse viola; lo sguardo si era acceso di una luce bellicosa.

Sirius aveva proseguito, sostenuto, prima che lei potesse aprir bocca.

– Lui è un uomo, tu una ragazzina. Cosa diavolo avete in comune?... Lui ha un passato di merda alle spalle, ha avuto una vita tutt’altro che facile e ancora adesso non si può dire che se la passi bene. Tu sei cresciuta nella bambagia, e tra mia cugina e il suo marito Babbano non ti si è lesinato nulla. Remus è un Licantropo, cazzo. Probabilmente hai un’idea teorica di cosa significhi, ma è ovvio che tu non ne abbia abbastanza paura, altrimenti non staresti nemmeno lontanamente pensando di…

Tonks lo aveva interrotto con feroce sarcasmo.

– Quindi pensi che voi Malandrini siete stati gli unici a poter tener testa a un Lupo Mannaro? Che nessun altro può?

– Ci vogliono capacità ed esperienza che tu non hai.

– Forse non adesso. Ma le capacità si perfezionano col tempo e l’esperienza si acquisisce.

– Sei troppo giovane per responsabilità così grandi. È al tuo futuro che devi pensare, Tonks.

– Ci sto pensando. Ed è proprio l’assumermi grandi responsabilità che mi aiuterà a crescere.

L’espressione di Sirius si era incupita via via che si rendeva conto di non poter penetrare il suo testardo ottimismo.

– Ti farai male – aveva ringhiato, cupo. – Molto male. E quando te ne renderai conto sarà troppo tardi per proteggere te stessa.

– E’ il rischio del mestiere, Moody lo diceva semp-

– Questa non è una di quelle stupide esercitazioni che vi fanno fare alla scuola per Auror, Tonks! Stiamo parlando di gente vera, di sentimenti veri! Di vite reali! – Aveva sbattuto il palmo sul tavolo, le vene del collo turgide e gli occhi iniettati e strabuzzati per una rabbia esplosa feroce, all’improvviso.

Tonks si era morsa le labbra, ma il suo sguardo fiammeggiava.

– Lo so benissimo, Sirius. Credi che sia stupida? Che non sappia distinguere-

Si era interrotta quando Sirius aveva cambiato atteggiamento all’improvviso. Scosso la testa piano, crollato la fronte sul palmo secco di una mano. La sua pelle aveva la sfumatura grigiastra che non se n’era più andata dopo Azkaban. Sembrava d’un tratto senza speranza.

Il cambiamento era stato talmente repentino che Tonks aveva richiuso la bocca, scioccata e presa in contropiede.

Non se l’era sentita di infierire; Sirius in quel momento appariva come una bestiola battuta e indifesa, che avesse d’un tratto perso tutte le sue zanne. La pietà l’aveva sopraffatta.

– Sirius… – Aveva allungato timidamente ma decisamente una mano, sfiorando quella di lui; era freddo come morto.

Lui l’aveva guardata con espressione indecifrabile ma arricciando il labbro superiore – come se un vago sentore di nausea si facesse strada in lui tra la bocca e la bocca dello stomaco. Le sue pupille si dilatavano nello sforzo di comunicare quello che le pareva un segreto troppo penoso da dire a voce.

Un’intuizione l’aveva attraversata all’improvviso – fulminata.

Come aveva fatto a non pensarci prima?

– C’è un’altra? – Il cuore le batteva metallico come una campana stonata. – E’ per questo che mi stai mettendo in guardia, vero? Ha un’altra…

La sedia si era rovesciata pesantemente sul pavimento, quando Tonks era balzata su come una molla. Tremando in tutto il corpo per l’orribile evenienza che il suo cervello si era rifiutato di mettere in conto fino a quel momento.

– Dimmelo, Sirius; tu di sicuro sai qualcosa… C’è un’altra?

Sirius si era chinato a sollevare la sedia con fatica, scuotendo di nuovo il capo.

– Siediti, per favore.

– Chi è? – aveva esalato, quasi strozzandosi con la sua stessa saliva. Tutto d’un tratto, le sembrava di aver perso le coordinate del mondo in cui si trovava.

– Lascia perdere, Tonks, lo dico per il tuo bene. Mi ascolti?... Lascia perdere Remus Lupin.

Si era rifiutato di dire altro. Aveva buttato giù altri due bicchieri di whisky, schivando ostinatamente ogni tentativo di Tonks di carpirgli qualcosa di più.

Pochi minuti dopo Sirius si era ritirato, scuro in volto, senza darle nemmeno la buonanotte. Sembrava prigioniero di un pensiero fisso che lo rendeva livido dal di dentro. La sua gaia ubriachezza era scomparsa, il suo umore a terra.

Tonks aveva ascoltato, impotente, il rumore greve dei suoi passi salire le scale, lo sbattere della porta nella sua stanza.

Una finestra aperta sbatteva nel vuoto dei suoi pensieri.

Aveva creduto di trovare un alleato.

Si sbagliava.

 


 

– Tu… tu amavi Sirius, vero?

Si era detestata per non essere riuscita a mantenere la voce ferma.

– Cosa? – Remus aveva alzato gli occhi pieni di sangue e di lacrime dalle palme che teneva appoggiate sul volto.

Erano i primi giorni, i più duri.

Sirius era morto da meno di una settimana e la bella stagione sembrava fare scempio del loro dolore - masticarlo e risputarlo con il dileggio feroce di una iena.

Pezzi di Remus galleggiavano a vista.

Il dolore lo intontiva, lo stonava, gli faceva perdere il filo e la padronanza di sé. Si interrompeva nel mezzo di una frase senza idea di come continuare; sentiva un tremito diffuso in ogni nervo del suo corpo. Non riusciva a farlo smettere; non riusciva a smettere di tremare.

Le mani, soprattutto, non stavano mai ferme – come i suoi pensieri.

Tonks gli era passata momentaneamente dalla testa – ahimè - in quella tragedia che non conosceva eguali nel prima e nel dopo della sua vita.

Ma ora rieccola - i suoi capelli e le sue domande giuste che urtavano le macerie in fondo al suo cuore. Smuovendo, rovistando, costringendolo a disseppellire quello che, per sua grazia, avrebbe dovuto cercare di dimenticare.

– Vi amavate?

Un macigno nel petto le strappava via l’aria dai polmoni. La voce era un pigolio, una nota stonata su un pentagramma ingiallito di anni prima.

– Non è così semplice – aveva bisbigliato lui.

Lei gli era stata semplicemente grata per non averle mentito.

Lui era tornato a guardarla e, per la prima volta, l’aveva vista con i capelli grigi.

Spenti. Color topo.

Come se tutta la vita fosse stata risucchiata fuori da essi - la vita di Sirius.

Quel bel fucsia violento era solo un ricordo.

– Se vuoi sapere se amavo Sirius, ebbene, su questo non ho dubbi: l’ho amato, sì, per molti anni. Se lui mi abbia mai amato, questo è più difficile da comprendere. Solo lui può saperlo. Dovremmo interrogare l’aldilà per avere una risposta.

Tonks era rimasta in silenzio. Aveva provato l’impulso di sedersi vicino a lui, su quello che era stato il letto di Sirius a Grimmauld Place durante le riunioni dell’Ordine (un divano sfondato e un plaid sformato, nulla più che potesse ricordargli un’infanzia ben più infelice).

Ma poi ci aveva ripensato, era rimasta in piedi, torcendosi le mani dietro la schiena. Adorabile, nella fragilità del doppio dolore che la smembrava.

Il suo fidanzato, suo cugino.

– Come lo hai capito? – aveva chiesto Remus.

Tonks aveva alzato una spalla.

– Era facile. Bastava guardarvi. Ma per molto tempo ho guardato solo te.

Remus aveva deglutito più volte, facendo di sì con la testa. – Capisco.

– Che stupida.

– Non dirlo. – Remus aveva crollato il capo, fatto per alzarsi, stancamente. – Sei una delle persone più intelligenti che abbia mai…

La voce si era spenta, esaurendosi da sola come un tramonto.

Tonks lo guardava, viso pallido e occhi vuoti se non di lacrime.

– Sono stata così cieca. Ed era lì, sotto il mio naso, chiaro come il sole. Tutti sapevano. E io che mi sono confidata con lui… Salazar, che avrà pensato… e Molly…

Tirava su col naso - lacrime e muco.

Lo aveva guardato; si erano guardati in silenzio per qualche minuto. Lei da sotto in su, lui col volto un po’ chinato sul petto per bilanciare la differenza di altezza. Aveva alzato una mano a sfiorarle il casco arruffato di capelli color topo, rovesciati come la corolla di un fiore carnoso sulla testa.

– Mi ameresti mai come hai amato lui? – aveva sussurrato Tonks.

(“E mi amerai sempre, assolutamente, sopra ogni cosa, e sapresti fare qualsiasi cosa per me”? - forse era stata una preghiera)

La mano era caduta, come nervi recisi al polso, come la mano di una marionetta.

Tonks – la marionetta Tonks, cui hanno appena spezzato i fili – aveva raccolto il proprio cuore e se n’era andata.


 

 

Segue un periodo orribile.

Remus non la vuole, e Tonks non si è mai sentita così umiliata in vita sua, così priva di senso e di scopo, così inutile, vuota, stupida.

Vederlo ad ogni incontro dell’Ordine è una tortura.

Cercano di non guardarsi, non si parlano a meno che non sia strettamente necessario (– Puoi passarmi i cavoli? – Grazie…), ma tutti si accorgono di quanto sia tesa l’aria intorno a loro e nessuno riesce a darsene onestamente una spiegazione. Alcuni lo attribuiscono alla morte di Sirius: alcune persone il dolore le avvicina, altre le allontana irreparabilmente.

Anche Remus appare più grigio e ingobbito del solito. Non è mai stato allegro, ma la sua triste aria funerea è quasi insopportabile alla vista.

Molly cerca di spronarlo, i pugni sugli ampi fianchi, borbottando come una teiera in ebollizione.

– Se ci fosse qui Sirius sai cosa direbbe, Remus? – Dentro, mortalmente preoccupata. La vita sta andando a rotoli e nessuno sembra in grado di aiutare qualcun altro.

– No, Molly, non lo so – replica stancamente Remus, – perché Sirius è morto. Non posso sapere cosa avrebbe detto. E ti prego di non nominarmelo più.

Si alza e se ne va, e Molly resta di sasso, incapace di decidere se prendersela di più con lui o con la propria indelicatezza.

Sta solo cercando di salvare la situazione; a quanto pare senza riuscirci.

 


 

Posso provare ad amare ancora, dice Remus. Sta convincendo lei e se stesso. Il suo cuore è ancora vuoto del vuoto che ha lasciato Sirius con la sua morte.

Quelle fievoli parole bastano ad aprire una breccia di speranza nel cuore di Tonks; vi si abbevera, assetata. L’alternativa, d’altronde, sarebbe lasciarsi morire – e, nonostante tutto, è troppo giovane per poter abbandonare così presto la vita.

Gli prende la mano, cerca di sorridergli e trasmettergli sicurezza.

Ce la faremo, insieme.

La risata canina di Sirius è tutto ciò che riempie di eco le orecchie di Remus – copre le parole di Tonks.

Fa di sì, ma non sta ascoltando.

Quando la ama, è distante. Sembra sempre che stia pensando ad altro, rinchiuso nel suo guscio interiore dove niente e nessuno può raggiungerlo, neppure se gli urlasse diritto sul viso.

Quando la ama, è come se stesse amando il corpo di un’altra.

Talvolta, le sue unghie le scavano la pelle, come se cercasse, al di sotto, l’anima di un altro.

E la sua testa si piega a inseguire il suo odore nelle pieghe del suo collo, ma è come se stesse fiutando una pista persa da tempo, che non conduce più in nessun posto.

Quando la prende, spinge, penetra, è con agonizzante lentezza e urgenza selvaggia, come se tornasse a casa, ma la sua casa non è il suo corpo. La cerca e non la trova. Non è l’incastro perfetto, non scivola, il cigolio è stonato, forzato; urta e viene respinto indietro. È dolore e disperazione di entrambi.

Quando la ama, lei ha paura di fargli chiudere gli occhi. Ha paura che lui possa smarrirsi nella propria mente – nel passato, nei ricordi – e che provi piacere usando il suo corpo ma pensando e desiderando il corpo e l’anima di un altro.

Non è suo e mai lo sarà; mai completamente suo, solo a metà.

L’altra metà appartiene a un morto.

Lei ama Sirius; gli ha voluto bene, ha sofferto per lui.

Lei odia Sirius. Perché anche da morto continua a significare più di lei e del suo corpo da viva: sangue e carne e cuore che pulsa - non hanno senso, quando l’amore appartiene ad un altro.



 

Non mollare, si dice. Tu ami quest’uomo; col tempo se ne accorgerà, ti ricambierà.

Non mollare.

Testarda, ostinata, vuole quello che le spetta.

Tonks è incinta quando la luna è piena e Remus per la prima volta si trasforma davanti a lei.

L’odore del sangue del bambino è la cosa più forte che abbia mai sentito.

È in piedi schiacciata contro il muro, si protegge il ventre con una mano, l’altra scivola viscida di sudore lungo la parete e l’unica cosa che riesce a visualizzare, enfiandosi davanti ai suoi occhi, sono le sue peggiori paure.

Rivede la morte di Malocchio, e la morte di Sirius, e la morte dei suoi genitori. Vede le zanne del lupo squarciare il ventre e recidere la vita del bambino che è dentro di sé. Vede se stessa morire per mano dell’uomo che ama, ridotto a un mostro.

Si accascia, piange, si abbraccia e dondola avanti e indietro senza speranza.

Una mano che le si posa sul viso la fa urlare.

Alza gli occhi.

Remus sorride, chino su di lei. E’ pallido.

– Ho preso l’Antilupo – dice, mostrandole la coppa vuota. – E’ tutto a posto.

Lei lo guarda e per la paura non riesce ad afferrare il senso.

– Credevi ti avrei attaccata?

Lacrime, silenziose, scendono.

Gratitudine, sollievo.

No. Certo che no.


 

 

Remus è disperato.

Sa di costituire un pericolo per Tonks e il bambino.

Non è sicuro di amarla – (sicuramente no, non come Sirius).

Non vuole questo bambino.

Perchè non saprebbe amarlo – amarli – come dovrebbe.

Perché è un lupo e teme di non riuscire un giorno a controllarsi.

Remus si odia e non sa che fare.

Vorrebbe che Sirius fosse qui, non fosse altro che per chiedergli consiglio.

Guarda le stelle e si ripete: vorrei fossi qui, cane.

Torna a casa.

E’ stato un lungo viaggio. Da lì alla tomba della sua memoria e ritorno.

Lei è lì che lo aspetta, come ogni sera.

Stasera non sa che gli è successo.

La guarda negli occhi. Dice:

- Io non lo voglio, questo bambino.

Vede il mondo crollare negli occhi di lei, il sangue defluire dalla superficie dell’anima, lasciando piatto specchio vuoto del proprio egoismo e del proprio terrore.

Mi dispiace, aggiunge.

Apre la porta e se ne va.

Non si era nemmeno tolto la giacca, per fortuna.



 

Sto per avere un figlio...

C’è una strada di Londra in cui Remus non può tornare.

Non può tornare perché pullula di ricordi della sua vita con Sirius lì. La sua vita di prima.

Per tutti è solo una casa come tante altre. Per lui è stato il centro della sua vita, il cuore del suo mondo, per anni.

Piove. Nel suo impermeabile bagnato fissa la porta di legno anonimo, uguale a tutte le altre.

Sorride quando un ricordo improvviso gli trapassa la mente.

- E tu? Tu ti sei mai innamorato, Sirius?

Sirius beve e scuote la testa.

Si versa un altro bicchiere.

- No, mai stato innamorato.

Sorride, ma è un riso amaro.

Mai stato innamorato.

Sorride.

Fra poco sarà di nuovo Natale, a Grimmauld Place nr. 12.


 

Fine


 


 

  
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